A cura dell’avv. Xavier Santiapichi
Scadenza del permesso di costruire: il Consiglio di Stato ribadisce che la crisi economica non è elemento idoneo a motivare la richiesta di proroga.
La sentenza aggiunge anche che l’intervenuto rilascio del Permesso di Costruire poi scaduto non genera alcuna “aspettativa” che la destinazione urbanistica venga mantenuta; è quindi inopponibile alla nuova zonizzazione, foss’anche a destinazione agricola (com’è avvenuto nel caso esaminato), un legittimo affidamento alla stabilità dei titoli edilizi rilasciati nella vigenza del precedente strumento urbanistico, quando le opere non son state realizzate per tempo.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso n. 1189/2015 RG, proposto dal Comune di Lanciano (CH), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Carlini, con domicilio eletto presso la Segreteria di questa Sezione in Roma, p.za Capo di Ferro n. 13,
CONTRO
la Frentana Costruzioni s.r.l., corrente in Lanciano, in persona del legale rappresentante pro tempore, appellante incidentale, rappresentata e difesa dall’avv. Marcello Russo, con domicilio eletto in Roma, via Nizza n. 63, presso l’avv. Croce,
PER LA RIFORMA
della sentenza del TAR Abruzzo – Pescara, n. 449/2014, resa tra le parti e relativa all’approvazione del nuovo PRG di Lanciano ed alla classificazione di terreni come agricoli (decadenza dei permessi di costruire e demolizione di opere edilizie);
- Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
- Visto l’atto di costituzione in giudizio della Società appellante incidentale;
- Visti gli atti tutti della causa;
- Relatore all’udienza pubblica del 23 giugno 2015 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, gli avvocati Carlini e Croce (per delega dell’avv. Marcello Russo);
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
La Frentana Costruzioni s.r.l., corrente in Lanciano (CH) e proprietaria di alcuni terreni colà ubicati in loc. S. Liberata, ottenne dal Comune di Lanciano il permesso di costruire n. 362 del 21 ottobre 2005 per costruirvi sei villette, divenute poi otto (per complessivi undici alloggi) con il PDC n. 104 del 18 maggio 2007.
Detta Società, che assume d’aver nel frattempo realizzato circa l’80% di tre delle prime sei villette così assentite, rende nota l’emanazione della deliberazione n. 133 del 18 novembre 2011, con la quale il Consiglio comunale di Lanciano ha approvato il nuovo PRG, previo rigetto, tra le altre, pure della osservazione n. 79, da essa presentata. In sostanza, il PRG ha inserito i terreni di detta Società in parte in zona agricola e, per la restante parte, in area a vincolo PAI, in relazione a quanto sul punto statuito dalla competente Autorità di bacino nel piano stralcio per l’assetto idrogeologico.
Contro tali atti è allora insorta detta Società innanzi al TAR Pescara, con il ricorso n. 114/2012 RG, deducendo sei articolati gruppi di censure con il gravame introduttivo, nonché altri tre con l’atto per motivi aggiunti rivolti avverso i provvedimenti comunali assunti il 10 maggio 2012 e recanti la decadenza dai citati PDC (per omessa ultimazione dei lavori entro il termine prescritto), l’ordine di demolizione delle opere già realizzate e, rispettivamente, il rigetto della SCIA dalla ricorrente stessa nel frattempo proposta.
L’adito TAR, con sentenza n. 449 del 14 novembre 2014, respingendo però la domanda risarcitoria e dichiarando improcedibile quella sulla decadenza dai PDC, ha accolto la pretesa attorea: 1) – circa l’ordinanza di demolizione, poiché la decadenza dal titolo edilizio ha effetto ex nunc e non implica per forza la demolizione del manufatto nel periodo di vigenza di esso; 2) – per l’illegittima scelta di inserire i terreni della ricorrente in zona agricola, immotivata in sé, priva d’ogni considerazione con riguardo alle aspettative ed agli affidamenti ingenerati in essa e senza aver tenuto conto dello stato di fatto concreto, tenendo anche conto della variante al PAI che non classifica più le aree stesse a pericolosità molto elevata, ma soggette a fenomeni gravitativi ed a processi erosivi; 3) – per il non accoglimento della SCIA per il completamento delle tre villette già iniziate.
Appella dunque il Comune di Lanciano, con il ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della citata sentenza sotto svariati profili. A sua volta detta Società, anzitutto contestando l’appello principale e precisando d’aver proposto le istanze per i citati PDC sulla base dell’unica cartografia regionale esistente in scala 1:25.000 (da cui sembrava emergere che i suoi terreni fossero esterni al perimetro del PAI), propone gravame incidentale, deducendo anch’essa l’erroneità della sentenza impugnata e facendo riemergere i motivi assorbiti dal TAR.
Alla pubblica udienza del 23 giugno 2015, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1. – Il Comune di Lanciano impugna la sentenza con cui il del TAR Pescara ha accolto il ricorso di una impresa edile, inerente alla decadenza di essa dai suoi titoli edilizi (quello originario del 2005 per sei villette; quello in variante del 2007 per la realizzazione di altre otto) per effetto o a seguito del nuovo PRG, in virtù del quale le sue aree d’intervento in parte son state inserite in zona agricola e sottoposte a vincolo idrogeologico in base alle disposizione del vigente PAI locale.
2. – Va anzitutto esaminato l’appello incidentale proposto dalla predetta impresa, in quanto il suo eventuale accoglimento determinerebbe l’improcedibilità di quello del Comune.
Quanto al primo motivo incidentale, relativo all’omessa valutazione, da parte del TAR, della data in cui s’è verificata la decadenza dei due PDC, predica l’appellante incidentale che vi sia un differente termine d’inizio e fine lavori per ciascun titolo edilizio.
Ora, si può discettare se il titolo in variante del 2007 rechi, o no una mera aggiunta di opere del tutto nuove e diverse rispetto al PDC del 2005 e se vi sia una perfetta autonomia del secondo dal primo, onde a ciascuno di essi si applicherebbero i rispettivi termini d’inizio e fine lavori e per le sole opere colà previste.
Ciò che qui rileva, ai fini della decadenza d’entrambi i PDC, è che essa non può che operare in via automatica, se non si verifichi la conclusione dei relativi lavori «… entro il termine di tre anni dalla data di inizio…» di essi. A ben vedere, il PDC n. 104/2007 ha disposto sì detta variante, ma con la conferma delle «… condizioni tutte prescritte nell’originaria concessione compreso il termine per l’ultimazione dei lavori…», sicché il dies ad quem, al momento della disposta decadenza, s’era consumato non per scelta della P.A., bensì per la sostanziale incapacità dell’appellante incidentale di terminare già le sole prime tre villette. Al riguardo, basta rammentare ciò che disse quest’ultima nel suo atto per motivi aggiunti in primo grado (pag. 3), quando fece presente l’inizio dei lavori del PDC originario in data 4 giugno 2006, ossia ben prima della variante predetta. Né serve richiamare quindi la giurisprudenza sui criteri d’interpretazione del provvedimento amministrativo con clausole contraddittorie, giacché, negli stessi motivi aggiunti (pag. 4) e alla data del 29 novembre 2011 «… le strutture realizzate sono solo tre su otto di cui una sola porzione ultima (particella 4552) e altre tre da ultimare e verranno presumibilmente definite nei prossimi 3-5 anni a causa della crisi economica ed edilizia in atto…».
Sicché, pure ad accedere alla tesi dell’impresa e tralasciando il termine del PDC del 2005, il termine di complessivi quattro anni indicati nel PDC del 18 maggio 2008 alla data del 29 novembre 2011 era trascorso senza che le opere della “variante” fossero state ultimate.
Non va sottaciuto certo, a fronte della risposta che l’appellante incidentale diede al Comune ed alla SCIA del 3 febbraio 2012 per l’ultimazione delle opere a quel tempo ancora incompiute, il chiaro principio affermato dalla Sezione (cfr. Cons. St., IV, 6 ottobre 2014 n. 4975) e secondo il quale la crisi economica, che ha afflitto il settore dell’edilizia, non è un motivo che può consentire la proroga sic et simpliciter del PDC. Invero, in base all’art. 15 del DPR 6 giugno 2001 n. 380, i termini de quibus possono esser prorogati con provvedimento motivato solo per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del PDC, o in considerazione della mole dell’opera da realizzare o di particolari sue caratteristiche tecnico-costruttive. La crisi congiunturale dell’edilizia non è pertanto una valida ragione opponibile all’inutile decorso dei termini predetti, né per giustificare l’inerzia del titolare del PDC, perché fa riferimento a considerazioni generiche non rilevanti rispetto all’obbligo di osservare i tempi d’inizio e completamento dei lavori.
Inoltre, è jus receptum (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 7 settembre 2011 n. 5028; id., 11 aprile 2014 n. 1747; ma cfr. pure id., III, 4 aprile 2013 n. 1870), che la decadenza costituisce l’effetto automatico dell’inutile decorso del termine entro cui i lavori si sarebbero dovuti iniziare e concludere. Pertanto, essa ha natura non già costitutiva, bensì dichiarativa con efficacia ex tunc d’un effetto verificatosi ex se e direttamente (giurisprudenza prevalente: cfr. Cons. St., IV, 4 marzo 2014 n. 1013). In tal modo va letto l’art. 15, c. 2, II per. del DPR 380/2001, in virtù del quale, inutilmente decorsi detti termini, «…il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga…». Restano così assorbite tutte le questioni su tal natura dichiarativa, nonché sulla necessità dell’avviso d’avvio del procedimento di decadenza —del tutto superfluo nel caso in esame—, sulle quali il Collegio non può che condividere quanto statuito dal TAR.
Anzi, come fa presente il Comune di Lanciano, nella specie, più che il c. 2, s’applica il successivo c. 4, per cui «… il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio…». Poiché nel caso in esame tutti tali termini erano già decorsi almeno al 29 novembre 2011, l’appellante incidentale nemmeno può godere delle proroghe ex art. 30, c. 3 del DL 21 giugno 2013 n. 69 e di quelle successivamente intervenute. Scolorano dunque le questioni sulla compatibilità, o non delle opere con le prescrizioni del PAI, all’interno della cui zona di rischio molto elevato ricade una parte dell’intervento costruttivo dell’appellante incidentale. Infatti, di completato ed in parte, in via di definizione, delle tre villette, ce n’è solo una, la quale, quand’anche non ricadesse del tutto in area PAI P3, comunque sarebbe in area agricola, donde in ogni caso la rigorosa soggezione di essa alla valutazione ai sensi non solo dell’art. 14 delle NTA del nuovo PRG (il quale però subordina la legittimità dei PDC anteriormente rilasciati per la SOLA loro durata), ma pure e soprattutto del già citato art. 15, c. 4.
Da ciò discende, una volta appurata siffatta soggezione e sussistendo dubbi sulla possibilità del loro completamento, la non necessità, anzi l’inutilità d’acquisire, a cura del Comune stesso, il parere della competente Autorità di bacino sugli edifici stessi e sui lavori ancora da definire.
3. – Parimenti da respingere sono gli ulteriori motivi di primo grado ed assorbiti dal TAR, a parte la genericità del primo motivo sulla (pretesa) violazione dell’art. 9 della l. reg. Abr. 12 aprile 1983 n. 18 sul contenuto minimo essenziale d’un PRG, l’oggetto delle quali doglianze è indicato di volta in volta in ciascuna singola questione riproposta.
Non convince la censura sul fatto che il nuovo PRG avrebbe erroneamente trasposto, nella propria cartografia, i confini delle singole aree vincolate dal PAI inserendovi i terreni di detta impresa. Per un verso, non è chiaro in base a quale regola scientifica si fondi l’erroneità di siffatta trasposizione, né è spesa in questa sede un serio principio di prova specifica sul punto, specie a fronte di quanto dedotto dal Comune nella relazione illustrativa allegata al ricorso in epigrafe (sub 12). Per altro e correlato verso, la cartografia del vigente PAI, la variante al momento dell’approvazione del nuovo PRG essendo ancora in itinere, ha definito le aree su cui insistevano gli edifici A1, A2 e B5 come a pericolosità assai elevata. Tanto mentre la variante al PAI stesso prevederà, per i terreni stessi, la definizione di pericolosità moderata e fermo restando che, al di là dell’ipotesi formulata dalla ricorrente incidentale, di per sé sola la destinazione di questi ultimi a zona agricola non dipende per forza dalle indicazioni o dai vincoli del PAI.
Non ha gran senso predicare una disparità di trattamento, nella specie con riguardo all’accoglimento dell’osservazione n. 379 proposta dal sig. D’Orsogna, se non si argomenta in modo serio e rigoroso, con riguardo ai dati di fatto e diritto della vicenda richiamata rispetto a quella in esame, la precisa sovrapponibilità dell’una all’altra e tal onere incombe a chi l’afferma e non può esser addossata alla funzione istruttoria di questo Giudice.
Non maggior pregio ha la questione sull’azzonamento agricolo dei terreni stessi, poiché si tratta di una scelta latamente discrezionale del Comune e non necessitano, in linea di larga massima, d’una specifica motivazione sul relativo contenuto. Tanto, ovviamente, nei noti limiti di ragionevolezza e proporzionalità, nonché della manifesta irrazionalità, che prima facie e di per sé sola, nella specie, non pare evincersi dalla mera circostanza che ad un’area attigua, un tempo agricola, è stata impressa un’altra destinazione e viceversa.
Sfugge infine a tutela di qual personale interesse l’appellante incidentale si duole del difetto delle previsioni di spesa nel PRG o sull’incremento delle aree a standard evidenziate dalla Provincia in sede di copianificazione, giacché, nell’un caso come nell’altro, non è dimostrata l’incapienza o una evidente insufficienza delle previsioni sui costi delle opere a carico del Comune circa tali terreni.
4. – Passando ora alla disamina dell’appello principale e ferme le considerazioni fin qui svolte a confutazione degli argomenti dell’appellante incidentale, il ricorso in epigrafe, per le questioni non ancora scrutinate, è invece meritevole d’accoglimento.
E, invero e secondo quanto detto poc’anzi, nella specie il trattamento delle villette realizzate in tutto o in parte è e resta quello indicato nell’art. 15, c. 4 del DPR 380/2001, il quale non fa differenza tra opere compiute o no. È inopponibile alla disposta zonizzazione, foss’anche a destinazione agricola (com’è poi avvenuto), un legittimo affidamento alla stabilità dei titoli edilizi rilasciati nella vigenza del precedente strumento urbanistico, quando le opere non son state realizzate per tempo e, almeno per una parte non modesta, i terreni oggetto di tal intervento edilizio ricadevano nell’allora vigente area ad elevata pericolosità idraulica (P3) del PAI e l’appellante incidentale non ne tenne conto al momento di chiedere i citati PDC. L’ azzonamento a destinazione agricola, lo s’è appena detto, è scelta discrezionale che non abbisogna d’una puntuale motivazione, né in sé, né quand’anche fosse a causa dell’eventuale viciniorità dei terreni di detta impresa all’area vincolata dal PAI, quantunque l’evoluzione di quest’ultimo potrà esser apprezzata, se del caso con altrettanta discrezionalità, nel trattamento dei terreni stessi.
Le questioni fin qui vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti ai sensi dell’art 112 c.p.c., in conformità al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (cfr., per tutti, Cass., II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, più di recente, id., V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati son stati dalla Sezione ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
La complessità e la novità delle questioni trattate giustificano la compensazione integrale, tra tutte le parti, delle spese del doppio grado del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. IV), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1189/2015 RG in epigrafe, respinge l’appello incidentale e accoglie quello principale e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 23 giugno 2015, con l’intervento dei sigg. Magistrati:
Goffredo Zaccardi, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Leonardo Spagnoletti, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/04/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)