Ordine di demolizione e legittimo affidamento del privato

Pubblicato il 28-04-2017
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A cura della dott.ssa Valentina Taborra

Tuttora controversa risulta essere, a livello giurisprudenziale, la questione della legittimità o meno dell’ordine di demolizione di un’opera abusiva, disposto dopo molti anni dal completamento dell’intervento e non motivato circa la prevalenza dell’interesse pubblico rispetto a quello del proprietario, soprattutto che non sia anche autore dell’abuso ed abbia maturato il legittimo affidamento sulla regolarità del suo immobile.

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La giurisprudenza è infatti divisa sul punto.

Secondo un primo orientamento che parrebbe maggioritario, la repressione degli abusi edilizi non sarebbe soggetta a termini di decadenza o di prescrizione; l’illecito edilizio avrebbe carattere permanente; l’interesse del privato al mantenimento dell’opera abusiva sarebbe recessivo rispetto all’interesse pubblico all’osservanza della normativa urbanistico –edilizia e al corretto governo del territorio.

Sarebbe, pertanto legittima, per tale interpretazione, l’ordinanza di demolizione di un manufatto abusivo adottata senza alcuna particolare motivazione e indipendentemente dal lasso temporale intercorso dalla commissione dell’abuso, dovendosi escludere in radice ogni legittimo affidamento in capo al responsabile dell’abuso o al di lui avente causa (cfr. per tutte Cons. Stato sentt. nn. 1070/2017; 1774/2016; 5943/2013; 4880/2015; 4892/2014).

Il secondo orientamento giurisprudenziale, al contrario, valorizza il decorso del tempo come elemento influente sulla legittimità del provvedimento sanzionatorio, soprattutto in presenza della buona fede del soggetto destinatario dell’ordinanza di demolizione in quanto diverso dal responsabile dell’abuso o in assenza di un provvedimento sanzionatorio a causa del trasferimento del bene (cfr. per tutte Cons. Stato sentt. nn. 3933/15, 2512/15, 3847/2013).

Con l’ordinanza n. 1337 del 24 marzo 2017, che oggi pubblichiamo, il Consiglio di Stato, adito per l’annullamento di una sentenza del Tar Lazio che ha ritenuto la legittimità di un’immotivata ordinanza di demolizione intervenuta dopo molti anni dalla commissione dell’abuso, ha rimesso l’affare all’Adunanza Plenaria, dalla quale attendiamo una decisione che ponga fine al divario giurisprudenziale.

N. 01337/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00712/2015 REG.RIC.

MINISTERO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA

sul ricorso numero di registro generale 712 del 2015, proposto da:

Fiorella Bartolucci, Fabio Bartolucci e Annamaria Bartolucci, rappresentati e difesi dall’avvocato Maria Antonella Mascaro, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di Ripetta, 22;

CONTRO

Comune di Fiumicino, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Catia Livio e Francesco Di Mauro, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Di Mauro in Roma, via Padre Semeria, 33;

PER LA RIFORMA

della sentenza in forma semplificata del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione I quater, n. 7519/2014, resa tra le parti, concernente demolizione di opere edilizie abusive.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Fiumicino;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 giugno 2015 il Cons. Andrea Pannone e uditi per le parti gli avvocati Buonfiglio, per delega di Mascaro, e Di Mauro;

1. La sentenza appellata ha respinto il ricorso proposto dai sig.ri Bartolucci Fiorella, Annamaria e Fabio per l’annullamento dell’ordinanza del Comune di Fiumicino prot. n. 14889 del 26 febbraio 2014 con cui era stata ingiunta la demolizione delle opere edili abusivamente realizzate sull’immobile sito in quel Comune, località Isola Sacra, via F. Martinengo nn. 81-83.

Per quel che qui rileva, il ricorso è stato respinto alla luce di quell’orientamento giurisprudenziale ex multis: Consiglio di Stato, Sez. IV, 11 gennaio 2011, n. 79) secondo il quale “l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare”.

Propongono ricorso in appello gli interessati evidenziando come, nonostante l’edificio fosse stato ultimato nel 1982, e sin da quel momento l’Amministrazione fosse a conoscenza dell’esistenza dello stesso, l’ordinanza era stata notificata soltanto a ben 32 anni dall’ultimazione del fabbricato in argomento. Tale inerzia aveva ingenerato una posizione di affidamento rispetto alla quale l’amministrazione avrebbe avuto l’onere di una congrua motivazione in ordine all’interesse pubblico prevalente che giustificasse il sacrificio dei ricorrenti i quali, peraltro, semplicemente ereditando la proprietà dell’edificio nel 2009, dalla dante causa Fiozzi Concetta, risultavano addirittura estranei a qualsivoglia realizzazione abusiva.

Veniva, quindi, in altri termini lamentato che, nonostante il notevole lasso di tempo trascorso tra la commissione dell’abuso e la risposta sanzionatoria, con il conseguente affidamento medio tempore maturato dagli attuali proprietari, l’Amministrazione comunale non avesse dato conto alcuno, con idonea motivazione, delle ragioni di attualità, concretezza e specificità del pubblico interesse, diverso dal mero ripristino della legalità, sotteso al provvedimento sanzionatorio.

A sostegno del ricorso in appello gli interessati invocano la pronuncia della IV Sezione (4 febbraio 2014, n. 1016) secondo la quale: “Il provvedimento di rimozione dell’abuso è atto dovuto e prescinde dall’attuale possesso del bene e dalla coincidenza del proprietario con il realizzatore dell’abuso medesimo; pertanto, le sanzioni in materia edilizia sono legittimamente adottate nei confronti dei proprietari attuali degli immobili, a prescindere dalla modalità con cui l’abuso è stato consumato, salvo i casi in cui sia pacifico che:

a) l’acquirente ed attuale proprietario del manufatto, destinatario del provvedimento di rimozione, non è responsabile dell’abuso;

b) l’alienazione non sia avvenuta al solo fine di eludere il successivo esercizio dei poteri repressivi;

c) tra la realizzazione dell’abuso, il successivo acquisto, e, più ancora, l’esercizio da parte dell’autorità dei poteri repressivi, sia intercorso un lasso temporale ampio”.

Tale pronuncia costituisce l’esempio più approfondito di quel filone giurisprudenziale che valorizza il decorso del tempo come elemento influente sulla legittimità del provvedimento sanzionatorio.

2. In effetti, nella giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, sembrano potersi individuare sul tema due orientamenti giurisprudenziali, ancorché non sempre compiutamente esplicitati.

Secondo il primo orientamento, che parrebbe maggioritario, l’ordinanza di demolizione di un manufatto abusivo è legittimamente adottata senza alcuna particolare motivazione e indipendentemente dal lasso temporale intercorso dalla commissione dell’abuso, dovendosi escludere in radice ogni legittimo affidamento in capo al responsabile dell’abuso o al di lui avente causa (VI, 10 maggio 2016 n. 1774; VI, 11 dicembre 2013 n. 5943; VI, 23 ottobre 2015 n. 4880; V, 11 luglio 2014 n. 4892; IV, 4 maggio 2012 n. 2592). E si è precisato che ammettere la sostanziale estinzione di un abuso edilizio per decorso del tempo significherebbe configurare una sorta di sanatoria extra ordinem, di fatto, che potrebbe operare anche quando l’interessato non abbia inteso (o potuto) avvalersi del corrispondente istituto legislativamente previsto (VI, 5 gennaio 2015 n. 13).

3. E’ tuttavia presente un secondo orientamento giurisprudenziale, che, conforme a quello invocato dagli appellanti (IV, 4 febbraio 2014, n. 1016), pur consapevole del prevalente indirizzo contrario, individua tuttavia “casi-limite in cui può pervenirsi a considerazioni parzialmente difformi” (VI, 14 agosto 2015 n. 3933): considerazioni che fanno leva sul lasso temporale intercorso dalla commissione dell’abuso (o della sua conoscenza da parte dell’Amministrazione: V, 9 settembre 2013 n. 4470, in un caso peraltro in cui la buona fede è stata esclusa), sulla buona fede del soggetto destinatario dell’ordinanza di demolizione diverso dal responsabile dell’abuso e sull’assenza, per mezzo del trasferimento del bene, di un intento volto a eludere la comminatoria del provvedimento sanzionatorio (in tal senso, anche VI, 18 maggio 2015 n. 2512; V, 15 luglio 2013 n. 3847).

Nella stessa scia, è stato sottolineato -ma, si badi, in relazione a “semplici difformità” della costruzione dal titolo edificatorio sussistente- che il decorso del tempo incide sulla certezza dei rapporti giuridici e può incidere significativamente con le possibilità di difesa dell’interessato sia rispetto all’amministrazione sia nei confronti del dante causa (V, 15 luglio 2013 n. 3847, seguìta da V, 24 novembre 2013 n. 2013 e IV, 4 marzo 2014 n. 1016; la medesima decisione richiama V, 29 maggio 2006 n. 3270, che, pur facendo riferimento alla rilevanza della tipologia dell’abuso, non limita il principio della rilevanza dell’affidamento alle “semplici difformità”).

4. Gli appellanti, in punto di fatto, evidenziano che i requisiti richiesti dall’orientamento a loro favorevole si riscontrano nel caso in esame:

a) gli attuali proprietari dell’immobile, destinatari del provvedimento demolitorio, hanno acquistato il diritto reale de quo per successione ereditaria dalla dante causa Concetta Fiozzi, unica responsabile dell’abuso avvenuto nel 1982;

b) la modalità di trasferimento della proprietà mortis causa

evidentemente esclude qualsivoglia intento finalistico elusivo dell’esercizio dei poteri repressivi spettanti all’autorità amministrativa competente;

c) tra la realizzazione dell’edificio in argomento e l’ordinanza di demolizione sono trascorsi ben 32 anni.

5. Sussiste dunque un contrasto tra quel filone giurisprudenziale (richiamato dalla sentenza qui appellata) che ritiene ininfluente il decorso del tempo e quell’orientamento (invocato dagli appellanti) che, a determinate condizioni, richiede invece una specifica motivazione in ordine all’adozione di un provvedimento sanzionatorio.

Il Collegio ritiene comunque di dover osservare che, nell’arco temporale decorrente dalla commissione dell’abuso (anno 1982) e l’adozione del provvedimento impugnato (anno 2014) sono intervenuti ben tre condoni edilizi disciplinati dalle leggi 28 febbraio 1985, n. 47, 23 dicembre 1994, n. 724 e 24 novembre 2003, n. 326.

Dagli elementi di fatto forniti dagli appellanti si desume che la loro dante causa non ha ritenuto di avvalersi delle facoltà concesse dalle leggi richiamate e di ottenere il condono per l’immobile abusivamente realizzato, previa corresponsione delle somme dovute a titolo di oblazione stabilite dalla normativa sopra citata. Invero, nella prospettazione degli appellanti, il trasferimento mortis causa dell’immobile assorbirebbe l’omissione della presentazione delle domande di condono, realizzando una sorta di sanatoria extra ordinem, formatasi per il mero decorso del tempo (sia pure prolungato), ed esonerando ratione temporis gli appellanti da una presentazione, sia pur tardiva delle stesse (ammesso che -osserva la Sezione- una tale evenienza sia possibile).

Il Collegio ritiene ancora di dover evidenziare che la sussistenza di un interesse pubblico attuale era richiesto dalla giurisprudenza per l’annullamento (in autotutela) di un preesistente provvedimento valutato in seguito illegittimo. La giurisprudenza invocata dagli appellanti estende, quindi, con una radicale innovazione di sistema, al “fatto illecito” (quale deve considerarsi una costruzione realizzata senza titolo abilitativo) quel che originariamente era richiesto solo per un “atto illegittimo”. E’ peraltro vero che un lasso di tempo straordinariamente lungo tra la commissione dell’abuso (da parte di terzi) e la sanzione, tempo intercorso anche a causa dell’inerzia serbata dall’amministrazione, potrebbe essere ritenuto in sé idoneo a giustificare un affidamento da parte del soggetto estraneo alla commissione dell’abuso; affidamento che, se non può certo elidere in radice il potere sanzionatorio, ne richiede una giustificazione in termini di attualità e concretezza, in relazione, oltre che al tempo, alla consistenza dell’abuso medesimo e ad altre circostanze fattuali che si assumano rilevanti.

In conclusione, il Collegio, ai sensi dell’articolo 99 c.p.a., rimette l’affare all’Adunanza plenaria, perché possa essere decisa la seguente questione:

“Se l’ordinanza di demolizione di immobile abusivo (nella specie, trasferito mortis causa) debba essere congruamente motivato sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata quando il provvedimento sanzionatorio intervenga a una distanza temporale straordinariamente lunga dalla commissione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi del provvedimento sanzionatorio”.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

Manda alla segreteria della sezione per gli adempimenti di competenza, e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’Adunanza plenaria.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2015 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE Andrea Pannone

IL PRESIDENTE Filippo Patroni Griffi