Impianti pubblicitari lungo le strade: non è necessario il permesso di costruire

Pubblicato il 2-02-2017
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Secondo una recente sentenza del Consiglio di Stato, la specifica autorizzazione rilasciata per l’installazione assolve anche alle esigenze urbanistico – edilizie.

L’installazione degli impianti pubblicitari lungo le strade è sottoposta ad una regolamentazione specifica di settore (Codice della Strada e d.lgs. n. 507/1993), che prevede un apposito titolo autorizzatorio, rilasciato dal Comune, in conformità ai criteri ed ai vincoli fissati nel regolamento comunale e nel piano generale degli impianti pubblicitari, previsti dal d.lgs. n. 503/1997. Mediante questi strumenti, infatti, il Comune disciplina le modalità di effettuazione della pubblicità esterna e ne stabilisce limiti e divieti. Per tali ragioni, la speciale autorizzazione assume anche una valenza edilizia – urbanistica, escludendo la necessità di uno specifico titolo abilitativo edilizio.

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Il principio è stato affermato dalla recentissima sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 236 del 19.01.2017, che innova rispetto ad altro orientamento giurisprudenziale, per il quale, invece, è necessario il titolo edilizio, attesa la distinzione, in materia, tra i poteri spettanti all’Ente proprietario della strada ai fini della gestione e della sicurezza delle strade ed i poteri spettanti al comune ai fini urbanistici ed edilizi (espresso, ad esempio, dal Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 2497 del 07.05.2007).
Sulla base di questo principio, la pronuncia ha ritenuto illegittimo un ordine di demolizione di un impianto pubblicitario collocato lungo una strada, perché rilasciato in assenza di permesso di costruire.

MINISTERO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato 

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5463 del 2012, proposto da:
Maduli Francesco titolare della Ige Comunicazioni, rappresentato e difeso dagli avvocati Olga Durante C.F. DRNLGO71L63F537B, Marica Inzillo , Vincenzo Cantafio C.F. CNTVCN70A27F537Q, con domicilio eletto presso Alessandro Ciufolini in Roma, via P. Leonardi Cattolica N. 3;

CONTRO

Comune di Vibo Valentia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Carmelo Russo C.F. RSSCML67B08F537S, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Stefano Longanesi, 9;

PER LA RIFORMA

della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO :SEZIONE I n. 01688/2011, resa tra le parti, concernente demolizione impianto pubblicitario e ripristino dello stato dei luoghi

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Vibo Valentia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 novembre 2016 il Cons. Roberto Giovagnoli e udito l’avvocato avvocati Elisabetta Alessandra per delega dell’avvocato Carmelo Russo.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1. Viene in decisione l’appello proposto da Maduli Francesco in qualità di titolare della IGE Comunicazioni per ottenere la riforma della sentenza, di estremi indicati in epigrafe, con la quale il T.a.r. per la Calabria ha respinto il ricorso proposto in primo grado per l’annullamento dell’ordinanza con la quale il Comune di Vibo Valentia ha ordinato alla ricorrente la demolizione di un impianto pubblicitario perché realizzato in assenza del permesso di costruire.

2. Secondo la sentenza appellata, in sintesi, il decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507 (in particolare l’art. 3 che disciplina l’installazione degli impianti pubblicitari), non prevede che l’Amministrazione comunale, nel rilasciare l’autorizzazione all’installazione degli impianti, svolga anche valutazioni edilizie relative all’impatto della struttura sul territorio. Pertanto, è necessario, secondo il T.a.r., che il procedimento autorizzatorio sia “doppiato” dal procedimento, disciplinato dal decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 380, volto ad ottenere il titolo edilizio prescritto in relazione alla natura e alle caratteristiche delle strutture.

3. L’appellante sostiene, invece, che i titoli abilitativi previsti dalla disciplina speciale (ovvero dal codice della strada e dal citato d.lgs. n. 507 del 1993) assolvono integralmente le esigenze proprie del settore e quelle territoriali affidate alla cura degli enti locali, sicché non vi sarebbe spazio per l’applicazione della normativa edilizia dettata dal d.lgs. n. 380 del 2001.

4. Si è costituito in giudizio per resistere all’appello il Comune di Vibo Valentia.

5. Alla pubblica udienza del 17 novembre 2015, la causa è stata trattenuta per la decisione.

6. L’appello merita accoglimento.

7. Occorre, preliminarmente, ricostruire nei suoi tratti essenziali la specifica disciplina vigente in materia di impianti pubblicitari.

Il riferimento va, in primo luogo, alle norme del Codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285), alle quali si sono presto affiancate quelle di cui al d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507 («Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle province»).

L’attività pubblicitaria è regolamentata dall’art. 23, comma 4, del Codice della strada, il quale prevede che la collocazione di cartelli e di altri mezzi pubblicitari lungo le strade o in vista di esse sia «soggetta in ogni caso ad autorizzazione da parte dell’ente proprietario della strada».

All’interno del perimetro dei centri abitati, la competenza al rilascio dell’autorizzazione è, in tutti i casi, dei Comuni, fatto salvo il preventivo nulla osta dell’ente proprietario nei casi in cui la strada appartenga al demanio statale, regionale o provinciale. Nella sostanza, chi intende esporre un mezzo pubblicitario «deve presentare la relativa domanda» all’Ente proprietario della strada, il quale rilascia apposita autorizzazione al posizionamento dello stesso (art. 53, comma 3, regolamento di attuazione del Codice della strada, approvato con d.P.R. 16 dicembre 1992 n. 495).

Lo stesso regolamento di attuazione del Codice della strada fissa, poi, i requisiti tipologici degli impianti pubblicitari da allocare lungo le strade e le fasce di pertinenza (art. 48, comma 1), demandando alla potestà regolamentare dei Comuni la possibilità di prevedere ulteriori «limitazioni dimensionali» (art. 48, comma 2).

Va ancora evidenziato che l’attività pubblicitaria, infatti, si esercita nel rispetto delle indicazioni e dei vincoli contenuti in due importanti strumenti di pianificazione e programmazione generale: il regolamento comunale ed il piano generale degli impianti pubblicitari.

Infatti, in questa materia, l’art. 3 del decreto legislativo n. 507 del 1993 ha previsto in capo ai Comuni l’obbligo di adottare un «apposito regolamento» per l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità e per l’effettuazione del servizio delle pubbliche affissioni. Attraverso tale strumento, i Comuni sono tenuti a disciplinare le modalità di effettuazione della pubblicità e possono stabilire limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie in relazione ad esigenze di pubblico interesse.

I contenuti essenziali del regolamento, indicati dalla legge, sono i seguenti: 1) determinare la tipologia e la quantità degli impianti pubblicitari; 2) stabilire le modalità per ottenere l’autorizzazione all’installazione; 3) indicare i criteri per la realizzazione del piano generale degli impianti pubblicitari; 4) fissare la ripartizione della superficie degli impianti pubblici da destinare alle affissioni di natura istituzionale, sociale o comunque prive di rilevanza economica e quella da destinare alle affissioni di natura commerciale, nonché la superficie degli impianti da attribuire a soggetti privati, per l’effettuazione di affissioni dirette.

Con l’adozione del piano generale degli impianti pubblicitari, il Comune provvede alla razionale distribuzione sul territorio degli impianti pubblicitari, indicando i siti ove è possibile collocare gli stessi.

Come ha precisato Corte cost., 17 luglio 2002 n. 455: « La tutela interessi pubblici presenti nella attività pubblicitaria effettuata mediante l’installazione di cartelloni si articola dunque, nel decreto legislativo n. 507 del 1993, in un duplice livello di intervento: l’uno, di carattere generale e pianificatorio, mirante ad escludere che le autorizzazioni possano essere rilasciate dalle amministrazioni comunali in maniera causale, arbitraria e comunque senza una chiara visione dell’assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità; l’altro, a contenuto particolare e concreto, in sede di provvedimento autorizzatorio, con il quale le diverse istanze dei privati vengono ponderate alla luce delle previsioni di piano e solo se sono conformi a tali previsioni possono essere soddisfatte ».

8. Questa ricostruzione del panorama legislativo vigente consente di ritenere che l’autorizzazione all’installazione degli impianti pubblicitari rilasciata dai Comuni in base alla disciplina speciale (segnatamente in base all’art. 23 del Codice della Strada), nel rispetto dei criteri e dei vincoli fissati nell’apposito regolamento comunale e nel piano generale degli impianti pubblicitari (a loro volta previsti dall’art. 3 d.lgs. n. 507/1993) abbia anche una valenza edilizia-urbanistica ed assolva, pertanto, alle esigenze di tutela sottesa al rilascio di un ulteriore titolo abilitativo rappresentato, secondo la tesi del Comune (fatta propria dal T.a.r.) dal rilascio del titolo edilizio secondo la disciplina di cui al d.lgs. n. 380 del 2001.

9. Il Collegio è consapevole che una parte della giurisprudenza amministrativa in passato (cfr. Cons. St., sez. V, 17 maggio 2007 n. 2497) ha accolto una tesi contraria, che non esclude in assoluto la necessità del titolo edilizio per l’installazione degli impianti pubblicitari, ma richiede anche il permesso di costruire allorché vi sia un sostanziale mutamento del territorio nel suo contesto preesistente sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio (in tal senso anche la prevalente giurisprudenza penale: cfr., da ultimo Cass. Pen. Sez. III, 8 maggio 2015, n. 19185).

10. Tale tesi non appare, tuttavia, condivisibile alla luce delle seguenti considerazioni.

10.1. In primo luogo, essa non sembra tenere conto della “specialità” della disciplina di settore (codice della strada e decreto legislativo n. 507 del 1993) la quale, come riconosciuto anche dalla Corte costituzionale, prescrive regole e obblighi pianificatori specifici volti a tutelare, anche, le esigenze “dell’assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità”. Di conseguenza, prescrivere in aggiunta all’autorizzazione di settore, anche il rilascio del permesso di costruire si tradurrebbe in una duplicazione del sistema autorizzatorio e sanzionatorio che risulterebbe sproporzionata, perché non giustificata dall’esigenza, già salvaguardata in base alla disciplina speciale (cfr. art. 3 d.lgs. n. 507 del 1993), di tutelare l’interesse al corretto assetto del territorio.

10.2. L’inutile complicazione cui darebbe luogo la tesi della duplicazione dei titoli autorizzatori risulta, peraltro, in netta controtendenza rispetto all’esigenza, fortemente perseguita dal legislatore anche nei più recenti interventi legislativi (cfr., ad esempio, d.lgs. 30 giugno 2016, n. 126), di semplificare i procedimenti amministrativi, convogliando i titoli abilitativi necessari allo svolgimento di un’attività privata all’interno di un procedimento unitario.

Gli interessi legati all’assetto urbanistico, pertanto, devono essere perseguiti dal Comune non attraverso la duplicazione dei titoli autorizzatori, ma vanno, al contrario, valutati, nel rispetto del principio di semplificazione e unicità del procedimento amministrativo, all’interno del procedimento di rilascio dell’autorizzazione prevista dall’art. 23, comma 4, codice della strada, con la conseguenza che quest’ultima autorizzazione dovrà essere negata nel caso in cui l’installazione risulti incompatibile con le esigenze urbanistico-edilizie.

10.3. Ulteriori elementi interpretativi a sostegno di questa tesi si desumono poi dall’art. 168 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), che testualmente dispone “Chiunque colloca cartelli o altri mezzi pubblicitari in violazione delle disposizioni di cui all’art. 153 è punito con le sanzioni previste dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni”. In tal modo, come evidenziato da parte appellante, la norma ha sottratto i cartelli pubblicitari alla disciplina generale prevista per le costruzioni e le opere in genere, assoggettandoli, ove sprovvisti del nulla osta paesaggistico, alle sanzioni amministrative previste dal codice della strada e non già alle sanzioni penali previste per le costruzioni abusive.

10.4. Ancora, in tale direzione depone l’orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione le quali, pronunciando in tema di riparto della giurisdizione in materia di determinazioni di rimozione di impianti pubblicitari (in questo processo sulla giurisdizione si è formato il giudicato implicito), hanno in più occasioni escluso o che il provvedimento con il quale un Comune intima la rimozione coattiva di un impianto pubblicitario rientri nella categoria degli « atti e provvedimenti » in materia di urbanistica ed edilizia – la cui cognizione, com’è noto, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, affermando espressamente che non si verte “in tema di uso del territorio, ma di godimento abusivo di beni demaniali, con riferimento al quale il legislatore detta una disciplina specifica” (cfr. Cass. Sez. Un. 14 gennaio 2009, n. 563; 18 novembre 2008 n. 27334, 6 giugno 2007 n. 13230, 17 luglio 2006 n. 16129 e 19 novembre 1998 n. 11721).

11. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, deve essere accolto il ricorso di primo grado.

12. Sussistono i presupposti, considerata la controvertibilità della questione di diritto e l’esistenza di precedenti contrari, per compensare integralmente le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2016 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere, Estensore

Bernhard Lageder, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere

Francesco Mele, Consigliere