La corte Costituzionale conferma la legittimità delle ricerche petrolifere

Pubblicato il 12-07-2018
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A cura dell’Avv. Xavier Santiapichi

Un nuovo arresto della Corte Costituzionale ribadisce la legittimità delle ricerche petrolifere in Adriatico, questa volta contestate dalla Regione Puglia.
La Regione ha sollevato conflitto di attribuzioni contro il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo alla Corte costituzionale di dichiarare «che non spetta allo Stato – e per esso al Ministero dello sviluppo economico – l’adozione del decreto 22 dicembre 2015, di conferimento del permesso di ricerca B.R274.EL alla Società Petroceltic Italia S.r.l.», e di annullare lo stesso decreto, in quanto «lesivo delle attribuzioni costituzionali della Regione Puglia riconosciute dagli articoli 117, terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, come interpretati dalla giurisprudenza costituzionale a partire dalla sentenza n. 303 del 2003».

Va detto che il procedimento si è svolto quasi interamente prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive), convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, che ha introdotto il titolo concessorio unico; esso pertanto è ricaduto nell’ambito della disciplina dettata dalla legge 9 gennaio 1991, n. 9 (Norme per l’attuazione del nuovo Piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali), dalla legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), nonché dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

In base alla disposizione previgente, quando le attività da svolgersi siano localizzate in mare (articoli 5, comma 1, e 6, comma 1, legge n. 9 del 1991), è necessario acquisire il parere regionale, mentre è fatto obbligo di acquisire l’intesa con tali Regioni laddove le medesime attività riguardino la terraferma (art. 1, comma 7, lett. n), legge n. 239 del 2004)».

La Regione rileva che lo Stato non avrebbe coinvolto la Regione Puglia (a differenza della Regione Molise) nel procedimento di rilascio del permesso di ricerca alla Petroceltic Italia srl, nonostante gli artt. 5 e 6 legge n. 9 del 1991 richiedessero di acquisire il parere delle regioni territorialmente interessate.

Al di la delle pur interessanti considerazioni svolte dalla Corte circa la sopravvenuta carenza di interesse (poiché il Proponente ha rinunciato ai permessi rilasciati), la pronuncia affronta e ribadisce il principio che la mancata acquisizione dell’intesa con la Regione Puglia non è frutto di una scelta compiuta dal Ministero e che, sotto questo aspetto, il d.m. 22 dicembre 2015 è meramente esecutivo di precedenti norme che escludono la necessità dell’intesa e che non sono mai state oggetto di contestazione da parte delle regioni sul punto. La legge n. 239 del 2004, infatti, è stata impugnata (dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Regione Toscana con due ricorsi decisi dalla sentenza n. 383 del 2005) con riferimento a profili diversi, ma non con riferimento alla mancata previsione dell’intesa per i permessi relativi al mare territoriale.

La giurisprudenza della Corte «è costante […] nel ritenere inammissibili ricorsi per conflitto intersoggettivo avverso atti meramente consequenziali (esecutivi, confermativi o meramente riproduttivi) di altri atti precedentemente non impugnati (ex plurimis, sentenze n. 260, n. 103 e n. 104 del 2016 e n. 144 del 2013). Ciò vale, a maggior ragione, nei confronti di atti riproduttivi di precedenti norme legislative: in tali casi “viene, infatti, a determinarsi la decadenza dall’esercizio dell’azione, dal momento che non può essere consentita, attraverso l’impugnazione dell’atto meramente consequenziale della norma non impugnata, la contestazione di quest’ultima, in ordine alla quale è già inutilmente spirato il termine fissato dalla legge” (sentenze n. 77 del 2016 e n. 144 del 2013)» (sentenza n. 36 del 2018).

Proprio in materia di idrocarburi, la Corte ha annullato il sopra citato d.m. 25 marzo 2015 – in quanto adottato senza coinvolgimento regionale – solo in conseguenza della dichiarazione di illegittimità della norma legislativa posta alla sua base («nella parte in cui non prevedeva un adeguato coinvolgimento delle Regioni nel procedimento finalizzato all’adozione del decreto ministeriale»), precisando che, «[u]na volta eliminato, mediante la menzionata addizione, il vulnus arrecato dalla norma legislativa alla base del decreto, quest’ultimo, essendo stato adottato a prescindere dal coinvolgimento regionale, risulta autonomamente e direttamente lesivo delle attribuzioni costituzionali della ricorrente» (sentenza n. 198 del 2017).

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito del decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 dicembre 2015, promosso dalla Regione Puglia con ricorso notificato il 29 febbraio-4 marzo 2016, depositato in cancelleria l’8 marzo 2016, iscritto al n. 2 del registro conflitti tra enti 2016 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2018 il Giudice relatore Daria de Pretis; uditi l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Puglia e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri.

RITENUTO IN FATTO

Con ricorso notificato il 4 marzo 2016 e depositato l’8 marzo 2016, la Regione Puglia ha sollevato conflitto di attribuzioni contro il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo alla Corte costituzionale di dichiarare «che non spetta allo Stato – e per esso al Ministero dello sviluppo economico – l’adozione del decreto 22 dicembre 2015, di conferimento del permesso di ricerca B.R274.EL alla Societa’ Petroceltic Italia S.r.l.», e di annullare lo stesso decreto, in quanto «lesivo delle attribuzioni costituzionali della Regione Puglia riconosciute dagli articoli 117, terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, come interpretati dalla giurisprudenza costituzionale a partire dalla sentenza n. 303 del 2003».

La Regione espone che la societa’ Petroceltic Italia srl, il 31 ottobre 2006, ha presentato tre istanze finalizzate al rilascio di altrettanti permessi di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi, ricadenti nella «zona B» del Mar Adriatico. Successivamente esse sono state accorpate in un’unica istanza, che ha ricevuto, secondo quanto riferisce la ricorrente, parere sfavorevole della Regione Molise e valutazione positiva di impatto ambientale da parte del Ministero dell’ambiente.

Dopo i nulla-osta del Ministero delle politiche agricole, del Ministero delle infrastrutture e delle Capitanerie di porto di Ortona e Termoli, ed il parere sfavorevole del Comune di Termoli, l’istanza e’ stata accolta con il citato decreto del Ministero dello sviluppo economico 22 dicembre 2015, in relazione all’area marina delimitata come da tabella allegata al medesimo decreto.

La ricorrente sottolinea che il procedimento si e’ svolto quasi interamente prima dell’entrata in vigore del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attivita’ produttive), convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, che ha introdotto il titolo concessorio unico; esso pertanto e’ ricaduto nell’ambito della disciplina dettata dalla legge 9 gennaio 1991, n. 9 (Norme per l’attuazione del nuovo Piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali), dalla legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonche’ delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), nonche’ dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

La Regione Puglia rileva che «nell’ambito dei procedimenti finalizzati al rilascio dei permessi di ricerca di idrocarburi e’ necessario sentire le Regioni interessate qualora le attivita’ da svolgere secondo il programma dei lavori siano localizzate in mare (articoli 5, comma 1, e 6, comma 1, legge n. 9 del 1991), mentre e’ fatto obbligo di acquisire l’intesa con tali Regioni laddove le medesime attivita’ riguardino la terraferma (art. 1, comma 7, lett. n), legge n. 239 del 2004)».

La ricorrente ricorda poi che, in base all’art. 6, comma 17, d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, sono vietate le attivita’ di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi «nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, fatti salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 29 giugno 2010 n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi […]».

In virtu’ di questa norma transitoria, nota la ricorrente, il procedimento concessorio all’origine del presente conflitto e’ sfuggito al divieto sancito dall’art. 6, comma 17, d.lgs. n. 152 del 2006, pur riguardando «un’area collocata, almeno in parte, entro le dodici miglia dalla costa delle isole Tremiti».

Nel primo motivo dedotto a sostegno del ricorso, la Regione Puglia lamenta la «[l]esione delle attribuzioni amministrative della Regione Puglia nelle materie della “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” e del “governo del territorio” (di competenza legislativa concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.), che alla medesima spettano in base al principio di sussidiarieta’ ex art. 118, primo comma, Cost.», e la sopravvenuta illegittimita’ costituzionale degli articoli 5, comma 1, e 6, comma 1, legge n. 9 del 1991, per violazione degli stessi parametri costituzionali.

La ricorrente premette di avere un «interesse attuale e concreto» al conflitto in quanto una parte dell’area oggetto del permesso dista meno di 12 miglia dalla costa delle isole Tremiti. Nonostante cio’, la Regione Puglia, a differenza della Regione Molise, non sarebbe «stata in alcun modo coinvolta nell’ambito della procedura volta al rilascio del permesso di ricerca richiesto dalla Petroceltic nel 2006». Cio’ avrebbe determinato una violazione delle attribuzioni costituzionali spettanti alla Regione Puglia, in quanto «la funzione di conferimento del permesso di ricerca degli idrocarburi liquidi e gassosi altro non e’ che una funzione amministrativa ascrivibile alle materie di legislazione concorrente “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” e “governo del territorio” di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, avocata in sussidiarieta’ a livello statale, in forza dell’art. 118, primo comma, Cost.»; di conseguenza, secondo la giurisprudenza costituzionale, «la disciplina relativa all’esercizio di tali funzioni dovrebbe prevedere moduli collaborativi “forti”, ovvero le intese» (si citano le sentenze n. 303 del 2003 e n. 7 del 2016).

Nel caso in questione, invece, non solo non sarebbe stata acquisita l’intesa ma non sarebbe neppure stato chiesto il parere previsto dagli articoli 5, comma 1, e 6, comma 1, legge n. 9 del 1991. Tali norme legislative, peraltro, sarebbero affette da illegittimita’ costituzionale sopravvenuta a seguito dell’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), per violazione sempre degli articoli 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost. Infatti esse, osserva la ricorrente, in riferimento alle funzioni amministrative relative al conferimento del permesso di ricerca di idrocarburi allocate al livello statale, «non prevedono l’acquisizione dell’intesa con la Regione territorialmente interessata, limitandosi piuttosto a ritenere necessaria, ma anche sufficiente, l’acquisizione del parere della medesima, nonostante che la giurisprudenza costituzionale, in casi simili, richieda proprio la “massima” forma di coinvolgimento regionale, ossia l’intesa».

La ricorrente chiede dunque alla Corte costituzionale di fare uso del proprio potere di autorimessione delle questioni di legittimita’ costituzionale, con riferimento agli artt. 5, comma 1, e 6, comma 1, legge n. 9 del 1991. La questione sarebbe rilevante in quanto le norme appena citate sarebbero pienamente applicabili al procedimento che ha condotto al decreto oggetto del conflitto e, pertanto, verrebbero senz’altro in rilievo nell’ambito dello stesso conflitto di attribuzione: «una declaratoria di illegittimita’ costituzionale di tali disposizioni comporterebbe inevitabilmente l’accertamento della lesione della sfera delle attribuzioni regionali garantite dagli articoli 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., in ragione della mancata acquisizione, nell’ambito del procedimento di conferimento del permesso di ricerca di cui qui si discute, dell’intesa con la Regione Puglia e non semplicemente in ragione del fatto che la medesima non e’ stata sentita: di qui la necessita’ che nell’ambito di un nuovo eventuale procedimento volto al rilascio del permesso di ricerca chiesto dalla Petroceltic Italia S.r.l. debba necessariamente essere raggiunta la predetta intesa con la Regione Puglia e non sia sufficiente il mero parere di quest’ultima».

La ricorrente precisa che l’istanza rivolta alla Corte costituzionale di sollevare la questione davanti a se stessa, nell’ambito del presente conflitto di attribuzioni, «non potrebbe in alcun modo essere intesa come tentativo di aggiramento dei termini» previsti per l’impugnativa regionale di una legge statale, dal momento che l’illegittimita’ costituzionale degli articoli 5, comma 1, e 6, comma 1, legge n. 9 del 1991 e’ sopravvenuta a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, «la quale non solo ha apportato rilevanti modifiche – tra gli altri – agli articoli 117 e 118 della Costituzione, ma, su un piano piu’ generale», avrebbe «rivoluzionato» l’assetto dei rapporti Stato-regioni, inducendo la Corte costituzionale a elaborare lo statuto della cosiddetta “chiamata in sussidiarieta’”.

In via subordinata rispetto alla censura appena esposta, la Regione Puglia lamenta la violazione degli artt. 5 e 6 legge n. 9 del 1991 e la lesione delle «attribuzioni amministrative della Regione Puglia in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e di «governo del territorio» (di competenza legislativa concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.), che alla medesima spettano in base all’art. 118, primo comma, Cost.» e alla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi a partire dalla sent. n. 303 del 2003.

La ricorrente rileva che lo Stato non ha coinvolto in alcun modo la Regione Puglia (a differenza della Regione Molise) nel procedimento di rilascio del permesso di ricerca alla Petroceltic Italia srl, nonostante gli artt. 5 e 6 legge n. 9 del 1991 richiedessero di acquisire il parere delle regioni territorialmente interessate. La violazione di tali norme legislative si tradurrebbe, secondo la ricorrente, in una lesione delle sue attribuzioni costituzionalmente garantite, in quanto la funzione di conferimento del permesso di ricerca degli idrocarburi liquidi e gassosi sarebbe «una funzione amministrativa ascrivibile alle materie di legislazione concorrente “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” e “governo del territorio” di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, avocata in sussidiarieta’ a livello statale, in forza dell’art. 118, primo comma, Cost: di conseguenza, […] la disciplina relativa all’esercizio di tali funzioni dovrebbe comunque prevedere moduli collaborativi “forti”: cio’ che rende senz’altro costituzionalmente illegittimo un decreto adottato in totale assenza di qualunque partecipazione regionale».

In sostanza, la previsione legislativa della necessaria acquisizione del parere darebbe luogo, dopo la riforma costituzionale del 2001, ad una «posizione costituzionalmente garantita, che, anzi, avrebbe bisogno di una tutela legislativa piu’ intensa di quella che la legge ordinaria n. 9 del 1991 e’ oggi in grado di offrire».

Il Presidente del Consiglio dei ministri si e’ costituito in giudizio, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato il 12 aprile 2016. In primo luogo, la difesa statale chiede che la Corte dichiari cessata la materia del contendere, in quanto la societa’ Petroceltic Italia srl ha rinunciato al permesso di ricerca, cosicche’ con decreto 4 aprile 2016 il Ministero delle sviluppo economico ha dichiarato «cessato per rinuncia della titolare» il permesso di ricerca B.R274.EL.

L’Avvocatura osserva che un interesse attuale e concreto della ricorrente dovrebbe sussistere anche al momento della decisione del conflitto. In secondo luogo, la difesa erariale rileva che la ricorrente si sarebbe basata su «presupposti normativi non corretti», avendo omesso di citare l’art. 1, comma 79, legge n. 239 del 2004, che non contemplerebbe il coinvolgimento delle regioni interessate per i permessi relativi ad attivita’ da svolgersi in mare. Comunque, se anche si ritenesse necessario il parere della regione interessata, nel caso di specie la Regione Puglia sarebbe stata sentita nella procedura di valutazione di impatto ambientale (di seguito, VIA). Quanto alla questione di costituzionalita’ sollevata dalla Regione Puglia, secondo l’Avvocatura essa sarebbe inammissibile per irrilevanza, «e cio’ sia in ragione della intervenuta cessazione della materia del contendere, che del fatto che la Regione […] e’ stata in ogni caso “sentita”».

La questione sarebbe in ogni caso infondata, perche’ «ben diversa» sarebbe l’attivita’ di ricerca sulla terraferma, per la quale e’ richiesta l’intesa con le regioni interessate, da quelle che si svolgono in mare, «che non necessariamente coinvolgono una sola regione e proprio per questa ragione sono demandate alla complessiva valutazione dell’amministrazione statale, fermo lo svolgimento della procedura di VIA, nel cui ambito viene acquisito il parere della Regione».

L’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria integrativa l’11 maggio 2018. In essa ribadisce innanzi tutto la richiesta di dichiarare improcedibile il conflitto a seguito dell’avvenuta rinuncia della societa’ Petroceltic Italia srl al permesso di ricerca. In subordine, afferma l’infondatezza del conflitto in quanto la legge n. 239 del 2004 contemplerebbe una competenza esclusiva statale in relazione ai permessi offshore e tale competenza sarebbe stata confermata dalle sentenze della Corte costituzionale n. 39, n. 114 e n. 170 del 2017.

La Regione Puglia ha depositato una memoria integrativa il 15 maggio 2018. In primo luogo, la ricorrente replica alla richiesta dell’Avvocatura di dichiarare l’improcedibilita’ del conflitto, invocando l’orientamento della Corte costituzionale secondo il quale le sopravvenienze di fatto e l’esaurimento degli effetti dell’atto impugnato non implicano il venir meno dell’interesse alla decisione, purche’ permanga l’esigenza di porre fine ad una situazione di incertezza in ordine al riparto costituzionale delle attribuzioni.

La Regione ribadisce poi che il d.m. 22 dicembre 2015, all’origine del conflitto, e’ espressione di una funzione amministrativa in materie concorrenti (energia e governo del territorio), avocata in sussidiarieta’ allo Stato, e dunque doveva essere adottato previa intesa con la Regione Puglia. Ancora, la ricorrente esamina la questione delle competenze regionali sul fondo e sul sottofondo sottostante il mare territoriale, alla luce di una recente giurisprudenza costituzionale che nega alle regioni qualsiasi competenza sul mare territoriale.

In particolare, la Regione Puglia afferma la non utilizzabilita’ come precedente della sentenza n. 21 del 1968, invocata dalla sentenza n. 39 del 2017, dal momento che l’evoluzione normativa successiva avrebbe segnato una differenza di regime fra il fondo del mare territoriale e la piattaforma continentale e, comunque, anche lo sfruttamento di questa non avrebbe piu’ un rilievo internazionale, dal momento che lo Stato costiero eserciterebbe sulla piattaforma diritti sovrani. Dunque, non sarebbe condivisibile la tesi – contenuta nella recente giurisprudenza costituzionale – secondo la quale le regioni sono prive di competenza sul mare territoriale. Il fondo del mare territoriale sarebbe a tutti gli effetti territorio della Repubblica, assimilabile alla terraferma.

La Regione critica poi la sentenza n. 39 del 2017 anche la’ dove qualifica come principio fondamentale la norma che attribuisce competenza amministrativa esclusiva allo Stato in relazione ai titoli abilitativi riguardanti il mare: la ricorrente osserva, fra l’altro, che, se fosse possibile avocare al centro una funzione amministrativa tramite un principio fondamentale, non sarebbe stato necessario creare l’istituto della “chiamata in sussidiarieta’”.

La ricorrente rileva, infine, che la lesione denunciata non e’ esclusa dal fatto che e’ stato acquisito il suo parere nell’ambito della procedura di VIA, sia perche’ un parere non equivale ad un’intesa, sia perche’ la procedura di VIA e’ diversa da quella che conduce al rilascio del permesso di ricerca di idrocarburi. Per il resto la Regione ribadisce quanto gia’ sostenuto nel ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

La Regione Puglia solleva un conflitto di attribuzioni contro il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo alla Corte costituzionale di dichiarare «che non spetta allo Stato – e per esso al Ministero dello sviluppo economico – l’adozione del decreto 22 dicembre 2015, di conferimento del permesso di ricerca B.R274.EL alla Societa’ Petroceltic Italia S.r.l.», e di annullare lo stesso decreto, in quanto «lesivo delle attribuzioni costituzionali della Regione Puglia riconosciute dagli articoli 117, terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, come interpretati dalla giurisprudenza costituzionale a partire dalla sentenza n. 303 del 2003».

Nel primo motivo di ricorso, la Regione Puglia afferma che la funzione di concessione del permesso di ricerca degli idrocarburi liquidi e gassosi e’ una funzione amministrativa «ascrivibile alle materie di legislazione concorrente “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” e “governo del territorio” di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, avocata in sussidiarieta’ a livello statale, in forza dell’art. 118, primo comma, Cost.»: da cio’ discenderebbero, da un lato, la lesione delle competenze amministrative regionali, dal momento che, nel caso di specie, non e’ stata acquisita l’intesa con la Regione Puglia, necessaria in base alla giurisprudenza costituzionale, dall’altro la sopravvenuta illegittimita’ costituzionale degli articoli 5, comma 1, e 6, comma 1, della legge 9 gennaio 1991, n. 9 (Norme per l’attuazione del nuovo Piano energetico nazionale: aspetti istituzionali, centrali idroelettriche ed elettrodotti, idrocarburi e geotermia, autoproduzione e disposizioni fiscali), che si limiterebbero a richiedere il parere delle regioni interessate, anziche’ l’intesa.

Subordinatamente la Regione Puglia lamenta la violazione degli artt. 5, comma 1, e 6, comma 1, legge n. 9 del 1991 e la lesione delle attribuzioni amministrative della Regione Puglia in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e di «governo del territorio» (di competenza legislativa concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.), che alla medesima spettano in base all’art. 118, primo comma, Cost. e alla giurisprudenza costituzionale sviluppatasi a partire dalla sentenza n. 303 del 2003.

La ricorrente rileva che lo Stato non ha coinvolto in alcun modo la Regione Puglia nel procedimento di rilascio del permesso di ricerca alla Petroceltic Italia srl, nonostante gli artt. 5, comma 1, e 6, comma 1, legge n. 9 del 1991 richiedessero di acquisire il parere delle regioni territorialmente interessate.

In via preliminare, occorre decidere sulla richiesta, avanzata dall’Avvocatura generale dello Stato, di dichiarare cessata la materia del contendere, in quanto la societa’ Petroceltic Italia srl ha rinunciato al permesso di ricerca, cosicche’ con decreto 4 aprile 2016 il Ministero delle sviluppo economico ha dichiarato «cessato per rinuncia della titolare» il permesso di ricerca B.R274.EL, all’origine del presente conflitto.

La richiesta non e’ fondata.

La rinuncia della societa’ Petroceltic Italia srl al permesso di ricerca non e’ idonea a determinare ne’ la cessazione della materia del contendere, ne’ il sopravvenuto difetto di interesse della Regione Puglia alla decisione del conflitto.

La lamentata lesione della competenza costituzionale regionale (cioe’, l’avvenuta adozione del decreto senza il coinvolgimento regionale), infatti, non viene meno per la successiva rinuncia della societa’ a quanto richiesto, e la sentenza di merito di questa Corte eliminerebbe l’incertezza sorta (per effetto del decreto) con riferimento ai rapporti Stato-regioni nella materia in questione, risultando dunque utile per la ricorrente.

La giurisprudenza di questa Corte e’ costante nell’affermare «l’irrilevanza [nei conflitti Stato-regioni] delle sopravvenienze di fatto, come l’esaurimento degli effetti dell’atto censurato»: «[i]nfatti, […] “nei conflitti di attribuzione sussiste comunque – anche dopo l’esaurimento degli effetti dell’atto impugnato – un interesse all’accertamento, il quale trae origine dall’esigenza di porre fine […] ad una situazione di incertezza in ordine al riparto costituzionale delle attribuzioni” (sentenza n. 9 del 2013; nello stesso senso, sentenza n. 260 del 2016)» (sentenza n. 198 del 2017, riguardante proprio la materia degli idrocarburi; si vedano anche le sentenze n. 232 del 2014, n. 9 del 2013, n. 328 del 2010, n. 222 del 2006, n. 287 e n. 263 del 2005, n. 289 del 1993, n. 3 del 1962).

Se e’ vero che, nel caso di specie, l’atto all’origine del conflitto non solo ha esaurito i suoi effetti ma non ha mai avuto concreta attuazione, dal punto di vista giuridico cio’ non incide sulla lesione della competenza regionale che si e’ consumata con la censurata esclusione della Regione Puglia dal procedimento amministrativo culminato con il rilascio del permesso e che non e’ sanata dalla condotta successiva del privato.

Le pronunce citate dall’Avvocatura generale nel proprio atto di costituzione riguardano quattro casi, in cui, a differenza di quello in esame, e’ lo Stato ad avere successivamente rimosso la lesione contestata dal ricorrente; in tre di essi inoltre le parti avevano concordemente chiesto di dichiarare la cessazione della materia del contendere o l’improcedibilita’ del conflitto.

Il primo motivo di ricorso e’ inammissibile in quanto, sotto il profilo della mancata acquisizione dell’intesa con la Regione Puglia, il d.m. 22 dicembre 2015 e’ meramente esecutivo di precedenti norme non impugnate.

La legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonche’ delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), differenzia il procedimento amministrativo relativo alle attivita’ di prospezione, ricerca e coltivazione upstream (che cioe’ si svolgono a monte del momento estrattivo) in terraferma da quello relativo alle attivita’ upstream da svolgersi sul mare territoriale.

Cio’ risulta sia dall’art. 1, comma 7, sia dall’art. 1, commi 77 e 79, della legge indicata. In base alla prima disposizione citata, «[s]ono esercitati dallo Stato, anche avvalendosi dell’Autorita’ per l’energia elettrica e il gas, i seguenti compiti e funzioni amministrativi:[…] l) l’utilizzazione del pubblico demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalita’ di approvvigionamento di fonti di energia; […] n) le determinazioni inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese le funzioni di polizia mineraria, adottate, per la terraferma, di intesa con le regioni interessate».

L’art. 1, comma 7, lettera n), attribuisce dunque allo Stato la competenza ad adottare i permessi relativi alla ricerca di idrocarburi, prevedendo chiaramente solo per la terraferma la necessita’ dell’intesa con la regione interessata. I commi 77 e 79 dell’art. 1 dispongono a loro volta, rispettivamente, che «[i]l permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, di cui all’articolo 6 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, e successive modificazioni, e’ rilasciato a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali e regionali interessate […]» (comma 77), e che «[i]l permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui all’articolo 6 della legge 9 gennaio 1991, n. 9, e successive modificazioni, e’ rilasciato a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali interessate […]» (comma 79).

A cio’ si deve aggiungere che al momento del rilascio del permesso di ricerca vigeva il decreto ministeriale 25 marzo 2015 (Aggiornamento del disciplinare tipo in attuazione dell’articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164), il cui art. 3, comma 4, ribadiva quanto risultante dalla citata legge n. 239 del 2004, stabilendo che «[i]l permesso di ricerca e’ conferito con decreto del Ministero, sentita la Sezione UNMIG competente per territorio, ai sensi del combinato disposto dell’art. 6, comma 4, della legge n. 9/1991 e dell’art. 8, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 484/1994, d’intesa, per i titoli in terraferma, con la regione interessata, ai sensi dell’art. 1, comma 7, lettera n) della legge n. 239/2004, secondo le modalita’ stabilite con decreto direttoriale di cui all’art. 19, comma 6».

Quest’ultimo decreto (decreto direttoriale 15 luglio 2015, recante «Procedure operative di attuazione del decreto 25 marzo 2015 e modalita’ di svolgimento delle attivita’ di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi e dei relativi controlli, ai sensi dell’art. 19, comma 6, dello stesso decreto») stabiliva quanto segue: «Il permesso di ricerca e’ conferito con decreto del Ministero, ai sensi del combinato disposto dell’art. 8, comma 1, del D.P.R. n. 484/1994, dell’art. 6, comma 4, della legge 9 gennaio 1991, n. 9, d’intesa, per i titoli in terraferma, con la Regione interessata, ai sensi dell’art. 1, comma 7, lettera n) della legge 23 agosto 2004, n. 239.

Il permesso di ricerca e’ rilasciato a seguito di un procedimento unico, disciplinato dall’art. 1 commi 77 e 79 della legge 23 agosto 2004, n. 239 e successive modifiche» (art. 9, comma 1). Dal complesso delle norme citate emerge chiaramente che la mancata acquisizione dell’intesa con la Regione Puglia non e’ frutto di una scelta compiuta dal Ministero e che, sotto questo aspetto, il d.m. 22 dicembre 2015 e’ meramente esecutivo di precedenti norme che escludono la necessita’ dell’intesa e che non sono mai state oggetto di contestazione da parte delle regioni sul punto.

La legge n. 239 del 2004, infatti, e’ stata impugnata (dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Regione Toscana con due ricorsi decisi dalla sentenza n. 383 del 2005) con riferimento a profili diversi ma non con riferimento alla mancata previsione dell’intesa per i permessi relativi al mare territoriale. La giurisprudenza di questa Corte «e’ costante […] nel ritenere inammissibili ricorsi per conflitto intersoggettivo avverso atti meramente consequenziali (esecutivi, confermativi o meramente riproduttivi) di altri atti precedentemente non impugnati (ex plurimis, sentenze n. 260, n. 103 e n. 104 del 2016 e n. 144 del 2013).

Cio’ vale, a maggior ragione, nei confronti di atti riproduttivi di precedenti norme legislative: in tali casi “viene, infatti, a determinarsi la decadenza dall’esercizio dell’azione, dal momento che non puo’ essere consentita, attraverso l’impugnazione dell’atto meramente consequenziale della norma non impugnata, la contestazione di quest’ultima, in ordine alla quale e’ gia’ inutilmente spirato il termine fissato dalla legge” (sentenze n. 77 del 2016 e n. 144 del 2013)» (sentenza n. 36 del 2018).

Proprio in materia di idrocarburi, questa Corte ha annullato il sopra citato d.m. 25 marzo 2015 – in quanto adottato senza coinvolgimento regionale – solo in conseguenza della dichiarazione di illegittimita’ della norma legislativa posta alla sua base («nella parte in cui non prevedeva un adeguato coinvolgimento delle Regioni nel procedimento finalizzato all’adozione del decreto ministeriale»), precisando che, «[u]na volta eliminato, mediante la menzionata addizione, il vulnus arrecato dalla norma legislativa alla base del decreto, quest’ultimo, essendo stato adottato a prescindere dal coinvolgimento regionale, risulta autonomamente e direttamente lesivo delle attribuzioni costituzionali della ricorrente» (sentenza n. 198 del 2017).

Con la legge n. 239 del 2004 il legislatore statale ha quindi ribadito – dopo che, con la riforma costituzionale del 2001, le regioni ordinarie erano state dotate di competenza concorrente in materia di energia e dopo che questa Corte aveva definito lo statuto della “chiamata in sussidiarieta’” (sentenze n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003) – che i permessi di ricerca relativi al mare sono esclusi dall’intesa.

Per questa ragione, se la Regione Puglia avesse voluto lamentare l’illegittimita’ costituzionale dell’esclusione, avrebbe avuto l’onere di contestare la descritta scelta legislativa. Non contestandola, essa e’ decaduta dalla possibilita’ di censurare la mancata intesa, tramite l’impugnazione del d.m. 22 dicembre 2015, che per questo profilo si limita a dare esecuzione alla legge n. 239 del 2004 e alle sue norme attuative (sopra illustrate).

E’ necessario sottolineare, infine, che il riferimento operato nel ricorso all’art. 5, comma 1, e all’art. 6, comma 1, legge n. 9 del 1991 e’ evidentemente inconferente, giacche’ il provvedimento contestato non si basa su tali norme ma, come chiarito, sulla successiva legge n. 239 del 2004.

Di conseguenza la questione di costituzionalita’ delle citate disposizioni della legge n. 9 del 1991, che la Regione Puglia invita questa Corte a autorimettersi, e’ irrilevante per la decisione del conflitto in esame, giacche’ la mancata acquisizione dell’intesa che ne costituisce l’oggetto non e’ conseguenza dell’applicazione di quelle disposizioni ma della successiva e non contestata legge n. 239 del 2004.

Per queste stesse ragioni anche il secondo motivo del conflitto e’ inammissibile.

Con esso la Regione Puglia contesta, in via subordinata, la mancata acquisizione del parere regionale nel procedimento preordinato al rilascio del permesso di ricerca per il quale e’ conflitto, senza tuttavia considerare che la lesione delle sue attribuzioni, di cui si duole, non deriva dal provvedimento oggetto del conflitto ma dalla normativa che lo disciplina, ossia dalla legge n. 239 del 2004, da essa mai contestata sotto questo profilo.

La ricorrente fonda ancora una volta i propri argomenti sul presupposto che il procedimento in questione sia regolato dagli artt. 5, comma 1, e 6, comma 1, legge n. 9 del 1991, mentre, come chiarito, cosi’ non e’: dal complesso della disciplina successivamente introdotta dalla legge n. 239 del 2004 risulta infatti con chiarezza che per gli atti relativi alle attivita’ da compiersi in mare non sussiste alcun obbligo per lo Stato di acquisire il parere della regione interessata (salvo naturalmente quello relativo al procedimento di valutazione di impatto ambientale, che la Regione Puglia ha rilasciato con riferimento al permesso di ricerca in questione).

Piu’ precisamente, come gia’ visto sopra (punto n. 3), le disposizioni contenute alle lettere l) e n) dell’art. 1, comma 7, legge n. 239 del 2004 attribuiscono allo Stato la competenza ad adottare i permessi relativi alla ricerca di idrocarburi, disponendo per la terraferma la necessita’ dell’intesa con la regione interessata e non prevedendo invece alcun coinvolgimento regionale per la ricerca di idrocarburi in mare (la lettera l si occupa specificamente dell’utilizzazione del mare territoriale per finalita’ energetiche). Ancora piu’ chiari risultano i commi 77 e 79 (anch’essi gia’ citati al punto n. 3): in base al primo, il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma e’ rilasciato a seguito di «un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali e regionali interessate […]», mentre il secondo prevede, per il permesso relativo al mare, «un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali interessate».

Dal confronto tra le due disposizioni si ricava che, in base alla disciplina che regola il procedimento contestato, i permessi di ricerca di idrocarburi in mare non richiedono alcun raccordo con la regione interessata (salvo l’intervento regionale nel procedimento di VIA), nemmeno nella forma del parere.

Il permesso di ricerca all’origine del conflitto – che all’art. 1, comma 1, fa riferimento al combinato disposto dell’art. 8, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 484 (Regolamento recante la disciplina dei procedimenti di conferimento dei permessi di prospezione o ricerca e di concessione di coltivazione di idrocarburi in terraferma e in mare), dell’art. 6, comma 4, legge n. 9 del 1991 e dell’art. 1, comma 79, legge n. 239 del 2004 – risulta dunque adottato in doverosa applicazione dell’art. 1, comma 79, legge n. 239 del 2004, sicche’ la censura di omessa acquisizione del parere regionale e’ inammissibile, derivando la lamentata lesione delle attribuzioni regionali non dal provvedimento impugnato, ma dalla legge, non contestata, che ne disciplina il procedimento.