A cura dell’Avv. Tradardi,
La recentissima sentenza del Tar Campania, Napoli, sez. III, n. 1213 del 23 marzo 2020 fa il punto su alcuni aspetti dell’istituto dell’accertamento di conformità.
La vicenda sottoposta all’esame del Giudice si inserisce in una casistica frequente. Un Comune, constatata la realizzazione di un immobile in assenza di titolo edilizio, emette un ordine di demolizione, oggetto dell’impugnazione (va segnalato per chiarezza, che nell’epigrafe della sentenza si indica un ordine di sospensione lavori, ma nel corpo della pronuncia si fa, più propriamente, riferimento ad un ordine di demolizione). Fra le varie censure sollevate (tutte respinte dalla pronuncia), il ricorrente lamenta che il Comune non avrebbe potuto irrogare la sanzione demolitoria, finché non si fosse pronunciato sul’istanza di accertamento di conformità che lo stesso aveva presentato.
Nel respingere questa doglianza, la sentenza premette che, nel procedimento di repressione degli abusi edilizi, finalizzato all’adozione dell’ordine di demolizione, l’autorità comunale non è tenuta a verificare la legittimità o la sanabilità delle opere contestate, poiché è sufficiente che sia rilevata l’assenza del titolo edilizio a supporto delle opere realizzate. Gli artt. 27 e 31 DPR 380/2001, obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l’abuso, senza alcuna valutazione circa la sanabilità dello stesso, la quale può rilevare solo nella fase relativa all’accertamento di conformità di cui all’art. 36 DPR 380/2001.
Proprio con riferimento all’istituto dell’accertamento di conformità, la pronuncia rammenta che, ai sensi del richiamato art. 36 DPR 380/2001, ove l’Amministrazione non si pronunci espressamente entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della relativa istanza, la stessa s’intende respinta. Quindi, trascorso inutilmente questo termine, l’istanza per l’accertamento di conformità esaurisce i suoi effetti e su di essa si forma una fattispecie tipica, prevista dal legislatore, di silenzio-diniego, il quale va impugnato nei termini decadenziali.
Inoltre, la pronuncia precisa gli effetti, sul piano sostanziale, del diniego (espresso o tacito). La presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità, non incide sulla legittimità dei provvedimenti demolitori in precedenza emessi, ma si limita solo a sospenderne temporaneamente gli effetti sino alla definizione del relativo procedimento (in questo distinguendosi dagli speciali procedimenti di condono edilizio). L ’efficacia dell’ordine sanzionatorio resta soltanto sospesa, posta in uno stato di temporanea quiescenza.
A conclusione del procedimento, in ipotesi di accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione resta privo di effetti, attesa l’accertata conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia, con conseguente venire meno dell’originario carattere abusivo dell’opera realizzata. Al contrario, in caso di rigetto dell’istanza, espresso o tacito, l’ordine demolitorio si riattiva, acquistando di nuovo la propria originaria efficacia. “In quest’ipotesi – puntualizza la sentenza – il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione dovrà decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza dell’interessato; costui, infatti, non può essere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà di legge, quale quella di chiedere la verifica postuma di conformità urbanistica e, pertanto, ha diritto di fruire dell’intero termine a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso”.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 352 del 2016, proposto da:
Ferdinando Campanile, rappresentato e difeso dall’avvocato Emilio Iovino, con il seguente recapito digitale: emilioiovino@legalmail.it;
CONTRO
Comune di Terzigno, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Aristide Bravaccio, con domicilio eletto presso lo studio Luigi Tremante in Napoli, via Toledo, n. 256 e con il seguente recapito digitale: aristide.bravaccio@pecavvocatinola.it;
PER L’ANNULLAMENTO
dell’Ordinanza n. 53 del 20 ottobre 2015, Fascicolo n. 21/2014, notificata il successivo 21, con la quale l’Ufficio Antiabusivismo Edilizio del Comune di Terzigno ha intimato l’immediata sospensione di lavori edili abusivi e il conseguente ripristino dello stato dei luoghi in via Zabatta n. 59.
- Visti il ricorso e i relativi allegati;
- Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Terzigno;
- Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2020 il dott. Gianmario Palliggiano, presente l’avv. Manfrellotti, per dichiarata delega orale dell’avv. Iovino, per il ricorrente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Riferisce il ricorrente di avere realizzato, insieme ad altre persone, un immobile in via Zabatta 59, censito al Catasto urbano al Foglio 4, Particella 1967.
A seguito di sopralluogo svolto da funzionari dell’Ufficio Tecnico Comunale unitamente al Comando Carabinieri della Stazione di Terzigno, era redatta relazione tecnica assunta al protocollo generale dell’ente comunale al n. 13082 del 23 settembre 2014, nella quale si riportava l’esecuzione delle seguenti opere, assunte come abusive:
“Struttura in blocchi di muratura portante con copertura spiovente in lamiere coibentate sorrette da un’orditura in scatolari di ferro, avente un altezza media di circa 3,80 metri e appoggiata su un basamento di calcestruzzo di altezza pari a 1,10 metri circa. L’immobile presenta le parenti intonacate internamente ed esternamente, tranne per la parte posta a Nord-Est, caratterizzata dalla presenza del solo arriccio, con infissi interni ed esterni, impianti idrici ed elettrici. L’immobile occupa una superficie di 82,00 metri quadrati per un volume di 310,00 metri cubici. Il basamento in calcestruzzo su cui poggia la struttura ha una superficie di 143,00 metri quadrati circa per un volume di 160,00 metri cubici circa. L’immobile si presenta allo stato, completo ed in uso.”.
L’amministrazione comunale, con ordinanza n. 53 del 20 ottobre 2015, ha ingiunto al ricorrente ed agli altri presunti autori degli abusi rilevati, ai sensi degli artt. 27 e 31 d.p.r. 380/2001, l’immediata sospensione dei lavori edilizi abusivi e la rimessa in pristino dello stato dei luoghi, con previsione di sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4-bis, d.p.r. 380/2001, nella misura massima, in caso d’inottemperanza.
2.- Con l’odierno ricorso, notificato il 21 dicembre 2015 e depositato il 21 gennaio 2016, Ferdinando Campanile ha impugnato la richiamata ordinanza n. 53/2015, deducendo le censure che saranno esposte in diritto.
L’amministrazione comunale si è costituita in giudizio e con memoria formale depositata il 21 giugno 2016 ha chiesto genericamente il rigetto del ricorso.
La causa è stata fissata all’udienza pubblica del 28 gennaio 2020, per essere quindi trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1.- Il ricorrente ha dedotto le seguenti censure:
1) Violazione dell’art. 7 L. n. 241/1990.
E’ stato omesso l’invio della comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio, tanto più che nella fattispecie non sussistevano particolari esigenze di celerità per la conclusione del procedimento.
2) Violazione della L. n. 47/1985; eccesso di potere per violazione del principio del giusto procedimento, difetto d’istruttoria.
Il provvedimento impugnato è stato adottato in assenza di sufficiente istruttoria e di specifica indagine tesa a stabilire l’eventuale sanabilità dell’opera, tanto più che il ricorrente ha presentato richiesta di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 13 L. n. 47/1985 (attualmente art. 36 d.p.r. 380/2001).
3) Violazione dell’art. 13 e dell’art. 35 L. n. 47/1985; eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, difetto d’istruttoria: l’amministrazione comunale non può irrogare sanzioni per i presunti abusi edilizi fino a quando non si sia pronunciata sulla richiesta di sanatoria edilizia presentata dal ricorrente con nota prot. n. 12759 del 1° luglio 2003, ai sensi della L. n. 47/1985.
4) violazione dell’art.82, comma 2, lett. f) d.p.r. 24 luglio 1977, n.616; violazione dell’art.6, comma 2, Legge regionale Campania 1° settembre 1981, n. 65; violazione dell’allegato I alla legge regionale Campania n. 10 del 23 febbraio 1982; eccesso di potere per violazione del principio del giusto procedimento; incompetenza.
L’amministrazione non avrebbe considerato la legislazione statuale che ha delegato alle Regioni determinate funzioni con attribuzione di specifiche competenze.
In particolare, con D.P.R 616/1977, lo Stato ha delegato alle Regioni “l’adozione dei provvedimenti di demolizione e l’irrogazione delle sanzioni amministrative”.
Detta funzione è stata, a sua volta, sub-delegata ai Comuni, con Legge regionale Campania n. 65 del 1981, limitatamente alle “zone sottoposta a vincolo paesistico”.
Con legge regionale Campania n. 10 del 1982, la sub-delega è avvenuta in favore del Sindaco, non quale capo dell’Amministrazione comunale ma quale organo preposto all’Amministrazione locale delegata. Tale ultima Legge Regionale ha previsto, tra l’altro, l’istituzione di una Commissione, il cui parere obbligatorio è requisito indispensabile per ” l’adozione dei provvedimenti di demolizione e la irrogazione delle sanzioni amministrative nelle zone sottoposte a vincolo paesistico”.
5) Violazione, per altro profilo, della normativa citata al punto 4) posto che l’Amministrazione Comunale, in presenza di un intervento sanzionatorio in zona sottoposta a vincolo, avrebbe dovuto agire come Autorità sub-delegata della Regione Campania, indicando altresì, acquisito, il parere della competente Commissione, i criteri e le modalità “dirette a ricostruire l’originario organismo edilizio”, così, da renderlo conforme alla normativa urbanistica vigente.
2.- Il ricorso non è fondato.
Infondato è il primo motivo.
Come chiarito da concorde e condivisa giurisprudenza, anche di questa Sezione (recente 9 dicembre 2019, n. 5769) l’ordinanza di demolizione, in quanto atto dovuto e dal contenuto rigidamente vincolato, presuppone un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime; la stessa, pertanto, non richiede la previa comunicazione di avvio del procedimento.
In ogni caso, per effetto della previsione introdotta dall’art. 21-octies, L. n. 241/1990, nei procedimenti preordinati all’emanazione di ordinanze di demolizione di opere edilizie abusive, l’asserita violazione dell’obbligo di comunicarne l’avvio – laddove si ritenesse anche in materia di sanzioni edilizie dovuta – non ha effetti invalidanti, specie quando emerga che il contenuto del provvedimento finale non potrebbe essere diverso da quello in concreto adottato (cfr., Cfr. Cons. St., sez. VI, 12 agosto 2016 n. 3620; TAR Campania, Napoli, sez. III, 26 giugno 2013 n. 3328; TAR Liguria, sez. I, 22 aprile 2011 n. 666; TAR Campania, Napoli, sez. III, 3 ottobre 2018 n. 5782; id., 17 settembre 2018 n. 5510; Cons. St., sez. IV, 6 giugno 2011 n. 3398; id., sez. VI, 2 febbraio 2015 n. 466).
3.- Infondato sono il secondo ed il terzo motivo che, per ragioni di connessione, sono trattati congiuntamente.
3.1.- In primo luogo, come chiarito da costante e condivisa giurisprudenza, l’autorità comunale non è tenuta a verificare la legittimità o la sanabilità delle opere contestate, ma è sufficiente, nella fase immediata di contrasto degli abusi, che sia rilevata l’assenza di titolo edilizio a supporto delle opere realizzate. Ciò si evince in maniera inequivocabile dagli artt. 27 e 31 d.p.r. 380/2001, norme che obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l’abuso, senza alcuna valutazione circa la sanabilità dello stesso, la quale può rilevare solo nella fase relativa all’accertamento di conformità di cui all’art. 36 d.p.r. 380/2001, procedimento eventuale e successivo che, non a caso, il legislatore rimette all’esclusiva iniziativa della parte interessata (cfr. T.A.R. Napoli, sez. IV, 4 dicembre 2018, n. 6966; Idem, sez. II, 12 luglio 2019, n. 3864).
Peraltro, come chiarito da costante e condivisa giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 27 gennaio 2020, n. 631), l’ordinanza di demolizione costituisce un atto dovuto e rigorosamente vincolato; la repressione dell’abuso corrisponde infatti, per definizione, all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, pertanto essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività.
3.2.- Il ricorrente, in effetti, fa riferimento ad un’istanza di accertamento di conformità presentata il 1° luglio 2003 (prot. n. 12759), senza tuttavia fornire alcuna documentazione, ragion per cui non è affatto chiaro il contenuto e l’oggetto.
Quell’istanza non appare comunque pertinente al caso specifico, perché, come è chiarito nell’ordinanza impugnata, l’epoca di realizzazione dell’immobile abusivo è, presumibilmente, databile ad un’epoca successiva, tra il 2008 ed il 2011, anni ai quali si riferiscono le Ortofoto della Regione Campania – Servizio SIT – Progetto O.R.C.A.; il dato non è smentito ma anzi confermato dal ricorrente stesso (cfr. pag. 3 dell’atto introduttivo al ricorso).
In ogni caso, l’istanza, presumibilmente presentata ai sensi dell’art. 36 d.p.r. 380/2001 (che ha sostituito l’art. 13 L. 47/1985, citato dal ricorrente), ha ormai esaurito i suoi effetti, posto che l’amministrazione non risulta avere fornito alcun riscontro, in assenza di diverse indicazioni provenienti dal ricorrente ovvero dalla difesa del comune.
La censura nella sua genericità non considera infatti che, ai sensi del menzionato art. 36 d.p.r. n. 380/2001, ove il l’amministrazione non si pronunci espressamente entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento dell’istanza di accertamento di conformità, la stessa s’intende respinta. Sull’istanza si forma infatti una fattispecie tipica, prevista dal legislatore, di silenzio-diniego, il quale va impugnato mediante la proposizione di motivi aggiunti o di ricorso autonomo (ex multis, TAR Campania, Napoli, Sez. III, 9 dicembre 2014, n. 6425; Idem, n. 3386 del 8 luglio 2015), nessuno dei quali risulta, allo stato degli atti, avanzato.
Il silenzio-diniego può infatti essere impugnato dall’interessato in sede giurisdizionale per il tramite dell’azione di annullamento, alla stregua di un provvedimento esplicito, con la differenza però che il diniego, in quanto tacito, non è impugnabile per difetto di motivazione, di cui è strutturalmente carente per previsione legislativa, ma solo per il suo contenuto di rigetto.
Ugualmente, del silenzio-diniego non sono censurabili gli altri difetti formali propri degli atti, quali i vizi del procedimento, la mancanza di pareri o del preavviso dei motivi ostativi all’accoglimento (cfr. T.A.R. Napoli, sez. III, 22 agosto 2016, n. 4088).
Infatti, la stessa previsione normativa del silenzio-diniego è giustificabile ove si consideri che l’accertamento di conformità, come evidenziato da costante giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato sez. IV, 5 maggio 2017, n. 2063), alla quale questa Sezione si è più volte conformata (cfr. ex multis, 5 settembre 2017, n. 4249), è diretto a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l’area su cui sorgono, vigente al momento sia della loro realizzazione sia della presentazione dell’istanza di conformità (c.d. “doppia conformità”).
Il provvedimento di sanatoria assume, dunque, una connotazione eminentemente oggettiva e vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali, dovendo l’autorità procedente valutare la conformità dell’opera alla normativa urbanistica ed edilizia vigente in relazione ad entrambi i segmenti temporali considerati dalla norma (ex multis, cfr. T.A.R. Napoli, sez. III, 24 ottobre 2017 n. 4940).
3.3.- Come chiarito, altresì, da costante e condivisa giurisprudenza (ex multis, Cons. St., sez. VI, 2 febbraio 2015 n. 466), l’avere presentato un’istanza di accertamento di conformità non incide sulla legittimità dei provvedimenti demolitori in precedenza emessi ma si limita solo a sospenderne temporaneamente gli effetti sino alla definizione del relativo procedimento, in ciò distinguendosi dagli speciali procedimenti di condono edilizio; in altri termini, l’efficacia dell’ordine sanzionatorio resta soltanto sospesa, ossia posta in uno stato di temporanea quiescenza.
Va del resto disattesa una diversa soluzione interpretativa la quale comporterebbe il paradossale vantaggio per il soggetto destinatario del provvedimento di paralizzare ad libitum la potestà amministrativa, determinando la definitiva inefficacia di un provvedimento autoritativo, ogni qual volta sia adottato, mediante la mera presentazione di un’istanza (cfr. questa Sezione, 5 settembre 2017 n. 4251).
Ne consegue che, a conclusione del procedimento di sanatoria, in ipotesi di accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione resta privo di effetti, in ragione dell’accertata conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia, con conseguente venire meno dell’originario carattere abusivo dell’opera realizzata; al contrario, in caso di rigetto dell’istanza, espresso o tacito, l’ordine demolitorio si riattiva, acquistando di nuovo la propria originaria efficacia.
In quest’ipotesi, il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione dovrà decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza dell’interessato; costui, infatti, non può essere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà di legge, quale quella di chiedere la verifica postuma di conformità urbanistica e, pertanto, ha diritto di fruire dell’intero termine a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso (cfr. questa Sezione, 6 aprile 2017 n. 1891).
4.- Infondati sono infine il quarto ed il quinto motivo di ricorso che, per ragioni di connessione argomentativa, sono trattati congiuntamente.
Il ricorrente, nel fare riferimento alle normative sopra indicate – con le quali il legislatore statale ha delegato alle Regioni lo svolgimento per una serie di funzioni amministrative, a loro volta sub-delegate dalle Regioni alle amministrazioni comunali – non considera che, in seguito, lo stesso legislatore statale ha approvato il d.p.r. 380/2001, il testo unico dell’edilizia, il quale affida in maniera chiara alle amministrazioni comunali, ed in particolare al dirigente o al responsabile di settore, la competenza in materia di controllo sul territorio e di assunzione delle iniziative di contrasto e degli atti amministrativi sanzionatori degli abusi edilizi.
In particolare, l’art. 27, comma 1, d.p.r. 380/2001, nell’ambito dei compiti di “Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia” prevede che il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente, la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi.
Il comma 2 affida al dirigente o al responsabile, nel caso che “accerti l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità”, il compito di provvedere “alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi.”.
Il successivo art. 31 fissa il regime sanzionatorio per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità da questo o con variazioni essenziali.
Il comma 2 dispone che “il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali, determinate ai sensi dell’articolo 32, ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione, indicando nel provvedimento l’area che viene acquisita di diritto, ai sensi del comma 3.”.
Sulla base di queste norme, l’amministrazione comunale ha posto in essere l’attività di contrasto e sanzionatoria ai riscontrati abusi edilizi, sfociata quindi nell’ordinanza impugnata.
Quest’ultima è stata assunta, non a caso ai sensi dell’art. 27 d.p.r. 280/2001, in considerazione dei diversi vincoli esistenti sul territorio comunale e dell’art. 31 in relazione alla costruzione di un manufatto che ha comportato un aumento plano-volumetrico in assenza di permesso di costruire, titolo necessario ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. a) d.p.r. 380/2001.
Riguardo all’applicazione dell’art. 27 d.p.r. 380/2001, ’ordinanza impugnata è precisa nel richiamare l’esistenza dei seguenti vincoli:
– archeologico;
– di rischio frane moderato;
– paesaggistico ambientale di cui al d. lgs. 42/2004, regolamentato dal Piano territoriale paesistico per i comuni vesuviani, approvato con D.M. 4 luglio 2002, redatto ai sensi della L. 431/1985;
– limiti di cui alla legge regionale n. 21/2003 (“Zona rossa”), e classificazione del territorio comunale con grado di sismicità S=9.
5.- Per quanto sopra, il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono determinate nella misura indicata in dispositivo, avuto riguardo al carattere soltanto formale dell’attività difensiva dispiegata dal comune resistente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del comune di Terzigno, delle spese del giudizio che liquida in € 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Anna Pappalardo, Presidente
Vincenzo Cernese, Consigliere
Gianmario Palliggiano, Consigliere, Estensore