Distanze tra fabbricati: scala si, balcone no (forse), e termine ultimo per i vicini per contestare il permesso di costruire

Pubblicato il 28-04-2014
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A cura dell’avv. Gaetano Pecoraro

Periodicamente vengono portate all’attenzione del Giudice amministrativo vicende afferenti la legittimità di permessi di costruire rilasciati dai Comuni in violazione delle distanze legali, ed avversati dai vicini che si ritengono lesi dall’altrui costruzione. Con la sentenza che oggi pubblichiamo (n. 1000 del 04 marzo 2014), il Consiglio di Stato aggiunge un nuovo tassello alla corretta interpretazione dell’art. 873 c.C.

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In particolare, il Supremo Giudice amministrativo, tra le altre interessanti considerazioni, distingue, ai fini della computabilità delle distanze, tra balconi e scale esterne: i primi, se non è espressamente previsto dalla norme di Piano, non vanno computati in tale calcolo, mentre le scale esterne, trattandosi di “opus edilizio che va ad insistere in maniera permanente su uno spazio territoriale che deve libero da qualsiasi ingombro”, in ragione della ratio pubblicistica sottesa alla disposizione civilistica (salubrità dell’aria), vanno necessariamente calcolati.

Il Consiglio di Stato, peraltro, e in via preliminare, conferma l’indirizzo giurisdizionale circa il termine che hanno i vicini per tempestivamente contestare i titoli edilizi altrui: in assenza di altri elementi probatori contrari (ad esempio, l’accesso agli atti formulato dai vicini), si deve “ancorare la “piena conoscenza” degli atti abilitativi al momento del completamento della costruzione (Cons. Stato sez. Iv 16 luglio 2012 n.4132)”.

Pubblichiamo la sentenza del Consiglio di Stato

  • N. 01000/2014 REG.PROV.COLL.
  • N. 07849/2012 REG.RIC

MINISTERO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

HA PRONUNCIATO LA PRESENTE SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7849 del 2012, proposto da:
Giuseppe Losurdo, Anna Dipede, rappresentati e difesi dall’avv.ti Vania Romano e Stefano Margiotta, con domicilio eletto presso il secondo, in Roma, via Groenlandia N. 31;

CONTRO

Ciavarella Marisa Daniela, Sollazzo Antonio e Magaraggia Anna Maria rappresentati e difesi dall’avv. Tommaso Di Gioia, con domicilio eletto presso Studio Legale Assumma in Roma, via Nicotera N. 29;

NEI CONFRONTI

Comune di Cellamare, in persona del sindaco pro tempore,

PER LA RIFORMA

della sentenza del T.A.R. PUGLIA – BARI: SEZIONE III n. 01219/2012, resa tra le parti, concernente diniego permesso di costruire

  • Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
  • Visto l’atto di costituzione in giudizio di Marisa Daniela Ciavarella;
  • Viste le memorie difensive;
  • Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2013 il Cons. Andrea Migliozzi e uditi per le parti gli avvocati Margiotta e Pafundi, per delega dell’Avv. Di Gioia;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

I sigg.ri Ciavarella, Sollazzo e Magaraggia meglio specificati in epigrafe , nella loro qualità di “vicini” impugnavano dapprima con ricorso straordinario al Capo dello Stato successivamente trasposto innanzi al Tar della Puglia il permesso di costruire n.32/2011 del 12 gennaio 2011 rilasciato dal Comune d Cellamare ai sigg.ri Losurdo Giuseppe e Anna Di Pede per la realizzazione in via Martiri di via Fani, in area sita in zona classificata urbanisticamente “B” ( residenziale di completamento ) di un “edificio per la residenza , previa demolizione del fabbricato esistente” nonché i titoli abilitativi di variante in corso d’opera costituiti dalla DIA del 16 febbraio 2011, dalla SCIA del 29 aprile 2011 e ancora dalla DIA del 3 giugno 2011.

Con una serie di motivi ( cinque ) parte ricorrente lamentava a sostegno dell’originario ricorso straordinario al Capo dello Stato, poi riassunto innanzi al TAR, varie violazioni della disciplina edilizia vigente e , in particolare, l’avvenuta edificazione nel non rispetto degli allineamenti stradali esistenti, la realizzazione non consentita di una altezza maggiore di quella prevista dalle NTA e il non rispetto delle distanze con riferimento sia alla disciplina prevista dalle Norme Tecniche di attuazione del PRG comunale sia alla normativa di cui al D.M. n.1444/68.

L’adito Tribunale amministrativo con sentenza n.1219/2012 accoglieva i primi quattro motivi del proposto gravame, dichiarava inammissibile il motivo n.5 e disponeva “ l’ annullamento dell’atto impugnato nelle parti specificate in motivazione”.

I controinteressati sigg.ri Losurdo e Dipede hanno impugnato tale decisum, ritenuto errato ed ingiusto, deducendo a fondamento dell’appello i seguenti motivi:

1) con riferimento all’accoglimento dei motivi di ricorso 1a, 1b, 1c, violazione dell’art.10 delle NTA del PRG di Cellamare , dell’art.11 del dlgs n.115/2008: eccesso di potere , difetto di istruttoria, disparità di trattamento, illogicità ed irragionevolezza manifesta;

2) con riferimento all’accoglimento del III motivo del ricorso, violazione dell’art.6 delle norme tecniche di attuazione del PRG di Cellamare – eccesso di potere – difetto di istruttoria – illogicità ed irragionevolezza manifesta;

3) con riferimento all’accoglimento del IV motivo del ricorso, violazione dell’art.9 del D.M. n.1444/196, violazione dell’art.10 delle NTA del PRG di Cellamare – illogicità e irragionevolezza manifesta;

4) con riferimento all’accoglimento del II motivo del ricorso, violazione dell’art.26 bis del regolamento edilizio comunale- eccesso di potere – difetto di istruttoria- erroneità dei presupposti- illogicità ed irragionevolezza manifesta.

Si sono costituiti in giudizio gli originari ricorrenti di primo grado che hanno contestato la fondatezza dell’appello, chiedendone la reiezione.

Con apposite memorie le parti hanno insistito sulle loro tesi; entrambe hanno poi depositate brevi repliche alle considerazioni avversarie.

All’udienza pubblica del29 ottobre 2013 la causa è stata introitata per la definitiva decisione

DIRITTO

Il Collegio deve in primo luogo occuparsi dell’eccezione di tardività del ricorso di primo grado già formulata in prime cure e qui reiterata

Essa va disattesa in quanto non viene fornita prova del momento della piena conoscenza della lesività degli atti gravati dagli attuali controinteressati dalla quale far decorrere il termine decadenziale per l’impugnazione e non v’è dubbio che un siffatto onere gravava in capo alla parte che ha dedotto la irricevibilità del ricorso.

Al di là della rilevabile assenza del necessario elemento probatorio, la tardività va in ogni caso esclusa ove si osservi che dovendosi peraltro ancorare la “piena conoscenza” degli atti abilitativi al momento del completamento della costruzione ( Cons. Stato sez. IV 16 luglio 2012 n.4132), nella specie il permesso di costruire e gli altri titoli ad aedificandum, SCIA e DIA, in contestazione, rilasciati rispettivamente nel gennaio, aprile e giugno 2011 sono stati impugnati con ricorso straordinario del 1 agosto 2011, sicchè la tempestività del ricorso di primo grado è agevolmente evincibile.

Passando al merito della causa, la prima quaestio iuris da affrontare consiste nel verificare se l’edificio realizzato dai Losurdo- Dipede, in base al titolo autorizzatorio sia rispettoso dell’allineamento di fabbricazione previsto dalla disciplina urbanistico- edilizia comunale costituita dalle NTA del PRG

Il primo giudice ha ritenuto che l’edificio degli attuali appellanti non rispetti l’allineamento in quanto collocato in posizione più avanzata, rispetto alla strada , di quello contiguo dei ricorrenti, risultando sporgente sia in relazione agli edifici alla sua sinistra che a quelli posti ala sua destra e non rispettando, così , il criterio dell’allineamento previsto dalla apposita disciplina recata dalle NTA del PRG.

Parte appellante critica la statuizioni assunta sul punto dal Tar posto che, a suo dire, la norma cui fa riferimento il primo giudice ( art.6 delle NTA ) non sarebbe applicabile al caso di specie e comunque, ad avviso della stessa, l’allineamento non va rapportato al confronto tra due soli caseggiati , ma all’intero isolato, secondo una scelta di discrezionalità tecnica rimessa all’Amministrazione.

L’assunto difensivo non appare convincente, risultando condivisibile il rilievo formulato dal primo giudice.

Dunque i sigg.ri Losurdo- Dipede hanno ottenuto il permesso di costruire n.32/2011 fatto oggetto successivamente di variante in corso d’opera per la realizzazione di un edificio per residenza, previa demolizione del fabbricato preesistente, da allocarsi su area adiacente a quella su cui insiste il fabbricato degli appellati sigg.ri Ciavarella, Sollazzo e Magaraggia.

Ebbene, risulta che l’erigendo edificio viene a trovarsi sul confine in una posizione che sopravanza lo sporto del balcone dei controinteressati e tale sporgenza sia pure di poco è un dato fisiologico non smentito in punto di fatto, anzi ammesso sia pure in termini minimali dallo stessa parte appellante ( pag. 13 primo rigo dell’atto di appello ).

Più specificatamente, come correttamente fatto osservare dal giudice di prime cure, sulla scorta dalla disamina degli elaborati planimetrici allegati alla relazione depositata in esecuzione di ordinanza istruttoria disposta dallo stesso Tar il fabbricato autorizzato non è allineato rispetto all’ adiacente costruzione degli attuali controinteressati che si vedono preclusa la visuale dal lato su cui insiste il realizzando fabbricato, ma non è in linea nemmeno con gli altri edifici posti a destra e sinistra ( ad eccezione di due costruzioni poste all’inizio della strada).

Se così è, se cioè la sagoma dell’erigendo fabbricato si sporge in avanti rispetto alla linea di confine su cui sono attestati gli altri edifici che si affacciano sulla stessa via, sta a significare che il filo obbligatorio di costruzione dei fronti degli edifici risulta alterato, in ciò inverandosi la violazione della normativa urbanistico- edilizia locale che quel filo ha imposto per le nuove costruzioni che si vanno ad affiancare a quelle già esistenti sulla strada prospiciente.

Parte appellante sostiene che l’allineamento va configurato con riferimento non alle facciate degli edifici, bensì all’assetto dell’intero isolato, ma un tale assunto non ha alcun supporto normativo, mentre il regolatore comunale ha inteso chiaramente imporre un vincolo edilizio alle modalità di costruzione nel senso che i nuovi fabbricati devono attenersi alla linea precostituita delle facciate degli edifici insistenti sulla strada e nella specie tale condizione di fatto e di diritto non risulta sussistente.

D’altra parte, quanto alla normativa locale dettata in materia, non avrebbe senso istituire una relazione comparativa fra edifici confinanti con riferimento all’affaccio sulla comune via se non fosse per assicurare un armonico ordine panoramico- urbanistico fra costruzioni che vanno posizionate sul piano di campagna compatibilmente armonizzate fra loro quanto ai lati che affacciano sulla strada ( Cons. Sez. IV 12/7/2013 n.5108).

Appare invece fondata la censura con cui gli appellanti contestano la statuizione con cui il Tar ha ritenuto fondato il vizio di violazione del limite di altezza dell’edificio previsto dall’art.10 delle NTA denunciato in prime cure dagli attuali controinteressati.

Invero, l’elevazione dell’altezza da 8,50 prevista dallo strumento urbanistico ad 8,95 è dovuta alle opere di distribuzione interna al piano interrato, al primo e al secondo piano poste in essere per il rispetto delle norme sul risparmio energetico recate dal dlgs n.115/98 il cui art. 11 contempla espressamente che nel caso di nuove costruzioni il maggior spessore dei solai e volumi e superfici necessari per ottenere il risparmio energetico non sono considerati nel computo per la determinazione dei volumi ed è permesso derogare nell’ambito del rilascio dei titoli abilitativi previsti dal DPR n.380/2001, sempre nei limiti ivi previsti, alle normative nazionali, regionali e locali in ordine a quanto previsto in merito… “alle altezze massime degli edifici”

Proprio ai fini di conseguire il risparmio energetico in questione è stata presentata dagli appellanti in data 11 agosto 2011 una SCIA al Comune, in variante al permesso di costruire n.32/2011, ed è in conseguenza delle opere ivi denunciate che si è verificata una maggiore altezza rispetto a quella fissata dalle NTA.

Ora ai fini di una organica e coordinata applicazione del regime giuridico urbanistico – edilizio riguardante la fattispecie, non si può fare a meno di tener conto anche della circostanza di fatto e di diritto costituita dalla SCIA dell’agosto del 2011, stante l’ intima connessione tra questo “ titolo” e gli altri titoli abilitanti rilasciati nel gennaio , aprile e giugno del 2011, di guisa che ancorchè in una procedura successivamente attivata si è andati a legittimare e/o a sanare una situazione ab origine irregolare, tenuto conto la predetta SCIA non risulta sia stata impugnata e neppure che il Comune abbia in ordine alla sua avvenuta presentazione adottato provvedimenti di tipo annullatorio e/o inibitorio.

In altri termine il Tar muove da un approccio ermeneutico della questione relativa all’altezza che si rivela parziale, mentre il rapporto in questione va definito secondo una visione disciplinare di assieme che comprende anche l’atto di tipo integrativo successivamente prodotto dagli interessati, che, in ultima analisi, in assenza di opposizioni, funge a mò di abilitazione in sanatoria dello scostamento dall’altezza dell’edificio prevista nell’originario progetto.

In tale parte quindi la sentenza impugnata va riformata.

Viene poi in rilievo la questione relativa alla lamentata violazione da parte degli originari ricorrenti di primo grado della distanza dal confine del lotto costruito, in relazione ad rampa di scala che aggetterebbe ad una distanza inferiore ai 5 metri e a dei balconi che pure sopravanzano il fabbricato

Sul punto le osservazioni del primo giudice in ordine alla sussistenza del vizio dedotto dai sigg.ri Ciavarella. Sollazzo e Magaraggia con riferimento alla scala meritano condivisone mentre si ritiene debbano essere disattesi i rilievi mossi dallo stesso giudicante a carico dei balconi

L’art.10 delle NTA prevede un’area di distacco dal confine pari a 5 mt e l’art.6 delle stesse norme tecniche di attuazione stabilisce che le aree di distacco sono inedificabili.

Come riferito peraltro dagli stessi appellanti in tale area di distacco viene a posizionarsi sia pure solo per una parte una scala che partendo in area coperta dell’edificio dei sigg.ri Losurdo- Dipede si prolunga, sino ad invadere l’area inedificabile per circa 40 cm ( il dato per il vero non è pacifico, e oscilla, come pare di capire, tra i 30 e i 50 cm) .

Ora, vero è che il vano scale e in particolare, a maggior ragione una rampa di scala scoperta non incide sulla volumetria, trattandosi, di un volume c.d. tecnico ( Cons. Stato Sez. IV 7 luglio 2008 n.3381), ma altre conseguenze può avere la stessa struttura sul diverso versante della normativa dettata per le distanze dai confini.

Invero, nel calcolo della distanza minima fra costruzioni posta dall’art.873 codice civile o da norme regolamentari di esso integrative ( come nel caso di specie ) deve tenersi conto anche delle strutture accessorie di un fabbricato come la scala esterna in muratura anche scoperta, se ed in quanto presenta connotati di consistenza e stabilità ( Cassazione civile Sez. II 30/1/2007 n.1966; Tar Basilicata 19/9/2013 n.574).

A deporre nel senso della computabilità del manufatto in parola nella misurazione delle distanze dai confini, induce la non irrilevante considerazione sulle finalità sottese al rispetto della normativa sui distacchi dal confine e in generale delle disposizioni, di tipo inderogabile recate dal D.M. n.1444 del 1968, volte, com’è noto, ad assicurare le necessarie condizioni di salubrità sotto il profilo igienico- sanitarie, mediante l’eliminazione di perniciose intercapedini.

A fronte, perciò, del contenuto “pubblicistico” della disciplina all’uopo dettata e del carattere inderogabile della stessa, deve ritenersi non tollerabile la presenza di una parte sia pure di modesta entità di un opus edilizio che va ad insistere in maniera permanente su uno spazio territoriale che deve libero da qualsiasi ingombro.

A diversa conclusione invece si deve pervenire in ordine alla questione dei balconi., senza che per il vero si possa accedere alla tesi pure propugnata dagli appellanti dell’assimilabilità e/o equiparabilità tra la scala scoperta e i balconi in questione in quanto tra le due “ strutture” vi è diversità di tipologia e di consistenza e, conseguentemente, diversi sono gli effetti derivanti dalla loro presenza in ordine al rispetto del parametro edilizio in discussione

In realtà l’esclusione dei balconi dal computo delle distanze , nella specie deve avvenire in ragione di un criterio interpretativo sottolineato da un preciso orientamento giurisprudenziale secondo cui il balcone aggettante può essere ricompreso nel computo della distanza dal confine solo nel caso in cui una norma di piano lo preveda espressamente e tale ultima circostanza nella specie non è rinvenibile, posto che le NTA di Piano del Comune di Cellamare non lo prevede.

Va peraltro pure dato atto che nella vicenda all’esame non si rinvengono elementi tali da far ritenere che la maggiore profondità dei balconi sia idonea ad evidenziare una sorta di ampliamento della consistenza del fabbricato, giacchè se si versasse in tale ultima ipotesi, sicuramente le sporgenze andrebbero computate ai fini del rispetto delle distanze ( Cons. Stato Sez. IV 17/5/2012 n.2847).

Con colgono nel segno , infine, le critiche formulate da parte appellante alla statuizione del primo giudice circa la sussistenza del vizio di violazione delle disposizioni recate dal D.M. n.1444/1968 in ordine alla distanza minima da osservarsi tra pareti finestrate di edifici prospicienti.

Invero, rilevato che la scala costituisce, come già sopra evidenziato, struttura o corpo aggettante da considerarsi ai fini del computo della distanza , quest’ultima con riferimento al parametro edilizio posto dalla norma di cui all’art.9 del citato Decreto risulta inferiore ai previsti 10 metri, limite minimo da ritenersi inderogabile, fermo restando che la disposizione statale in rassegna si rivela sovraordinata ad altra norma regolamentare locale che fissi una diversa, minore distanza ( ex multis, Cons. Stato Sez. IV 17/5/2012 n. 2847 ).

In definitiva, per quanto sin qui specificato, i titoli edilizi rilasciati ai sigg.ri Losurdo – Dipede appaino viziati in alcuni degli elementi sopra indicati e in tali parti vanno ove possibile, eventualmente, emendati .

Per quanto sopra esposto l’appello va in parte respinto e in altra parte accolto, nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

Nella specificità della vicenda all’esame si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, in parte lo Rigetta e in altra parte lo Accoglie, come indicato in motivazione.

Compensa tra le parti le spese e competenze del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2013 con l’intervento dei magistrati:

  • Marzio Branca, Presidente FF
  • Nicola Russo, Consigliere
  • Diego Sabatino, Consigliere
  • Raffaele Potenza, Consigliere
  • Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 04/03/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)