A cura dell’avv. Nicoletta Tradardi
La Corte Costituzionale, con la recentissima sentenza n. 170 del 12 luglio 2017, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 38 co. 10 d.l. 133/2014, che consentiva l’effettuazione di attività minerarie anche nel Golfo di Venezia.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 170 del 12 luglio 2017, si è pronunciata sulla legittimità costituzionale dell’art. 38 del d.l. 12.09. 2014 n. 133, (“Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164.
Il giudizio di legittimità costituzionale è stato promosso, con separate azioni, da diverse Regioni (Abruzzo, Marche, Puglia, Lombardia, Veneto, Campania, Calabria), le quali hanno sollevato molteplici censure di (il)legittimità costituzionale del menzionato art. 38, “Misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali”, che reca la disciplina delle attività minerarie nel settore degli idrocarburi.
La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili o infondate larga parte delle questioni, sottolineando, in particolare, che la disposizione in contestazione ha un intento semplificativo ed acceleratorio dell’attività amministrativa concessoria nel settore degli idrocarburi (anche) con l’obiettivo di sbloccare gli investimenti privati in tale ambito. Questo fine, peraltro, a fronte della situazione di crisi economica sistemica –che configura una situazione di straordinaria necessità ed urgenza – giustifica, ad avviso della Corte, il ricorso alla decretazione d’urgenza, ex art. 77 della Costituzione.
La sentenza più volte ribadisce il ruolo centrale, nell’ambito della politica energetica nazionale, delle attività minerarie nel settore degli idrocarburi, che rende coerente e giustifica l’accentramento in materia di molteplici competenze amministrative in capo allo Stato.
Al contrario, la pronuncia dichiara l’illegittimità costituzionale di due specifiche disposizioni contenute nel menzionato art. 38.
La prima norma stigmatizzata dalla Corte Costituzionale è quella contenuta nel comma 7, che demanda ad un decreto del Ministero dello Sviluppo Economico l’adozione di un disciplinare tipo, che stabilisca le modalità di conferimento del titolo concessorio unico per le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi e di esercizio delle relative attività, sia in mare, sia sulla terraferma. Rispetto a quest’ultimo profilo, la norma incide sulle materie di competenza concorrente “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, cui ricondurre le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi sulla terraferma. Rimettendo esclusivamente al Ministro dello sviluppo economico l’adozione del disciplinare tipo, si realizza una chiamata in sussidiarietà senza alcun coinvolgimento delle Regioni. Per tale ragione, la Corte, con una decisione di natura additiva, conclude per una declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione (at. 38 co. 7) “nella parte in cui non prevede un adeguato coinvolgimento delle Regioni nel procedimento finalizzato all’adozione del decreto del Ministro dello sviluppo economico con cui sono stabilite le modalità di conferimento del titolo concessorio unico, nonché le modalità di esercizio delle relative attività”.
La seconda disposizione colpita da una declaratoria di illegittimità costituzionale si riferisce al comma 10 dell’art. 38 ed ha per oggetto lo svolgimento di attività minerarie nel mare; questa norma ha modificato l’art. 8 (legge obiettivo per lo sfruttamento di giacimenti di idrocarburi) del d.l. n. 112 del 25.06.2008, (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito nella l. n. 133 del 06.08.2008.
L’art. 8 d.l. 112 cit. si apre (co. 1) con il divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nelle acque del golfo di Venezia, a fino a quando il Consiglio dei Ministri, d’intesa con la regione Veneto, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, non abbia definitivamente accertato la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste.
A fronte del «precedente reiterato divieto di attività minerarie nel Golfo di Venezia fino a quando non sia definitivamente accertata “la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste”», la norma (co. 1bis), come modificata dall’art. 38, co.10, prosegue consentendo, in questa area, la sperimentazione delle migliori tecnologie nello svolgimento delle attività minerarie, aventi ad oggetto le risorse nazionali di idrocarburi localizzate nel mare continentale ed in ambiti posti in prossimità delle aree di altri Paesi rivieraschi oggetto di attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi.
L’autorizzazione è rilasciata dal Ministero dello Sviluppo Economico, di concerto con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, sentite le Regioni interessate. Per il rilascio del titolo è necessario il previo espletamento di una valutazione di impatto ambientale che dimostri l’assenza di effetti di subsidenza dell’attività sulla costa. La disposizione è improntata al duplice fine di assicurare il gettito fiscale e di “valorizzare e provare in campo” l’utilizzo di tali tecnologie.
La sentenza ritiene la previsione contraria al parametro di ragionevolezza sancito dall’art. 3 della Costituzione: la sperimentazione è consentita fintanto che non vengano accertati fenomeni di subsidenza sulla costa determinati da queste attività, “prevedendone pertanto l’interruzione quando l’eventuale danno si sia ormai prodotto. In tal modo essa non bilancia affatto i valori che vengono in rilievo, bensì sacrifica agli interessi energetici e fiscali – desumibili dalle finalità esplicitamente perseguite – quello alla salvaguardia dell’ambiente, ossia proprio il bene che l’impianto normativo intenderebbe maggiormente proteggere. Di qui la palese irragionevolezza della disposizione e la fondatezza della questione proposta”.