Con la recente ordinanza 14632/2019 il Tar Lazio, sede di Roma, si è reso promotore della tutela del privato e della sua proprietà rilevando d’ufficio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 comma 1 lett. b) della Legge Regionale Lazio n. 12/2004, per aver previsto la non condonabilità delle opere realizzate anche prima dell’apposizione del vincolo.
La citata legge regionale ha infatti previsto una disciplina di maggior rigore rispetto alla legge nazionale sul terzo condono (DL n. 269 del 2003 conv. Con L. 326/2003) – già più rigoroso dei primi due come più avanti si dirà – e che all’art. 32 comma 27 ha invece previsto la condonabilità delle opere realizzate in area vincolata qualora le opere abusive siano precedenti all’apposizione del vincolo oppure, anche in alternativa, se realizzate senza titolo ma conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
A condivisibile avviso del Giudice amministrativo, una disciplina così restrittiva, interpretabile nel senso dell’applicabilità all’istanza di condono della normativa vigente al tempo dell’evasione della pratica da parte del Comune e non della presentazione dell’istanza, comporta necessariamente una violazione del principio di ragionevolezza soprattutto sotto il profilo del legittimo affidamento “dovendo il soggetto che presenti una domanda di condono essere in grado di comprendere se la sua istanza sia suscettibile o meno di accoglimento, con giudizio di prognosi postuma, sulla base della normativa vigente al momento dell’entrata in vigore di tale normativa condonistica, o al più di quella vigente al momento della presentazione della domanda” ma anche del principio della certezza del diritto sotto il profilo della disparità di trattamento “posto che due domande di condono relative ad immobili ricadenti nella medesima zona e presentate in pari data potrebbero essere esitate in senso diverso a seconda del momento in cui l’Amministrazione esamini le medesime domande, con la conseguenza che gli istanti potrebbero essere penalizzati dalla lunghezza dei tempi per la decisione sulle domande di condono, posto che si assegnerebbe rilevanza a tutti i vicnoli sopravvenuti, anche dopo la presentazione della domanda di condono, sino al momento in cui l’amministrazione abbia ad esitare la medesima”.
Il rispetto di tali principi andrebbe comunque garantito anche nell’applicazione dei precedenti condoni che seppur apparentemente meno rigorosi del Terzo potrebbero dar adito ad interpretazioni non costituzionali, quantomeno con riferimento al vincolo sopravvenuto: se la legge 326/2003, secondo la giurisprudenza, ha dato rilievo ostativo anche al vincolo di inedificabilità relativa, i primi due hanno invece escluso la condonabilità solo delle opere realizzate su aree sottoposte a vincoli d’inedificabilità assoluta, prevedendo per l’ipotesi di vincolo relativo la possibilità di una sanatoria a condizione del rilascio del parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo. Tuttavia, parte della giurisprudenza ha, in passato, ritenuto necessario il parere dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo anche in caso di vincolo sopravvenuto alla realizzazione delle opere e tale interpretazione, ad avviso del Giudice remittente, rischia di essere in contrasto con i summenzionati principi costituzionali al pari di quanto osservato rispetto alla L.R. sospettata d’incostituzionalità.
Ad avviso di chi scrive si potrebbe ravvisare un ulteriore profilo di incostituzionalità della norma regionale in discussione relativamente alla disciplina dettata per le aree sottoposte a vincolo. Nel caso oggetto dell’ordinanza in commento si discuteva, infatti, della condonabilità di opere realizzate su aree per le quali, successivamente alla presentazione dell’istanza di condono, era stato apposto un vincolo di interesse archeologico. Per il legislatore nazionale del terzo condono, il vincolo sopravvenuto non può essere ostativo della sanatoria laddove per il legislatore regionale, invece “non sono comunque suscettibili di sanatoria (…) le opere di cui all’articolo 2, comma 1, realizzate, anche prima della apposizione del vincolo”. Così facendo il legislatore regionale ha introdotto una disciplina più restrittiva della nazionale e se ciò potrebbe astrattamente essere ammissibile in ragione della potestà legislativa concorrente ex art. 117 co. 2 Cost. in materia di governo del territorio, qualche dubbio sorge nella parte in cui la disciplina più restrittiva ha invaso la competenza esclusiva statale ex art. 117 co. 1 lett s) Cost. sulla “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”.
Infatti, per gli artt. 2 e 10 del D.Lgs. 42/2004 i beni che presentano un interesse archeologico sono beni culturali, sui quali solo lo Stato parrebbe avere potestà legislativa, anche al fine di una uniformità di tutela al livello nazionale, con conseguente impossibilità, per il legislatore regionale, di legiferare in materia.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 3864 del 2009, proposto da
Fulli Marisa e proseguito dai suoi eredi Bianchi Carlo e Bianchi Monica rappresentati e difesi dall’avvocato Andrea Bracone, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di Quarto Grande n. 7;
CONTRO
Comune di Montecompatri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Carola Chinappi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Carlo Felice, 63;
sul ricorso numero di registro generale 3865 del 2009, proposto da
Carlo Bianchi, rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Bracone con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via di Quarto Grande n. 7;
CONTRO
Comune di Montecompatri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Carola Chinappi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Carlo Felice, 63;
PER L’ANNULLAMENTO
quanto al ricorso n. 3864 del 2009:
del provvedimento di diniego della domanda di condono edilizio avente prot. n. 3927 del 20 febbraio 2009 notificato alla signora Marisa Fulli in data 25 febbraio 2009;
quanto al ricorso n. 3865 del 2009:
del provvedimento di diniego della domanda di condono edilizio avente prot. n. 3931 del 20 febbraio 2009, notificato al Signor Carlo Bianchi in data 25 febbraio 2009;
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 20 settembre 2019 la dott.ssa Diana Caminiti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
I MOTIVI DI RICORSO E LO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.Con i ricorsi di cui è causa i ricorrenti in epigrafe indicati hanno impugnato i provvedimenti del Comune di Montecompatri, aventi rispettivamente prot. n. 3927 del 20 febbraio 2009 e prot. n. 3931 del 20 febbraio 2009, di diniego delle domande di condono edilizio, notificati in data 25 febbraio 2009.
2. Gli atti gravati sono relativi ad istanze di condono ex legge 326/2003 e sono motivati sulla base del rilievo che le unità immobiliari oggetto delle relative istanze, facenti parte di un unico edificio e situati rispettivamente al piano primo ed al piano terra, insistono in zona di interesse archeologico ai sensi dell’art. 41 delle norme del Piano Territoriale Paesistico Regionale, adottato con Delibera di G.R. n. 556 del 25/07/2007 e n. 1025 del 21/12/2008; da ciò la non sanabilità del medesimo immobile, ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. a) della Legge Regionale n. 12 del 8 novembre 2004 che stabilisce la non sanabilità di tutte quelle opere realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali, dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, anche se realizzate prima dell’apposizione del vincolo.
2.1. Entrambe le domande oggetto degli atti di diniego, relative ad unità immobiliari destinate ad abitazione dei richiedenti, risultano, come comprovato dagli atti di causa, presentate in data 7 dicembre 2004, integrate in data 25 ottobre 2005, con la produzione del certificato di idoneità sismica ed infine in data 9 gennaio 2006 – per quanto concerne l’istanza presentata da Fulli Marisa e in data 23 maggio 2006 – per quanto concerne la pratica presentata da Bianchi Carlo – con la produzione dell’attestazione di pagamento della terza rata degli oneri concessori.
3. A sostegno dei rispettivi ricorsi le parti ricorrenti hanno articolato, in quattro motivi di ricorso, identiche censure, deducendo:
I) Eccesso di potere e travisamento delle circostanze di fatto.
Nella prospettazione dei ricorrenti gli atti gravati sarebbero illegittimi laddove fra i motivi ostativi evidenzierebbero il mancato invio di documentazione essenziale ai fini istruttori, ai sensi dell’art. 4 comma 3 della L.R. n. 12 del 2004, come richiesta dal Comune di Montecompatri.
Ciò in quanto, secondo i ricorrenti, la perizia giurata cui fa riferimento la norma indicata era stata depositata ancor prima che la stessa venisse richiesta dal Comune, ovvero in data 25 ottobre 2005.
II) Eccesso di potere per difetto e/o carenza di istruttoria.
Secondo i ricorrenti i provvedimenti gravati sarebbero affetti da deficit motivazionale, quanto alla generica ed asserita problematica inerente la cubatura dell’immobile e della superficie oggetto di calcolo per la determinazione dell’oblazione e degli oneri concessori, non avendo l’Amministrazione provveduto a quantificare in maniera precisa e circostanziata l’ipotizzato eccesso di cubatura, come già evidenziato dai ricorrenti in sede di presentazione delle memorie inviate a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
III) Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della L.R. n. 12/2004; Eccesso di potere per illegittimità interna.
Secondo i ricorrenti l’amministrazione comunale avrebbe errato nel rilevare l’eccesso di cubatura degli immobili di cui è causa, deducendolo dalla cubatura considerata dai ricorrenti medesimi per il calcolo dell’oblazione e degli oneri concessori, in quanto non avrebbe considerato che le unità immobiliari de quibus sarebbero l’unica residenza dei ricorrenti, per cui occorreva prendere in considerazione il disposto dell’art. 2 della L.R. n. 12/2004 nella parte in cui fissa il limite di 900 metri cubi per l’immobile nel suo complesso, in relazione ad unità immobiliari adibite a prima casa di abitazione del richiedente nel comune di residenza.
I ricorrenti inoltre evidenziano che il tecnico, nel redigere la relazione di idoneità sismica, aveva considerato nel calcolo il volume complessivo dell’immobile anche il piano interrato che invece, nella prospettazione attorea, non potrebbe essere preso in considerazione ai fini del calcolo delle superfici sanabili, come spazio costituente volume.
IV) Violazione dell’art. 33 comma 1 L. 47/85, del principio di non contraddittorietà dei provvedimenti provenienti dalla medesima attività amministrativa, nonché carente motivazione.
Secondo i ricorrenti i provvedimenti rispettivamente gravati, aventi identica motivazione, sarebbero illegittimi nella parte in cui rilevano, quale ulteriore motivo di diniego della concessione del permesso di costruire in sanatoria, che gli immobili di cui è causa insistono in zona archeologica ai sensi dell’art. 41 delle norme del Piano Territoriale Paesistico della Regione Lazio, adottato con delibera di G.R. n. 556 del 25 luglio 2007 e n. 1025 del 21/12/2008, per cui l’area di cui è causa era sottoposta a vincolo paesistico ed archeologico.
Ciò in quanto, ad avviso dei ricorrenti, non potrebbe tenersi conto di un vincolo successivo, come nella specie, alla realizzazione del fabbricato, e pertanto le limitazioni scaturenti dal Piano Paesistico regionale non potrebbero incidere sull’ammissibilità delle domande di condono, oggetto di esame da parte dell’amministrazione comunale, precedenti rispetto all’entrata in vigore del Piano Paesistico.
Nella prospettazione attorea, aderendo alla tesi contraria, la sanabilità o meno dell’abuso dipenderebbe dal momento in cui l’Amministrazione competente abbia ad esaminare la domanda di condono; da ciò deriverebbe una disparità di trattamento rispetto a quanti, pur avendo presentato domanda di condono, in relazione ad immobili siti nella medesima zona, abbiano ottenuto il permesso di costruire in sanatoria solo per il fatto che la loro domanda sia stata esitata prima dell’adozione del Piano Paesistico Regionale.
Nella prospettazione attorea inoltre, secondo il costante orientamento giurisprudenziale in tema di condonabilità degli abusi edilizi, dovrebbe trovare applicazione la disciplina dei vincoli esistenti al momento della commissione dell’abuso e non quella presente nel momento in cui si esamina la domanda di sanatoria; ciò sulla base del disposto dell’art. 33 comma 1 legge n. 47/85, nella parte in cui testualmente specifica che l’inedificabilità deve ricondursi a vincoli che siano stati imposti prima dell’esecuzione delle opere.
Secondo i ricorrenti infatti l’art. 33 della legge n. 47 del 1985, al quale fa rinvio anche l’art. 32 comma 27 della l. 326/2003, dispone che sono insuscettibili di sanatoria le opere realizzate abusivamente, qualora siano in contrasto con vincoli archeologici, paesistici ed ambientali, sempre che questi comportino inedificabilità e siano imposti prima dell’esecuzione delle opere suddette.
Inoltre, a dire dei ricorrenti, i dinieghi gravati sarebbero comunque illegittimi avendo omesso di motivare in ordine all’effettiva incidenza delle opere abusive sui valori paesistici.
4. Si è costituito il Comune di Montecompatri, instando per il rigetto del ricorso, sulla base del rilievo che motivo assorbente degli impugnati provvedimenti di diniego di condono sarebbe il vincolo discendente dal Piano Territoriale Paesistico della Regione Lazio, in forza della previsione dall’art. 3 comma 1 lett. b) legge regionale n. 12 del 8 novembre 2004, la quale, come peraltro sostenuto dalla costante giurisprudenza, imporrebbe l’insanabilità delle opere anche qualora realizzate prima dell’apposizione del vincolo archeologico e paesaggistico di cui all’art. 3 della citata legge regionale.
Pertanto, nella prospettazione del Comune, verrebbe in rilievo una norma più restrittiva rispetto a quella di cui all’art. 32 comma 27 lett. d) del D.L. 269/2003, convertito nella legge 326/2003, per cui dovrebbero essere presi in considerazione, al momento della decisione in ordine alle istanze di condono, anche i vincoli sopravvenuti, ex art. 3 comma 1 lett. b) della legge regionale n. 12 del 8 novembre 2004.
5. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’esito dell’udienza, fissata per lo smaltimento dell’arretrato, del 20 settembre 2019, nella cui sede il legale di parte ricorrente ha affermato di avere avuto contezza della circostanza che in relazione allo stesso lotto di cui è causa il Comune aveva rilasciato permessi di costruire in sanatoria ex l. 326/2003, insistendo per l’accoglimento del ricorso alla luce di quanto argomentato in merito all’irrilevanza dei vincoli sopravvenuti rispetto alla realizzazione dell’immobile oggetto di sanatoria in quanto, a dire del ricorrente, argomentando diversamente, si farebbe dipendere la condonabilità delle opere dal momento in cui l’amministrazione esamini la domanda di sanatoria.
6. In via preliminare, venendo in rilievo ricorsi senza dubbio connessi da un punto di vista oggettivo, essendo tra l’altro gli atti di diniego gravati motivati sulla base dei medesimi rilievi e relativi al medesimo edificio, e soggettivo, va disposta la riunione dei ricorsi in epigrafe, ex art. 70 c.p.a..
RILIEVO D’UFFICIO DELLA QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELL’ART. 3 COMMA 1 LETT. B) DELLA LEGGE REGIONALE LAZIO N. 12 DEL 8 NOVEMBRE 2004.
7. I provvedimenti gravati si fondano essenzialmente, come dedotto dal Comune, sul rilievo dell’incondonabilità delle opere di cui è causa, in forza della previsione normativa di cui all’art. 3 comma 1 lett. b) della legge regionale Lazio n. 12 del 8 novembre 2004, essendo stata la zona di cui è causa sottoposta a vincolo paesaggistico ed archeologico ai sensi dell’art. 41 delle norme del Piano Territoriale Paesistico della Regione Lazio, adottato con delibere di G.R. n. 556 del 25 luglio 2007 e n. 1025 del 21/12/2008.
Peraltro la Sezione ritiene che la cennata previsione normativa, di carattere speciale rispetto alla previsione nazionale di carattere generale di cui all’art. 32 comma 27 della legge 326/2003, sia costituzionalmente illegittima, secondo quanto di seguito osservato, ed intende pertanto sottoporre la stessa al sindacato della Corte Costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 42 , 97, 103 e 113 Cost. .
SULLA RILEVANZA DELLA QUESTIONE DI COSTITUZIONALITÀ DELL’ART 3 COMMA 1 LETT. B) DELLA LEGGE REGIONALE LAZIO N. 12 DEL 8 NOVEMBRE 2004.
8. La questione di costituzionalità si presenta senza dubbio di carattere rilevante in quanto, come innanzi accennato, gli atti di diniego di sanatoria oggetto dell’odierno contenzioso, di identico tenore, sono essenzialmente motivati sulla base del profilo ostativo innanzi indicato, per cui si palesa irrilevante la disamina dei primi tre motivi di ricorso, riferiti ad ulteriori profili ostativi.
8.1.Ed invero deve in primo luogo ritenersi come gli ulteriori profili ostativi, contenuti nella comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, cui fanno riferimento i primi tre motivi di ricorso, non siano stati reiterati nella motivazione dei provvedimenti finali evincibile nella parte motiva introdotta dal considerato: “Considerato che alla luce del nuovo Piano Territoriale Paesistico della Regione Lazio, l’immobile in oggetto insiste in zona di interesse archeologico, ai sensi dell’art. 41 delle norme del Piano Territoriale Paesistico Regionale adottato con delibera di G.R. n. 556 del 25/07/2007 e n. 1025 del 21/12/2008, pertanto l’area è sottoposta a vincolo paesistico ed archeologico…”.
8.2. In ogni caso, ove anche si ritenesse che i gravati provvedimenti reiterino anche gli ulteriori motivi ostativi indicati nelle premesse del provvedimento ed introdotti da Visto/Vista, verrebbero al più in rilievo atti plurimotivati, essendo il motivo ostativo fondato sulla sussistenza del vincolo paesistico ed archeologico sull’area de qua e sull’incondonabilità delle opere di cui è causa, ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. b) della legge regionale Lazio n. 12 del 8 novembre 2004, idoneo da solo a sorreggere gli atti gravati, alla luce della costante interpretazione da parte della giurisprudenza di tale disposto normativo, da considerarsi diritto vivente, secondo la quale il legislatore regionale, nell’esercizio delle prerogative di cui è attributario (C. cost. 196/04; 70/05; 71/05; 49/06) ha inteso introdurre, con l’art. 3 della L.R. n. 12 del 2004, una disciplina di maggior rigore, rispetto alla disciplina nazionale, statuendo che “non sono comunque suscettibili di sanatoria”, tra le altre fattispecie indicate in detta disposizione, “le opere di cui all’articolo 2, comma 1, realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali (….)nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali” (ex multis T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, Sent., 21-01-2019, n. 795; T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, 07/11/2018, n. 10730; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II bis 17 febbraio 2015 n. 2705; T.A.R. T.A.R. Lazio, II, 7 aprile 2014, n. 3755; id. 8 gennaio 2007, n. 52).
Ciò posto, deve farsi applicazione del costante orientamento giurisprudenziale, costituente ius receptum, secondo il quale “Allorché sia controversa la legittimità di un provvedimento che si fondi su più ragioni di diritto tra loro indipendenti, l’accertamento dell’inattaccabilità anche di una sola di essa vale a sorreggere il provvedimento stesso, sì che diventano, in sede processuale, inammissibili per carenza di interesse le doglianze fatte valere avverso le restanti ragioni, soccorrendo, infatti, al riguardo il consolidato principio secondo il quale, laddove una determinazione amministrativa di segno negativo tragga forza da una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali sia di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse passi indenne alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall’annullamento” (ex multis T.A.R. Napoli, (Campania) sez. III, 02/07/2019, n.3644; in senso analogo T.A.R. Trieste, (Friuli-Venezia Giulia) sez. I, 05/08/2019, n.353; T.A.R. Roma, (Lazio) sez. II, 05/06/2019, n.7298; T.A.R. Napoli, (Campania) sez. V, 13/04/2018, n.2447; T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. II, 05/04/2017, n.795).
8.3. Da ciò la rilevanza della questione di legittimità costituzionale che inerisce al vaglio del quarto motivo di ricorso, in quanto l’amministrazione comunale, nel dare rilevanza al sopravvenuto vincolo archeologico e paesistico, ha fatto applicazione di tale disposto normativo, come costantemente interpretato dalla giurisprudenza.
9. Pertanto la questione di costituzionalità si presenta di carattere dirimente in quanto il suo accoglimento comporterebbe l’accoglimento del ricorso, mentre, per converso, il suo rigetto, il rigetto del ricorso, non potendo giovare ai ricorrenti neppure quanto dedotto nel quarto motivo di ricorso in ordine al difetto di motivazione degli atti gravati, per mancata disamina dell’impatto sul paesaggio delle opere de quibus; ciò in quanto la giurisprudenza citata da parte ricorrente attiene ai vincoli di inedificabilità relativa in relazione ai condoni ex lege 47/85 ed ex lege 724/94 e non può trovare applicazione ove, come nella specie, venga in rilievo un condono ex lege 326/2003.
9.1. Ed invero per i condoni ex lege 47/85 ed ex lege 724/94 rileva la differenza fra vincoli di inedificabilità assoluta, rispetto ai quali l’esistenza del vincolo si rileva di per sé ostativa alla concessione del permesso di costruire in sanatoria, e vincoli di inedificabilità relativa, come facilmente evincibile peraltro dal raffronto fra l’art. 32 della l. 47/85 (relativo ai vincoli di inedificabilità relativa) e il successivo art. 33, relativo ai vincoli di inedificabilità assoluta.
Infatti, a norma dell’art. 32, il condono può essere rilasciato, previo parere favorevole delle amministrazioni preposto alla tutela del vincolo, che devono valutare l’impatto delle opere abusive sul contesto vincolato.
9.2. Di contro il vincolo comportante inedificabilità delle aree si presenta ex se come ostativo rispetto all’accoglimento della domanda di condono, a norma del chiaro tenore letterale dell’art. l’art. 33 L. 47/85 il quale prescrive che “Le opere di cui all’art. 31 non sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse:
a) vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici;
b) vincoli imposti da norme statali e regionali a difesa delle coste marine, lacuali e fluviali;
c) vincoli imposti a tutela di interessi della difesa militare e della sicurezza interna;
d) ogni altro vincolo che comporti la inedificabilità delle aree”.
9.3. Peraltro in base alla giurisprudenza del Consiglio di Stato rileva, anche per i condoni ex lege n. 47/85 ed ex lege n. 724/94, anche il vincolo sopravvenuto, non in senso ostativo, ma nel senso di richiedere comunque la necessità del previo parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (Cfr ex multis Consiglio di Stato n. 05274/2013 secondo cui “Su tali temi la giurisprudenza di questo Consiglio si è già pronunciata con specifici precedenti, puntuali al caso di specie, nel senso che:
– nel caso di sopravvenienza di un vincolo di protezione, l’autorità competente ad esaminare l’istanza di condono, riconducibile ai primi due condoni, deve acquisire il parere della autorità preposta alla tutela del “vincolo sopravvenuto”, la quale deve pronunciarsi tenendo conto del quadro normativo vigente al momento in cui esercita i propri poteri consultivi (Adunanza Plenaria, 22 luglio 1999, n. 20);
– il richiamato art. 32, comma 43 bis, ha soltanto disposto che le istanze di condono, presentate in base alle prime due leggi del 1985 e del 1994, continuano a dover essere esaminate sulla base della normativa sostanziale anteriore (più favorevole) a quella (più restrittiva) contenuta nella legge n. 326 del 2003 (sez. VI, 30 aprile 2013, n. 2367)”.
10. Il disposto dell’art. 32 comma 27 lett. d) del D.L. 269/2003, convertito nella L. 326/2003, oltre a rinviare a quanto già previsto dai cennati art. 32 e 33 l. 47/85, prevede che le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: “siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”.
10.1. Detto disposto normativo invero è interpretato nel senso che assuma rilievo ostativo anche il vincolo di inedificabilità relativo, come evidenziato dalla giurisprudenza secondo la quale “Per le istanze di condono presentate ai sensi delle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994, il vincolo di inedificabilità rileva, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985, in senso ostativo soltanto se di carattere assoluto, posto che gli effetti del vincolo di inedificabilità relativa sono regolati, entro tale contesto normativo, dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985. Il cosiddetto terzo condono, di cui all’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326, invece, ha un oggetto più circoscritto così da attribuire carattere ostativo alla sanatoria anche in presenza di vincoli che non comportino l’inedificabilità assoluta” (T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, 17/03/2016, n. 1454).
Ed invero in riferimento al terzo condono la giurisprudenza (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, sent. n. 4007/2017) ha ulteriormente precisato che “Il combinato disposto dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985 e del citato art. 32 comma 27, lettera D) del d.l. n.269 del 2003 comporta infatti che, come nel caso di specie, se un abuso è commesso su un bene vincolato non si può procedere al condono se ricorrono, insieme, talune circostanze: l’imposizione del vincolo di inedificabilità precedente alla esecuzione delle opere; la realizzazione delle stesse in assenza o difformità dal titolo edilizio; la non conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”; (nello stesso senso, cfr. Cass. pen., III, sent. n. 40676/2016).
La giurisprudenza amministrativa prevalente (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV, 19 maggio 2010, n. 3174; TAR Campania – Napoli, sez. III, 4 aprile 2012, n. 1612) ha pertanto interpretato il citato art. 32, comma 27 nel senso che esso escluda dalla sanatoria le opere abusive realizzate su aree caratterizzate da determinate tipologie di vincoli (in particolare, quelli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e della falde acquifere, dei beni ambientali e paesaggistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali), subordinando peraltro detta esclusione a due condizioni costituite:
a) dal fatto che il vincolo sia stato istituito prima dell’esecuzione delle opere abusive;
b) dal fatto che le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo risultino non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Ne consegue che in concreto – dovendo sussistere entrambe le condizioni per l’operatività dell’esclusione – la sanatoria delle opere realizzate su aree vincolate è consentita in due ipotesi, che operano disgiuntamente: e quindi nel caso che la realizzazione delle opere abusive sia avvenuta prima dell’imposizione dei vincoli; ovvero nel caso che le opere oggetto di sanatoria, benché non assentite o difformi dal titolo abilitativo, risultino comunque conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Come evidenziato anche dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 117 del 2015) “Costituisce diritto vivente che, nell’ambito dei condoni aperti con le leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994, essa rileva, ai sensi dell’art. 33 della legge n. 47 del 1985, soltanto se di carattere assoluto (Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 7 giugno-22 luglio 1999, n. 20), posto che gli effetti del vincolo di inedificabilità relativa sono regolati, entro tale contesto normativo, dall’art. 32 della legge n. 47 del 1985.
Diverso è il caso del cosiddetto terzo condono, di cui all’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2003, n. 326, in relazione al quale questa Corte ha già rilevato che il suo oggetto è «più circoscritto» (sentenza n. 225 del 2012), così da attribuire carattere ostativo alla sanatoria anche in presenza di vincoli che non comportino l’inedificabilità assoluta (sentenze n. 290 e n. 54 del 2009; ordinanza n. 150 del 2009)”.
Ciò posto, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 54 del 2009 e con l’ordinanza n. 150 del 2009 ha riconosciuto che la normativa regionale non ha il “potere di vanificare” i vincoli presidiati dall’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, quand’anche non comportanti inedificabilità assoluta.
11. Il disposto normativo di cui ha fatto applicazione il Comune resistente nell’adottare gli atti impugnati, ovvero l’art. 3 comma 1 lett. b) L.R. 12/2004, è ancora più restrittivo della noma nazionale di cui al citato art. 32 comma 27 lett. d), assegnando rilievo ostativo anche ai vincoli sopravvenuti.
Lo stesso prevede infatti che “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 32, comma 27, del D.L. n. 269/2003 e successive modifiche, dall’articolo 32 della L. n. 47/1985, come da ultimo modificato dall’articolo 32, comma 43, del citato D.L. n. 269/2003, nonché dall’articolo 33 della L. n. 47/1985, non sono comunque suscettibili di sanatoria: b) le opere di cui all’articolo 2, comma 1, realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela dei monumenti naturali, dei siti di importanza comunitaria e delle zone a protezione speciale, non ricadenti all’interno dei piani urbanistici attuativi vigenti, nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali”.
Detto disposto normativo, invero nel fare riferimento espresso in senso ostativo all’esistenza di vincoli imposti successivamente alla realizzazione delle opere, come evincibile dal riferimento all’incondonabilità delle opere realizzate anche prima dell’apposizione del vincolo, si pone come disposto ulteriormente limitativo della possibilità di ricorso al terzo condono in riferimento alle aree, come nella specie, sottoposte a vincolo archeologico e paesistico.
11.1 Infatti come evidenziato dalla giurisprudenza di questo T.A.R. (T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, Sent., 21-01-2019, n. 795) “Come chiarito dall’univoca giurisprudenza, la presenza del vincolo paesaggistico non comporta l’insanabilità assoluta dell’opera in quanto “ai sensi dell’art. 32 comma 27 D.L. n. 269 del 2003, conv. dalla L. n. 326 del 2003, il condono delle opere realizzate su aree vincolate è comunque ammissibile in due ipotesi, previste disgiuntamente, costituite a) dalla realizzazione delle opere abusive prima dell’imposizione dei vincoli b) dal fatto che le opere oggetto di sanatoria, benché non assentite o difformi dal titolo abilitativo, risultino comunque conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 15 febbraio 2010 , n. 940; T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 01 febbraio 2010 , n. 199), alla data di entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003” (T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 07 gennaio 2010, n. 4).
Vero è che il legislatore regionale, nell’esercizio delle prerogative di cui è attributario (C. cost. 196/04; 70/05; 71/05; 49/06) ha inteso introdurre, con l’art. 3 della L.R. n. 12 del 2004, una disciplina di maggior rigore, statuendo che “non sono comunque suscettibili di sanatoria”, tra le altre fattispecie indicate in detta disposizione, “le opere di cui all’articolo 2, comma 1, realizzate, anche prima della apposizione del vincolo, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali (….)nonché a tutela dei parchi e delle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali”.
11.2. La giurisprudenza di questo T.A.R. nel dare rilievo, in conformità peraltro al dato letterale della norma de qua, ai vincoli sopravvenuti alla realizzazione delle opere, invero non individua, né potrebbe in mancanza di un’indicazione in senso contrario nella norma che espressamente assegna rilievo al vincolo anche sopravvenuto, lo spatium temporis entro cui deve intervenire il vincolo ostativo alla concessione della sanatoria, per cui la stessa in virtù del principio del tempus regit actum, non può che interpretarsi nel senso fatto proprio dal Comune, ovvero della rilevanza di qualsiasi vincolo esistente al momento della decisione sull’istanza di sanatoria.
SULLA NON MANIFESTA INFONDATEZZA DELLA QUESTIONE DI COSTITUZIONALITÀ
12. Peraltro la Sezione intende sollevare questione di legittimità costituzionale dell’indicato disposto normativo, come costantemente interpretato dalla giurisprudenza di questo T.A.R. ed in senso ancor più restrittivo, ovvero nel senso che il vincolo sopravvenuto si ponga come ostativo a prescindere dalla verifica della conformità urbanistica dell’opera abusiva, qualora la stessa sia situata nei parchi o nelle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali, nonché nei monumenti naturali, nei siti di importanza comunitaria o nelle zone a protezione speciale, dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, sez. VI, 02568 del 14/06/2016 di riforma della sentenza Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione II-bis n. 2705/2015).
12.1. Ed invero parte ricorrente non ha censurato la mancata verifica da parte dell’amministrazione comunale della conformità o meno dell’opera di cui è causa alla normativa urbanistica, per cui rispetto alla fattispecie di cui è causa risulta irrilevante l’adesione all’interpretazione di tale disposto normativo fatta propria da questo T.A.R. ovvero a quella, ancora più rigorosa, del Consiglio di Stato, riferibile alle opere site nei parchi o nelle aree naturali protette nazionali, regionali e provinciali, nonché nei monumenti naturali, nei siti di importanza comunitaria o nelle zone a protezione speciale; ed invero entrambe le interpretazioni, in conformità peraltro al dato letterale del disposto de quo, danno rilievo al vincolo sopravvenuto, senza precisare, né potrebbero, in mancanza di qualsiasi indicazione normativa, lo spatium temporis entro cui deve intervenire il vincolo, per cui deve ritenersi che la norma, così come formulata, dia rilevanza a tutti i vincoli sopravvenuti, ovvero a quelli collocati nello spatium temporis esistente fra la data di realizzazione delle opere e la disamina dell’istanza di sanatoria da parte dell’amministrazione comunale.
13. Ciò posto, va evidenziato che, come innanzi precisato, se è vero che il legislatore regionale, come sottolineato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 54 del 2009 e con l’ordinanza n. 150 del 2009, non ha il “potere di vanificare” i vincoli presidiati dall’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, quand’anche non comportanti inedificabilità assoluta, il medesimo legislatore ben può nell’esercizio delle prerogative di cui è attributario (C. cost. 196/04; 70/05; 71/05; 49/06) introdurre, come avvenuto nella specie, con l’art. 3 della L.R. n. 12 del 2004, una disciplina di maggior rigore rispetto alla disciplina nazionale.
13.1. Peraltro, ad avviso del collegio, la scelta politica del legislatore regionale non può che avvenire, secondo un criterio che sia rispettoso del principio di ragionevolezza, compendiato nell’art. 3 della Cost, nonché nel rispetto dei principi posti alla base dell’agere pubblico e presidiati dal principio costituzionale del buon andamento delle P.A. di cui all’art. 97 Cost..
Detti principi non paiono rispettati dalla norma regionale della cui legittimità costituzionale si dubita.
Infatti se è vero che alcun legittimo affidamento può vantare colui che realizza un’opera sine titulo, deve ritenersi che tale legittimo affidamento per contro ben possa sorgere allorquando venga introdotta una normativa condonistica, dovendo il soggetto che presenti una domanda di condono essere in grado di comprendere se la sua istanza sia suscettibile o meno di accoglimento, con un giudizio di prognosi postuma, sulla base della normativa vigente al momento dell’entrata in vigore di tale normativa condonistica, o al più di quella vigente al momento della presentazione della domanda.
13.2. In altri termini, al fine di ricondurre la norma a ragionevolezza, ai fini dell’accoglimento o meno della domanda di sanatoria, dovrebbe al più assegnarsi rilevanza ai vincoli esistenti al momento della presentazione della domanda medesima, che pertanto cristallizzerebbe lo stato di diritto rilevante ai fini della decisione.
In tale prospettiva si è invero mosso, sia pure con riferimento alla valutazione della conformità urbanistica dell’opera, il legislatore nazionale, laddove, nel disciplinare all’art. 36 del D.P.R. 380/01 l’accertamento di conformità, ha previsto che debba essere valutata la doppia conformità, quella esistente al momento della realizzazione delle opere e quella esistente al momento della presentazione dell’istanza, con la conseguente irrilevanza delle modifiche alla normativa urbanistica intervenute dopo la presentazione dell’istanza.
13.2.1. In alternativa, come detto, potrebbe assegnarsi rilevanza ai vincoli esistenti al momento dell’entrata in vigore della normativa condonistica.
13.3. Per contro, la norma di cui è causa, nel non precisare che hanno rilevanza solo i vincoli sopravvenuti entro la data di entrata in vigore della normativa condonistica o, al più tardi, entro la data di presentazione dell’istanza, si presenta, ad avviso del collegio, di dubbia costituzionalità.
Né potrebbe la norma essere interpretata in senso additivo, nella direzione auspicata dalla Sezione, al fine di ricondurla in senso costituzionalmente orientato, risolvendosi detta interpretazione in una vera e propria operazione di ortopedia giuridica, in contrasto con il fondamentale canone interpretativo “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”.
13.4. Ciò posto, il collegio ritiene la questione di costituzionalità della norma de qua, sollevata d’ufficio, non manifestamente infondata.
13.4.1. Infatti deve ritenersi in primo luogo violata la “clausola generale di ragionevolezza”, quale criterio “onnipervasivo della misurazione della legalità e della adeguatezza della scelta politica” ex art. 3 della Costituzione, atteso che alcun legittimo affidamento potrebbero nutrire i richiedenti il condono, nonostante il sopravvenire della normativa condonistica, in ordine all’accoglibilità o meno della domanda di condono, non dipendendo la stessa dalla situazione giuridica esistente al momento dell’entrata in vigore della normativa condonistica, ovvero al momento della presentazione della domanda, ma da quella esistente al momento della sua esitazione.
13.4.2. Verrebbe pertanto leso anche il principio di certezza del diritto, del pari da ritenersi sotteso alla clausola generale di ragionevolezza di cui al citato art. 3, oltre che al principio di buon andamento della P.A. di cui all’art. 97 della Cost. e alla giustiziabilità degli atti delle P.A. di cui agli artt. 103 e 113 Cost.
13.4.3. Ciò senza considerare la disparità di trattamento, lamentata da parte ricorrente nel quarto motivo di ricorso, posto che due domande di condono relative ad immobili ricadenti nella medesima zona e presentate in pari data potrebbero essere esitate in senso diverso a seconda del momento in cui l’Amministrazione esamini le medesime domande, con la conseguenza che gli istanti potrebbero essere penalizzati dalla lunghezza dei tempi per la decisione sulle domande di condono, posto che si assegnerebbe rilevanza a tutti i vincoli sopravvenuti, anche dopo la presentazione della domanda di condono, sino al momento in cui l’amministrazione abbia ad esitare la medesima.
Pertanto, anche avendo riguardo alla prospettata disparità di trattamento, il disposto normativo di cui è causa non si sottrarrebbe al fondato sospetto di incostituzionalità ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 3 e 97 della Cost..
13.5. Peraltro, ad avviso della Sezione, la “clausola generale di ragionevolezza”, quale criterio “onnipervasivo della misurazione della legalità e della adeguatezza della scelta politica” ex art. 3 della Costituzione, risulta violata anche avendo riguardo alla gerarchia dei valori costituzionali.
Infatti se è pur vero che la tutela del Paesaggio assurge a principio fondamentale della Costituzione, sovraordinato pertanto al diritto di proprietà privata, contemplato dall’art. 42 Cost, è anche vero che il giusto contemperato di tali valori costituzionali può essere ragionevolmente assicurato nel dare rilevanza alla situazione esistente al momento dell’entrata in vigore della normativo condonistica ovvero al momento della presentazione dell’istanza di condono, che pertanto dovrebbero cristallizzare la situazione giuridica rilevante ai fini dell’esitazione della domanda medesima.
Tale contemperamento invero, ad avviso del Collegio, risulta tanto più necessario, ove, come nella specie, il vincolo sia sopravvenuto anche rispetto all’integrazione delle domande di condono e le stesse abbiano ad oggetto immobili destinati ad abitazione principale dei richiedenti, assicurando l’abitazione di residenza non solo gli interessi dei proprietari, ma anche la funzione sociale della proprietà.
Pertanto il disposto normativo di cui è causa, nel dare rilevanza a tutti i vincoli sopravvenuti e pertanto, in mancanza di contrarie indicazioni, alla luce del principio tempus regiti actum, anche ai vincoli sopravvenuti rispetto alla presentazione della domanda di condono, si pone come irragionevolmente sacrificativa degli interessi degli istanti e pertanto del diritto di proprietà privata, ex art. 42 Cost, alla cui tutela deve intendersi preposta la normativa condonistica.
13.6. Dette considerazioni, ad avviso del collegio dovrebbero rimanere ferme anche avendo riguardo a quella giurisprudenza innanzi indicata (ex multis Consiglio di Stato n. 05274/2013; Adunanza Plenaria, 22 luglio 1999, n. 20) che, anche in relazione ai condoni ex lege 47/85 ed ex lege 724/94, ha ritenuto rilevanti i vincoli sopravvenuti rispetto alla realizzazione delle opere, dando rilevanza alla situazione esistente al momento dell’esitazione della domanda di condono – e non alla data della sua presentazione – posto che la stessa non assegna rilevanza assoluta in senso ostativo al sopravvenire di tali vincoli, ma ritiene che nell’esitare le domande di condono l’autorità preposta alla tutela del vincolo debba valutare, ex art. 32 l. 47/85, la compatibilità o meno dell’opera con il vincolo.
13.6.1. Per contro la norma di cui è causa si pone come ostativa in senso assoluto all’accoglibilità della domanda di condono, prescindendo dalla disamina dell’impatto dell’opera sul contesto vincolato, imponendo, anche da questo punto di vista, un irragionevole sacrificio del diritto di proprietà privata senza il suo giusto e dovuto contemperamento con la tutela del paesaggio.
14. Ciò posto, in considerazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità della previsione dell’art. 3 comma 1 lett. b) della legge regionale Lazio n. 12 del 8 novembre 2004, il presente giudizio va sospeso e gli atti processuali trasmessi alla Corte Costituzionale.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater),
Riuniti preliminarmente i ricorsi in epigrafe indicati,
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 comma 1 lett. b) L.R. Lazio n. 12 del 8 novembre 2004, con riferimento agli artt. 3, 42, 97, 103 e 113 della Costituzione.
Dispone pertanto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Sospende il giudizio in corso.
Dispone che a cura della Segreteria la presente ordinanza venga notificata alle parti in causa ed al Presidente della Giunta regionale del Lazio nonché’ comunicata al Presidente del Consiglio regionale.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità delle persone fisiche indicate in sentenza.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Elena Stanizzi, Presidente
Michelangelo Francavilla, Consigliere
Diana Caminiti, Consigliere, Estensore