A cura dell’Avv. Valentina Taborra
In merito al cosidetto terzo condono, di cui al D.L. n. 269/2003, con la sentenza n. 788/2017 il Consiglio di Stato ha chairito, ancora una volta, la corretta interpretazione dell’art. 32, comma 27 sulla condanabilità delle opere realizzate in area vincolata, ribadendo che l’insistenza dell’intervento in area assoggettata a vincolo paesaggistico non costituisce impedimento automatico al condono; tale circostanza, sempre che non si tratti di un vincolo d’inedificabilità assoluta, postula semplicemente una verifica di compatibilità delle opere con l’esigenza di tutela del paesaggio imposta dallo specifico vincolo, da parte della competente Soprintendenza.
Il citato art. 32 del D.lgs. 269/2003, al comma 27, dispone che “Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora …..siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela….dei beni ambientali e paesistici”.
Proprio gli artt. 32 e 33 della l. 47/1985 costituiscono la clausola di salvezza dell’art. 32 del d.lgs. 269/2003 laddove subordinano il rilascio del condono di opere abusive su aree vincolate al previo parere favorevole dell’Amministrazione preposta a tale tutela.
Il vincolo d’inedificabilità di carattere relativo, infatti, ammette, di per sé, la modificazione del territorio, così che il Comune non può adottare un provvedimento di rigetto del condono sulla sola base dell’esistenza di un vincolo sull’area di specie, ma dovrà preventivamente acquisire il parere dell’Autorità competente sulla compatibilità o meno delle opere abusive rispetto alla tutela del paesaggio che il vincolo implica.
Aggiunge il Giudice che una diversa interpretazione della norma, volta a precludere a priori la condonabilità di opere realizzate su zone protette, finirebbe per privare di qualsiasi effetto ed utilità la clausola di salvezza degli artt. 32 e 33 della l. 47/1985, in violazione dell’art. 1367 c.c. che, in materia di contratti ma applicabile anche alle leggi, sancisce che tra più opzioni interpretative possibili dev’essere preferita quella che consente alla norma di produrre qualche effetto, rispetto alla lettura secondo cui il precetto resterebbe privo di ogni utilità.
N. 00788/2017REG.PROV.COLL.
N. 00109/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 109 del 2016, proposto da:
Mauro Taiuti, rappresentato e difeso dall’avvocato Leonardo Lascialfari C.F. LSCLRD60B25D612Z, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
CONTRO
Comune di Monte Argentario, non costituito in giudizio;
PER LA RIFORMA
della sentenza del T.A.R. TOSCANA – FIRENZE, SEZIONE III, n. 00833/2015, resa tra le parti e concernente un diniego di sanatoria edilizia e un ordine di demolizione di opere abusive.
- Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
- Viste le memorie difensive;
- Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 febbraio 2017 il Cons. Carlo Deodato e udito per la parte appellante l’avvocato Pafundi per delega di Lascialfari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza impugnata il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana respingeva il ricorso proposto dal sig. Mauro Taiuti avverso il provvedimento prot. n.32 in data 27 giugno 2014 con cui il Comune di Monte Argentario gli aveva negato il condono edilizio delle opere di ampliamento e di sistemazione esterna del suo immobile, in una zona soggetta a vincolo paesaggistico, ingiungendone la demolizione, limitandosi ad accoglierlo solo relativamente alla disposizione dell’acquisizione dell’area al patrimonio comunale.
Avverso la predetta decisione proponeva appello il sig. Taiuti, contestando la correttezza del gravato giudizio di legittimità del diniego controverso, insistendo nel sostenere l’invalidità di quest’ultimo e concludendo per il suo annullamento, in riforma della sentenza appellata.
Non si costituiva in giudizio il Comune di Monte Argentario.
Con ordinanza in data 8 aprile 2016 veniva sospesa l’esecutività della sentenza appellata.
L’appello veniva trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 16 febbraio 2017.
DIRITTO
1.- L’appello è fondato, alla stregua delle considerazioni che seguono, e dev’essere accolto.
2.- L’appellante critica, in particolare, con il primo motivo di ricorso, la gravata statuizione reiettiva, per aver erroneamente giudicato corretto il rilievo ostativo, assunto a fondamento del diniego impugnato, della non condonabilità delle opere, siccome realizzate in una zona sottoposta a un vincolo paesaggistico, ancorchè relativo.
2.1- L’assunto merita condivisione.
2.2- Come, infatti, ritenuto da un consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cons. St., sez. VI, 18 maggio 2015, n.2518; sez. IV, 19 maggio 2010, n.3174; sez. VI, 2 marzo 2010, n.1200), dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, il c.d. terzo condono (previsto dall’art.32, comma 27, del d.l. n.269 del 2003 e dall’art.2 della legge regionale della Toscana n.53 del 2004) esige, per quanto qui interessa, ai fini della condonabilità delle opere abusive realizzate in zone sottoposte a vincolo paesaggistico che non implica l’inedificabilità assoluta, il parere favorevole espresso dall’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo.
In altri termini, l’insistenza dell’intervento in un’area protetta da un vincolo paesaggistico relativo non comporta un impedimento automatico del condono, ma postula, al contrario, una verifica di compatibilità delle opere con le esigenze di tutela implicate dal vincolo, che compete all’Autorità incaricata dell’amministrazione del regime di tutela, e non al Comune, che deve provvedere (solo) in via definiva sull’istanza di condono e che resta, quindi, onerato, prima di definire il procedimento, di acquisire il parere della competente Soprintendenza.
Il principio appena enunciato si fonda, in particolare, sul dirimente rilievo che la clausola di salvezza, contenuta nell’art.32, comma 27, del d.l. n.269 del 2003, delle previsioni di cui agli artt.32 e 33 della legge n.47 del 1985 non può che essere decifrata come comprensiva anche del richiamo del precetto che subordina il rilascio del titolo edilizio in sanatoria di opere eseguite su aree vincolate al previo parere favorevole dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo, con conseguente esclusione, quindi, di qualsivoglia automatismo preclusivo connesso all’esistenza di un regime di tutela della zona interessata dagli interventi oggetto del condono.
In coerenza con la conclusione appena raggiunta, la previsione della non sanabilità delle opere realizzate su immobili soggetti a vincolo, di cui all’art.32, comma 27, lett. d) d.l. n.269 del 2003, non può che essere intesa come riferita alle sole ipotesi in cui il regime di protezione implichi l’inedificabilità assoluta dell’area, e non anche ai casi di inedificabilità relativa, in cui, quindi, la indefettibile valutazione della compatibilità dell’intervento edilizio con la disciplina di tutela resta rimessa all’apprezzamento dell’Autorità preposta all’amministrazione del vincolo.
2.3- La diversa esegesi che intende le disposizioni citate come preclusive della condonabilità di opere realizzate su zone protette, a prescindere dal carattere assoluto o relativo del vincolo, dev’essere, in particolare, rifiutata perché finirebbe per privare di qualsivoglia effetto e di ogni utilità la clausola di salvezza degli artt.32 e 33 della legge n.47 del 1985 (per quanto qui interessa), in violazione del canone ermeneutico che preclude un’esegesi che impedisca alla disposizione di produrre ogni effetto.
La predetta regola ermeneutica, espressamente codificata all’art.1367 c.c. per l’interpretazione dei contratti, deve intendersi, infatti, applicabile, per la sua evidente valenza logica e generale, anche all’esegesi delle leggi (Cass. Civ., SS. UU, 5 giugno 2014, n.12644), con la conseguenza che tra più opzioni interpretative possibili dev’essere preferita quella che consente alla norma di produrre qualche effetto, rispetto alla lettura secondo cui il precetto resterebbe privo di ogni utilità.
2.4- La conformità lessicale dell’art.2, comma 5, lett. a) della legge regionale Toscana n.53 del 2004 all’art. 32, comma 27, lett. d) d.l. n.269 del 2003 impedisce, poi, di giungere a conclusioni diverse, avuto riguardo alla disciplina legislativa regionale, con l’avvertenza che la clausola di salvezza degli artt. 32 e 33 della legge n.47 del 1985, contenuta nella sola legge statale, e non replicata in quella regionale, deve intendersi comunque applicabile, in ossequio ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale con la sentenza 28 giugno 2004, n.196, siccome afferente alla disciplina amministrativa fondamentale dell’istituto del condono (che deve, intendersi, come tale, sottratta alle competenze legislative regionali).
2.5- Né l’opzione ermeneutica ut supra preferita può intendersi preclusa dalla necessità di scegliere un’esegesi maggiormente coerente con le esigenze di tutela dei beni e degli interessi che hanno giustificato il vincolo.
Il carattere relativo del vincolo di inedificabilità che è stato ritenuto non ostativo alla sanatoria ammette, infatti, di per sé, la modificazione del territorio, sicchè gli interessi dallo stesso protetti restano, in ogni caso, presidiati dal necessario parere della Soprintendenza, con la conseguenza che la valutazione di compatibilità delle opere abusive con le esigenze di tutela implicate dal vincolo dimostrerebbe la coerenza del condono con le ragioni di quest’ultimo (così come, al contrario, l’avviso negativo precluderebbe la sanatoria degli interventi edilizi confliggenti con il regime di protezione di riferimento).
Gli esiti del percorso interpretativo che precede rimangono, quindi, del tutto coerenti con le ragioni sottese alla previsione di cui all’art. 32, comma 27, lett. d) d.l. n.269 del 2003, nella misura in cui l’impedimento ivi cristallizzato viene riferito ai soli vincoli di inedificabilità assoluta.
2.6- L’affermazione dell’inesistenza di alcun automatismo tra la vigenza di un vicolo paesaggistico relativo e la non sanabilità delle opere abusive realizzate sull’area interessata dal pertinente regime di tutela comporta l’obbligo dell’amministrazione comunale destinataria dell’istanza di condono di acquisire, prima di definire il procedimento, il parere dell’Amministrazione preposta alla tutela del vincolo circa la compatibilità con quest’ultimo dell’intervento edilizio considerato.
2.7- Ne consegue che il provvedimento negativo assunto dal Comune di Monte Argentario, in difetto della previa acquisizione della valutazione, da parte della Soprintendenza di Siena, della compatibilità paesaggistica delle opere realizzate dal ricorrente con il vincolo paesaggistico, che, nella specie, non comportava l’inedificabilità assoluta nell’area protetta, resta, quindi, inficiato dal vizio di violazione del combinato disposto degli artt. 32, comma 27, del d.l. n.269 del 2003, 32 e 33 della legge n.47 del 1985 e 2 della legge regionale della Toscana n.53 del 2004, per come sopra interpretati.
3.- Proseguendo nello scrutinio delle censure dedotte a sostegno dell’appello, si deve rilevare la fondatezza anche del secondo motivo, con cui si ribadisce l’illegittimità del diniego di condono, siccome carente di adeguato riscontro alle osservazioni con cui l’interessato, in risposta al preavviso di rigetto ritualmente comunicatogli, aveva sostenuto la conformità urbanistica delle opere oggetto della sanatoria.
3.1- Occorre premettere, al riguardo, che un’applicazione corretta dell’art.10-bis della legge n.241 del 1990 esige, non solo che l’Amministrazione enunci compiutamente nel preavviso di provvedimento negativo le ragioni che intende assumere a fondamento del diniego, ma anche che le integri, nella determinazione conclusiva (ovviamente, se ancora negativa), con le argomentazioni finalizzate a confutare la fondatezza delle osservazioni formulate dall’interessato nell’ambito del contraddittorio predecisorio attivato dall’adempimento procedurale in questione (Cons. St., sez. I, 25 marzo 2015, n.80).
Solo il modus procedendi appena descritto, infatti, permette che la disposizione di riferimento assolva la sua funzione di consentire un effettivo ed utile confronto dialettico con l’interessato prima della formalizzazione dell’atto negativo, evitando che si traduca in un inutile e sterile adempimento formale.
3.2- In coerenza con il paradigma appena indicato, appare, allora, agevole rilevare l’illegittimità del diniego di condono impugnato, anche perché adottato in difetto di alcun riscontro (se non con un’inutile formula di stile) alle osservazioni con cui l’interessato aveva segnalato al Comune la propria qualità di imprenditore agricolo, quale condizione legittimante il rilascio del titolo edilizio in sanatoria, e la conformità delle opere di sistemazione esterna all’art.14 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune d Monte Argentario del 1985, indicato come strumento urbanistico di riferimento.
4.- Occorre, ancora, chiarire che il giudizio di illegittimità del diniego di condono comporta il duplice effetto conformativo dell’obbligo del Comune di acquisire il parere della Soprintendenza di Siena circa la compatibilità delle opere oggetto dell’istanza di condono con il vincolo paesaggistico gravante sulla zona e di esaminare le osservazioni trasmesse dal sig. Taiuti in riscontro del preavviso di rigetto e intese a dimostrare la conformità degli interventi di cui ha chiesto la sanatoria con il regime urbanistico allora vigente.
5.- Alle considerazioni che precedono conseguono, in definitiva, l’accoglimento dell’appello e, in riforma della decisione impugnata e in accoglimento del ricorso di primo grado, l’annullamento del provvedimento del Comune di Monte Argentario prot. n.32 in data 27 giugno 2014.
6.- Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento con esso impugnato. Condanna il Comune di Monte Argentario a rifondere al ricorrente le spese di entrambi i gradi di giudizio, che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre IVA e CAP, come per legge dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:
- Luciano Barra Caracciolo, Presidente
- Carlo Deodato, Consigliere, Estensore
- Marco Buricelli, Consigliere
- Oreste Mario Caputo, Consigliere
- Dario Simeoli, Consiglier