A cura dell’avv. Gaetano Pecoraro
Il 20 maggio 2014 la III Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione, con ordinanza n. 20636 che oggi pubblichiamo, ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di costituzionalità dell’art. 44 comma 2 d.P.R. 380/2001, che impone la confisca obbligatoria del terreni con la sentenza definitiva di accertamento dell’intervenuta lottizzazione abusiva.
Il dubbio attiene all’applicabilità di tale sanzione nell’ipotesi in cui il reato, benché configurato in tutti i suoi elementi, sia stato dichiarato estinto per prescrizione.
Sulla corretta interpretazione di tale norma, si sono confrontate diverse Corti, nazionali ed internazionali, e la Cassazione, muovendo dalla sentenza del 20 maggio 2009 emessa dalla corte europea dei diritti dell’uomo sulla vicenda Punta Perotti di Bari, e dalla sentenza della medesima CEDU del 29 ottobre 2013 nel caso Varvara, non condividendone i contenuti, ha ritenuto non più procrastinabile un autorevole intervento del Giudice delle Leggi, perché chiarisca se la confisca prevista dall’art. 44 comma 2 d.P.R. 380/2001 debba applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi, per violazione degli artt. 2, 9, 32, 41 e 42 Cost., art. 117 Cost., comma 1.
Per gli Ermellini, cioè, ai beni giuridici tutelati da tali ultime norme costituzionali (paesaggio, ambiente, vita e salute), in quanto oggettivamente fondamentali, andrebbe riconosciuta prevalenza nel bilanciamento con il diritto di proprietà, laddove invece la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva ritenuto l’opposto, osservando nella vicenda Punta Perotti che, a seguito dell’intervuta assoluzione degli imputati, la confisca inflitta dovesse considerarsi arbitraria, e conseguentemente essa si risolveva in un’arbitraria ingerenza dello Stato nel diritto al rispetto dei beni, in violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 che così recita
Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale (…).
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza qui pubblicati, ha invece ritenuto che la lottizzazione abusiva incida anche su altri beni costituzionalmente protetti, non solo sul diritto di proprietà, e rinvenendo un conflitto tra di essi, non ha potuto che inviare gli atti alla Consulta.
Non appena si conoscerà il pronunciamento della Corte Costituzionale, provvederemo a darne notizia.
Pubblichiamo la ordinanza della Corte Suprema di Cassazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte Suprema di Cassazione Sezione Terza Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
- Dott. MANNINO Saverio Felice – Presidente
- Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere
- Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere
- Dott. ACETO Aldo – Consigliere
- Dott. ACETO Aldo – Consigliere
- Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere
HA PRONUNCIATO LA PRESENTE
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: PARTI CIVILI: A.E. + ALTRI OMESSI ; G.C. N. IL (OMISSIS); C.C. N. IL (OMISSIS); L.C. N. IL (OMISSIS); avverso la sentenza n. 6963/2011 CORTE APPELLO di ROMA, del 09/05/2012; visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/04/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSIO SCARCELLA; Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D’AMBROSIO Vito, che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi; Udito, per la parte civile, l’Avv. M. Franco, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; Uditi i difensori avv. G. Fusco (in sost. dell’avv. M. Mansutti per G.C.), L. A. Melegari (in sost. dell’avv. C. A. Melegari per C.C.), R. Borgogno per ( L.C.), A. Argante per ( D.V.) e A. Fiore per ( S. S.), che hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. G.C., C.C., L.C., D. V. e S.S. – unitamente all’avv. M. Franco, nell’interesse sia dei promissari acquirenti che degli acquirenti di alcuni degli immobili facenti parte del “Villaggio del parco” di (OMISSIS), costituitisi parti civili nel processo a quo – hanno proposto ricorso, a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari cassazionisti, avverso la sentenza della Corte d’appello di ROMA, emessa in data 9/05/2012, depositata in data 6/07/2012, con cui, in parziale riforma della sentenza emessa dal tribunale di LATINA, in data 26/01/2010, è stato dichiarato non doversi procedere nei confronti di G.C., D.V. e S. S. per i reati loro ascritti; veniva, invece, confermata sia l’assoluzione per insussistenza del fatto di S.S. per il reato sub d) nonchè la condanna di C.C. e L. C. (rinuncianti espressamente alla prescrizione) alla pena sospesa di anni due di reclusione ciascuno, alle pene accessorie di legge per i reati loro ascritti, alla restituzione delle somme versate in esecuzione dei contratti in essere (rimettendo le parti dinanzi al giudice civile per la liquidazione delle spese), oltre alla confisca degli immobili e dei terreni sequestrati e con rigetto delle richieste di risarcimento del danno avanzate dalle pp.cc..
Nello specifico, le imputazioni per la Confisca degli immobili abusivamente lottizzati riguardano, precisamente, i predetti nelle seguenti qualità:
1) L.C., nella qualità di amministratore unico della Petrarca Costruzione S.r.l., proprietaria dei terreni descritti nel capo di imputazione che segue;
2) C.C., quale procuratore speciale e amministratore di fatto della predetta società, committente e direttore dei lavori;
3) G.C., nella qualità di responsabile pro tempore del settore urbanistica – assetto del territorio – demanio marittimo del Comune di (OMISSIS), sottoscrittore della convenzione per l’attuazione del progetto relativo ad una struttura ricettiva per anziani (Delib. Consiglio Comunale 22 aprile 2004, n. 30 avente per oggetto: riconvenzionamento della società Petrarca Costruzioni S.r.l. per la realizzazione di una struttura per anziani.
Approvazione nuovo schema di convenzione) e del provvedimento n.23 del 16.08.2004 (determina di annullamento della convenzione stipulata in data 13.3.2002 con atto rep. 1392 e riconvenzionamento della società Petrarca Costruzioni s.r.l. per la realizzazione di una struttura per anziani, secondo lo schema di convenzione allegato alla Delib. Consiglio Comunale 22 aprile 2004, n. 30), nonchè firmatario dei permessi a costruire nn. 155 del 30.09.2004, 254 e 255 del 4.05.2005, palesemente illegittimi, in favore di L.C. n.q. di cui sopra per la realizzazione di un centro servizi e unità abitative condominiali con relativa sanatoria d’ufficio dei lavori di fondazione ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 38 eseguiti prima del rilascio del titolo ed accertati dal Corpo Forestale dello Stato di Terracina, riconvenzionamento in contrasto con la variante al PRG del Comune approvata dalla Regione Lazio con la Delib.
Regionale 16 giugno 1998, n. 2651 e con il piano di lottizzazione con la nota n. 11249 della Regione Lazio del 12.10.2000, nonchè permessi a costruire in contrasto con il piano di lottizzazione già approvato il 5.07.2000 dal Consiglio comunale di (OMISSIS), disattendendo la nota n. 11249 della Regione Lazio del 12.10.2000 la quale stabiliva che nello schema di convenzione di cui alla DCC n. 23 del 5.07.2000 doveva essere vietata l’alienazione delle singole unità immobiliari e prevista la gestione unitaria del complesso;
4) D.V.P., n.q. di capo area dei Lavori Pubblici del Comune di (OMISSIS), sottoscrittore del parere tecnico allegato alla Delib. Consiglio Comunale 22 aprile 2004, n. 30 con cui veniva determinato il già citato riconvenzionamento in favore della suddetta società;
5) S.S., n.q. di sindaco pro tempore del Comune di (OMISSIS) al momento della D.C.C. n. 30 del 22.04.2004 con cui veniva approvato il riconvenzionamento meglio descritto in premessa, riconvenzionamento in contrasto con la variante al PRG del Comune approvata dalla Regione Lazio con Delib. Regionale 16 giugno 1998, n. 2651 e con il piano di lottizzazione con la nota n. 11249 della Regione Lazio del 12.10.2000, provvedimenti questi ultimi adottati quando lo stesso ricopriva la carica di assessore all’urbanistica del citato Comune e quindi dallo stesso istituzionalmente conosciuti.
I reati per cui è intervenuta pronuncia di proscioglimento per estinzione dei reati per prescrizione (e di condanna per L. C. e C.C., rinuncianti alla prescrizione), sono i seguenti:
I. capo a):
artt. 110 e 323 c.p. (contestato come commesso in (OMISSIS) – settembre 2004 e maggio 2005 in ordine all’epoca del rilascio dei permessi a costruire), perchè, in concorso tra loro, in violazione degli strumenti urbanistici vigenti nel Comune di (OMISSIS) (in particolare in violazione della DGR del 29.08.1998 – variante al PRG;
del DCC n. 23 del 5.07.2000 e nota n. 11249 del 12.10.2000 della Regione Lazio) e della L.R. n. 11/76, modificata dalla L.R n. 38 del 1996, della DGR n. 6078/99 e L.R. n. 41 del 2003) realizzavano la lottizzazione denominata “Villaggio del Parco” sopra le particelle catastali meglio descritte nel capo che segue, mediante la stipulazione della D.C.C. n. 30 del 22.04.2004 e della determinazione n. 23 del 16.08.2004, lottizzazione costituita da n. 285 unità abitative in luogo di un complesso di case albergo per anziani (soggetto al vincolo di destinazione per finalità sociali), lottizzazione in contrasto segnatamente con la variante al PRG approvata dalla Regione Lazio con D.R. n. 2651 dal 16.06.1998 e con il piano di lottizzazione approvato con Delib. C.C. 5 luglio 2000, n. 23 (avente per oggetto una struttura ricettiva per anziani del tipo casa albergo, caratterizzata da un complesso di appartamenti minimi predisposti per coppie di coniugi ed anziani, provvista di servizi sia autonomi che centralizzati), lottizzazione in cui veniva prevista, in spregio al vincolo di destinazione, l’alienazione delle singole unità immobiliari in regime di libero mercato, Delib. C.C. 22 aprile 2004, n. 30 e Delib. determinazione 16 agosto 2004, n. 23 illegittime e illecite in quanto in contrasto con i citati strumenti urbanistici, intenzionalmente procurando un ingiusto vantaggio alla società Petrarca Costruzioni s.r.l., proprietaria dei terreni, e ai suoi amministratori e soci.
II. capo b):
art. 110 c.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) (contestato come commesso in (OMISSIS) fino al marzo 2006) perchè, in concorso tra loro, nelle qualità di cui sopra e con le condotte meglio descritte al capo che precede, sopra un’area distinta al foglio n. 24 del catasto terreni-particelle 11/a, 13 parte, 16, 17, 23 parte e 18 concorrevano a realizzare la lottizzazione denominata “Villaggio del Parco”, costituita da 285 unita abitative in luogo di un complesso di case – albergo per anziani (soggetto al vincolo di destinazione per finalità sociali), parte delle quali già compiutamente realizzate, lottizzazione in contrasto con gli strumenti urbanistici e con le normative nazionali e regionali di cui al precedente capo e avente ad oggetto una struttura ricettiva per anziani del tipo casa – albergo, caratterizzata da un complesso di appartamenti minimi predisposti per coppie di coniugi ed anziani, autosufficienti, provvista di servizi sia autonomi che centralizzati, lottizzazione approvata di fatto con Delib. 22 aprile 2004, n. 30 del comune di (OMISSIS) in cui veniva prevista, in spregio al vincolo di destinazione, di cui alla citata normativa, l’alienazione delle singole unità immobiliari in regime di libero mercato per la Confisca degli immobili abusivamente lottizzati.
III. capo c):
art. 110 c.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) (contestato come commesso in (OMISSIS) fino al marzo 2006) perchè, in concorso tra loro, nelle qualità e con le condotte descritte in precedenza, realizzavano n. 285 unità abitative mediante il rilascio dei permessi citati, palesemente illegittimi ed illeciti per contrasto con gli strumenti urbanistici e con le normative nazionali regionali di cui ai precedenti capi.
2. Con il ricorso di G.C. vengono dedotti cinque motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), con riferimento agli artt. 110 e 323 c.p. nonchè D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 546, comma 1, lett. e) e art. 107, comma 3, lett. c), – nullità della sentenza impugnata.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) e con riferimento all’art. 323 c.p. – insussistenza dell’elemento oggettivo e psicologico del reato.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), con riferimento all’art. 323 c.p., e artt. 522 e 597 c.p.p..
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b), inosservanza e/o erronea applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), nonchè art. 42 c.p. nonchè il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza di motivazione in ordine agli elementi oggettivi e soggettivi del reato di lottizzazione.
2.5. Deduce, infine, con il quinto motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) per inosservanza o errata applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), nonchè il vizio previsto dall’art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza di motivazione in ordine al reato di contravvenzione urbanistica.
3. Con il ricorso di S.S. vengono dedotti due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
3.1. Deduce, con il primo motivo, la nullità della sentenza per violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b) e c), in relazione agli artt. 110 e 323 c.p. e all’art. 522 c.p.p..
3.2. Deduce, con il secondo motivo, la nullità dell’impugnata sentenza per violazione di legge e difetto di motivazione con riferimento al D.Lgs. n. 274 del 2000 e al D.Lgs. n. 165 del 2001.
4. Con il ricorso di D.V. vengono dedotti sei motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
4.1. Deduce, con il primo motivo:
a) la carenza di penale responsabilità in capo all’ing. D. V. rilevabile all’evidenza e per tabulas;
b) la nullità insanabile dell’ordinanza 12-4-2012 per assoluto difetto di motivazione, nonchè della medesima ordinanza e della sentenza per violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per violazione dell’art. 129 c.p.p. e dell’art. 521 c.p.p., in una a manifeste contraddizioni ed illogicità risultanti sia dal testo della sentenza, sia da altri atti del processo.
4.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), per manifeste contraddizioni ed illogicità risultanti sia dal testo della sentenza, sia da altri atti del processo.
4.3. Deduce, con il terzo motivo:
a) il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per inosservanza ed erronea applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 in relazione al preteso difetto di motivazione della Delib.
consiliare n. 30 del 2004;
b) il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. c), in relazione all’art. 533 c.p.p., comma 1.
4.4. Deduce, con il quarto motivo:
a) il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. c) in relazione agli artt. 521, 522 e 597 c.p.p.;
b) il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) in relazione all’art. 323;
c) il vizio di motivazione incoerente.
4.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per in relazione all’elemento soggettivo previsto dall’art. 323 c.p..
4.6. Deduce, con il sesto ed ultimo motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. d), in relazione all’omessa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
5. Con il ricorso di C.C. vengono dedotti otto motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
5.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. c), per inosservanza degli artt. 521 e 597 c.p.p.:
l’alveo cognitivo e decisionale del giudicante in relazione ai capi di imputazione, alla sentenza di primo grado ed ai motivi di appello.
In sintesi, vi sarebbe violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto l’originaria imputazione non aveva contestato l’illegittimità degli atti amministrativi per vizi di motivazione; la Corte d’appello avrebbe dovuto quindi solo valutare i vizi afferenti l’illegittimità delle delibere n. 23/2004 e 30/2004, come imposto dall’art. 597 c.p.p., mentre ha valutato la pretesa illegittimità della procedura amministrativa derivante dalle modifiche alla convenzione stipulata dalla società Petrarca s.r.l. riguardante l’alienabilità delle singole unità immobiliari per la Confisca degli immobili abusivamente lottizzati.
5.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 323 c.p.: elemento oggettivo del reato.
5.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 323 c.p. nonchè il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), per manifesta illogicità della motivazione quanto alla scelta di destinare gli alloggi per anziani per mezzo di usufrutto e non dell’obbligo di proprietà.
5.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza e/o erronea interpretazione dell’art. 323 c.p.: insussistenza dell’elemento psicologico.
5.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza e/o erronea interpretazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), nonchè il vizio previsto dall’art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza di motivazione in ordine al reato di lottizzazione.
5.6. Deduce, con il sesto motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza e/o errata interpretazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), e art. 42 c.p., nonchè il vizio previsto dall’art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza di motivazione in ordine all’elemento psicologico del reato di lottizzazione abusiva.
5.7. Deduce, con il settimo motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza o errata interpretazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), nonchè il vizio previsto dall’art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza di motivazione in ordine al reato di contravvenzione urbanistica.
5.8. Deduce, con l’ottavo ed ultimo motivo, il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza e/o errata applicazione dell’art. 110 c.p. nonchè il vizio previsto dall’art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza della motivazione in tema di concorso del ricorrente.
6. Con il ricorso di L.C. vengono dedotti sette motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
6.1. Deduce, con il primo motivo, la nullità della sentenza impugnata, con riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. c), per violazione del combinato disposto dell’art. 121 c.p.p. e art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c), e art. 546 c.p.p., non essendo state prese neanche parzialmente in considerazione le argomentazioni difensive esposte in una memoria difensiva contestualmente alla discussione.
6.2. Deduce, con il secondo motivo, la violazione dell’art. 603 c.p.p. nonchè carenza di motivazione, con riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione al mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale.
6.3. Deduce, con il terzo motivo, la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) e c), e art. 110 c.p. nonchè carenza e illogicità manifesta della motivazione risultante dal testo stesso del provvedimento impugnato, con riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione alla mancata assoluzione dell’imputata dai reati edilizi a lei contestati con la formula “perchè il fatto non sussiste” o “perchè il fatto non costituisce reato”.
6.4. Deduce, con il quarto motivo, la violazione degli artt. 110 e 323 c.p. nonchè carenza e illogicità manifesta della motivazione risultante dal testo stesso della sentenza impugnata, con riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione alla mancata assoluzione dell’imputata dal reato di abuso d’ufficio a lei ascritto con la formula “perchè il fatto non sussiste” o “perchè il fatto non costituisce reato”.
6.5. Deduce, con il quinto motivo, la violazione degli artt. 110 e 323 c.p. nonchè carenza assoluta della motivazione risultante dal testo stesso del provvedimento impugnato, con riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione all’intervenuta condanna della L.C. per concorso nei reati descritti nell’imputazione, senza nessun approfondimento del ruolo da lei ricoperto in ambito societario.
6.6. Deduce, con il sesto motivo, la violazione degli artt. 62 bis e 133 c.p., nonchè carenza assoluta della motivazione risultante dal testo stesso del provvedimento impugnato, con riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in merito alla mancata concessione all’imputata delle attenuanti generiche e alla violazione dei criteri di quantificazione della pena.
6.7. Deduce, con il settimo motivo, la violazione dell’art. 185 c.p. nonchè carenza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo stesso del provvedimento impugnato, con riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione all’intervenuta condanna dell’imputata alla restituzione nei confronti della costituita parte civile.
7. Con atto tempestivamente depositato presso la cancelleria di questa Corte nell’interesse di L.C., è stato dedotto un ulteriore due motivo aggiunto, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p. p..
7.1. Deduce, con tale motivo aggiunto, in relazione al secondo motivo di ricorso (v., supra, 6.2.), ulteriori questioni afferenti, da un lato, alla legittimità o meno della D.C.C. di (OMISSIS) del 22/04/2004 e dei successivi atti amministrativi posti in essere in sua attuazione e, dall’altro, alla configurabilità o meno, nel caso in esame, del reato di lottizzazione abusiva cd. negoziale di cui al T.U. edilizia, artt. 30 e 44.
8. Con il ricorso proposto nell’interesse di n. 107 promissari acquirenti degli immobili facenti parte del “Villaggio del parco” di (OMISSIS), costituitisi parti civili nel processo a quo, l’avv. M. Franco deduce un unico, articolato, motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
8.1. Deduce, con tale unico, articolato, motivo, la nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, dell’art. 185 c.p. e degli artt. 538, 539 e 541 c.p.p.; nonchè la nullità della sentenza ex art. 606 c.p.p., lett. e), per illogicità e mancanza della motivazione oltre che travisamento del fatto.
9. In data 11 aprile 2014, il ricorrente G.C. ha depositato presso la cancelleria di questa Corte una memoria ex art. 121 c.p.p. in cui evidenzia alcuni aspetti rilevanti a giustificazione del proprio operato, analizzando l’iter procedimentale relativo ai fatti contestati.
10. In data 11 aprile 2014, il ricorrente C.C. ha depositato presso la cancelleria di questa Corte una memoria ex art. 121 c.p.p., con cui ha:
a) dichiarato di revocare la rinuncia alla prescrizione;
b) chiesto, in subordine alla richiesta di Cassazione dell’impugnata sentenza per i motivi esplicitati nel ricorso introduttivo, annullarsi l’impugnata sentenza per intervenuta prescrizione, con conseguente revoca della confisca disposta D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 44.
11. In data 11 aprile 2014, la ricorrente L.C. ha depositato presso la cancelleria di questa Corte una memoria ex art. 121 c.p.p., con cui ha:
a) dichiarato di revocare la rinuncia alla prescrizione;
b) chiesto, in subordine alla richiesta di Cassazione dell’impugnata sentenza per i motivi esplicitati nel ricorso introduttivo, annullarsi l’impugnata sentenza per intervenuta prescrizione, con conseguente revoca della confisca disposta D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 44.
Motivi della decisione
12. Ritiene, anzitutto, il Collegio debba essere valutata preliminarmente la richiesta, comune a tutte le parti ricorrenti, relativa alla adozione di pronuncia ampiamente liberatoria da parte della Suprema Corte (annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza per insussistenza del fatto o perché il fatto non costituisce reato) alla luce delle considerazioni sviluppate da ciascuna delle parti ricorrenti nei separati ricorsi ed oggetto di specifica puntualizzazione in sede di discussione.
Il nucleo essenziale, comune ai ricorsi, è costituito dalla censura mossa all’impugnata sentenza (ed a quella di primo grado, confermativa della prospettazione accusatoria), secondo cui non sussisterebbero elementi probatori sicuri per ritenere configurabili gli elementi oggettivi e soggettivi dei reati in questione (abuso d’ufficio, lottizzazione abusiva e costruzione edilizia abusiva). In questo senso, in estrema sintesi, la difesa dei ricorrenti ha evidenziato alcuni profili che, nell’ottica difensiva, escluderebbero in nuce la configurabilità degli illeciti in questione:
a) quanto al delitto di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), il reato non sarebbe configurabile in caso di eccesso di potere, salvo che non sia possibile accertare l’esistenza dell’abnormità dell’atto amministrativo impugnato e, quanto all’elemento psicologico (dolo), la sentenza sarebbe censurabile per averlo desunto da elementi inidonei ed insufficienti per considerarlo sussistente; gli atti contestati come illegittimi in realtà non sarebbero tali, in quanto, ad esempio, il vincolo di destinazione d’uso (v. artt. 15 e 16 della Convenzione) riguardava chi sarebbe andato ad occupare l’alloggio e non il proprietario; la violazione di uno degli obblighi avrebbe comportato, in virtù di un’espressa previsione contenuta nell’atto amministrativo asseritamente illegittimo, l’acquisizione al Comune della proprietà dell’area; la stessa Regione Lazio con la nota prot. 100940 del 15/07/2004 avrebbe confermato la legittimità del nuovo schema di Convenzione di cui alla Delib. 22 aprile 2004, n. 30 quanto alla destinazione d’uso dell’edificio da realizzarsi come struttura per anziani; non sarebbe stato chiaro, sin dall’inizio, quale sia la violazione di legge realmente contestata ai ricorrenti; b) quanto, poi, al reato di lottizzazione abusiva (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) non vi sarebbero gli estremi per ritenerlo configurabile, in assenza di elementi probatori certi per ritenere che, con la convenzione “novellata” si sia operata un’illegittima trasformazione della destinazione urbanistica di zona da servizi e residenziale, con contestuale modifica della finalità socio assistenziale dell’intervento edificatorio in questione.
Quanto, poi, alle singole posizioni soggettive con riferimento alle condotte ascritte ai pubblici ufficiali, le difese Argante, G. C. e S.S. hanno evidenziato come i loro assistiti fossero estranei alle violazioni ipotizzate (in particolare: a) il D.V. in quanto subentrante nell’incarico appena un mese e mezzo prima della Delib. n. 30 del 2004, perdipiù essendosi limitato ad esprimere un parere di regolarità tecnica, provvedendo ad inviare la Delib. alla regione Lazio che poi procede alla verifica positiva della conformità dell’atto, sicchè il parere positivo dell’organo di controllo ne confermerebbe la regolarità; b) quanto al G.C., egli sarebbe entrato a far parte del Comune di (OMISSIS) nel luglio 2004 quando ormai tutti gli atti sarebbero già stati adottati, essendosi limitato soltanto a dare esecuzione a quanto deliberato, donde non vi sarebbero elementi per configurarne la responsabilità per i reati ascrittigli; c) quanto, infine, allo S.S., la sua estraneità ai fatti addebitati deriverebbe dalla circostanza per la quale fu proprio lui, in sede di consiglio comunale, a chiedere che la Delib. n. 30 del 2004 venisse trasmessa alla regione Lazio per la verifica di conformità e, comunque, quale Sindaco, non avrebbe svolto alcun atto salvo che votare al pari di qualsiasi altro consigliere comunale).
Infine, per quanto concerne la difesa delle parti civili costituite, premesso che le posizioni vanno differenziate in quanto delle 107 parti civili costituite, almeno per quindici di esse si pone il problema della confiscabilità degli immobili, attesa l’intervenuta stipula degli atti notarili di acquisto degli immobili con conseguente trasferimento della proprietà, sicchè – ove si confermasse il decisum di merito – gli stessi verrebbero ingiustamente privati della proprietà degli immobili, essendo sicuramente qualificabili come terzi di buona fede rispetto all’illecito lottizzatorio, tanto da essersi costituiti parti civili nei confronti dei pubblici amministratori e dei titolari della società costruttrice degli immobili.
13. Ritiene, tuttavia per la Confisca degli immobili abusivamente lottizzati, il Collegio corretta la prospettazione del Procuratore generale di Udienza, che ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte circa le condizioni previste per poter, in sede di legittimità, pronunciare l’annullamento dell’impugnata sentenza che abbia dichiarato l’estinzione di tutti i reati per prescrizione quantomeno, con riferimento, nel caso in esame, ai pubblici ufficiali. Perchè, infatti, sia possibile accedere ad una formula ampiamente liberatoria da parte di questa Corte, secondo l’autorevole insegnamento delle Sezioni Unite, sono necessarie alcune condizioni.
In particolare, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2 soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di “constatazione”, ossia di percezione “ictu oculi”, che a quello di “apprezzamento” e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 – dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244274). Ciò significa, in altri termini – come è stato correttamente chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. 4^, n. 23680 del 07/05/2013 – dep. 31/05/2013, Rizzo e altro, Rv. 256202), successiva all’autorevole arresto del Massimo Consesso di questa Corte -, che la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per intervenuta prescrizione soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico dell’imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza, e non anche nel caso di mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze.
13.1. E questo non è certamente, il caso in esame.
Ed infatti, non può dirsi che dagli atti emerga l’assoluta assenza della prova di colpevolezza a carico di ciascun imputato ovvero la prova positiva della sua innocenza.
Sul punto è bene richiamare quanto emerso, al fine di meglio lumeggiare l’approdo di questo Collegio. In estrema sintesi ciò risulta dalle tappe amministrative che hanno condotto alla contestazione dei reati in questione: a) il Comune di (OMISSIS) deliberava con Delib. CC n. 36 del 1994 resa in variante al PRG, consistente in un cambio di destinazione d’uso da area rurale ad area per la realizzazione di un centro per anziani, al fine di attuare le finalità di pubblica utilità individuate; la trasformazione di un terreno agricolo in area destinata alla realizzazione di una struttura ricettiva per anziani era conforme all’utilità pubblica da realizzare strutture socio-assistenziali ed, in tale ottica, la Regione Lazio, con DGR n. 2651 del 126/06/1998, approvava la variante al PRG; b) successivamente, in conformità alla DGR n. 2651/98 di approvazione della variante, il Comune di (OMISSIS) approvava un primo piano di lottizzazione ed il relativo schema di convenzione (parte integrante del deliberato) che si fondavano sui presupposti, da un lato, della gestione unitaria della struttura ricettiva per anziani secondo le modalità della casa-albergo e, dall’altro, del divieto di alienazione delle singole unità immobiliari; scopo di tale prescrizione era quello di mantenere la vocazione di struttura socio – assistenziale, vocazione che poteva essere realizzata solo rispettando la variante al PRG da agricola a servizi;
c) in un secondo momento, l’amministrazione comunale approvava (Delib. CC n. 30 del 2004) un nuovo schema di convenzione (parte integrante del deliberato), in cui veniva trasformata la struttura ricettiva da casa – albergo a residenza per anziani e veniva meno il vincolo di inalienabilità delle singole unità immobiliari imposto dalla regione ai sensi della L.R. n. 36 del 1987, art. 2.
In sostanza, con la Delib. n. 30 del 2004, si è trasformata la struttura ricettiva assistenziale per anziani da struttura a servizi, coerente con le indicazioni stabilite dalla Regione Lazio all’atto dell’approvazione della variante urbanistica del PRG, a residenziale.
Dunque, con il piano di lottizzazione ed il nuovo schema di convenzione, l’amministrazione comunale ha aggirato l’ostacolo della destinazione di zona a servizi, prevista dalla variante al PRG e dei vincoli imposti alla Regione Lazio in sede di accertamento di conformità, consentendo un intervento edificatorio di tipo strettamente residenziale, senza alcun carattere socio- assistenziale e, quindi, di servizi. Di fatto, pertanto, tale variante ha comportato una variante al PRG, trasformando una zona destinata a servizi in una di tipo residenziale; la trasformazione della destinazione urbanistica della zona è stata attuata mediante una procedura irrituale, ossia utilizzando uno strumento attuativo, qual è il piano di lottizzazione, ed uno strumento civilistico, qual è la convenzione.
Si evidenzia quindi che, oltre la sostanziale illegittimità con cui si è operata la variante urbanistica, la diversa destinazione della zona da servizi e residenziale si è ottenuta anche attraverso una modifica non consentita della finalità socio-assistenziale. Ne consegue, dunque, che la fasi procedurali seguite dal Comune di (OMISSIS) hanno determinato la realizzazione di un intervento edificatorio analogo all’edilizia tipica residenziale delle zone omogenee C di espansione; nel caso di specie, peraltro, non può neanche farsi riferimento alla tipologia della “casa-albergo”, trattandosi di una struttura residenziale per anziani. Ed infatti, la L.R. Lazio 12 dicembre 2003, n. 41 prevede come requisiti per dette case-albergo: a) la fornitura di servizi sia autonomi che centralizzati; b) l’accoglienza di non più di 80 anziani. E’ evidente che, nel caso in esame, nessuna delle due condizioni risulta rispettata e il mancato rispetto di tali condizioni si inquadra nella più ampia volontà di non realizzare una struttura di tipo residenziale, adeguandosi pertanto all’illegittima trasformazione dell’area da servizi e residenziale e alla contestuale variazione della struttura, nata con destinazione socio-assistenziale, e trasformatasi in residenziale. Pertanto, ne discende, da un lato, l’illegittima ed arbitraria trasformazione di un’area da servizi a residenziale, realizzando di fatto una vera e propria variante di tipo urbanistico e, dall’altro, il venir meno della finalità socio- assistenziale della struttura realizzata in violazione della DGR n. 2651/98. In conclusione, da un punto di vista oggettivo, emerge che il Comune di (OMISSIS) con l’approvazione del nuovo schema di lottizzazione convenzionata allegato alla Delib. n. 30 del 2004, ha consentito la realizzazione di un intervento edificatorio in piano contrasto sia con la variante al PRG sia con la finalità di utilità pubblica individuate dalla stessa amministrazione comunale, e, cioè, quella di creare strutture socio – assistenziali per anziani, consentendo, di fatto, la realizzazione di edifici che, per natura giuridica e tipologia possono qualificarsi come residenziali.
E’, quindi, corretto l’inquadramento giuridico delle decisioni di merito che hanno ritenuto configurata, nel caso in esame, la realizzazione di un vero e proprio complesso residenziale in contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico, ciò che pacificamente integra la violazione del combinato disposto del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 1, e art. 44, lett. c). Sul punto, infatti, la giurisprudenza di questa Sezione è assolutamente consolidata essendosi, peraltro, giunti ad affermare che il reato di lottizzazione abusiva è configurabile anche in presenza dell’autorizzazione della P.A., nel caso in cui quest’ultima contrasti con gli strumenti urbanistici vigenti (precisandosi in motivazione che il giudice, ove ravvisi tale contrasto, può accertare l’abusività dell’intervento prescindendo da qualunque giudizio sull’autorizzazione, senza necessità di operare alcuna disapplicazione del provvedimento amministrativo: Sez. 3^, n. 618 del 20/09/2011 – dep. 12/01/2012, Chifari e altri, Rv. 251878). E’, quindi, evidente che, con riferimento all’illecito lottizzatorio, non sussisterebbero le condizioni per poter accedere alla richiesta difensiva di adozione della pronuncia ampiamente liberatoria, l’unica che, secondo la citata giurisprudenza, da un lato, consentirebbe la prevalenza della formula di proscioglimento nel merito rispetto alla declaratoria di estinzione per prescrizione e, dall’altro, di evitare la confisca dell’area, atteso che – come più volte affermato da questa Sezione (Sez. 3^, n. 9982 del 21/11/2007 – dep. 05/03/2008, Quattrone, Rv. 238984) – l’obbligatorietà della confisca del terreno abusivamente lottizzato e delle opere sullo stesso abusivamente costruite consegue all’accertamento giudiziale della sussistenza del reato di lottizzazione abusiva indipendentemente da una pronuncia di condanna, salvo il caso di assoluzione per insussistenza del fatto, circostanza che, come visto, non ricorre nel caso in esame.
Nè avrebbe, si noti, rilievo la questione dell’asserita assenza di volontà colpevole dei ricorrenti con riferimento all’illecito lottizzatorio, atteso che è pacifico che il reato di lottizzazione abusiva – che è a consumazione alternativa, potendosi realizzare sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici -, può essere integrato anche a titolo di sola colpa (principio affermato in relazione ad una fattispecie di acquisto, come autonome residenze private, di unità immobiliari facenti parte di complesso turistico – alberghiero: Sez. 3^, n. 17865 del 17/03/2009 – dep. 29/04/2009, P.M. in proc. Quarta e altri, Rv. 243750).
Rimarrebbero, dunque, da valutare sia la configurabilità del delitto di abuso d’ufficio che quello di costruzione edilizia abusiva. Quanto a quest’ultimo, pacifica l’ammissibilità di un concorso materiale tra l’art. 44, lett. b) ed il reato di lottizzazione abusiva, previsto dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 1, lett. c), (Sez. 3^, n. 9307 del 24/02/2011 – dep. 09/03/2011, Silvestro e altra, Rv. 249763), è evidente che la realizzazione delle 285 unità abitative eseguite mediante tali atti amministrativi, illegittimi ed illeciti per contrasto con gli strumenti urbanistici e con le norme nazionali e regionali citate, integra la violazione ipotizzata (dovendosi, peraltro, rilevare che in sede di merito, inspiegabilmente, non è stata disposta la sanzione amministrativa accessoria della demolizione dei manufatti abusivi, conseguente ex lege).
Quanto, poi, al reato di abuso d’ufficio, potrebbe accedersi unicamente alla fondatezza delle censure difensive in ordine alla configurabilità dell’elemento psicologico del reato (non essendovi le condizioni per poter dubitare, alla luce di quanto sopra riassunto, della “violazione di norme di legge o di regolamento” e dell’ingiusto vantaggio patrimoniale arrecato), atteso che (v. pag. 27 dell’impugnata sentenza), in effetti la decisione impugnata non mostra di approfondire adeguatamente la questione della configurabilità dell’elemento psicologico del reato, donde, quantomeno su tale profilo, l’accoglimento delle censure difensive sul punto, comporterebbe l’obbligo per questa Corte di disporre l’annullamento dell’impugnata sentenza per vizio di motivazione con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma per nuovo giudizio sul punto. Tuttavia, com’è noto, ciò non è consentito a questa Corte di legittimità, atteso che, per costante insegnamento delle Sezioni Unite, in presenza di una causa di estinzione del reato (sicuramente valevole per i pubblici ufficiali, non rinuncianti alla prescrizione e salva la valutazione circa l’efficacia della revoca della rinuncia alla prescrizione per i due ricorrenti L. C. e C.C., fondata su una recente decisione di questa Corte che consente la revocabilità della rinuncia: Sez. 6^, n. 30104 del 11/07/2012 – dep. 23/07/2012, Pg in proc. Barcella e altro, Rv. 253256), non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 – dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244275; conf.: Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992 – dep. 22/02/1993, Marino ed altri, Rv. 192471).
Ne discenderebbe, pertanto, in virtù di quanto sopra deciso – impregiudicata la questione dell’efficacia della revoca della rinuncia alla prescrizione da parte dei ricorrenti C.C. e L.C. – la conseguente statuizione confermativa dell’impugnata sentenza per tutti i reati ascritti, che riguarderebbe anche i capi della sentenza impugnata con cui è stata disposta la confisca delle aree e dei terreni lottizzati.
14. Ed infatti, secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte, la confisca dei terreni può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato, purchè sia accertata – come avvenuto nel caso in esame – la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, e che verifichi l’esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l’aspetto dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la misura viene ad incidere (Sez. 3^, n. 17066 del 04/02/2013 – dep. 15/04/2013, Volpe e altri, Rv. 255112). La giurisprudenza di questa Sezione ha, infatti, costantemente ritenuto che la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite consegue non soltanto ad una sentenza di condanna, ma anche quando, pur essendo accertata la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva nei suoi elementi oggettivo e soggettivo, non si pervenga alla condanna od all’irrogazione della pena per causa diversa (In motivazione la Corte, riferendosi esemplificativamente al caso della prescrizione del reato, ha precisato che tale soluzione è conforme alla giurisprudenza CEDU che non ritiene necessaria la condanna del proprietario della “res” per disporne la confisca: Sez. 3^, n. 39078 del 13/07/2009 – dep. 08/10/2009, Apponi e altri, Rv. 245347; Sez. 3^, n. 21188 del 30/04/2009 – dep. 20/05/2009, Casasanta e altri, Rv. 243630 ed altre conformi).
Questa stessa sezione, inoltre, ha, da un lato, ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale L. 28 febbraio 1985, n. 47, dell’art. 19, (oggi sostituito dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 2), che consente al giudice di disporre la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite in caso di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, in quanto tale norma non viola il combinato disposto dell’art. 117 Cost. e art. 7 C.E.D.U., dal momento che la confisca, anche se disposta dopo l’estinzione del reato, conserva la sua natura sanzionatoria, sia perchè legata al presupposto di un reato estinto ma storicamente esistente, sia perchè la stessa è applicata da un organo che esercita la giurisdizione penale (Sez. 3^, n. 20243 del 25/03/2009 – dep. 14/05/2009, Rammacca Sala e altri, Rv. 243624); dall’altro, ha ritenuto irrilevante la questione di costituzionalità, per asserito contrasto con gli artt. 27 e 42 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, (in relazione all’art. 7 CEDU), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 2, nella parte in cui consente la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite a prescindere dal giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti, in quanto la confisca è condizionata, sotto il profilo soggettivo, quantomeno all’accertamento di profili di colpa nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere (In motivazione la Corte, richiamando la recente sentenza n. 239 del 2009 della Corte Cost., ha precisato che la giurisprudenza di legittimità ha già fornito un’interpretazione adeguatrice alle decisioni della Corte di Strasburgo del 30 agosto 2007 e del 20 gennaio 2009 nel caso Sud Fondi s.r.l. c/ Italia, che esclude la ravvisabilità dei denunciati profili di incostituzionalità: Sez. 3^, n. 39078 del 13/07/2009 – dep. 08/10/2009, Apponi e altri, Rv. 245348). Non emergono, infatti, elementi incontrovertibili da cui possa escludersi che i 15 acquirenti e i restanti promissari acquirenti gli immobili abusivamente lottizzati, costituitisi parti civili nel presente processo, fossero qualificabili come terzi di buona fede (come ben spiegato dalla Corte territoriale nell’impugnata sentenza alle pagg. 28/29 della sentenza impugnata) e, quindi, anche nei confronti di questi ultimi (sicuramente nei confronti dei 15 acquirenti con atto notarile degli immobili) la disposta confisca dovrebbe essere confermata, con innegabile sacrificio patrimoniale del diritto di proprietà, non potendo gli stessi qualificarsi come terzi estranei al reato di lottizzazione abusiva per il solo fatto di non aver mai rivestito la qualità di persona sottoposta ad indagini od imputato, nè l’intervenuta costituzione di parte civile è decisiva per affermarne l’estraneità (Sez. 3^, n. 48924 del 21/10/2009 – dep. 21/12/2009, Tortora e altri, Rv. 245764).
15. La difesa dei ricorrenti (avv. Franco per le parti civili; Avv. Borgogno per L.C. e Avv. Melegari per C.C.) ha, però, insistito sull’impossibilità per questa Corte di poter confermare la statuizione inerente la confisca delle aree e degli immobili oggetto dell’illecito lottizzatorio, facendo leva sulla recente sentenza della Corte e.d.u. del 21 ottobre 2013 (ric. n. 17475/2009) resa nel caso Varvara c. Italia.
Con tale sentenza, la Seconda sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che l’applicazione della confisca urbanistica nelle ipotesi di proscioglimento per estinzione del reato costituisce una violazione del principio di legalità sancito dall’art. 7 Cedu.
Ne conseguirebbe, dunque, le necessità, per questo Collegio, di doversi uniformare all’interpretazione fornita in sede europea, con conseguente annullamento dell’ordina di confisca, essendo stata disposta la stessa in assenza di condanna.
Ritiene, tuttavia, il Collegio di dover sottoporre al giudizio della Corte Costituzionale la legittimità costituzionale della norma di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, come interpretata dalla predetta sentenza, in quanto la stessa viola alcune norme della nostra carta Fondamentale.
15.1. Per meglio comprendere tale soluzione, è necessario un, seppur sintetico, approfondimento.
La Corte e.d.u., con la sentenza resa nel caso Varvara c. Italia, risolve, anzitutto, in poche righe il problema della qualificazione “penale” della confisca urbanistica prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, limitandosi a richiamare la decisione di ricevibilità resa il 30 agosto 2007 nell’ambito del noto affaire Sud Fondi, meglio noto come caso di Punta Perotti.
In quella decisione (Corte EDU, sez. 2^, sent. 10 maggio 2012, ric. n. 75909/01, Sud Fondi e altri c. Italia), i giudici di Strasburgo avevano così affermato: “La Corte osserva che la sanzione prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 19 non tende alla riparazione pecuniaria di un danno, ma mira essenzialmente a punire al fine di impedire la reiterazione delle inosservanze previste dalla legge (…). Questa conclusione è confermata dalla constatazione che la confisca ha colpito l’85% dei terreni non costruiti, quindi in mancanza di un reale pericolo per il paesaggio. La sanzione era quindi in parte preventiva e in parte repressiva, quest’ultima generalmente caratteristica distintiva delle sanzioni penali (…).
Ancora, la Corte rileva la severità della sanzione che, secondo la L. n. 47 del 1985, concerne tutti i terreni inclusi nel piano di lottizzazione (…). La Corte rileva infine che il testo unico dell’edilizia del 2001 classifica tra le sanzioni penali la confisca prevista per il reato di lottizzazione abusiva. Tenuto conto dei suddetti elementi, la Corte ritiene che la confisca in parola sia una “pena” ai sensi dell’art. 7 della Convenzione”.
Ora, come sopra precisato, dopo la condanna dell’Italia nella pronuncia sul merito Sud Fondi S.r.l. e altri c. Italia del 20 gennaio 2009, questa Corte ha costantemente ribadito la qualificazione “amministrativa” della confisca urbanistica confermandone, di conseguenza, l’applicabilità anche in assenza di condanna (e, in particolare, in caso di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato). D’altra parte, al fine di evitare contraddizioni con le conclusioni della sentenza Sud Fondi – che per la prima volta riconduceva il principio di colpevolezza all’art. 7 Cedu (rispetto ad una vicenda in cui la confisca urbanistica era stata applicata nonostante l’assoluzione degli imputati ex art. 5 c.p.) – questa stessa Sezione, come in precedenza chiarito, ha precisato l’esigenza di un accertamento da parte del giudice dell’elemento soggettivo del reato, accanto a quello della oggettiva “trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici” (fulcro del reato di lottizzazione abusiva previsto dal T.U., art. 30). La questione centrale sottoposta alla Corte europea dei diritti umani nel caso Varvara c. Italia, per l’appunto, verteva sulla legittimità di tale perdurante distinzione interna tra pena e confisca, e della conseguente applicabilità della seconda in assenza di condanna.
Nel merito, la Corte e.d.u. osserva che l’art. 7 Cedu non si limita a richiedere la necessità di una base legale per i reati e per le pene, ma implica altresì l’illegittimità dell’applicazione di sanzioni penali per fatti commessi da altri (nella giurisprudenza precedente già ritenute contrastanti con la presunzione d’innocenza di cui all’art. 6, p. 2, Cedu) o, comunque, che non sia fondata su di un giudizio di colpevolezza “consignèe dans un verdict de culpabilitè”.
L’applicazione della confisca urbanistica in assenza di condanna risulta, pertanto, per i giudici europei, incompatibile con quest’ultimo corollario e comporta una violazione della disposizione in parola (riconosciuta con sei voti contro uno, quello del giudice Pinto de Albuquerque che aveva formulato un’articolata opinione dissenziente).
Sulla base di tali conclusioni, è stata ritenuta “assorbita” la doglianza relativa all’art. 6, p. 2, Cedu, mentre è stata dichiarata (in questo caso, all’unanimità) una violazione dell’art. 1, Protocollo n. 1 poichè la limitazione del diritto di proprietà sancito dalla disposizione si è rivelata priva di una base legale e, quindi, arbitraria.
La sentenza in esame segna, indubbiamente, un’ulteriore tappa nell’interpretazione evolutiva dell’art. 7 Cedu e, in particolare, un rilancio del processo di “convenzionalizzazione” del principio di colpevolezza. L’esito è rappresentato dal rigetto della mediazione che la giurisprudenza di questa Corte aveva tentato per conciliare le indicazioni della sentenza Sud Fondi con la ritenuta operatività della confisca dei terreni anche nei casi di prescrizione del reato di lottizzazione abusiva. In particolare, viene respinta la tesi, consolidata nelle pronunce in materia (ma si deve ricordare che il tema della “confisca senza condanna” è emerso anche in altri settori dell’ordinamento ed è stato legislativamente consacrato anche di recente nella legislazione europea, come dimostra la previsione della nuova actio in rem come modello di confisca europea, ex art. 5 della recente direttiva 2014/42/UE, del 3 aprile 2014 e relativa “al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea” che prevede, appunto, la confisca senza condanna), secondo la quale un giudizio di colpevolezza potrebbe essere formulato validamente anche nell’ambito di determinate sentenze di proscioglimento per estinzione del reato (tesi sostanzialmente avallata dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 239/2009 del 24/07/2009, in cui si afferma chiaramente, al p. 3: “fra le sentenze di proscioglimento ve ne sono alcune che “pur non applicando una pena comportano, in diverse forme e gradazioni, un sostanziale riconoscimento della responsabilità dell’imputato o comunque l’attribuzione del fatto all’imputato medesimo” (sentenza n. 85 del 2008). In particolare, volendo riferirsi alla fattispecie propria del giudizio a quo, non si può affermare che siffatto “sostanziale riconoscimento”, per quanto privo di effetti sul piano della responsabilità penale, sia comunque impedito da una pronuncia di proscioglimento, conseguente a prescrizione, ove invece l’ordinamento imponga di apprezzare tale profilo per fini diversi dall’accertamento penale del fatto di reato”).
La sentenza Varvara c. Italia, determina un inevitabile superamento della giurisprudenza di questa Corte in quanto, anche dopo la sentenza Sud Fondi, residuava uno spazio di agibilità della confisca applicata in relazione a reato prescritto, a condizione che restasse preservata, all’esito di un giudizio di merito, l’effettività dell’accertamento dei profili di responsabilità, sia sotto l’aspetto oggettivo che soggettivo.
Diversamente, con la sentenza Varvara, la Corte e.d.u. opera un ulteriore passo avanti nella sua stessa giurisprudenza, avendo infatti sempre sostenuto che l’art. 7 della Convenzione non richiede espressamente un “nesso psicologico” o “intellettuale” o “morale” tra l’elemento materiale del reato e la persona che ne è ritenuta l’autore, tra l’altro dovendosi evidenziare come la stessa Corte e.d.u. aveva recentemente concluso per la non violazione dell’art. 7 in un caso in cui era stata inflitta una multa a una parte ricorrente che aveva commesso un reato senza dolo o colpa (Valico S.r.l. c. Italia (dec.), n. 70074/01, CEDU 2006-III), in quanto l’accertamento di responsabilità era stato considerato sufficiente per giustificare l’applicazione della sanzione.
La sentenza Varvara, invece, ritiene che (p. 71) la “logica della “pena” e della “punizione”, e la nozione di “guilty” (nella versione inglese) e la corrispondente nozione di “persona colpevole” (nella versione francese), depongono a favore di un’interpretazione dell’art. 7 che esige, per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore. In mancanza di ciò, la punizione non avrebbe senso … . Sarebbe, infatti, incoerente esigere, da una parte, una base legale accessibile e prevedibile e permettere, dall’altra, una punizione quando, come nel caso di specie, la persona interessata non è stata condannata”, conseguendone, pertanto (v. p. 72) che “nella presente causa, la sanzione penale inflitta al ricorrente (n.d.r., la confisca), quando il reato era estinto e la sua responsabilità non era stata accertata con una sentenza di condanna, contrasta con i principi di legalità penale appena esposti dalla Corte e che sono parte integrante del principio di legalità che l’art. 7 della Convenzione impone di rispettare. La sanzione controversa non è quindi prevista dalla legge ai sensi dell’art. 7 della Convenzione ed è arbitraria”. La sentenza della Corte e.d.u. nel caso Varvara c. Italia, peraltro è divenuta definitiva a seguito del rigetto, intervenuto in data 25 marzo 2014, della richiesta di rinvio alla Grande Camera da parte del Governo italiano.
15.2. Alla luce di tali considerazioni, occorre tuttavia, valutare se – alla luce del dovere del giudice comune di sperimentare un’interpretazione conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò è permesso dai testi delle norme, secondo quanto affermato dalle note sentenze della Corte Costituzionale n. 349/2007 e n. 348/2007 – l’interpretazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, come operata dalla Corte e.d.u. con la citata sentenza Varvara c. Italia, sia però compatibile con altri principi costituzionali contenuti nella nostra Carta Fondamentale che, peraltro, trascendono la mera tutela del diritto di proprietà secondo la norma dell’art. 1, protocollo n. 1 della Convenzione e.d.u., norma anch’essa ritenuta violata dalla sentenza Varvara, che, infatti (v. p. 85), muovendo dalla constatazione che il reato in relazione al quale è stata ordinata la confisca dei beni del ricorrente non era previsto dalla legge nel senso dell’art. 7 della Convenzione ed era arbitrario (paragrafi 72-73 supra), ha dichiarato che “l’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del ricorrente era contraria al principio di legalità ed era arbitraria e che vi è stata violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1”.
Orbene, se può, infatti, ritenersi che la norma in questione (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2), come interpretata dalla Cedu con la sentenza Varvara, non ponga problemi di compatibilità costituzionale con l’art. 25 Cost., comma 2, non contravvenendo apertamente alla garanzia della legalità in materia penale, prevedendo una particolare tipologia di confisca in cui è il legislatore stesso ad operare la disarticolazione del nesso tra confisca e condanna – sicchè quest’ultima non dovrà considerarsi presupposto imprescindibile della prima -, atteso che la confisca dei terreni e delle opere abusive prevista dal T.U. edilizia, art. 44, è riferita a una “sentenza definitiva che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva”, e non esige quindi una sentenza di condanna (situazione che, a ben vedere, si riscontra anche nel caso della confisca prevista dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, secondo la quale “nei casi di contrabbando, è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto ovvero il prodotto o il profitto”, senza alcuna menzione esplicita – dunque – del requisito della sentenza di condanna), non altrettanto deve ritenersi con riferimento ad ulteriori parametri costituzionali, quali quelli di cui agli artt. 2, 9, 32, 41 e 42 Cost., art. 117 Cost., comma 1, (quest’ultima, quale norma che permette di creare un ponte, tramite il rinvio mobile, tra la normativa nazionale e quella delle convenzioni internazionali), i quali impongono che il paesaggio, l’ambiente, la vita e la salute siano tutelati quali valori costituzionali oggettivamente fondamentali, cui riconoscere prevalenza nel bilanciamento con il diritto di proprietà, ritenuto violato dalla sentenza Varvara con la condanna dell’Italia per contrasto con l’art. 1 del protocollo n. 1 della Convenzione e.d.u..
15.3. Ed invero, i principi fondamentali della Costituzione, descritti negli articoli (1-12) e nella Parte prima relativa ai “Diritti e doveri dei cittadini”, caratterizzano, strutturandolo in profondità, l’ordinamento costituzionale: questo verrebbe letteralmente meno – trasformandosi in un ordinamento diverso – nel caso in cui detti principi non fossero osservati e fatti oggetto di specifica tutela.
I valori elencati assumono in tal modo una valenza giuridica di tale “essenzialità”, da poter affermare che la stessa organizzazione dei pubblici poteri sia prevalentemente funzionale al loro svolgimento ed alla loro attuazione. La “persona”, nel suo patrimonio identificativo ed irretrattabile, costituisce nella nostra Costituzione il soggetto attorno al quale si incentrano diritti e doveri. Nell’uso corrente, “diritti umani”, “diritti inviolabili”, “diritti costituzionali” e “diritti fondamentali” sono termini utilizzati in modo promiscuo ma equivalente, e stanno ad indicare diritti che dovrebbero essere riconosciuti ad ogni individuo in quanto tale: ciò sembrerebbe attestare, proprio a livello di un senso e “sapere comune”, l’intimo e complesso rapporto che da sempre lega tra loro e indissolubilmente diritto naturale e diritto positivo.
Sotto tale profilo, la proprietà, quale diritto costituzionalmente garantito (art. 42), nello speciale regime di tutela del territorio è spesso sostanzialmente “svuotato” – o meglio arricchito di contenuti socialmente rilevanti – per garantire interessi a carattere “super-individuale”, come la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale della nazione. Tali interessi derivano da valori, in parte sanciti in via diretta dalla Carta costituzionale (a) diritti inviolabili dell’uomo (art. 2); b) la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione (art. 9); c) la tutela della salute (art. 32), in parte in via indiretta dalla stessa Costituzione, che a seguito della riforma del titolo V, ha inserito per la prima volta la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”, nel testo costituzionale (art. 117, comma 2, lett. s).
La proprietà, poi, come situazione giuridica soggettiva reale e statica, e l’iniziativa economica privata, come situazione giuridica complessa e dinamica, pur rappresentando degli istituti distinti e costituzionalmente garantiti (art. 42 Cost., comma 2, e art. 41 Cost., comma 2), sono entrambi asserviti, in quanto facce di una stessa medaglia, ad assolvere una funzione sociale e un’utilità sociale: a) controllo dell’iniziativa economica privata in funzione della libertà, sicurezza e dignità umana (art. 41 Cost., comma 2);
b) la legge determina i programmi e i controlli opportuni perchè l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (art. 41 Cost., comma 2).
15.4. A tal riguardo, occorre fare alcune precisazioni.
Non v’è dubbio che il bene giuridico protetto dalla norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 (T.U. Edilizia) è non solo l’ordinata pianificazione urbanistica, ma anche (e soprattutto) l’effettivo controllo del territorio da parte del soggetto titolare della stessa funzione di pianificazione (cioè il Comune), cui spetta di vigilare sul rispetto delle vigenti prescrizioni urbanistiche, con conseguente legittima repressione di qualsiasi intervento di tipo lottizzatorio non previamente assentito. In particolare, poi, le norme dettate in materia di lottizzazione abusiva, perseguono un evidente scopo pianificatorio, che trova un’espressa tutela costituzionale. Nel 1948, infatti, la pianificazione – seppur in un’accezione strettamente economica – acquisisce rilievo costituzionale, dal momento che l’art. 41 Cost. – dopo aver sancito che “l’iniziativa economica è libera” e “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” – ha previsto che “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perchè l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Come è noto, la Costituzione sancisce all’art. 2 che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Occorre tenere presente che i diritti inviolabili, siano essi esplicitamente previsti o desunti per implicito dalla Costituzione, rappresentano una vera e propria manifestazione del “principio personalistico”: tale principio invita ad una considerazione del soggetto non quale monade isolata e avulsa dal “mondo”, bensì appunto come “persona”, tale proprio in quei rapporti sociali di relazione che soli la sostanziano.
In particolare, la dimostrazione del contributo che la Corte Costituzionale ha dato all’estensione del “principio personalistico” ad ambiti di materie in cui si riteneva che la legge dovesse limitarsi a disciplinare interessi pubblici ed interessi privati, è offerta dalla giurisprudenza costituzionale, ormai consolidata, in materia di “ambiente” e di “uso del territorio”. Merita di essere ricordata, in primo luogo, la sentenza n. 210 del 1987, dove si afferma che in Costituzione è rinvenibile un riconoscimento specifico della salvaguardia dell’ambiente come diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettività. Si tende, cioè, ad una concezione unitaria del bene ambientale, comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali. Esso comprende la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali, la esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato naturale ed in definitiva la persona umana in tutte le sue estrinsecazioni. Ed ancora, nella sentenza n. 196 del 2004, in tema di “condono edilizio”, la Corte sottolinea, nell’esaminare la materia, il rapporto che intercorre tra “dignità umana” e “iniziativa economica privata”, rilevando “come in un settore del genere vengano in rilievo una pluralità di interessi pubblici, i quali devono necessariamente trovare un punto di equilibrio, poichè il fine della legislazione sul “condono” consiste proprio nel realizzare un contemperamento dei valori in gioco: da una parte, quelli del paesaggio, della cultura, della salute, della conformità dell’iniziativa economica privata all’utilità sociale, della funzione sociale della proprietà; dall’altra, quelli, altrettanto rilevanti e fondamentali sul piano della dignità umana, dell’abitazione e del lavoro”.
15.5. Nelle sentenze della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo il diritto di proprietà privata viene spesso definito “un diritto fondamentale”, per l’ovvio motivo che qualsiasi diritto umano non può essere leso, ed è pertanto “fondamentale”.
Sennonchè deve porsi in risalto che il diritto di proprietà privata assume valore diverso in ragione del suo contenuto e della sua estensione, ragion per cui un uso indifferenziato dell’aggettivo “fondamentale”, come avviene nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, può essere foriero di equivoci ed esige una precisa puntualizzazione.
A tal fine è necessario prender le mosse da quanto dicono, al riguardo, l’art. 17 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e l’art. 1 del Protocollo addizionale. L’art. 17 della Dichiarazione stabilisce che “Ogni individuo ha diritto ad avere una proprietà sua personale o in comune con altri. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà”.
L’art. 1 del Protocollo addizionale afferma che “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà, se non per causa di utilità pubblica”.
Questa seconda norma nulla aggiunge, nella sua generalità, alla norma della Dichiarazione: il rispetto al diritto sui propri beni è infatti indifferentemente accolto in ogni ordinamento, essendo evidente che ogni diritto, in quanto tale, deve essere rispettato.
La Costituzione della Repubblica Italiana certamente riconosce come diritto fondamentale, da definire diritto inviolabile dell’uomo, ai sensi dell’art. 2 Cost., non il diritto di proprietà privata senza aggettivi, ma il diritto di “proprietà personale”, quella riferibile al soddisfacimento dei bisogni primari dell’uomo.
Ciò è dimostrato dal fatto, innanzitutto, che la Costituzione, quando ha voluto riconoscere un diritto fondamentale, cioè un diritto dell’uomo preesistente alla Costituzione stessa ha usato la dizione “la Repubblica riconosce e garantisce, ecc.”. Nel caso della proprietà privata, invece, la Costituzione scorpora detto diritto dai diritti dell’uomo di cui al citato art. 2 Cost. e ne colloca la disciplina, non tra i diritti fondamentali di cui ai “Principi fondamentali” od ai “Diritti e doveri dei cittadini”, ma nel Titolo dedicato ai “Rapporti economici”.
Ma v’è di più.
A proposito della proprietà privata, la Costituzione non usa più la dizione “La Repubblica riconosce e garantisce, ecc.”, ma “la legge riconosce e garantisce”. Afferma testualmente l’art. 42 Cost. “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sull’eredità”.
Il diritto di proprietà privata, dunque, non costituisce un valore assoluto, un diritto fondamentale inviolabile, ma un diritto che esiste secondo la previsione della legge, la quale, tenuto conto del suo obbligo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, potrebbe anche comprimerla, riducendola, come afferma la giurisprudenza della Corte costituzionale, anche ad un “nucleo essenziale”.
La nostra Costituzione considera fondamentale solo questo “nucleo essenziale” della proprietà privata, e che di conseguenza costituisce un diritto inviolabile soltanto la “proprietà personale”.
L’indiscutibile conferma è nell’art. 47 Cost., secondo il quale “La Repubblica…favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto o indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”. Il che rientra pienamente nel citato concetto di “proprietà personale”. Il diritto all’abitazione, peraltro, è stato considerato, proprio in riferimento al citato art. 47 Cost., un diritto fondamentale inviolabile dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. sentenze nn. 217 del 1988, 404 del 1988, 252 del 1989, 559 del 1989, 419 del 1991, 364 del 1990).
16. Appare, quindi, evidente come l’interpretazione che la Cedu ha operato della norma di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, escludendo la confiscabilità delle aree e dei terreni abusivamente lottizzati nel caso in cui il giudizio non si concluda con una sentenza di condanna, ma con una sentenza di proscioglimento per prescrizione, violi gli artt. 2, 9, 32, 41 e 42 Cost., art. 117 Cost., comma 1, i quali impongono che il paesaggio, l’ambiente, la vita e la salute siano tutelati quali valori costituzionali oggettivamente fondamentali, cui riconoscere prevalenza nel bilanciamento con il diritto di proprietà.
16.1. Ed invero, quanto all’art. 2 Cost., laddove afferma che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, si è già detto in precedenza come il diritto di proprietà privata non costituisce un valore assoluto, un diritto fondamentale inviolabile, ma un diritto che esiste secondo la previsione della legge, la quale, tenuto conto del suo obbligo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti, potrebbe anche comprimerla, riducendola, come afferma la giurisprudenza della Corte costituzionale, anche ad un “nucleo essenziale”. Con riferimento alla previsione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, è la legge a prevedere che la sentenza definitiva del giudice penale che “accerta” che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, con conseguente acquisizione gratuita dei terreni, di diritto, al patrimonio del comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione. E’, quindi, la legge che impone, in caso di “accertata” lottizzazione (accertamento che, pur contenuto in una sentenza di proscioglimento per prescrizione che abbia però acclarato la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito lottizzatorio, legittimerebbe la confisca, secondo l’interpretazione di questa Corte, avallata dalla giurisprudenza costituzionale con la già richiamata sentenza n. 239/2009 e, sotto certi aspetti, la n. 85/2008) il sacrificio del diritto di proprietà che, pertanto, per le ragioni esposte, non può essere considerato quale diritto inviolabile. Secondo la sentenza Varvara, diversamente, in caso di “confisca senza condanna” D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 44, comma 2, l’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni del ricorrente sarebbe contraria al principio di legalità ed arbitraria, con conseguente violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 (tutela della proprietà): ciò impedirebbe, quindi, a questa Corte, secondo l’esegesi “convenzionalmente orientata” di confermare la disposta confisca degli immobili e dei terreni in sequestro, così imponendo di considerare il diritto di proprietà come inviolabile, con conseguente violazione dell’art. 2 Cost..
16.2. Analoga censura di costituzionalità, in secondo luogo, investe la norma in questione, come interpretata dalla Corte e.d.u., in rapporto all’art. 9 Cost..
Ed infatti, l’art. 9 Cost., al comma 2 che afferma che la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, è iscritto tra i principi fondamentali della Costituzione.
L’art. 9, con il riferimento indistinto al paesaggio, è improntato alla “concezione integrale del paesaggio”, cioè alla forma dell’intero paese. La concezione integrale è recepita dalla giurisprudenza costituzionale e da quella amministrativa (Corte Cost.
23.11.2011, n. 309; Corte cost. 7.11.2007, n. 367; nella giurisprudenza amministrativa, v. l’importante Cons. St., ad. plen., 14.12.2001, n. 9). Il rapporto tra la tutela del paesaggio dell’art. 9, comma 2, e “l’urbanistica” di cui trattava l’originario art. 117 Cost. e – dopo la L. Cost. n. 3/2011 – il “governo del territorio”, è oggetto di vasta letteratura che, soprattutto negli anni ’70 e ’80, ha visto contrapposte due accezioni: quella della ricordata “panurbanistica” (incentrata sulla lata definizione di “urbanistica” raggiunta con il D.P.R. n. 616 del 1977, art. 80,: la “disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonchè la protezione dell’ambiente”) volta ad assorbirle la prima nella seconda; e quella che muove dalla collocazione tra i principi fondamentali dell’art. 9 Cost., che le distingue e le pone in relazione sostanzialmente gerarchica con prevalenza della prima.
La tutela del paesaggio è una manifestazione particolare, arricchita dalla qualificazione culturale, della più ampia tutela dell’ambiente, a condizione che di questa si assuma una nozione generica, non meramente quantitativa, di protezione di tutte le condizioni originarie di qualità della vita e non solo di quelle inerenti la salubrità, e se comunque si assume che “paesaggio” indica innanzitutto “la morfologia del territorio”, cioè “l’ambiente nel suo aspetto visivo” (così C. Cost. 7.11.2007, n. 367; cfr. anche, C. Cost. 21.10.2011, n. 275; C. Cost. 22.7.2009, n. 226; C. Cost. 30.5.2008, n. 180; C. Cost. 5.5.2006, n. 182 e 183; C. Cost.
14.12.1993, n. 430; C. Cost. 11.7.1989, n. 391; C. Cost. 30.12.1987, n. 641). Del resto, sul tema dei rapporti tra tutela dell’ambiente, del territorio e del paesaggio, la stessa Corte Costituzionale sottolinea, ad esempio, come “una forte espansione delle fonti di energia rinnovabili … potrebbe incidere negativamente sul paesaggio: il moltiplicarsi di impianti, infatti, potrebbe compromettere i valori estetici del territorio, ugualmente rilevanti dal punto di vista storico e culturale, oltre che economico, per le potenzialità del suo sfruttamento turistico” (C. Cost. 21.10.2011, n. 275).
Orbene, è pacifico che la condotta illecita di cui si discute (lottizzazione abusiva) viene ad incidere in modo rilevante non soltanto sull’assetto del territorio, ma sull’intero ambiente: la violazione determina un “vulnus” alle condizioni di vita della popolazione ivi residente, della quale altera le condizioni soggettive ed oggettive di vita, la cui protezione è costituzionalmente statuita dall’art. 9; tale illecito comporta una lesione del paesaggio, che va considerato anche una risorsa, non soltanto naturalistica, ma anche economica, poichè rappresenta fonte di introiti per la collettività.
La natura di principio fondamentale della nostra Carta costituzionale della tutela del paesaggio e del territorio giustifica, nell’ottica del legislatore, il sacrificio della proprietà privata attraverso l’ablazione coattiva imposta dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, anche nel caso di accertamento dell’illecito lottizzatorio non seguito da una sentenza di condanna; l’operatività della confisca, tuttavia, sarebbe impedita dall’esegesi “convenzionale” dell’art. 44, comma 2, citato, atteso che, nel caso sottoposto al giudizio di questa Corte, attesa l’assenza di una pronuncia di “condanna” sarebbe impedita l’applicazione della norma sanzionatoria:
ancora una volta, quindi, secondo la lettura operata alla luce della sentenza Varvara, vi sarebbe prevalenza del diritto di proprietà rispetto alla tutela del territorio e del paesaggio, dunque di un valore costituzionale oggettivamente fondamentale, cui invece dev’essere riconosciuta prevalenza nel bilanciamento con il diritto di proprietà.
16.3. A soluzioni non dissimili si perviene valutando la norma in questione, come interpretata dalla Corte e.d.u., in rapporto all’art. 32 Cost.. Il bene della salute è tutelato dall’art. 32 Cost., comma 1, “non solo come interesse della collettività ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell’individuo” (Corte Cost., sentenza n. 356 del 1991), che impone piena ed esaustiva tutela (Corte Cost., sentenze n. 307 e 455 del 1990), in quanto “diritto primario e assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati” (Corte Cost., sentenze n. 202 del 1991, n. 55 9 del 1987, n. 184 del 1986, n. 88 del 1979).
Nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale il diritto alla salute si estende fino a configurarsi, nel suo collegamento con l’art. 9 Cost., anche come diritto ad un ambiente salubre. Il riconoscimento di un diritto soggettivo individuale all’ambiente, tutelato quale diritto fondamentale, muove da un concetto di “salute” come situazione giuridica generale di benessere dell’individuo derivante anche, se non soprattutto, dal godimento di un ambiente salubre. Secondo la Corte costituzionale, infatti “l’ambiente è protetto come elemento determinativo della qualità della vita”: la sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l’esigenza di un habitat naturale nel quale l’uomo vive ed agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; è imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto” (Corte Cost., sentenze n. 210 e n. 641 del 1987). In particolare, il bene dell’ambiente come diritto fondamentale della persona (oltre che come interesse fondamentale della collettività) “comprende la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali (aria, acque, suolo e territorio in tutte le sue componenti), la esistenza e la preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato naturale ed in definitiva la persona umana in tutte le sue estrinsecazioni” (Corte Cost., sentenza n. 210 del 1987). Una lettura costituzionalmente orientata del diritto garantito dall’art. 32 Cost., quindi, conduce a ritenere che le norme dettate dalla legislazione urbanistica (e, segnatamente, quelle dettate dal D.P.R. n. 380 del 2001 in tema di contrasto alla lottizzazione abusiva), abbiano come obiettivo non soltanto la conservazione di un ordinato assetto territoriale, ma anche quello di garantire la tutela del diritto ad un “ambiente” salubre e, dunque, la tutela della salute umana ex art. 32 Cost..
Correlando gli artt. 9 e 32 Cost. emerge a chiare lettere che un ambiente salubre condiziona necessariamente l’effettività del diritto alla salute: l’ambiente, attraverso il combinato disposto di tali articoli, viene letto come valore unitario e fondamentale interesse della collettività.
Del resto, la giurisprudenza di questa Corte, attraverso una nutrita serie di decisioni, ha osservato che “il diritto alla salute, piuttosto e oltre che come mero diritto alla vita e all’incolumità fisica deve configurarsi come diritto ad un ambiente salubre” (Sez. 3^, Sentenza n. 1152 del 22/02/1979, non massimata) e, inoltre, ha riconosciuto la sussistenza di un diritto soggettivo all’ambiente salubre, considerando tale diritto come un particolare modo di atteggiarsi del diritto alla salute costituzionalmente garantito (Sez. U, Sentenza n. 5172 del 06/10/1979, Rv. 401788). E ciò avviene giacchè si ritiene che l’ambiente, pur essendo esterno all’uomo, lo condizioni, in quanto costituisce la sfera in cui egli vive ed opera:
collegandosi all’art. 3 Cost. può dirsi che l’ambiente è il luogo in cui l’individuo, rapportandosi nella socialità, sviluppa la sua personalità; pertanto è necessario costruire e mantenere un ambiente salubre in cui nulla costituisca pericolo per la salute dell’uomo stesso. Questo orientamento viene difeso e riaffermato da questa Corte in tutte le successive sentenze nelle quali si prevede anche la prevalenza del diritto all’ambiente salubre sugli altri interessi, in caso di conflitti (Sez. L, Sentenza n. 786 del 26/01/1991, non massimata). Analogamente, la Corte Costituzionale, nella sua consolidata giurisprudenza, ha affermato la sussistenza del diritto all’ambiente salubre e la preminenza dello stesso sugli altri “valori”: nel conflitto tra tre diversi interessi quali il mercato, l’ambiente e la persona, essa ammette che possa comprimersi l’integrità dell’ambiente in ragione degli interessi economici delle imprese, ma che questa compressione non possa in alcun modo compromettere l’interesse fondamentale della persona alla difesa della salubrità dell’ambiente (Corte Cost., sentenza n. 127/1990).
Infatti, la libertà economica, pur garantita, riconosciuta e tutelata nella Carta costituzionale, non si presenta alla stregua di una situazione giuridica soggettiva pari a quella che emerge nel diritto alla salute, assoluto, primario e inviolabile, ma è funzionalizzata e sott’ordinata gerarchicamente a quest’ultimo. Come, infine, viene evidenziato nella sentenza della Corte costituzionale n. 62 del 2005, il diritto alla salubrità dell’ambiente trova fondamento non solo negli artt. 9 e 32 Cost., ma anche negli artt. 2 e 3 Cost., dai quali discende la qualità di diritto inviolabile garantito a ciascun individuo in maniera egualitaria.
Non v’è dubbio che la tutela del diritto alla salute, nell’attuale accezione del diritto ad un ambiente salubre, costituisca ulteriore oggetto di salvaguardia e tutela nella legislazione urbanistica. In particolare, è possibile affermare che la salvaguardia di un ordinato assetto territoriale attraverso il divieto di attività consistenti in illecita lottizzazione, attua la c.d. pianificazione territoriale, i cui scopi sono: a) promuovere un ordinato sviluppo del territorio; b) assicurare che i processi di trasformazione siano compatibili con la sicurezza e la tutela dell’integrità fisica e con l’identità culturale del territorio; c) migliorare la qualità della vita e la salubrità degli insediamenti umani.
Poichè, come sopra chiarito, non v’è dubbio il diritto alla salute ed alla salubrità dell’ambiente debba ritenersi prevalente rispetto al diritto di proprietà, ciò che invece sarebbe escluso dall’esegesi normativa del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, operata dalla sentenza Varvara. Ed infatti, escludere – nel caso sottoposto all’esame di questa Corte – la confiscabilità dei terreni e degli immobili sequestrati determinerebbe, ancora una volta, la prevalenza del diritto di proprietà sul diritto alla salute nell’accezione c.s. intesa: nel conflitto tra diritto di proprietà e diritto alla salute, non può ammettersi che la tutela della proprietà (come, invece, imporrebbe la lettura della sentenza Varvara) possa comprimere il diritto all’integrità dell’ambiente, in quanto detta compressione finirebbe per compromettere l’interesse fondamentale della persona alla difesa della salubrità dell’ambiente e, quindi, del diritto alla salute.
La natura di diritto fondamentale attribuito dalla nostra Carta costituzionale al diritto alla salute giustifica, nell’ottica del legislatore, il sacrificio della proprietà privata attraverso l’ablazione coattiva imposta dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, anche nel caso di accertamento dell’illecito lottizzatorio non seguito da una sentenza di condanna; l’operatività della confisca, tuttavia, sarebbe impedita dall’esegesi “convenzionale” dell’art. 44, comma 2, citato, atteso che, nel caso sottoposto al giudizio di questa Corte, attesa l’assenza di una pronuncia di “condanna” sarebbe impedita l’applicazione della norma sanzionatoria:
ancora una volta, quindi, secondo la lettura operata alla luce della sentenza Varvara, vi sarebbe prevalenza del diritto di proprietà rispetto al diritto alla salute, dunque di un valore costituzionale oggettivamente fondamentale, cui invece dev’essere riconosciuta prevalenza nel bilanciamento con il diritto di proprietà.
16.4. Analoga censura di costituzionalità, in secondo luogo, investe la norma in questione, come interpretata dalla Corte e.d.u., in rapporto agli artt. 41 e 42 Cost..
La proprietà, come situazione giuridica soggettiva reale e statica, e l’iniziativa economica privata, come situazione giuridica complessa e dinamica, pur rappresentando degli istituti distinti e costituzionalmente garantiti (art. 42 Cost., comma 2, e art. 41 Cost., comma 2), sono entrambi asserviti, in quanto facce di una stessa medaglia, ad assolvere una funzione sociale e un’utilità sociale: a) controllo dell’iniziativa economica privata in funzione della libertà, sicurezza e dignità umana (art. 41 Cost., comma 2);
b) la legge determina i programmi e i controlli opportuni perchè l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali (art. 41 Cost., comma 2). In tale ottica, quindi, il legislatore non consente una tutela dell’interesse proprietario in sè, ma solo se tale posizione giuridica soggettiva possa ritenersi compatibile con la funzione sociale e un’utilità sociale cui il mantenimento dell’assetto proprietario è preordinato.
Nel caso dell’illecito lottizzatorio, è la legge stessa a prevedere, invece, il sacrificio dell’interesse economico sotteso alla posizione del privato proprietario, mediante la previsione dell’ablazione coattiva di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2. In definitiva, dunque, è lo stesso legislatore che, operando una valutazione comparativa tra l’interesse (rectius, il diritto) del privato a mantenere la proprietà dei terreni abusivamente lottizzati e/o delle opere abusivamente costruite, e l’interesse dello Stato a reprimere quelle condotte che “comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione” (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 1), impone – con la previsione della confisca D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 44, comma 2, – il sacrificio del diritto di proprietà attesa l’incompatibilità della condotta integrante l’illecito lottizzatorio con la funzione sociale e con l’utilità sociale cui il mantenimento dell’assetto proprietario è preordinato ai sensi dell’art. 41 e 42 Cost.. L’operatività della confisca, tuttavia, sarebbe impedita dall’esegesi “convenzionale” dell’art. 44, comma 2, citato, atteso che, nel caso sottoposto al giudizio di questa Corte, attesa l’assenza di una pronuncia di “condanna” sarebbe impedita l’applicazione della norma sanzionatoria: ancora una volta, quindi, secondo la lettura operata alla luce della sentenza Varvara, vi sarebbe la prevalenza “assoluta” del diritto di proprietà a prescindere dall’assolvimento della funzione sociale e dell’utilità sociale cui la proprietà, come situazione giuridica soggettiva reale e statica, e l’iniziativa economica privata, come situazione giuridica complessa e dinamica (art. 42 Cost., comma 2, e art. 41 Cost., comma 2), sono entrambi asserviti.
16.5. Per completezza, si noti, ad analoghi approdi è pervenuta anche la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, che con una serie di decisioni conformi (Cons. St., 4^, 10 maggio 2012, n. 2710; Cons. St., 4^ 21 dicembre 2012, n. 6656; Cons. St., 4^, 28 novembre 2012, n. 6040; Cons. St., 4^, 8 luglio 2013, n. 3606; Cons. St., 4^, 6 maggio 2013, n. 2427) hanno segnato il ritorno alla nozione di panurbanistica.
In particolare, i giudici amministrativi hanno osservato che il potere di pianificazione urbanistica del territorio – la cui attribuzione e conformazione normativa è costituzionalmente conferita alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, ex art. 117 Cost., comma 3 ed il cui esercizio è normalmente attribuito, pur nel contesto di ulteriori livelli ed ambiti di pianificazione, al Comune – non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e limiti edificatori delle stesse. Al contrario, tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che non è limitato solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti), ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico – sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati. Proprio per tali ragioni, lo stesso legislatore costituzionale, nel novellare l’art. 117 Cost. per il tramite della Legge Cost. n. 3 del 2001, ha sostituito – al fine di individuare le materie rientranti nella potestà legislativa concorrente Stato – Regioni – il termine “urbanistica”, con la più onnicomprensiva espressione di “governo del territorio”, certamente più aderente, contenutisticamente, alle finalità di pianificazione che oggi devono ricomprendersi nel citato termine di “urbanistica”.
D’altra parte, già il legislatore ordinario (sia pure ai fini della attribuzione di giurisdizione sulle relative controversie), con il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 34, comma 2, aveva affermato che “la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio”.
Tali finalità, per così dire “più complessive” dell’urbanistica, e degli strumenti che ne comportano attuazione, sono peraltro desumibili fin dalla L. 17 agosto 1942, n. 1150, laddove essa individua il contenuto della “disciplina urbanistica e dei suoi scopi” (art. 1), non solo nell'”assetto ed incremento edilizio” dell’abitato, ma anche nello “sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica”. In definitiva, l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo.
Uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli – non in astratto, bensì in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi – sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico – sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione “de futuro” sulla propria stessa essenza, svolta – per autorappresentazione ed autodeterminazione – dalla comunità medesima, attraverso le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, attraverso la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio.
In definitiva, il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità (civile abitazione, uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.), ma esso è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti. Ne consegue che, diversamente opinando, e cioè nel senso di ritenere il potere di pianificazione urbanistica limitato alla sola prima ipotesi, si priverebbe la pubblica amministrazione di un essenziale strumento di realizzazione di valori costituzionali, quali sono almeno quelli espressi dall’art. 9 Cost., comma 2, artt. 32, 42 e 44 Cost., art. 47 Cost., comma 2.
16.6. Appare, dunque, evidente in questa situazione, come non possa ritenersi conforme a Costituzione l’interpretazione operata dalla sentenza Varvara della Corte di Strasburgo la quale in sintesi afferma che il diritto di proprietà privata, indipendentemente dalle sue dimensioni, è un diritto fondamentale inviolabile.
Provvide sono state al riguardo le sentenze n. 348 e 349 del 2007 della Corte costituzionale.
Dette sentenze, infatti, hanno ben messo in evidenza che le norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, e cioè, in ultima analisi, dalle sentenze di detta Corte, non sono cogenti per l’ordinamento giuridico italiano, ma costituiscono semplicemente lo strumento in base al quale è possibile stabilire il contenuto degli obblighi internazionali che l’Italia è tenuta a rispettare, ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 1. Dette sentenze della Corte di Strasburgo hanno, in altri termini, un valore sub-costituzionale e intanto possono costituire il contenuto di un obbligo internazionale, in quanto siano conformi a Costituzione. Si tratta, in altri termini, di norme interposte soggette al controllo della Corte costituzionale.
E’ stata così posta una valvola di sicurezza. Qualora la Corte di Strasburgo, come avvenuto nel caso della sentenza Varvara, affermi esplicitamente che la proprietà privata è un diritto fondamentale ed inviolabile del cittadino (al punto tale da non essere confiscabile pur in presenza di un “accertato” illecito lottizzatorio, come pure prevede il D.P.R. n. 380 del 2001, all’art. 44, comma 2, reso però inapplicabile dall’esegesi di tale norma alla luce della norma convenzionale dell’art. 1 del protocollo n. 1 della Convenzione e.d.u.), una norma siffatta – siccome interpretata dalla Corte e.d.u. – non potrebbe mai ritenersi accoglibile nel nostro ordinamento e ne dovrebbe essere dichiarata l’illegittimità costituzionale, trattandosi, come si è visto, di una norma sub- costituzionale, rientrante nell’ampio concetto delle cosiddette “norme interposte”.
16.7. Nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della CEDU, “il giudice nazionale comune deve preventivamente verificare la praticabilità di un’interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica” (sentenze n. 236 e n. 113 del 2011; n. 93 del 2010; n. 311 del 2009). Se questa verifica da esito negativo e il contrasto non può essere risolto in via interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la norma interna nè farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la CEDU, nella interpretazione che ne ha fornito la Corte di Strasburgo, e pertanto con la Costituzione, deve denunciare la rilevata incompatibilità proponendo una questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 117 Cost., comma 1, ovvero all’art. 10 Cost., comma 1, ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e n. 311 del 2009).
Nella giurisprudenza costituzionale si è, inoltre, reiterata mente affermato che, con riferimento ad un diritto fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle già predisposte dall’ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa.
Del resto, l’art. 53 della stessa Convenzione stabilisce che l’interpretazione delle disposizioni CEDU non può implicare livelli di tutela inferiori a quelli assicurati dalle fonti nazionali.
Di conseguenza, il confronto tra tutela prevista dalla Convenzione e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie, concetto nel quale deve essere compreso, come già chiarito nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007, il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, cioè con altre norme costituzionali, che a loro volta garantiscano diritti fondamentali che potrebbero essere incisi dall’espansione di una singola tutela.
Il richiamo al “margine di apprezzamento” nazionale – elaborato dalla stessa Corte di Strasburgo, e rilevante come temperamento alla rigidità dei principi formulati in sede europea – deve essere sempre presente nelle valutazioni della Corte costituzionale, tenuto conto che la tutela dei diritti fondamentali deve essere sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro.
16.8. Come più volte affermato dalla Corte costituzionale (sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011, n. 93 del 2010, n. 311 e n. 239 del 2009, n. 39 del 2008, n. 349 e n. 348 del 2007), il giudice delle leggi non può sostituire la propria interpretazione di una disposizione della CEDU a quella data in occasione della sua applicazione al caso di specie dalla Corte di Strasburgo, con ciò superando i confini delle proprie competenze in violazione di un preciso impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione e la ratifica, senza l’apposizione di riserve, della Convenzione, esso però è tenuto a valutare come ed in quale misura l’applicazione della Convenzione da parte della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare dell’art. 117 Cost., il comma 1 come norma interposta, diviene oggetto di bilanciamento, secondo le ordinarie operazioni cui questa Corte è chiamata in tutti i giudizi di sua competenza (sent. n. 317 del 2009). Operazioni volte non già all’affermazione della primazia dell’ordinamento nazionale, ma alla integrazione delle tutele.
Nell’attività di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti cui è chiamata la Corte costituzionale, gli interessi (rectius, diritti) sottesi ai parametri costituzionali evocati (artt. 2, 9, 32, 41 e 42 Cost., art. 117 Cost., comma 1) come sopra specificati, complessivamente coinvolti nella disciplina recata dalla disposizione censurata, prevalgono – a giudizio di questa Corte – sul diritto di proprietà, di pari rango costituzionale.
A differenza della Corte EDU, la Corte costituzionale è chiamata ad operare una valutazione sistemica, e non isolata, dei valori coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, ed è, quindi, tenuta a quel bilanciamento, solo ad essa spettante, che, nella specie, da appunto luogo alla soluzione indicata. Va, quindi, sollevata la questione di costituzionalità del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, come interpretato dalla Corte EDU (sentenza Varvara) nel senso che la confisca ivi prevista non può applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi, atteso che tale norma deve ritenersi in contrasto con gli artt. 2, 9, 32, 41 e 42 Cost., art. 117 Cost., comma 1, – i quali, come in precedenza specificato, impongono che il paesaggio, l’ambiente, la vita e la salute siano tutelati quali valori costituzionali oggettivamente fondamentali, cui riconoscere prevalenza nel bilanciamento con il diritto di proprietà – in quanto la norma suddetta, come sopra interpretata, non tiene conto di tale bilanciamento, che deve essere sempre operato qualora siano in gioco opposti interessi costituzionalmente protetti, anche qualora gli uni trovino tutela nella Cedu e gli altri nella Costituzione italiana.
Per completezza, va ricordato che l’obbligatorio ricorso al giudizio della Corte Costituzionale nel caso in esame discende anche dall’impossibilità di attivare la procedura prevista dal Protocollo n. 16 alla Convenzione e.d.u. (con cui, seppure con talune limitazioni, sarà in futuro possibile sospendere il procedimento in corso e rivolgersi alla Corte europea per chiedere un parere consultivo su una questione relativa all’applicazione della Convenzione europea e dei suoi Protocolli), non essendo ancora lo stesso entrato in vigore, pur essendo stato aperta alla firma degli Stati membri firmatari del Trattato STE 5, a Strasburgo, il 2 ottobre 2013 (ed in pari data sottoscritta dall’Italia), attesa la mancanza delle prescritte dieci ratifiche.
16.9. Non v’è dubbio, infine, che ne vada ritenuta, oltre la non manifesta infondatezza per le ragioni dianzi specificate, anche la rilevanza. Quest’ultima, invero, è comprovata dal rilievo per cui è proprio dalla soluzione della questione di costituzionalità che dipende l’applicabilità della disposizione normativa del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, nel caso in esame, nel quale si controverte – come ampiamente descritto al 13.1 -, di una fattispecie in cui risulta dimostrata la sussistenza della responsabilità penale per l’illecito lottizzatorio sotto il profilo oggettivo e soggettivo, responsabilità che è stata accertata da parte dei giudici di merito con valutazione condivisibile ed esente da censure in sede di legittimità.
Questa Corte, infatti, non potendo adottare altra sentenza se non di rigetto dei ricorsi (essendo preclusa, per le ragioni dianzi precisate, sia la pronuncia di annullamento senza rinvio, non essendovi le condizioni per l’applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 2, sia, peraltro, una pronuncia di annullamento con rinvio per vizio di motivazione quanto alla sussistenza dell’elemento psicologico, ostandovi l’estinzione per prescrizione dei reati), dovrebbe disporre la conferma delle statuizioni di cui all’impugnata sentenza quanto alla confisca degli immobili e delle aree in sequestro, ostandovi, però, allo stato, l’interpretazione della norma adottata dalla sentenza Varvara che, come visto, preclude una “confisca senza condanna”.
17. Il giudizio in corso dev’essere, conseguentemente, sospeso sino all’esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale.
P.Q.M
La Corte, visto la L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23;
ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza, solleva questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, come interpretato dalla Corte EDU (sentenza Varvara) nel senso che la confisca ivi prevista non può applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi, per violazione degli artt. 2, 9, 32, 41 e 42 Cost., art. 117 Cost., comma 1, – i quali impongono che il paesaggio, l’ambiente, la vita e la salute siano tutelati quali valori costituzionali oggettivamente fondamentali, cui riconoscere prevalenza nel bilanciamento con il diritto di proprietà – in quanto la norma suddetta, come sopra interpretata, non tiene conto di tale bilanciamento, che deve essere sempre operato qualora siano in gioco opposti interessi costituzionalmente protetti, anche qualora gli uni trovino tutela nella Cedu e gli altri nella Costituzione italiana (v. Corte Cost. n. 264 del 2012).
Sospende il giudizio in corso sino all’esito del giudizio incidentale di legittimità costituzionale;
dispone che, a cura della cancelleria, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale, e che la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Pubblico Ministero nonchè al Presidente del Consiglio dei Ministri, e che sia anche comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 30 aprile 2014.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 20/05/2014