A cura dell’avv. Xavier Santiapichi
E’ noto che ormai da anni moltissime abitazioni del centro storico romano, e non solo, sono state destinate dai proprietari a scopi turistici, i cd. Bed & Breakfast. Ciò ha creato un mercato concorrente con le strutture ricettive classiche, che, in tempi di crisi, si sono viste sottrarre spazi di attività. La Regione Lazio ha quindi approvato un Regolamento che limita(va) questo utilizzo, a vantaggio degli albergatori. A questo punto è intervenuta l’Autorità antitrust, utilizzando la legittimazione processuale prevista dalla disposizione sul suo funzionamento.
Oggi il TAR capitolino, accogliendo i rilievi critici dell’Autorità, censura il Regolamento regionale che avrebbe dovuto mettere ordine alla materia, proprio sul punto dell’illegittima restrizione del mercato concorrenziale, operata a svantaggio dei piccoli proprietari.
I punti nodali, cassati dal Regolamento riguardano:
- l’imposizione di periodi di chiusura obbligatoria (fino a 120 gg./anno);
- la facoltà dei comuni di prevedere ulteriori periodi di chiusura, sulla base di valutazioni di carattere economico;
- il riconoscimento in capo a a Roma Capitale del potere di individuare zone del proprio territorio da destinare all’apertura di ostelli, per evitare una eccessiva concentrazione di strutture in determinate zone urbane;
- l’imposizione di una durata minima di soggiorno nei Bed & Breakfast (non inferiore a 3 giorni);
- vincoli dimensionali delle strutture in termini di metratura minima obbligatoria di alcuni spazi, prescrivendo onerosi obblighi di adeguamento anche alle strutture esistenti.
La Regione Lazio dovrà ora rivedere il Regolamento bocciato, allineandosi alle indicazioni dell’Autorità antitrust
N. 06755/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00586/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale n. 586 del 2016, proposto dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato-Antitrust, rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
CONTRO
Regione Lazio, rappresentata e difesa dall’avv.ssa Stefania Ricci, domiciliata presso la sede della Avvocatura regionale in Roma, Via Marcantonio Colonna, n. 27;
NEI CONFRONTI DI
Raffaella Pistilli;
per l’annullamento del regolamento della Regione Lazio 7 agosto 2015, n.8, recante “nuova disciplina delle strutture ricettive extralberghiere” – ricorso ex art. 21 bis l. 287/90;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 maggio 2016 il dott. Italo Volpe e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. Col ricorso in epigrafe l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (di seguito “Autorità”) ha impugnato il regolamento della Regione Lazio 7 agosto 2015, n. 8, recante la nuova disciplina delle strutture ricettive extralberghiere, pubblicato nel BURL del 10 settembre 2015, n. 73, nonché ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale ancorché non conosciuto.
In particolare, come espressamente indicato nelle conclusioni del suo atto introduttivo, l’Autorità ha chiesto in tal modo l’annullamento degli artt. 3, 6, co. 2, 7, co. 2, lett. a), 3 e 4, 9, co. 1 e 3, lett. a), e 18 del regolamento
1.1. A fondamento della domanda l’Autorità ha formulato i seguenti motivi:
a) violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato – violazione degli artt. 10 e 11 del d.lgs. n. 59/2010, 3, co. 7, del d.l. n. 138/2011, 34 del d.l. n. 201/2011 e 1, co. 2 e 4, del d.l. n. 1/2012 – violazione dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento e non discriminazione – violazione degli artt. 49 e 56 del TFUE e dei principi costituzionali di cui agli artt. 3, 41 e 117 della Costituzione;
b) eccesso di potere sub specie del difetto di motivatone in relazione all’asserita giustificazione delle disposizioni sopra indicate.
1.2. L’Autorità ha premesso di essere venuta a conoscenza attraverso organi di stampa della pubblicazione del regolamento in questione, che avrebbe recato misure limitative dell’attività ricettizia extralberghiera a vantaggio di quella alberghiera.
Esaminatolo, dunque, e rilevata in tal modo l’effettiva esistenza di una serie di sue criticità, legate all’introduzione o all’inasprimento di requisiti richiesti per l’esercizio dell’attività ricettiva extralberghiera, idonei a tradursi in un’ingiustificata limitazione dell’accesso e dell’esercito di tale attività, limitando l’operatività delle strutture e subordinandone l’accesso al mercato al rispetto di vincoli di natura dimensionale, in contrasto con i principi di libera concorrenza e i correlati principi di parità di trattamento e non discriminazione, essa allora, nella riunione del 7.10.2015, deliberava di esprimere il proprio parere motivato ai sensi dell’art. 21-bis della l.n. 287/1990 alla Regione Lazio relativamente al contenuto del regolamento in questione, inviandoglielo il 14.10.2015.
Nel parere, in particolare, si esprimevano perplessità in ordine alle disposizioni del regolamento che:
– impongono a case vacanze e B&B, gestiti entrambi in forma non imprenditoriale, periodi di chiusura obbligatoria rispettivamente di 100 e 120/90 giorni;
– consentono ai Comuni di imporre specifici periodi di chiusura alle sole strutture in forma non imprenditoriale a seguito di valutazioni legate al fabbisogno economico;
– attribuiscono a Roma Capitale il potere di individuare zone del proprio territorio da destinare all’apertura di ostelli per evitare una eccessiva concentrazione di strutture in determinate zone urbane;
– impongono alle case vacanza contratti di affitto della durata minima non inferiore a 3 giorni;
– impongono vincoli dimensionali delle strutture in termini di metratura minima obbligatoria di alcuni spazi, prescrivendo onerosi (e a volte materialmente impossibili) obblighi di adeguamento anche alle strutture esistenti.
L’Autorità rilevava altresì che il successivo regolamento regionale n. 13/2015 – col quale si rinvia l’entrata in vigore della disciplina dei periodi di chiusura per case vacanza e i B&B, gestiti in forma non imprenditoriale, già esistenti e regolarmente operanti – non risolveva le criticità concorrenziali poste dal regolamento n. 8/2015, giacchè invero rimaneva comunque impregiudicata l’immediata valenza delle altre previsioni restrittive della concorrenza del predetto regolamento. In sostanza, si posponeva l’entrata in vigore, solo per certi profili, della nuova disciplina, senza però incidere sul merito delle sue caratteristiche.
L’Autorità, dunque, richiamando precedenti segnalazioni, rilevava come le citate disposizioni integrassero specifiche violazioni dei principi concorrenziali nella misura in cui limitavano l’accesso alla ricettività extralberghiera e ne rendevano più difficile l’esercizio, senza effettive e correlate esigenze di interesse generale. Le disposizioni citate – a suo avviso – erano ingiustificatamente restrittive e più limitanti rispetto alla disciplina previgente, determinando indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle attività economiche, non giustificate e perciò discriminatorie.
L’Autorità invitava in conclusione la Regione a porre in essere misure correttive idonee a rimuovere entro un termine stabilito le restrizioni indebite.
1.3. Aggiunge la ricorrente che il 15.12.2015 le pervenivano le repliche della Regione le quali, però, non risultavano appaganti. Da ciò l’inevitabilità dell’odierna iniziativa giudiziaria.
1.4. A sostegno della sua iniziativa la ricorrente, fatte premesse generali sul suo ruolo e funzione, richiamati i paradigmi normativi fondamentali a livello nazionale, peraltro ancorati a precise basi normative del Trattato oltre che a orientamenti costituzionali ormai condivisi, ha argomentato le ragioni che la portavano a continuare a ritenere illegittime, dal punto di vista concorrenziale, le norme regolamentari indicate, in sintesi espressive dei vincoli e delle limitazioni indebiti riassunte nei trattini di cui al punto 1.2. supra.
2. Nel costituirsi in giudizio la Regione ha replicato puntualmente alle censure dell’Autorità, illustrando che, per un verso, molte delle prescrizioni recate dal regolamento impugnato erano già contenute nel previgente regolamento n. 16/2008 di disciplina del settore in discorso e, per altro verso, le novità introdotte non potevano essere considerate ingiustificatamente limitative e suscettibili di impingere sulle regole della concorrenza, specie perché ora era stata puntualizzata la differenza fra ricettività extralberghiera esercitata o meno in forma professionale e tra le due forme non era illogico né ingiusto porre regole differenziate di condotta.
3. Ha quindi replicato con memoria del 5.5.2016 l’Autorità, soffermandosi sui motivi per i quali non potevano essere ritenute convincenti le difese della Regione in questa sede, così come le stesse non erano già risultate persuasive nel corso del confronto dialogico realizzatosi nel corso dell’istruttoria da essa condotta.
4. La causa era poi chiamata all’odierna pubblica udienza di discussione ed ivi trattenuta in decisione.
5. Il ricorso risulta fondato e perciò meritevole di accoglimento.
6. Vale introduttivamente ricordare i contenuti delle norme in relazione alle quali l’Autorità ha chiesto lo scrutinio di conformità delle specifiche sopra citate disposizioni regolamentari regionali.
Gli artt. 10, in tema di “libertà di accesso ed esercizio delle attività di servizi”, e 11 (quest’ultimo per la parte di più diretto interesse in questa occasione), in tema di “requisiti vietati”, del d.lgs. 26.3.2010, n. 59, recante l’attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, hanno previsto che:
a) “Nei limiti del presente decreto, l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi costituiscono espressione della libertà di iniziativa economica e non possono essere sottoposti a limitazioni non giustificate o discriminatorie”;
b) “L’accesso ad un’attività di servizi o il suo esercizio non possono essere subordinati al rispetto dei seguenti requisiti (…)l’applicazione caso per caso di una verifica di natura economica che subordina il rilascio del titolo autorizzatorio alla prova dell’esistenza di un bisogno economico o di una domanda di mercato, o alla valutazione degli effetti economici potenziali o effettivi dell’attività o alla valutazione dell’adeguatezza dell’attività rispetto agli obiettivi di programmazione economica stabiliti; tale divieto non concerne i requisiti di programmazione che non perseguono obiettivi economici, ma che sono dettati da motivi imperativi d’interesse generate”.
L’art. 3, co. 7, del d.l. n. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla l.n. 148/2011, in materia di ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo, sotto la rubrica “Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche”, ha disposto che “Le disposizioni vigenti che regolano l’accesso e l’esercizio delle attività economiche devono garantire il principio di libertà di impresa e di garanzia della concorrenza. Le disposizioni relative all’introduzione di restrizioni all’accesso e all’esercizio delle attività economiche devono essere oggetto di interpretazione restrittiva, fermo in ogni caso quanto previsto al comma 1 del presente articolo”.
Dato il richiamo ad esso, è allora opportuno rammentare che il co. 1 del citato art. 3 ha previsto che “Comuni, Province, Regioni e Stato, entro il 30 settembre 2012, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di (fra l’altro): a) vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione; c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l’utilità sociale; d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale; e) disposizioni relative alle attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica.”.
L’art. 34 del d.l. n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla l.n. 214/2011, recante disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici, sotto la rubrica “Liberalizzazione delle attività economiche ed eliminazione dei controlli ex-ante”, ha stabilito che:
“1. Le disposizioni previste dal presente articolo sono adottate ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettere e) ed m), della Costituzione, al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità e il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché per assicurare ai consumatori finali un livello minimo e uniforme di condizioni di accessibilità ai beni e servizi sul territorio nazionale.
2. La disciplina delle attività economiche è improntata al principio di libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze imperative di interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario, che possono giustificare l’introduzione di previ atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo, nel rispetto del principio di proporzionalità.
3. Sono abrogate le seguenti restrizioni disposte dalle norme vigenti:
a) il divieto di esercizio di una attività economica al di fuori di una certa area geografica e l’abilitazione a esercitarla solo all’interno di una determinata area;
b) l’imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all’esercizio di una attività economica;
c) il divieto di esercizio di una attività economica in più sedi oppure in una o più aree geografiche;
d) la limitazione dell’esercizio di una attività economica ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti;
e) la limitazione dell’esercizio di una attività economica attraverso l’indicazione tassativa della forma giuridica richiesta all’operatore;
f) l’imposizione di prezzi minimi o commissioni per la fornitura di beni o servizi;
g) l’obbligo di fornitura di specifici servizi complementari all’attività svolta.
4. L’introduzione di un regime amministrativo volto a sottoporre a previa autorizzazione l’esercizio di un’attività economica deve essere giustificato sulla base dell’esistenza di un interesse generale, costituzionalmente rilevante e compatibile con l’ordinamento comunitario, nel rispetto del principio di proporzionalità.
5. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è tenuta a rendere parere obbligatorio, da rendere nel termine di trenta giorni decorrenti dalla ricezione del provvedimento, in merito al rispetto del principio di proporzionalità sui disegni di legge governativi e i regolamenti che introducono restrizioni all’accesso e all’esercizio di attività economiche.
6. Quando è stabilita, ai sensi del comma 4, la necessità di alcuni requisiti per l’esercizio di attività economiche, la loro comunicazione all’amministrazione competente deve poter essere data sempre tramite autocertificazione e l’attività può subito iniziare, salvo il successivo controllo amministrativo, da svolgere in un termine definito; restano salve le responsabilità per i danni eventualmente arrecati a terzi nell’esercizio dell’attività stessa.
7. Le Regioni adeguano la legislazione di loro competenza ai principi e alle regole di cui ai commi 2, 4 e 6.
8. Sono escluse dall’ambito di applicazione del presente articolo le professioni, il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea, i servizi finanziari come definiti dall’art. 4 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 e i servizi di comunicazione come definiti dall’art. 5 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.”.
Al riguardo, è opportuno sottolineare subito, incidentalmente, che, ai sensi del co. 3 dell’articolo riportato, se dovevano ritenersi abrogate le indicate restrizioni non condivisibili vigenti alla data di entrata in vigore di tale norma, a maggior ragione delle medesime o equivalenti restrizioni non poteva reputarsi legittima la reintroduzione in un momento successivo.
Infine, l’art. 1 del d.l. n. 1/2012, convertito, con modificazioni, dalla l.n. 27/2012, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, sotto la rubrica “Liberalizzazione delle attività economiche e riduzione degli oneri amministrativi sulle imprese”, ha nei suoi co. 2 e 4 prescritto, rispettivamente, che:
a) “Le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all’accesso ed all’esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l’iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all’ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l’utilità sociale, con l’ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica”;
b) “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni si adeguano ai principi e alle regole di cui ai commi 1, 2 e 3 entro il 31 dicembre 2012, fermi restando i poteri sostitutivi dello Stato ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione. A decorrere dall’anno 2013, il predetto adeguamento costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli stessi enti ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. A tal fine la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell’ambito dei compiti di cui all’articolo 4, comunica, entro il termine perentorio del 31 gennaio di ciascun anno, al Ministero dell’economia e delle finanze gli enti che hanno provveduto all’applicazione delle procedure previste dal presente articolo. In caso di mancata comunicazione entro il termine di cui al periodo precedente, si prescinde dal predetto elemento di valutazione della virtuosità. Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano procedono all’adeguamento secondo le previsioni dei rispettivi statuti.”.
6.1. Non pare, a questo punto, assolutamente fuor di luogo ricordare e sottolineare che le norme dei provvedimenti legislativi d’urgenza sopra riportate hanno costituito misure specifiche e mirate volute da due diversi Governi (il secondo dei quali, tra l’altro, di natura tecnico-politica) nel quadro di un più ampio e considerevole sforzo (peraltro ancora oggi niente affatto concluso) volto a far uscire il nostro Paese dal lungo periodo di crisi che lo stesso sta attraversando e, soprattutto, a fargli conseguire un migliore rating dal punto di vista dell’ammodernamento e della sua competitività, a livello europeo ed internazionale, oltre che una maggiore credibilità agli occhi degli organismi comunitari di valutazione economico-finanziaria dei Paesi membri, nonché della finanza internazionale possibilmente interessata ad investire in Italia.
Non a caso alcune di tali misure si sono inquadrate all’interno di manovre nazionali di finanza pubblica ovvero di strumenti normativi collegati a tali manovre. E non a caso – come noto – anche esse hanno contribuito a far conseguire progressivamente al nostro Paese giudizi positivi dal punto di vista della volontà di avvicinamento dei nostri ai migliori parametri di positività di mercato (per concorrenza ed attrattività d’investimento) riscontrabili a livello, in primo luogo, europeo.
Comprensibilmente e condivisibilmente, dunque, l’Autorità ricorrente indica le norme citate – che recano, ad uno stesso tempo, principi e precetti – quale migliore strumento di misurazione del grado di adeguatezza, sul piano della concorrenza e della libertà di mercato, delle disposizioni segnalate in seno al regolamento regionale impugnato.
Nella controluce di tali norme, perciò, occorre leggere e valutare le disposizioni regolamentari censurate.
E in questa prospettiva allora, due risultano i canoni-guida fondamentali cui ricorrere per giudicare della conformità di disposizioni, anche derivanti dall’esercizio di fonti di produzione normativa substatali, naturalmente destinate (per i loro contenuti) ad incidere su concorrenza e competitività:
1) quello secondo il quale deve essere ritenuto permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge, esclusivamente nei soli casi di:
a) vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione;
c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l’utilità sociale;
d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale;
e) disposizioni relative alle attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica;
2) quello secondo il quale l’accesso e l’esercizio delle attività di servizi, in quanto espressione della libertà di iniziativa economica, non possono essere sottoposti a limitazioni non giustificate o discriminatorie e tali limitazioni, per risultare legittime, devono comunque risultare giustificate da motivi imperativi d’interesse generate.
7. Una prima – e di portata generale – obiezione critica mossa dall’Autorità ricorrente al regolamento impugnato riguarda il fatto che con esso (artt. 7, co. 2, lett. a), e 9, co. 3, lett. a) sono state specificamente identificate, rispettivamente per le case e appartamenti per vacanze (di seguito, ai soli fini di questa decisione, “CAV”) e per i B&B (bed and breakfast), le definizioni del loro esercizio in forma non imprenditoriale, quale alternativa alla simmetrica definizione del loro esercizio in forma imprenditoriale.
Aggrava il dato critico – nell’ottica della ricorrente – il fatto che, dalla distinzione, discende che ricorrerebbe un CAV o un B&B non imprenditoriale solo quando:
– il primo è inattivo per almeno 100 giorni nell’anno solare (ovunque esso sia dislocato nell’intero territorio regionale);
– il secondo è inattivo per almeno 100 ovvero 90 giorni nell’anno solare a seconda che lo stesso stia all’interno di Roma Capitale o della sua Città metropolitana oppure dentro comuni diversi ed esterni a questa cinta metropolitana.
7.1. L’obiezione è persuasiva alla luce sia del primo sia del secondo motivo di ricorso.
In disparte l’irragionevole asimmetria (che si traduce poi in discriminazione) tra l’indicazione di un doppio termine di inattività minima soltanto per i B&B (quando poi, dal punto di vista della domanda, e perciò del mercato, la disponibilità massima di sei posti letto in un B&B potrebbe rendere, a parità di dimensione massima alloggiativa, indifferente per la clientela la scelta fra un CAV e un B&B), per la qual cosa non viene offerta una vera giustificazione di mercato da parte della Regione, quest’ultima motiva la distinzione (esercizio imprenditoriale e non) con esigenze di “ordine e chiarezza” e, soprattutto, ne difende la fondatezza per averla essa mutuata da paradigmi discretivi operanti in ambito tributario.
Tuttavia l’ordine e la chiarezza, di per se stessi, non paiono rientrare nel novero dei motivi imperativi di interesse generale che, ove sussistenti, potrebbero giustificare una limitazione (nel caso di specie costituita dalla non indifferente durata minima dell’inattività perché un esercizio di CV o B&B possa ritenersi non imprenditoriale).
Ma poi, dal punto di vista delle finalità perseguite, l’obiettivo che la Regione si è dato (che traspare essere quello di un allineamento della distinzione, in materia, ad una propria e tipica dell’ambito tributario) non sembra affatto coerente con le finalità istituzionali dell’ente regionale, posto invero che l’Amministrazione finanziaria statale è ben dotata di strumenti suoi (non abbisognevoli di avvalimenti alieni) per perseguire la finalità di assicurare la compliance fiscale da parte dei contribuenti.
Fuori di questa prospettiva del resto, come giustamente rilevato dall’Autorità ricorrente, la distinzione in discorso, per come impostata, neppure regge dal punto di vista comunitario e, perciò, della sua giustificazione concorrenziale e di mercato.
Ciò che vale da tale punto di vista, invero, non è la differenza tra imprenditorialità o meno (concetto che, poi, ben può variare da una Paese all’altro) dell’esercizio di un’attività, quanto piuttosto fra economicità o meno di un attività, discendente quest’ultima dalla differente ottica della esistenza o meno di un prezzo corrispettivo per l’offerta di un bene o servizio.
Peraltro, come ben osservato dalla Autorità, anche la disciplina di un tributo comunitarizzato come l’IVA ignora il parametro della continuità temporale nell’anno ai fini della ricorrenza del presupposto impositivo.
7.2. Persuasivi, inoltre, risultano anche i corollari critici evidenziati dalla ricorrente.
All’osservazione della Regione, secondo cui la distinzione (fra imprenditorialità e non) favorirebbe, pro mercato e concorrenza, la lotta alle attività ricettive irregolari, può bastare la prevalente risposta per cui, in tal modo, la Regione contrasterebbe l’irregolarità solo dal punto di vista della durata dell’(in)attività nel corso dell’anno, dimentica di quello che invece dovrebbe essere ben migliore contrasto all’irregolarità (questo sì in favore della concorrenza) ove fosse condotto sul crinale della adeguatezza o meno dei livelli di servizio tra tutti quelli che operano all’interno del mercato di riferimento della ricettività extralberghiera.
All’altra osservazione della Regione, secondo la quale all’interessato, per non ricadere nella forzosa categoria della non imprenditorialità, basterebbe tenere aperta l’attività più a lungo o, meglio, per l’intero anno, può essere adeguatamente contrapposto che, così:
– si rivelerebbe per intero lo spirito dirigista e d’intervento autoritativo pubblico nell’economia della misura in contestazione, all’interno di un settore di attività le cui dinamiche, invece, dovrebbero equilibrarsi naturalmente con l’incrocio fra domanda e offerta, in funzione della disponibilità, diversità e qualità dei servizi offerti;
– si aggraverebbe il carico degli oneri amministrativi per l’esercente l’attività ricettiva, in piena controtendenza con la predicata (ed auspicata) politica della diminuzione di tali oneri;
– si inciderebbe ingiustificatamente ed arbitrariamente sulle scelte di opportunità economica per i soggetti interessati all’esercizio dell’attività ricettiva in questione che nè possano né vogliano (tuttavia lecitamente, in un’ottica liberale del mercato) ricadere nella forzata camicia dell’esercizio imprenditoriale definito dal regolamento impugnato.
7.3. Non è possibile, infine, seguire l’invito della Regione a riscontrare l’identità di misure vincolanti, specie sul piano temporale, adottate da altre Regioni sia per non essere questa la sede adatta per un confronto millimetrico fra testi regolatori diversi sia, in ipotesi, per la sostanziale non utilità dell’eventuale sforzo, tenuto conto che anche l’eventuale irragionevolezza di altre scelte regolatorie non giustifica quella ora contestata dall’Autorità e, soprattutto, che il confronto – sempre in ipotesi – andrebbe ragionevolmente condotto anche alla luce delle diversità di mercato fra Regioni diverse per attrattività di flussi di domanda di ospitalità e per consistenza e varietà dell’offerta di alloggi alberghieri e non. Fattori, questi in relazione ai quali la Regione resistente non ha offerto indice alcuno.
Condivisibile, inoltre, l’osservazione dell’Autorità per cui il differimento temporale di cui al regolamento n. 13/2015 è palliativo che non supera né risolve le criticità in argomento.
7.4. Sempre dal punto di vista dei vincoli temporali imposti, illegittima risulta inoltre la disposizione di cui all’art. 7, co. 3, del regolamento impugnato.
In aggiunta a quanto già detto, circa il fatto che non si desume – specie dalla difesa della Regione – il rationale dei vincoli limitativi in questione e, in particolare, il motivo imperativo d’interesse generale che li potrebbe esclusivamente giustificare (fatto questo che denota la fondatezza, al riguardo, del secondo motivo di ricorso), resta il fatto che la misura limitativa è altresì selettiva sia perché riferibile soltanto alla ricettività non imprenditoriale in CAV sia perché non presente per l’identica forma di ricettività in B&B che, dal punto di vista della domanda, ben può competere concorrenzialmente anche con i CAV. Quanto meno non spiega la Regione perché così non possa anche essere, e cioè perché CAV e B&B (le cui definizioni descrittive, nel quadro del regolamento in contestazione, paiono alquanto forzate ed autoritativamente imposte) non possano piuttosto competere direttamente nel mercato di riferimento.
8. Quanto alla denunciata illegittimità della disposizione regolamentare (art. 3) che attribuisce ai Comuni laziali il potere di ritagliare autonomamente specifici periodi di chiusura per le attività ricettive non imprenditoriali, in disparte la ricaduta invalidante che già consegue per quanto detto al precedente punto 7., e relativi sottopunti, persuasiva risulta la tranciante obiezione della ricorrente per cui la disposizione urta frontalmente col parametro normativo nazionale e comunitario di cui alla norma citata sub 6.b) supra.
E’ palmare, inoltre, la non conformità comunitaria della disposizione regolamentare citata per la sua evidente selettività, incidendo il possibile ulteriore vincolo comunale esclusivamente sulle attività ricettive non imprenditoriali.
9. Persuasive altresì le obiezioni critiche dell’Autorità in ordine alle disposizioni di cui agli artt. 7, co. 4, e 9, co. 1.
Vi si prevede, solo per CAV e B&B, il vincolo strutturale e dimensionale della disponibilità di un soggiorno di almeno 14 metri quadrati.
Si giustifica al riguardo la Regione, nella sostanza, con l’unico argomento costituito dal fatto che la scelta assunta trova spiegazione nel fatto che per un alloggio destinato ad ordinarie finalità abitative esiste, dal punto di vista edilizio, un identico vincolo e che questo risponde ad esigenze sanitarie e di salubrità.
Ora, in disparte il fatto che non risulta comprensibile perché, in seno al regolamento, non si riscontri pari attenzione per altre strutture ricettive, quali ad esempio guest house, ostelli, case per ferie e financo rifugi montani, posto che il rischio per la salubrità – ove esistente – certamente non s’incrementa o si affievolisce in funzione di differenze terminologiche e definitorie aventi senso esclusivamente a livello amministrativo, vale il rilievo che la prescrizione vincolante né esisteva in precedenza (ossia nel regolamento n. 16/2008), onde essa risulta essere mero inasprimento della disciplina settoriale, a dispetto dei diversi paradigmi normativi orientati alla liberalizzazione sopra richiamati, né si giustifica – anche solo a livello logico e di buon senso – per alloggi destinati (quasi per definizione) non già ad una ospitalità stabile e, quindi durevole, quanto piuttosto fugace e – come anche il notorio dimostra – molto spesso legate esclusivamente all’esigenza del pernottamento.
Discriminatoria – se non addirittura sul filo dell’irrazionalità, tenuto conto dell’esigenza ostesa che la giustificherebbe, ossia la necessità di garantire tutela alla salute – inoltre risulterebbe la prescrizione in argomento ove fosse vero che la previsione (ed il correlato tentativo di giustificarne il minore impatto applicativo) opererebbe solo de futuro e riguarderebbe esclusivamente i nuovi alloggi ricettivi che entrassero in attività dopo il regolamento.
Al riguardo, posto che il dato normativo, di per sé, non depone affatto per una lettura interpretativa pari a quella proposta dalla Regione, emerge allora il non condivisibile risultato pratico del vincolo dimensionale in argomento (non necessariamente voluto ma, de facto, altamente probabile) costituito dal fatto che verrebbero automaticamente tagliati fuori dal mercato della ricettività tutti i soggetti che, pur volendolo, non potrebbero, per ragioni fattuali e strutturali dei loro alloggi, adeguarne la forma interna alla nuova prescrizione.
La rilevata illegittimità delle disposizioni ora in rassegna si rilette sull’art. 18 del regolamento censurato, che anch’esso risulta pertanto illegittimo.
10. Infine, illegittima risulta anche la disposizione di cui all’art. 6, co. 2, del regolamento impugnato che facoltizza Roma Capitale, al fine di evitare una eccessiva concentrazione delle strutture in determinate zone urbane, comprese quelle ad elevato impatto urbanistico, ad individuare, sul proprio territorio, le zone da destinare all’apertura degli Hostel o Ostelli.
La disposizione urta frontalmente, infatti, contro il paradigma normativo primario costituito dall’art. 34, co. 2, e, soprattutto, co. 3, lett. a), del d.l. n. 201/2011, convertito, con modificazioni, dalla l.n. 214/2011.
Al riguardo, in particolare, se è vero che la norma primaria abroga restrizioni pari a quella specifica in essa indicata (cfr. co. 3, lett. a), cit.) è ancor più vero che essa non ne permette di nuove, aventi pari contenuto e portata (oltre che natura di fonte normativa sub legislativa).
11. Concludendo, in accoglimento del ricorso, del regolamento impugnato devono essere annullati specificamente gli artt. 3, 6, co. 2, 7, co. 2, lett. a), 3 e 4, 9, co. 1 e 3, lett. a), e 18.
12. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano, in favore dell’Autorità ricorrente, in complessivi euro 1.500,00, posti a carico della Regione Lazio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima-Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il regolamento impugnato limitatamente alle disposizioni indicate in motivazione.
Condanna la parte resistente al pagamento in favore di quella ricorrente delle spese del giudizio, liquidate come in motivazione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 maggio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Germana Panzironi, Presidente
Italo Volpe, Consigliere, Estensore
Alessandro Tomassetti, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA il 13/06/2016.