Concessioni demaniali marittime: confermato l’obbligo di gara

Pubblicato il 18-07-2017
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A cura dell’Avv. Gaetano Pecoraro

Il tema dell’affidamento delle concessioni demaniali è, periodicamente, portato all’attenzione della Giustizia amministrativa, vedendo in esse, gli operatori economici, occasioni di profitto, con conseguente tensione ad un’apertura effettiva al mercato.

La problematica è stata già affrontata in nostri precedenti post (“Concessioni demaniali marittime: illegittima la proroga automatica”, e “Il Consiglio di Stato fa il punto sul rinnovo delle concessioni demaniali”), e l’orientamento di cui si è dato conto trova oggi conferma, e viene ulteriormente sviluppato dal TAR Trieste con la decisione in commento (sent.  5 luglio  2017, n. 235), e dal recente decreto correttivo al codice degli appalti (d. lgs. 56/2017).

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Il Giudice friulano, prendendo le mosse dal parere del Consiglio di Stato – Sezione consultiva per gli atti normativi n. 1505/2016, reso su uno schema di decreto modificativo della peculiare disciplina di settore (art. 18 comma 1 l. 84/1994), nel quale la Suprema magistratura amministrativa ha osservato che se “è vero che nella fattispecie pare trattarsi di un classica concessione di bene pubblico (demaniale) e non quindi di una concessione di servizi”, è altresì vero che “la necessità di applicare i princìpi di matrice europea di trasparenza, non discriminazione, proporzionalità nelle procedure di assegnazione appare particolarmente pregnante ed ineludibile, cosicché non appare consentito meramente replicare, seppur con qualche significativo aggiustamento in termini di pubblicità, un impianto contrassegnato da ben diverse finalità e tradizionalmente operante in ben altro contesto (oltre che in una realtà economico-produttiva risalente)”, è pervenuto alla conclusione che la mera pubblicazione dell’istanza di rilascio della concessione all’Albo pretorio di un piccolo comune costituisce un “simulacro formale di pubblicità”, del tutto inadeguata per un’effettiva apertura al mercato.

Il TAR triestino, però, si spinge oltre, e richiamando un precedente partenopeo (TAR Napoli, sent. 23 aprile 2010, n. 2085, nella quale si afferma che alle concessioni di beni pubblici di rilevanza economica devono applicarsi i principi discendenti dall’art. 81 del Trattato UE e dalle Direttive comunitarie in materia di appalti), accoglie la tesi della società ricorrente circa la violazione “dei principi nazionali e comunitari in materia di evidenza pubblica e libera concorrenza”.

Vale la pena precisare che la questione decisa dal TAR risale ad una vicenda del 2014, precedente, quindi, al nuovo codice degli appalti (d. lgs. 50/2016), ed al recente suo decreto correttivo (d. lgs. 56/2017) che sembrano aver detto parole chiare sul tema.

Leggendo velocemente l’art. 3 d. lgs. 50/2016 l’interprete potrebbe essere indotto a ritenere, frettolosamente, che l’ambito oggettivo di applicazione del codice degli appalti sia limitato ai cosiddetti contratti passivi della Pubblica amministrazione, ossia quei contratti che comportano per il soggetto aggiudicatore l’esborso di risorse laddove per i contratti attivi (quelli che comportano per il soggetto aggiudicatore l’incameramento di risorse) il codice troverebbe applicazione esclusivamente per le “concessioni di lavori pubblici” e per le “concessione di servizi pubblici”.

Sennonché già con parere 855/2016 emesso dal Consiglio di Stato sullo schema di decreto legislativo del nuovo codice degli appalti, il Supremo Organo consultivo aveva osservato che “la delega, pur prevedendo un riordino a vasto raggio, non ha incluso anche i contratti “attivi” della pubblica amministrazione (a titolo di esempio, locazioni, concessioni demaniali). Né ad essi sono applicabili “in via diretta” i principi dettati dal codice per i “contratti esclusi”, atteso che l’art. 4 del codice (come già del resto l’art. 27 del (pre)vigente codice) si riferisce ai soli contratti “relativi a lavori, servizi, forniture” che siano esclusi in tutto o in parte dal codice, e non anche ad altre tipologie. E  tuttavia  non  sembra  dubbio  che  i  principi  del  codice  a  tutela  della concorrenza siano applicabili “per analogia” anche ai contratti attivi della p.a. È perciò auspicabile che in sede di futura implementazione del codice, vi si  possa  includere,  con  legge  del  Parlamento,  o  con  decreto  delegato previo principio di delega, un nucleo di principi applicabili in via diretta, e non  per  sola  analogia, pure  ai  contratti  attivi,  quali  quelli  comunitari  a tutela  della  concorrenza,  o  quelli  sul  possesso  dei  requisiti  morali  dei contraenti privati”.

Recentemente, sul punto, è intervenuto nuovamente il Consiglio di Stato, in sede di parere sullo schema di decreto correttivo al Codice (n. 782/2017) che, ribadendo quanto osservato nel precedente sopra riportato (“… l’auspicio che in futuro il codice degli appalti potesse diventare il codice dei contratti pubblici tout court, compresi quelli “attivi” ancora regolati dalla legislazione di contabilità di Stato, auspicio non immediatamente traducibile in un riordino dei contratti attivi nel codice, mancando in tal senso un principio espresso di delega”), ha precisato che “non si dubita che, oltre a doversi rispettare eventuali specifiche regole contenute nella legislazione di contabilità di Stato e nelle discipline settoriali, vanno rispettati i principi generali di tutela della concorrenza e parità di trattamento. L’art. 1, lett. n) della legge delega, pone tra i criteri direttivi quello della individuazione dei “contratti esclusi” dall’ambito di applicazione del codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione. Il principio di delega è stato già interpretato, dal codice, nel senso che oltre a individuarsi i contratti esclusi, vada per essi dettato un “nucleo minimo” di “principi” applicabili, e a tanto provvede l’art. 4 del codice. Non vi è dubbio che i “contratti attivi” rientrino tra i contratti esclusi”, per poi suggerire che “i principi di cui all’art. 4 del codice andrebbero estesi anche ai contratti attivi, e a tal fine nell’art. 4, comma 1, dopo le parole “contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture,” andrebbero aggiunte le parole “dei contratti attivi,”.

Con d. lgs. 19 aprile 2017, n. 56, pubblicato in G.U. n. 103 S.O. 22 (entrato in vigore lo scorso 20 maggio 2017), il Legislatore delegato ha accolto i suggerimenti del Supremo consesso, modificando con l’art. 1 la rubrica del d. lgs. 50/2016, che da “Attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”, diventa “Codice dei contratti pubblici”, e con l’art. 5 si è modificato l’art. 4 d. lgs. 50/2016 prevedendo che “dopo le parole: “lavori, servizi e forniture,”  sono  inserite le seguenti: “dei contratti attivi”.

Dal 20 maggio 2017, pertanto, l’art. 4 del Codice dei Contratti Pubblici ha questo tenore testuale: “L’affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, dei contratti attivi esclusi, in tutto o in parte, dall’ambito di applicazione oggettiva del presente codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica”.

Si tratta di una precisazione “non innovativa” dell’ordinamento, poiché, come si è sopra visto, l’applicazione di quei principi ai contratti attivi già risiede nel regolamento di contabilità di stato che, ai sensi, artt. 3 comma 1 r.d. 2440/1923 “I contratti dai quali derivi un’entrata per lo Stato debbono essere preceduti da pubblici incanti, salvo che per particolari ragioni, delle quali dovrà farsi menzione nel decreto di approvazione del contratto, e limitatamente ai casi da determinare con il regolamento, l’amministrazione non intenda far ricorso alla licitazione ovvero nei casi di necessità alla trattativa privata”.

Si spera, quindi, che le Pubbliche amministrazioni prendano atto degli orientamenti giurisprudenziali, e dei chiari disposti normativi e procedano ad affidare le concessioni di beni pubblici nel rispetto dei principi di economicità, parità di trattamento, trasparenza e pubblicità, svolgendo non dei “simulacri di gara”, ma delle vere e proprie procedure competitive, aprendo al mercato un settore i cui interessi economici (anche per il pubblico erario) non sono indifferenti.

N. 00235/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00001/2014 REG.RIC.

MINISTERO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Seastok s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Alberto Marconi e Furio Kobec, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Trieste, via Milano 17;

CONTRO

Autorità Portuale di Trieste (nelle more del giudizio divenuta Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa ex d.P.C.M. 4/12/1997 dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, presso la quale è, del pari, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3;

NEI CONFRONTI DI

Teseco s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., non costituita in giudizio;

PER L’ANNULLAMENTO

Quanto al ricorso introduttivo

– della deliberazione del Comitato Portuale n. 16/2013 in data 26 luglio 2013 ad oggetto assentimento di concessione demaniale marittima per anni sessanta ai sensi dell’art. 18 l. n. 84/1994 di aree demaniali di circa 60.000 mq site nel Comune di Muggia in fregio al canale navigabile di Zaule e assentimento dell’autorizzazione ex art. 16 l. n. 84/1994 per la realizzazione e l’esercizio di un terminal Ro-Ro in misura prevalente e multipurpose avente estensione di circa 200.000 mq;

– di ogni atto preparatorio, presupposto, consequenziale o, comunque, connesso e in particolare, occorrendo, del parere della Commissione consultiva locale in data 25 luglio 2013 di contenuto sconosciuto;

Quanto al I ricorso per motivi aggiunti

della concessione demaniale marittima formalizzata nell’atto in data 23 settembre 2014 n. 5/2014 Reg. e n. 4010 Rep. Per l’uso esclusivo delle suddette aree demaniali di complessivi 63.203 mq site nel Comune di Muggia in fregio al canale navigabile di Zaule;

Quanto al II ricorso per motivi aggiunti

della delibera del Comitato portuale n. 8/2015 del 23 luglio 2015 portante autorizzazione al subingresso della società Aquila s.r.l. nell’atto di concessione n. 5/2014 in data 23/9/2014, nonché del provvedimento conclusivo del legale rappresentante dell’Autorità Portuale portante trasferimento della concessione suddetta ad Aquila s.r.l.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Autorità Portuale di Trieste (nelle more del giudizio divenuta Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 maggio 2017 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato in data 2 gennaio 2014 (d’ora in poi anche semplicemente ricorso introduttivo) e con ricorsi motivi aggiunti depositati rispettivamente in data 25 novembre 2014 e 21 dicembre 2016 (d’ora in poi anche semplicemente I e II ricorso MA), la società Seastock s.p.a. chiedeva a questo Tribunale Amministrativo Regionale l’annullamento degli atti relativi all’assentimento, a favore della controinteressata Teseco, s.p.a., di concessione demaniale marittima per anni sessanta ai sensi dell’art. 18 l. n. 84/1994 di aree demaniali di circa 60.000 mq site nel Comune di Muggia in fregio al canale navigabile di Zaule e, in particolare, della deliberazione del Comitato Portuale n. 16/2013 in data 26 luglio 2013, della concessione in data 23 settembre 2014 n. 5/2014 Reg. e n. 4010 Rep. e, infine, dell’autorizzazione al subingresso nella stessa della società Aquila s.r.l..

Chiedeva, inoltre, l’annullamento dell’assentimento all’autorizzazione ex art. 16 l. n. 84/1994, a favore della controinteressata, per la realizzazione e l’esercizio di un terminal Ro-Ro in misura prevalente e multipurpose avente estensione di circa 200.000 mq.

Questi i motivi di impugnazione:

Ricorso introduttivo

1. “Violazione degli artt. da 28 a 30 (ex artt. da 30 a 36) e da 43 a 55 (ex artt. da 52 a 66) Trattato UE e dei principi nazionali e comunitari in materia di evidenza pubblica e libera concorrenza (trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione, libertà di stabilimento, libera prestazione dei servizi, trasparenza, adeguata informazione preventiva). Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, comma 1, lett. c), e comma 5 l. 84/1994 nonché del d.m. 14.11.1994 (Identificazione dei servizi d’interesse generale nei porti da fornire a titolo oneroso all’utenza portuale). Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 63 e ss. d.lgs. n. 163/2006. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 Cod. Nav. e dell’art. 18 Reg. Cod. Nav.. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, comma 32, l. 6.11.2012, n. 190 e dell’art. 37 d.lgs. 14.3.2013, n. 33 in materia di obblighi di pubblicità delle pubbliche amministrazioni”.

2. “Violazione e/o falsa applicazione dell’art.18, comma 6, l. 84/1994. Eccesso di potere per difetto dei presupposti legittimanti e di istruttoria. Difetto di motivazione”.

3. “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 16 l. n. 84/1994. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 del d.m. 31.03.1995, n. 585 (Regolamento recante la disciplina per il rilascio, la sospensione e la revoca delle autorizzazioni per l’esercizio di attività portuali). Eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento, difetto di istruttoria e perplessità sotto altro profilo”.

4. “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 16 e 18 della l. 84/1994 sotto ulteriore profilo. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 del d.m. 31.3.1995, n. 585. Eccesso di potere per difetto di ulteriore presupposto legittimante e di istruttoria. Motivazione illogica e/o perplessa. Contraddittorietà intrinseca ed estrinseca”.

5. “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 9, comma 3, lett. g), 18, commi 1 e 6, l.n. 84/1994. Violazione dell’art. 16, comma 4, l. n. 84/1994 e dell’art. 6 del d.m. n. 585/1995. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 del Reg. Cod. Nav.. Difetto di presupposti, di istruttoria, motivazione illogica e/o insufficiente”.

6. “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5, 16 e 18 l. n. 84/1994 in relazione all’art. 252 del d.lgs. n. 152/2006. Violazione e/o falsa applicazione del d.m. 18 settembre 2001, n. 468, recante Regolamento relativo al Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale. Violazione e falsa applicazione della l.r. Friuli Venezia Giulia 24 maggio 2004, n. 15 e ss.mm.. Violazione e falsa applicazione dell’Accordo di Programma 25 maggio 2012, recante <Interventi di riqualificazione ambientale funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel sito di interesse nazionale di Trieste>. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e dei presupposti. Disparità di trattamento”.

7. “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 12, 13 e 14 del d.P.R. n. 238/1952 Reg. Cod. Nav.. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria. Motivazione illogica, insufficiente e/o contraddittoria”.

I ricorso MA

I. “Invalidità in via derivata” per gli stessi motivi che affliggono la presupposta deliberazione del Comitato Portuale n. 16/2013 (motivo n. 1 nella numerazione della ricorrente);

II. “Invalidità propria”:

8. “Violazione degli artt. 49 e 56 T.F.U.E. e dei principi nazionali e del diritto europeo in materia di evidenza pubblica e libera concorrenza (trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione, libertà di stabilimento, libera prestazione di servizi, trasparenza, adeguata informazione preventiva). Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 36 Cod. Nav. e dell’art. 18 Reg. Cod. Nav. sotto ulteriore e diverso profilo. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 l. n. 84/1994. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e dei presupposti. Difetto di motivazione” (motivo n. 2 nella numerazione della ricorrente).

9. “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 16 l. n. 84/1994. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 del d.m. 31.03.1995, n. 585. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 49, 56, 101, 102 e 106 T.F.U.E. e dei principi nazionali e del diritto europeo in materia di tutela della concorrenza e parità di trattamento. Eccesso di potere per difetto di istruttoria” (motivo n. 3 nella numerazione della ricorrente).

10. “Violazione e/o falsa applicazione artt. 16 e 18 l. n. 84/1984. Eccesso di potere per difetto dei presupposti legittimanti e di istruttoria. Contraddittorietà intrinseca ed estrinseca. Illogicità” (motivo n. 4 nella numerazione della ricorrente).

II ricorso MA

I. “Invalidità in via derivata” per gli stessi motivi che affliggono le presupposte deliberazione del Comitato Portuale n. 16/2013 e concessione in data 23 settembre 2014 n. 5/2014 Reg. e n. 4010 Rep. (motivo n. 5 nella numerazione della ricorrente).

II. “Invalidità propria”:

11. “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 l. n. 241/1990 e successive modifiche, in relazione all’art. 18 l. n. 84/1994. Eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria” (motivo n. 6 nella numerazione della ricorrente).

12. “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 16 e 18 l. n. 84/1994. Eccesso di potere per difetto dei presupposti legittimanti e di istruttoria. Difetto di motivazione sotto altro profilo” (motivo n. 7 nella numerazione della ricorrente).

13. “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 18 e 16 l. n. 84/1994. Eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria. Violazione del principio di ragionevolezza ed economicità dell’azione” (motivo n. 8 nella numerazione della ricorrente).

L’Autorità Portuale (nelle more del giudizio divenuta Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale), costituita con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse, atteso che le aree assentite in concessione a Teseco s.p.a. erano già state oggetto di atti concessori rilasciati dall’Autorità Portuale in favore della ricorrente, poi dichiarata decaduta. Ha, poi, contestato nel merito la fondatezza delle censure ex adverso dedotte e concluso per la loro reiezione.

Le parti hanno depositato documenti e memorie a supporto e a migliore illustrazione delle rispettive argomentazioni difensive. L’Autorità intimata ha, tra l’altro, anche eccepito l’inammissibilità, sempre per carenza d’interesse, dell’impugnazione proposta dalla società Seastock s.p.a. avverso la deliberazione con cui il Comitato Portuale ha autorizzato il subingresso della società Aquila s.r.l. nella concessione demaniale e, in ogni caso, la sua irricevibilità per decorso del termine decadenziale d’impugnazione dalla pubblicazione effettuata ex art. 23, comma 1, d.lgs. n. 33/2013. Parte ricorrente ha, invece, controdedotto alle eccepita inammissibilità e irricevibilità del ricorso per carenza d’interesse.

La causa è stata, quindi, chiamata e discussa alla pubblica udienza del 10 maggio 2017 e, poi, trattenuta in decisione.

Si dà, innanzitutto, per nota la vicenda fattuale per come descritta negli atti delle parti e/o comunque ricostruibile in base alla documentazione dalle stesse dimessa in giudizio.

Vanno, poi, disattese le eccezioni preliminari di rito sollevate dalla difesa erariale.

Quanto all’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse, devesi, invero, convenire con parte ricorrente che la circostanza che la concessione in contestazione includa anche la fascia demaniale marittima che separa dal mare l’area di sua proprietà (ovvero l’area collocata alle spalle di tale fascia demaniale) e che, una volta concessa a terzi, ne interclude l’accesso alla ricorrente medesima vale di per sé a radicare il suo interesse all’impugnazione, essendo evidente che la possibilità di accedere al mare attraverso un’area demaniale marittima, liberamente praticabile, costituisce un vantaggio di grandissima importanza e valorizzazione per un’area privata destinata ad usi produttivi all’interno di un porto.

Ne deriva che nessun rilievo può assumere la circostanza che la ricorrente sia stata in precedenza dichiarata decaduta da una concessione demaniale marittima, atteso che, comunque, va assicurata tutela al suo interesse qualificato e differenziato, senza, peraltro, che il suo concreto atteggiarsi possa costituire in alcun modo limite alla natura dei vizi prospettabili, purché strumentali alla protezione del bene della vita sotteso a quell’interesse (in termini C.d.S., IV, 4 maggio 2012, n. 2578).

Quanto, invece, all’eccepita tardività che affliggerebbe l’impugnazione proposta dalla società Seastock s.p.a. avverso la deliberazione con cui il Comitato Portuale ha autorizzato il subingresso della società Aquila s.r.l. nella concessione demaniale, vale, al di là di ogni ulteriore considerazione, l’arguta osservazione della difesa della ricorrente, laddove evidenzia che, a voler accedere alla tesi della difesa erariale, secondo cui la pubblicazione ex d.lgs. n. 33/2013 sarebbe idonea ad assicurare la conoscenza o, per lo meno, la conoscibilità dell’atto gravato ai fini del decorso del termine per proporre ricorso, l’impugnazione stessa deve ritenersi, comunque, pacificamente tempestiva e ciò avuto riguardo a quanto disposto dall’art. 41, comma 2, c.p.a. e dall’art. 8, comma 3, d.lgs. n. 33/2013 ovvero alla circostanza che il termine per l’impugnazione degli atti soggetti a pubblicazione obbligatoria decorre “dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge” e che la pubblicazione obbligatoria ex d.lgs. 33/2013 degli atti sul sito internet dell’ente deve essere effettuata per cinque anni.

Nel merito, il gravame è fondato e va accolto.

Il Collegio è, invero, dell’avviso che, avuto riguardo alla durata della concessione (60 anni), all’estensione dell’area richiesta, alle opere previste, all’attività in progetto e alla possibilità di sfruttamento economico pressoché in regime di monopolio che deriva a favore del concessionario che colà è autorizzato a realizzare ed esercire un terminal Roll-on/roll-off (ro-ro) e multipurpose, la forma di pubblicità in concreto osservata dall’Autorità Portuale (ovvero la mera pubblicazione all’albo pretorio on line del Comune di Muggia dell’istanza di concessione demaniale avanzata da Teseco nell’anno 2011, senza, peraltro, peritarsi di fornire pubblicità a tutte le successive integrazioni progettuali apportate alla medesima) non possa ritenersi idonea ad assolvere, nel caso specifico, né all’incombente posto dall’art. 18, comma 1, l. n. 84/1994, né, tanto meno, costituire adempimento sufficiente al fine di assicurare il rispetto di basilari principi nazionali e comunitari di trasparenza, pubblicità, imparzialità e proporzionalità.

Non può, infatti, trascurarsi di considerare che, come anche recentemente affermato dal Consiglio di Stato – Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, chiamato ad esprimersi sullo “Schema di decreto recante la disciplina di affidamento in concessione di aree e banchine, comprese nell’ambito portuale, di cui all’art. 18, comma 1, legge 28 gennaio 1994, n. 84” (numero affare 552/2016 – n. parere 1505/2016 in data 27 giugno 2016), “(…) nello stesso impianto normativo (…) risieda in nuce la considerazione della peculiarità e dell’importanza, dal punto di vista economico-produttivo, di questa tipologia di provvedimenti concessori, e della necessità della più ampia possibile applicazione dei principi di trasparenza e concorrenza nel settore (…)”.

Il riferimento, come ancora precisato nel detto parere, è non solo alla previsione che “le concessioni sono affidate (…) sulla base di idonee forme di pubblicità (…)”, ma anche ai profili della durata delle concessioni, dei limiti minimi dei canoni e della riserva di spazi operativi per le imprese portuali non concessionarie di aree (fondamentale regola “antitrust”, volta chiaramente ad evitare posizioni dominanti distorsive), del pari riguardati dalla norma.

Ne deriva – sempre secondo il Consiglio di Stato – che, “pur trattandosi della concessione di un bene pubblico (demaniale) e non di una concessione di servizi, la necessità di applicare i principi di matrice europea di trasparenza, non discriminazione, proporzionalità nelle procedure di assegnazione appare particolarmente pregnante ed ineludibile”.

Come chiarito, peraltro, anche dal Consiglio di Stato, sez. VI, con la decisione in data 25 gennaio 2005, n. 168, l’indifferenza comunitaria al nomen della fattispecie, e quindi alla sua riqualificazione interna in termini pubblicistici o privatistici, fa sì che la sottoposizione ai principi di evidenza trovi il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di area demaniale marittima si fornisca un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai ricordati principi di trasparenza e non discriminazione.

Nel caso di specie, l’affidamento della concessione per una così lunga durata temporale in un’epoca già connotata da un fervido dibattito sulle modalità da osservarsi per l’individuazione del concessionario di beni e/o servizi pubblici con valenza economica, avrebbe, pertanto, dovuto indurre l’Autorità competente ad adeguarsi alle più garantiste forme di pubblicità (aprendo, in sostanza, effettivamente il “mercato” ad altri eventuali competitori), anziché limitarsi ad un mero simulacro formale di pubblicità, quale è stata, senza dubbio, la pubblicazione della richiesta di rilascio della concessione demaniale all’albo del Comune di Muggia, cittadina che – come noto – conta meno di 15.000 abitanti e non è solita “ospitare” sul proprio albo comunale notizie di così rilevante importanza economica.

In un sistema, in cui tutto prende le mosse dall’istanza dell’aspirante concessionario e non vi è, a monte, alcuna previa valutazione da parte dell’Autorità concedente sulla strategicità dell’intervento per reali finalità di sviluppo dell’area portuale nel suo complesso e non solo per la soddisfazione di interessi economici di parte, la forma di pubblicità attuata s’appalesa, in effetti, del tutto inadeguata.

Per le considerazioni dianzi indicate, pare, del resto, mutuabile, anche nella fattispecie in esame, l’orientamento giurisprudenziale che si è andato affermando negli ultimi anni e che ritiene “anche sulla scia di importanti decisioni della Corte di Giustizia CE, che l’inveramento nell’ordinamento nazionale di fondamentali principi di diritto comunitario rinvenibili direttamente nel Trattato CE, ma non per questo sforniti di immediata efficacia precettiva (il riferimento è, essenzialmente, al rispetto della libertà di stabilimento, di libera prestazione dei servizi, nonché ai principi di par condicio, imparzialità e trasparenza), non possa prescindere dall’assoggettamento delle pubbliche Amministrazioni all’obbligo di esperire procedure ad evidenza pubblica ai fini della individuazione del soggetto contraente. Da tali acquisizioni giurisprudenziali non può ritenersi estranea la materia delle concessioni di beni pubblici (siano essi del demanio ovvero del patrimonio indisponibile dello Stato, delle Regioni o dei Comuni)…” (Consiglio di Stato 25 settembre 2009 n. 5765).

In particolare è stato precisato che “alle concessioni di beni pubblici di rilevanza economica (e, tra queste, specificamente ricomprese le concessioni demaniali marittime), poiché idonee a fornire una situazione di guadagno a soggetti operanti nel libero mercato, devono applicarsi i principi discendenti dall’art. 81 del Trattato UE e dalle Direttive comunitarie in materia di appalti, quali quelli della loro necessaria attribuzione mediante procedure concorsuali, trasparenti, non discriminatorie, nonché tali da assicurare la parità di trattamento ai partecipanti (TAR Campania, Napoli, VII, 3828/2009). Infatti, anche nell’assegnazione di un bene demaniale occorre individuare il soggetto maggiormente idoneo a consentire il perseguimento dell’interesse pubblico, garantendo a tutti gli operatori economici una parità di possibilità di accesso all’utilizzazione dei beni demaniali” (TAR Napoli, IV, 23 aprile 2010 n. 2085).

Tali esigenze non possono, peraltro, considerarsi prive di rilevanza nel caso concreto per il solo fatto che qualche operatore di settore (Royal Dutsch Shell p.l.c.) abbia proposto osservazioni alla domanda di Teseco o per il fatto che, in fase pre-contenziosa, il procedimento EU PILOT 7019/14/MARKT (volto ad individuare un’eventuale lesione del principio di concorrenza) sia stato archiviato dalla Commissione europea.

Quanto al primo aspetto – al di là del fatto che comunque non è provato che la Shell abbia avuto notizia del procedimento in corso dalla pubblicazione all’albo del Comune di Muggia – paiono, invero, ancora una volta invocabili le considerazioni svolte dal Consiglio di Stato nel più volte citato parere, laddove si esprime nel senso dell’inaccettabilità del perpetuarsi di una procedura che prende le mosse dall’istanza dello stesso soggetto interessato al rilascio della concessione demaniale, concedendo agli altri soggetti solo la possibilità di presentare osservazioni o eventuali domande concorrenti nel termine indicato ai sensi dell’art. 18 del Regolamento per l’ esecuzione del codice della navigazione (navigazione marittima) approvato con d.P.R. 15

febbraio 1952 n. 328 e afferma, a chiare lettere, che “Si ripercorre (…) uno schema ormai obsoleto e risalente (sancito quasi 65 anni fa), ideato per altri scopi e finalità (legato come era alla gestione del singolo bene) e di certo non più confacente alle esigenze del mercato del settore e del mondo produttivo, quale è appunto il c.d. avviso ad opponendum, ovvero una forma di pubblicità nata per innescare essenzialmente opposizioni, dunque per contrastare e contrapporsi ad istanze altrui e non per avanzare proposte sulla base di un programma strategico condiviso.

Non risulta, cioè, accettabile che, invece di assecondare le nuove linee strategiche nazionali di pianificazione e programmazione del ruolo dei singoli porti, non più considerati entità a sé, la procedura di assegnazione della concessione dell’area o della singola banchina muova esclusivamente dall’istanza dell’interessato, senza un atto di programmazione a monte che sfoci poi in un bando ed in una, seppur peculiare, procedura di gara ad evidenza pubblica per la concessione del bene, dove la valutazione strategica non sia spostata al momento successivo della verifica di coerenza dell’istanza presentata per le concessioni di più lunga durata, e delle eventuali istanze concorrenti, con l’atto di pianificazione nazionale.

E’ vero che nella fattispecie pare trattarsi di un classica concessione di bene pubblico (demaniale) e non quindi di una concessione di servizi, ma la necessità di applicare i princìpi di matrice europea di trasparenza, non discriminazione, proporzionalità nelle procedure di assegnazione appare particolarmente pregnante ed ineludibile, cosicché non appare consentito meramente replicare, seppur con qualche significativo aggiustamento in termini di pubblicità, un impianto contrassegnato da ben diverse finalità e tradizionalmente operante in ben altro contesto (oltre che in una realtà economico-produttiva risalente)”.

Con riferimento all’archiviazione del (pre)procedimento di infrazione comunitaria devesi, invece, convenire con parte ricorrente che la finalità dello stesso è diversa (ovvero verificare la compatibilità con le regole dell’Unione europea del comportamento di uno Stato o di una significativa parte delle sue articolazioni) e nulla ha a che vedere con la valutazione in sede giurisdizionale della legittimità di un singolo provvedimento di una pubblica amministrazione, che, pertanto, non può, in alcun modo, venire impedita o condizionata dall’esito di quel diverso procedimento.

Sulla scorta delle considerazioni sin qui svolte, vanno, quindi, accolte le censure contenute nel primo motivo di gravame, laddove contestano, per l’appunto, la violazione dei principi nazionali e comunitari in materia di evidenza pubblica e libera concorrenza.

Meritevole di accoglimento è, poi, anche il terzo motivo, atteso che l’Autorità Portuale, nel rilasciare a Teseco anche l’autorizzazione ex art. 16 l. n. 84/1994 pare, in effetti, avere omesso di verificare la sussistenza in capo alla medesima dell’idoneità soggettiva ai sensi dei commi 3 e 4 della norma citata e dell’art. 3 del d.m. 585/1995. E’ noto, infatti, che Teseco è società specializzata nelle attività di recupero e trattamento dei rifiuti speciali e nelle attività di bonifica dei siti inquinati ed è priva di specifica esperienza nella gestione di terminali portuali, di trasporti marittimi e di ogni altra operazione o servizio portuale. E’, altresì, noto che la società ha, sin dall’origine, manifestato l’intenzione di affidare a terzi, senza, peraltro, indicarne il nominativo, l’esercizio delle operazioni e dei servizi portuali in questione. E’, dunque, evidente che, allo stato, non pare che alcun soggetto possa essere stato effettivamente sottoposto e avere positivamente superato la verifica in ordine alla rispondenza ai requisiti di legge.

Assorbiti tutti i restanti motivi, dal cui eventuale accoglimento parte ricorrente non potrebbe comunque conseguire soddisfazione maggiore dell’interesse azionato, il ricorso introduttivo va, pertanto, accolto e, per l’effetto, annullati i provvedimenti con lo stesso impugnati.

Le illegittimità che affliggono tali provvedimenti si riverberano, poi, in via derivata sui conseguenti provvedimenti che li presuppongono, impugnati col I e col II ricorso per motivi aggiunti, che vanno, quindi, del pari annullati.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo tra le parti costituite. Possono essere, invece, compensate per il resto.

Ai sensi di legge, l’Autorità intimata sarà, inoltre, tenuta a rimborsare alla ricorrente (all’atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis.1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato nella misura versata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso e sul I e II ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie per le ragioni di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla i provvedimenti con gli stessi impugnati.

Condanna l’Autorità intimata al pagamento a favore della ricorrente delle spese di lite, che vengono liquidate in complessivi € 4.000,00, oltre oneri di legge. Le compensa per il resto.

Dà atto che l’Autorità sarà, inoltre, tenuta a rimborsare alla ricorrente medesima (all’atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis.1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato nella misura versata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2017 con l’intervento dei magistrati:

  • Oria Settesoldi, Presidente
  • Manuela Sinigoi, Consigliere, Estensore
  • Alessandra Tagliasacchi, Referendario