Fotovoltaico – Terzo Conto Energia: la cessazione anticipata del regime di sostegno al vaglio del Consiglio di Stato

Pubblicato il 6-02-2014
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A cura dell’avv. Nicoletta Tradardi

Pubblichiamo un’interessante sentenza del Tar Lazio (n. 3274/2013) relativa alla cessazione anticipata del regime di sostegno al fotovoltaico dettata dal Terzo Conto Energia (Dm 06.08.2010), originariamente applicabile agli impianti fotovoltaici entrati in esercizio in data successiva al 31.12.2010 e fino a tutto il 2013.

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Tuttavia, con un intervento legislativo di poco successivo (d.lgs. n. 28/2011, entrato il vigore il 29.03.2011), l’applicabilità di questa normativa è stata limitata agli impianti fotovoltaici entrati in esercizio entro il 31 maggio 2011.

Il Dm del 05.05.2011, cd. Quarto Conto Energia, in attuazione della disciplina legislativa, ha introdotto una disciplina più restrittiva del preesistente regime di sostegno, incidendo anche sugli impianti, già in possesso del titolo autorizzatorio in base al Terzo Conto Energia, ma entrati in esercizio successivamente alla data del 31 maggio 2011.

Il Tar Lazio è stato investito della questione da parte di una società, operante nel settore, che, pur avendo ottenuto le autorizzazioni ad esercire in base al Terzo Conto Energia, non aveva potuto usufruire della moratoria, non avendo messo in esercizio l’impianto entro il termine utile del 31 maggio 2011.

Il ricorso di primo grado è stato respinto. Secondo i Giudici, il fatto costitutivo del diritto alla percezione dei benefici è rappresentato dalla messa in esercizio dell’impianto (id est: dalla sua effettiva realizzazione e messa in opera) e non già dal possesso del titolo amministrativo idoneo alla sua realizzazione. La data di entrata in esercizio degli impianti costituisce l’unico elemento idoneo ad individuare con certezza il grado di sviluppo dell’iniziativa imprenditoriale fotovoltaico.

Ad avviso della pronuncia, non sarebbe neppure sostenibile la necessità di tutelare il legittimo affidamento dell’imprenditore, alla luce del parametro comportamentale di un operatore avveduto ed accorto. Infatti, a livello di legislazione nazionale, l’orizzonte temporale limitato dei regimi di sostegno al fotovoltaico ed i ripetuti interventi normativi a distanza di breve tempo, avrebbero permesso ad un operatore avveduto ed accorto di percepire la mutevolezza della disciplina agevolativa, le mutazioni del contesto economico di riferimento ed il prossimo raggiungimento della grid parity (cioè il raggiungimento della parità di prezzo fra energia prodotta da fonti rinnovabili e quella prodotta da fonti tradizionali) degli impianti fotovoltaici rispetto a quelli tradizionali.

L’efficacia della sentenza è stata sospesa dal Consiglio di Stato (Ord. n. 3295/2013, di tenore dubitativo), in riferimento al pregiudizio arrecato al rischio di impresa. Si è, ora, in attesa della sentenza, essendo stata fissata l’udienza di merito per il grado di appello per il prossimo 18 marzo.

Pubblichiamo il testo della decisione assunta dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter).

  • N. 03274/2013 REG.PROV.COLL.
  • N. 06496/2011 REG.RIC.

MINISTERO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 6496 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Energetica s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonino Salvatore Isgrò ed Enrico Vitali, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, C.so Trieste n. 87

contro

Ministero dello sviluppo economico, Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati; GSE-Gestore dei servizi energetici s.p.a, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Paolo Marzano, Sergio Starace e Filippo Pacciani, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via XX Settembre n. 5

per l’annullamento

(ricorso)

del decreto del Ministro dello sviluppo economico, adottato di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, il 5 maggio 2011 (n. 52804), recante “Criteri per l’incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici” (pubbl. in G.U.- s.g. del 12 maggio 2011, n. 109)

(I motivi aggiunti)

per sollevare questioni di legittimità costituzionale dell’art. 65 d.l. n. 1/2012 o per disapplicare tale disposizione in quanto contrastante con la normativa comunitaria vigente in materia di energie rinnovabili;

(II motivi aggiunti)

del decreto del Ministro dello sviluppo economico, adottato di concerto con il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, del 5 luglio 2012, per l’“Attuazione dell’art. 25 del decreto legislativo 3 marzo 2011, recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici” (pubbl. in G.U.-s.g. del 10 luglio 2012, n. 159) e per la condanna al risarcimento dei danni derivanti dagli atti impugnati, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

  • Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
  • Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate;
  • Viste le memorie difensive;
  • Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 17 gennaio 2013 il cons. M.A. di Nezza e uditi i difensori delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato quanto segue in fatto e in diritto

FATTO

Con ricorso notificato l’11.7.2011, ritualmente depositato, la società in epigrafe, premettendo: di avere effettuato, quale impresa operante nel settore del fotovoltaico, ingenti investimenti in questo ambito e di avere posto in essere tutte le complesse attività per la realizzazione degli impianti (tra cui l’individuazione dei terreni idonei alle installazioni e l’ottenimento delle autorizzazioni necessarie alla costruzione e all’esercizio), anche attraverso la costituzione di “società veicolo” in vista della successiva cessione delle stesse a un fondo di investimento operante nel comparto (da ultimo, Global Solar Participations s.à. – Gsp); di avere incrementato il proprio volume d’affari a seguito di un accordo con la cessionaria Gsp per lo sviluppo di ulteriori 1.000 MW; di avere ottenuto due autorizzazioni uniche, pubblicate nell’albo pretorio della provincia di Viterbo in data 9.5.2011, per la costruzione e l’esercizio di due impianti; di avere in seguito patito la risoluzione del proprio accordo con Gsp da parte di quest’ultima per sopravvenuta impossibilità dell’oggetto, alla luce dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 28/2011 e del d.m. 5 maggio 2011, recante il c.d. Quarto conto energia, sui criteri per l’incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici entrati in esercizio a far data dal 1° giugno 2011; di avere successivamente tentato di proporre ad altri operatori i progetti in corso, tuttavia senza esito, con tutte le conseguenze derivanti dalla cessazione delle iniziative (ivi incluso l’avvio delle procedure per la riduzione del personale); tanto premesso, la ricorrente ha chiesto l’annullamento del menzionato d.m. 5 maggio 2011, deducendone l’illegittimità per violazione dell’art. 25, commi 1 e 10, d.lgs. n. 28/2011 e instando, al contempo, per la disapplicazione dell’art. 25, co. 9, d.lgs. cit., per contrasto con l’art. 3 e con l’all. I, parte A, dir. 2009/28/CE nonché per la rimessione alla Corte costituzionale, “ove ritenuto necessario”, della questione di legittimità costituzionale sia dell’art. 25, co. 9 e 10, lett. a), d.lgs. n. 28/2011, per contrasto con gli artt. 3, 41 e 97 Cost. e con gli artt. 76 e 77 Cost. (in relazione all’art. 17, co. 1, lett. h, e co. 2, l. n. 96/2010), sia dell’art. 17 l. n. 96/2010, per violazione degli artt. 76 e 77 cit..

Essa ha inoltre chiesto il risarcimento dei danni conseguenti, di natura patrimoniale (per un ammontare di euro 16.714.392,00 per danno emergente sino al 30.6.2011 e di euro 99.000.000,00 per lucro cessante, o per la diversa somma di giustizia) e non patrimoniale (da quantificare in via equitativa), oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, previo espletamento di consulenza tecnica d’ufficio e di prova testimoniale (specificamente articolata al punto 6 delle conclusioni dell’atto introduttivo).

Si sono costituite in resistenza le parti intimate.

Con motivi aggiunti notificati il 23.5.2012 (ritualmente depositati) la ricorrente, muovendo dall’entrata in vigore dell’art. 65 d.l. n. 1/2012 in materia di impianti fotovoltaici sulle aree agricole e deducendo che tale disposizione “non sembrerebbe applicarsi per la definizione del presente giudizio”, ha denunciato “solo per completezza difensiva, nonché cautelativamente” l’illegittimità comunitaria (per contrasto con la normativa in materia di promozione delle energie rinnovabili) e costituzionale (in relazione agli artt. 3, 41, 97 e 117 Cost.) di detto art. 65.

Con ulteriori motivi aggiunti notificati il 24.10.2012 (ritualmente depositati) la società Energetica ha esteso l’impugnazione al d.m. 5.7.2012, recante approvazione del c.d. Quinto conto energia, anche in questo caso con “impugnazione prudenziale, cautelativa e per completezza”, reiterando le medesime domande (disapplicazione e rinvio alla Corte costituzionale) già spiegate nel ricorso e nei “primi” motivi aggiunti.

Successivamente, depositate dalle parti memorie anche di replica, all’odierna udienza di discussione la controversia è stata infine trattenuta in decisione.

DIRITTO

 1. L’impugnazione concerne l’anticipata cessazione del regime di sostegno al fotovoltaico delineato dal c.d. Terzo conto energia, di cui al d.m. 6.8.2010, rimasto in vigore per cinque mesi (1.1.2011-31.5.2011) invece dei trentasei originariamente previsti (2011-2013) per effetto del sopravvenuto art. 25 d.lgs. 3 marzo 2011, n. 28, e del relativo d.m. di attuazione 5 maggio 2011, c.d. Quarto conto (di seguito, anche DM), atti recanti una restrizione dell’esistente regime di sostegno sotto i profili del contingentamento della potenza incentivabile, del divieto di installazione di impianti in aree agricole e dalla sensibile riduzione dei livelli tariffari. Prima di affrontare le doglianze è opportuno dare brevemente conto della normativa di riferimento.

1.1. Come si è anticipato, il Terzo conto, operativo dall’1.1.2011, avrebbe dovuto trovare applicazione sino a tutto il 2013 (cfr. d.m. 19.2.2007, c.d. Secondo conto, cessato il 31.12.2010). Sennonché il 29.3.2011, a distanza di tre mesi, è entrato in vigore il menzionato d.lgs. n. 28 del 2011 (cfr. art. 47, co. 1), che all’art. 25 prevede le inerenti “disposizioni transitorie”. Rilevano i commi 9 e 10:

“9. Le disposizioni del decreto del Ministro dello sviluppo economico 6 agosto 2010 […] si applicano alla produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici che entrino in esercizio entro il 31 maggio 2011.

10. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 2-sexies del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 2010, n. 41, l’incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti solari fotovoltaici che entrino in esercizio successivamente al termine di cui al comma 9 è disciplinata con decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del mare, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro il 30 aprile 2011, sulla base dei seguenti principi:

a) determinazione di un limite annuale di potenza elettrica cumulativa degli impianti fotovoltaici che possono ottenere le tariffe incentivanti;

b) determinazione delle tariffe incentivanti tenuto conto della riduzione dei costi delle tecnologie e dei costi di impianto e degli incentivi applicati negli Stati membri dell’Unione europea;

c) previsione di tariffe incentivanti e di quote differenziate sulla base della natura dell’area di sedime;

d) applicazione delle disposizioni dell’articolo 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, in quanto compatibili con il presente comma”.

Il successivo comma 11 sancisce, a completamento del nuovo quadro, l’abrogazione dell’art. 7 d.lgs. n. 387/2003 appena citato, costituente fondamento normativo del Terzo conto, a decorrere dall’1.1.2013.

L’applicabilità del Terzo conto è stata pertanto riservata ai soli impianti entrati in esercizio prima del 31.5.2011, mentre per quelli non ancora entrati in esercizio a tale data provvede appunto il DM impugnato.

Ai fini oggi in trattazione rilevano le misure dettate per l’avvio del nuovo meccanismo incentivante.

E infatti il DM, muovendo dalla ritenuta opportunità di “prevedere, a tutela degli investimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto, un regime transitorio, fino al 31 dicembre 2012, nell’ambito di un contingente di potenza per i grandi impianti, per dare gradualità al processo di ridefinizione della disciplina vigente ed assicurare il controllo degli oneri conseguenti” (v. preambolo), delinea per l’appunto un periodo transitorio iniziale, ai sensi del quale gli impianti entrati in esercizio dopo il 31.5.2011 e fino a tutto il 2012 sono incentivati con tariffe premiali dalla durata ventennale (pagate sull’energia generata, indipendentemente dalla sua effettiva immissione in rete, al livello monetario del tempo di entrata in esercizio).

Quanto ai c.d. grandi impianti -vale a dire quelli, alternativamente: non insistenti su edifici o aree della pubblica amministrazione; realizzati su edifici con potenza superiore a 1 MW; realizzati a terra con potenza superiore a 200 kw o, seppure con potenza inferiore, non operanti in regime di scambio sul posto-, sono previsti “limiti di costo” e di potenza per un ammontare pari a: 300 milioni di euro per quelli ammessi al regime agevolativo fino alla fine del 2011; 150 milioni di euro per quelli ammessi nel 1° semestre 2012; e 130 milioni di euro relativamente al 2° semestre 2012 (art. 4, comma 2, DM).

Sempre in questa fase iniziale:

  • per gli impianti entrati in esercizio prima del 31.8.2011, l’accesso agli incentivi avviene in modo diretto;
  • per quelli non ancora in esercizio a tale data, il controllo sul rispetto del limite avviene ex ante, attraverso l’iscrizione in un registro tenuto dal GSE (il controllo è invece ex post al termine del periodo transitorio, ossia a far tempo dal 2013, nel senso che si opera una riduzione della tariffa in misura proporzionale allo sforamento del limite di costo).

Nella seconda ipotesi (impianti non in esercizio al 31.8.2011) l’iscrizione è subordinata al rispetto delle condizioni sancite dall’art. 6 DM, vale a dire la collocazione in “posizione tale da rientrare nei limiti di costo definiti per ciascuno dei periodi di riferimento” e l’invio al GSE della certificazione di fine lavori entro sette mesi, o nove se di potenza superiore a 1 MW, dalla pubblicazione della graduatoria.

L’art. 8 DM, oltre a stabilire le modalità di presentazione delle domande di iscrizione (che devono pervenire al GSE nel periodo 20.5-30.6.2011), indica i criteri di priorità per la formazione della graduatoria, a seconda che gli impianti siano (in ordine decrescente): a) già in esercizio alla data di richiesta (in tal caso, essi sono ordinati in base al momento di entrata in esercizio); b) con lavori terminati (anche qui, ordinati secondo la data di fine lavori); c) in fase di sviluppo o progetto, purché provvisti di idoneo titolo autorizzativo e di richiesta di connessione alla rete accettata dal gestore di rete. La disposizione fissa ulteriori criteri in caso di parità (occorrendo fare riferimento, in ordine decrescente, ai seguenti elementi: data del titolo autorizzativo; a parità di tale data, minore potenza dell’impianto; a parità di data e di potenza, data della richiesta di iscrizione nel registro).

Sono inoltre previste: la decadenza dall’iscrizione per la mancata produzione della certificazione dei lavori entro il termine di 7/9 mesi e comunque la riduzione del 20% in caso di completamento e di accesso agli incentivi in epoca successiva; nonché la possibilità, per gli impianti iscritti per il 2011 in posizione tale da non rientrare nei limiti di costo, di chiedere una nuova iscrizione per il 2012.

L’art. 12 DM individua le tariffe incentivanti per il ventennio decorrente dalla data di entrata in esercizio (All. 5 DM), comportanti, rispetto a quelle del Terzo conto, una riduzione tanto più marcata quanto più lontana nel tempo è l’entrata in esercizio (dal -3,96%, per un impianto entrato in esercizio nel giugno 2011, al – 38% per un impianto entrato in esercizio nel luglio 2012).

1.2. Il d.lgs. n. 28/2011 introduce una specifica disciplina per gli impianti realizzati su aree agricole. Provvede in tal senso l’art. 10, e in particolare i commi 4, 5 e 6:

“4. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto, per gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, l’accesso agli incentivi statali è consentito a condizione che, in aggiunta ai requisiti previsti dall’allegato 2:

a) la potenza nominale di ciascun impianto non sia superiore a 1 MW e, nel caso di terreni appartenenti al medesimo proprietario, gli impianti siano collocati ad una distanza non inferiore a 2 chilometri;

b) non sia destinato all’installazione degli impianti più del 10 per cento della superficie del terreno agricolo nella disponibilità del proponente.

5. I limiti di cui al comma 4 non si applicano ai terreni abbandonati da almeno cinque anni.

6. Il comma 4 non si applica agli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole che hanno conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore del presente decreto o per i quali sia stata presentata richiesta per il conseguimento del titolo entro il 1° gennaio 2011, a condizione in ogni caso che l’impianto entri in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto.”.

Ne segue che:

i) dal 29.3.2011 l’accesso agli incentivi statali è consentito soltanto agli impianti di potenza non superiore a 1 MW, posti a distanza non inferiore a 2 km. nel caso di terreni appartenenti allo stesso proprietario e occupanti una superficie non superiore al 10% del terreno agricolo “nella disponibilità del proponente” (commi 4 e 5);

ii) restano assoggettati al regime anteriore gli impianti su terreni “abbandonati da almeno cinque anni” nonché quelli per i quali il titolo abilitativo sia stato conseguito entro il 29.3.2011 o per i quali la relativa richiesta sia stata presentata entro l’l.1.2011, purché entrino in esercizio prima del 29.3.2012.

Come si evince da tali norme, dunque, con riferimento agli impianti insistenti su aree agricole (non “abbandonate” da almeno un quinquennio) il regime transitorio per un verso consente di applicare la disciplina previgente anche alle iniziative per le quali il titolo abilitativo sia stato chiesto entro l’1.1.2011 e, per altro verso, introduce quale condizione l’entrata in esercizio entro il 29.3.2012 (la salvezza dell’ipotesi di ottenimento di titolo abilitativo prima dell’entrata in vigore dei nuovi limiti non ha portata innovativa, consistendo nell’esplicitazione del pacifico canone del tempus regit actum).

Su tali disposizioni, integralmente riprese dall’art. 11 DM, è intervenuto l’art. 65 d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, quest’ultima entrata in vigore il 25.3.2012 (v. art. 1, co. 2), i cui commi 1, 2 e 4 testualmente recitano:

“1. Agli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole non è consentito l’accesso agli incentivi statali di cui al decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28.

2. Il comma 1 non si applica agli impianti realizzati e da realizzare su terreni nella disponibilità del demanio militare e agli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra da installare in aree classificate agricole alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, che hanno conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, a condizione in ogni caso che l’impianto entri in esercizio entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Detti impianti debbono comunque rispettare le condizioni di cui ai commi 4 e 5 dell’articolo 10 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28. È fatto inoltre salvo quanto previsto dal comma 6 dell’articolo 10 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, a condizione che l’impianto entri in esercizio entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. […].

4. I commi 4 e 5 dell’articolo 10 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, sono abrogati, fatto salvo quanto disposto dal secondo periodo del comma 2.”. Questo intervento ha ulteriormente irrigidito la disciplina degli impianti su suoli agricoli, per i quali è ormai precluso l’accesso alle incentivazioni (commi 1 e 4). Anche qui risultano introdotte norme derogatorie (co. 2), stante la conferma della possibilità di accedere agli incentivi, oltre che per gli impianti realizzati o da realizzare su terreni del demanio militare:

i) secondo il regime del d.lgs. n. 28/2011 (e dunque alle condizioni previste dall’art. 10, comma 4, con l’eccezione dei terreni “abbandonati”), per gli impianti da installare su aree classificate agricole al 25.3.2012, per i quali sia stato ottenuto il titolo abilitativo entro tale data, a condizione che entrino in esercizio entro 180 giorni dal 25.3.2012;

ii) secondo il regime anteriore al ridetto d.lgs., nelle stesse ipotesi contemplate dal d.lgs. n. 28/2011 di conseguimento del titolo abilitativo entro il 29.3.2011 o presentazione della relativa richiesta prima dell’l.1.2011, con la significativa differenza che il termine per l’entrata in esercizio (29.3.2012) viene differito di quasi due mesi (dal 29.3.2012 al 24.5.2012, vale a dire sessanta giorni dal 25.3.2012, data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l.).

L’intervento del 2012, a fronte del radicale divieto di incentivazione per gli impianti su terreni agricoli, ha cioè contestualmente introdotto disposizioni transitorie dirette a salvaguardare le iniziative più recenti (ossia quelle assoggettate ai limiti del d.lgs. n. 28/2011 per essere state le relative domande presentate dopo l’1.1.2011), per le quali il titolo abilitativo e l’entrata in esercizio devono intervenire rispettivamente entro il 25.3.2012 ed entro il 21.9.2012 (ferma la necessità della destinazione agricola del suolo al 25.3.2012), e quelle più remote (non soggiacenti ai ridetti limiti, stante la presentazione dell’istanza prima dell’1.1.2011), con differimento del termine di entrata in esercizio al 24.5.2012. 2. Si può così passare alla disamina del ricorso, la cui infondatezza consente di prescindere dalle questioni in rito (ivi incluse quelle oggetto di specifica eccezione delle intimate e in particolare del GSE; cfr. mem. 17.12.2012).

Occorre peraltro rilevare in limine l’inammissibilità di entrambi gli atti per motivi aggiunti, dichiaratamente proposti a fini “cautelativi”, alla luce delle allegazioni della stessa ricorrente circa la non applicabilità ai propri impianti dell’art. 65 d.l. n. 1/2012 e la non influenza sul presente giudizio del d.m. 5 luglio 2012 (è appena il caso di notare, peraltro, che i motivi aggiunti prospettano doglianze sostanzialmente coincidenti con quelle formulate nell’atto introduttivo).

2.1. Con il primo mezzo parte ricorrente deduce che il DM sarebbe in contrasto con gli scopi dell’inerente normativa primaria, diretta non già a stravolgere l’assetto esistente, ma al contrario a proteggere l’affidamento ingenerato negli operatori del settore. I nuovi criteri (riduttivi o peggiorativi) per il calcolo delle tariffe varrebbero infatti per gli impianti entrati in esercizio dopo il 31.12.2012, come desumibile dall’art. 25, co. 1, d.lgs. n. 28 del 2011, a tenore del quale “la produzione di energia elettrica da impianti alimentati da fonti rinnovabili, entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012, è incentivata con i meccanismi vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, con i correttivi di cui ai commi successivi”. In sintesi, il DM non si limiterebbe a introdurre i “correttivi” di cui alla previsione appena riportata.

Ciò sarebbe comprovato dai successivi commi (in particolare 3, 6 e 7) dell’art. 25 e dai criteri introdotti nel comma 10, non recanti alcuna indicazione valorizzabile nel senso dell’abbattimento della convenienza economica dell’attività di produzione di energia fotovoltaica (restando anzi confermate le finalità di incentivazione del regime tariffario anche tenuto conto “degli incentivi applicati nel resto dell’Unione europea”; lett. b). Nei successivi tre motivi essa allega l’illegittimità del DM in quanto adottato in base a disposizioni incostituzionali e comunque contrastanti con il diritto comunitario. Segnatamente, l’art. 25, co. 9 e 10, d.lgs. n. 28/2011 avrebbe dato ingresso a un regime comportante, a differenza di quello precedentemente in vigore, l’assenza di garanzie sulla percezione degli incentivi, con conseguente inutilità delle complesse attività (progettuali, tecniche e finanziarie) prodromiche all’avvio delle iniziative imprenditoriali e con la produzione di una grave lesione dell’affidamento ingenerato in capo alle aziende interessate, in un primo momento “invogliate” a entrare nel settore e poi “espulse dal mercato” (con danno per le stesse e per il Paese, alla luce dell’obiettivo comunitario del raggiungimento entro il 2020 di una quota di energia da fonti rinnovabili pari al 17% del consumo finale).

Sicché il nuovo assetto, oltre che vulnerare la libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost., violerebbe i principi di ragionevolezza, proporzionalità, imparzialità e buon andamento ex artt. 3 e 97 Cost. e in particolare il canone della protezione del legittimo affidamento, avente rilievo comunitario (e oggi declinato anche nell’ordinamento nazionale dall’art. 1 l. n. 241/90; n. II ric.). Sotto altro profilo, la disposizione del d.lgs. n. 28/2011 recante fissazione di un termine finale per l’applicazione del Terzo conto (art. 25, co. 9) sarebbe affetta da eccesso di delega, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 17, co. 1, lett. h), l. 4 giugno 2010, n. 96, sul criterio direttivo di “adeguare e potenziare il sistema di incentivazione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza e del risparmio energetico, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, anche mediante l’abrogazione totale o parziale delle vigenti disposizioni in materia, l’armonizzazione e il riordino delle disposizioni di cui alla legge 23 luglio 2009, n. 99, e alla legge 24 dicembre 2007, n. 244”, e dal successivo co. 2, che espressamente enuncia la finalità di “sostenere la promozione dell’energia da fonti rinnovabili e di conseguire con maggior efficacia gli obiettivi nazionali obbligatori per la quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia […]”. Tali indicazioni, apprezzate unitamente all’obiettivo fissato nella dir. 2009/28/CE e alla nota indirizzata al Governo italiano dal competente Commissario europeo (il 15.4.2011), renderebbero chiara la violazione della delega e l’inadempimento agli obblighi comunitari derivanti dall’art. 3 e dall’all. I, parte A, dir. cit., con conseguente necessità di disapplicare i provvedimenti impugnati (n. III ric.). Infine, anche a voler ritenere che il legislatore delegato abbia ben sviluppato i criteri direttivi della delega (eventualità da escludere alla luce della giurisprudenza costituzionale che nelle ipotesi di revisione, riordino e riassetto di norme previgenti ammette bensì l’introduzione di disposizioni innovative, ma a condizione della puntuale delimitazione degli ambiti di discrezionalità del delegato; cfr. C. cost. n. 293 del 2010), sarebbero proprio tali criteri a essere affetti da genericità, non risultando idonei, alla luce delle pregnanti esigenze di stabilità del quadro regolatorio di riferimento e dei vincoli derivanti dal Trattato sulla Carta dell’energia firmato il 17.12.1994 ad abilitare il legislatore delegato allo stravolgimento del regime giuridico degli incentivi (n. IV ric.).

2.2. Le critiche non meritano condivisione. Va anzitutto chiarito che il DM costituisce attuazione dei commi 9 e 10 dell’art. 25 cit., sicché è inconferente la dedotta violazione del comma 1, che nel prevedere la perdurante applicazione agli impianti “entrati in esercizio entro il 31 dicembre 2012” dei vigenti meccanismi incentivanti, introduce tuttavia l’espressa salvezza dei “correttivi di cui ai commi successivi”. Ne sortisce l’infondatezza del primo motivo.

Le restanti doglianze, miranti a ottenere la rimessione alla Corte costituzionale ovvero la disapplicazione delle disposizioni di interesse del d.lgs. n. 28/2011 (art. 25, commi 9 e 10), prospettano questioni manifestamente infondate. 2.2.1. Cominciando dai profili concernenti la delega (nn. III e IV ric.), non si ravvisa la lamentata violazione del criterio di cui all’art. 17, co. 1, lett. h), l. n. 96 del 2010.

E infatti, il comma 1 di detto articolo non contiene riferimenti espliciti al sostegno degli investimenti privati, ma indica, più in generale, che il perseguimento degli obiettivi statali relativi al settore in questione debba avvenire, come stabilito dalla lett. a) (“garantire il conseguimento degli obiettivi posti in capo allo Stato mediante la promozione congiunta di efficienza energetica e di utilizzo delle fonti rinnovabili per la produzione e il consumo di energia elettrica, calore e biocarburanti […]”), attraverso la promozione così dell’efficienza energetica come dell’utilizzo delle fonti rinnovabili. Una duplice modalità di intervento, dunque, che consente di ritenere come il legislatore delegante abbia inteso rimettere al delegato le valutazioni sulla migliore combinazione delle due finalità. In questa prospettiva, la successiva lett. h), che prescrive l’adeguamento e il potenziamento del sistema di incentivazione delle fonti rinnovabili, anche mediante l’abrogazione totale o parziale delle vigenti disposizioni in materia, permette certamente di rimodulare il sistema incentivante (che rimane comunque in essere).

D’altronde, l’indicazione del “potenziamento” di detto sistema non può che essere letta nel quadro più ampio di cui si è appena dato conto e alla luce delle finalità del complessivo intervento normativo, nel senso che un eventuale mancato esercizio della delega, in linea teorica sempre possibile (ferma la responsabilità politica della scelta), potrebbe addirittura connotarsi con profili di doverosità ove ritenuto in linea con le finalità stesse alla luce dei mutamenti della situazione di fatto nel frattempo intervenuti.

Queste considerazioni permettono altresì di escludere la dedotta genericità dei criteri direttivi, i quali invece appaiono in grado di consentire la rimodulazione del regime di sostegno, senza incidere (come si vedrà) sulle iniziative già incentivate (e dunque meritevoli di maggiore protezione).

2.2.2. La sostanza delle rimanenti argomentazioni di parte ricorrente (e il nucleo essenziale dell’impugnazione) si riassume nella lesione dell’affidamento ingenerato negli operatori del settore, in violazione dei principi costituzionali rivenienti dagli artt. 3, 41 e 97 Cost. e dei principi comunitari nonché delle specifiche disposizioni europee di cui alla dir. 2009/98/CE, che nell’imporre agli Stati membri il raggiungimento di determinati obiettivi di produzione da fonti rinnovabili (funzionali alla riduzione di gas serra, in attuazione di obblighi internazionali) qualificherebbe i relativi regimi di sostegno in termini di azioni doverose per gli Stati membri.

La prospettazione di parte ricorrente è da disattendere.

A) A tale riguardo è necessario muovere dalla preliminare considerazione che la nuova disciplina dettata dal Quarto conto non ha efficacia retroattiva, proponendosi di regolamentare l’accesso ai relativi incentivi soltanto rispetto agli impianti che ancora non fruiscano di alcuna agevolazione. L’ammissione al regime di sostegno sortisce infatti non già dal possesso del titolo amministrativo idoneo alla realizzazione dell’impianto (titolo che pure costituisce un requisito essenziale a questo fine), ma dall’entrata in esercizio dell’impianto medesimo, vale a dire dalla sua effettiva realizzazione e messa in opera.

Il d.lgs. n. 28/2011, individuata l’entrata in esercizio dell’impianto al 31.5.2011 quale discrimen temporale per l’applicazione delle nuove regole, disciplina il passaggio al Quarto conto attraverso la previsione (già segnalata) di tre periodi:

a) il primo, inteso a consentire l’accesso agli incentivi di tutti gli impianti entrati in esercizio entro il 31.8.2011, al fine di tutelare l’affidamento degli operatori che avessero quasi ultimato la realizzazione degli impianti sotto il vigore del Terzo conto;

b) il secondo, dall’1.9.2011 al 31.12.2012, in cui l’accesso avviene attraverso l’iscrizione nei registri;

c) il terzo, a regime, dal 2013.

Orbene, se si considerano le peculiarità delle misure volte alla promozione, per finalità di carattere generale, di uno specifico settore economico attraverso la destinazione di risorse pubbliche, va riconosciuto come vi sia un momento nel quale l’aspettativa del privato a fruire degli auspicati benefici economici si consolida e acquisisce consistenza giuridica. Tale momento non può che essere individuato sulla base di elementi dotati di apprezzabile certezza, pena l’indeterminatezza delle situazioni e la perpetrazione di possibili discriminazioni. In questa prospettiva, sembra che l’individuazione di un discrimine ancorato alla data di entrata in esercizio dell’impianto trovi adeguata giustificazione nelle caratteristiche del sistema incentivante in esame, fondato sulla distinzione tra la fase di predisposizione dell’intervento impiantistico e quella (decisamente complessa) di sua messa in opera. Ed è a questo secondo momento (l’entrata in esercizio, appunto) che occorre rivolgere l’attenzione ai fini dell’individuazione del fatto costitutivo del diritto alla percezione dei benefici, ciò che si spiega alla luce della generale finalità del regime di sostegno (produzione di energia da fonte rinnovabile) e dell’esigenza, a tale scopo strumentale, che le iniziative imprenditoriali si traducano in azioni concrete ed effettive.

Quanto appena osservato consente di riportare la controversia entro i confini che le sono propri, venendo in esame la posizione di soggetti che con l’iniziativa giudiziaria in esame intendono tutelare, più che l’interesse alla conservazione di un assetto che ha prodotto effetti giuridicamente rilevanti (in conseguenza dell’entrata in esercizio del proprio impianto), scelte imprenditoriali effettuate in un momento nel quale le stesse, a loro giudizio, si presentavano come in grado di generare flussi reddituali positivi.

Né occorre soffermarsi ulteriormente sulle caratteristiche del settore dell’energia da fonti rinnovabili, ben note agli interessati, per rilevare che pure a fronte del rilevante contributo dell’intervento pubblico ai fini della redditività dei connessi investimenti, non paiono tuttavia in concreto ravvisabili elementi tali da deporre nel senso dell’immutabilità di detto contributo, quasi si trattasse di un impegno di natura “contrattuale”. Ciò in quanto le autorità pubbliche hanno reputato di ovviare a una situazione di inefficienza del mercato (market failure) attraverso l’esplicazione di attribuzioni rientranti nella loro sfera (e capacità giuridica) di diritto pubblico, vale a dire attraverso l’attivazione di specifici meccanismi di redistribuzione delle risorse individuati all’esito della consueta ponderazione di tutti gli interessi in rilievo, ivi inclusi quelli di cui sono portatori, a es., gli utenti di energia elettrica (che attraverso la componente A3 della bolletta finanziano in larga misura gli incentivi; cfr. di questa Sezione la sent. 13 agosto 2012, n. 7338) o anche i produttori da fonti convenzionali.

B) Tanto premesso in linea generale, anche a volere seguire l’impostazione di parte ricorrente (nel senso di ritenere idoneo a sorreggere l’odierna azione l’interesse alla protezione di una scelta di investimento effettuata in un momento nel quale era ragionevole presumerne la redditività), non paiono tuttavia sussistere le denunciate violazioni del diritto europeo.

B.1) Cominciando dagli obblighi asseritamente derivanti dalla dir. 2009/28/CE, pare al Collegio che i riferimenti alle finalità della politica energetica europea, e in particolare alla necessità, tra l’altro, della creazione di certezza per gli investitori (14° consid.) e del mantenimento della fiducia degli stessi, vadano tuttavia apprezzati alla luce dell’altro obiettivo, parimenti enunciato nella direttiva (25° consid.), secondo cui “per il corretto funzionamento dei regimi di sostegno nazionali è essenziale che gli Stati membri possano controllare gli effetti e i costi dei rispettivi regimi in funzione dei loro diversi potenziali”.

Questa chiara indicazione risponde in realtà a un’esigenza di carattere generale, occorrendo evitare che l’attrazione di investimenti privati non trasmodi in inopinata accelerazione della crescita del settore per un verso e, per l’altro, in facile occasione di guadagno, col risultato di tradire l’originaria ispirazione del regolatore, favorendo la creazione di vere e proprie bolle speculative, e al contempo di ingenerare il rischio di un’alterazione non prevista né voluta del c.d. mix energetico (nel 15° consid. si fa riferimento a “un’allocazione giusta e adeguata che tenga conto della diversa situazione di partenza e delle possibilità degli Stati membri, ivi compreso il livello attuale dell’energia da fonti rinnovabili e il mix energetico”).

Ciò ovviamente non esclude che lo scopo finale della politica europea di sviluppo delle fonti rinnovabili, vale a dire la penetrazione stabile e duratura delle stesse nel mercato, debba continuare a essere perseguito, come nei fatti sta avvenendo. Basti al riguardo considerare l’avvenuto superamento dell’obiettivo indicato nel Terzo conto (3.000 MW) e di quello complessivo da raggiungere entro il 2020 ai sensi del Piano nazionale di azione per le fonti rinnovabili del 2010 (8.000 MW).

Ulteriore prova ne sia che la stessa Commissione, nella recente comunicazione COM(2012) 271 final del 6 giugno 2012 (Energie rinnovabili: un ruolo di primo piano nel mercato energetico europeo), ribadito il ruolo strategico delle energie rinnovabili nel contesto globale, ha riconosciuto come il settore si sia sviluppato molto più rapidamente di quanto previsto al momento dell’emanazione della dir. 2009/ 28, essendosi verificato un rilevantissimo calo dei costi degli impianti (pressoché dimezzati nel quinquennio anteriore al 2010), e come le modifiche ai regimi di sostegno introdotte dagli Stati membri siano state “talvolta generate da una crescita inaspettatamente repentina della spesa destinata alle energie rinnovabili, non sostenibile nel breve periodo”.

A questo proposito, la Commissione, muovendo dal rilievo che dette modifiche “sono state poco trasparenti, sono avvenute improvvisamente e, in alcuni casi, sono state imposte addirittura retroattivamente o hanno introdotto una moratoria”, ha affermato che “questo tipo di pratiche, per tutte le nuove tecnologie e gli investimenti che ancora dipendono dai sostegni, compromette la fiducia degli investitori nel settore”, concludendo che “occorre evitare di esporre il mercato unico a un simile rischio” (è stata cioè rilevata la necessità di “continuare ad agire per garantire coerenza tra gli approcci adottati nei diversi Stati membri, per eliminare le distorsioni e valorizzare le risorse energetiche rinnovabili in modo economicamente vantaggioso”). Si spiega allora perché la Commissione evidenzi, tra le azioni da porre in essere per il periodo successivo al 2020, quella di “continuare a dare impulso all’integrazione delle energie rinnovabili nel mercato dell’energia interno e fare in modo che sul mercato siano presenti degli incentivi destinati agli investimenti per la produzione di energia”, e quella di “elaborare orientamenti sulle migliori pratiche e sulle esperienze acquisite in materia di regimi di sostegno per incoraggiare una maggior prevedibilità ed efficacia in termini di costi, evitare sovracompensazioni (se comprovate) e sviluppare una maggior coerenza tra gli Stati membri” (cfr. par. 9). Da questo documento comunitario, che per finalità e temi affrontati rappresenta un’analisi allo “stato dell’arte” sulla complessiva questione oggi in rilievo, emergono due elementi rilevanti ai fini del giudizio.

Risulta infatti come la Commissione: a) per quanto bene a conoscenza delle revisioni nei vari ordinamenti nazionali dei regimi di sostegno, delle relative cause e delle concrete modalità di attuazione più o meno attente agli interessi degli investitori, sembri tuttavia avere escluso una propria (pur possibile) iniziativa immediata volta a censurare in qualche modo tali “ripensamenti”, essendosi invece riservata di dare corso a un futuro intervento correttivo (essenzialmente ispirato, almeno così sembra, all’introduzione di best practices); b) abbia al contempo posto in evidenza la necessità di “evitare sovracompensazioni” derivanti anche dalla repentina e più che apprezzabile riduzione della struttura dei costi degli investitori. Le superiori considerazioni – e in special modo l’individuazione da parte dello stesso Esecutivo europeo dei punti critici dei regimi di sostegno – paiono fornire adeguata giustificazione all’intervento normativo oggi contestato, che lungi dal violare il canone centrale della promozione del settore, confermato dalla perdurante sussistenza del sistema incentivante (ancorché con perimetro e oggetto ridimensionati), pare piuttosto attuarne una “regolazione fine” orientata alla proporzionalità e gradualità, in pieno ossequio alle indicazioni del diritto europeo.

B.2) Quanto alla pretesa lesione del principio del legittimo affidamento e di quello, ad esso sotteso, della certezza del diritto, è opportuno muovere dalla sentenza della Corte di giustizia 10 settembre 2009, in causa C-201/08, Plantanol, concernente l’abolizione anticipata di un regime di esenzione fiscale per un biocarburante, nella quale il Giudice comunitario ha chiarito: i) per un verso, che il principio di certezza del diritto non postula l’“assenza di modifiche legislative”, richiedendo “piuttosto che il legislatore tenga conto delle situazioni particolari degli operatori economici e preveda, eventualmente, adattamenti all’applicazione delle nuove norme giuridiche” (punto 49); e, per altro verso, ii) che la possibilità di far valere la tutela del legittimo affidamento è bensì “prevista per ogni operatore economico nel quale un’autorità nazionale abbia fatto sorgere fondate aspettative”, ma non “qualora un operatore economico prudente ed accorto sia in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi” (nel caso in cui il provvedimento venga adottato); in tale prospettiva, inoltre, “gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali” (punto 53).

Soffermandosi su quest’ultimo aspetto, la Corte: precisato ulteriormente che nella specie il legislatore nazionale aveva “abolito anticipatamente un regime di esenzione fiscale rispetto al quale, in precedenza, aveva per due volte indicato, con esplicite disposizioni, che sarebbe stato mantenuto in vigore fino ad una data di scadenza successiva chiaramente precisata” e che detta abolizione anticipata avrebbe “significativamente colpito” l’operatore economico indotto a effettuare onerosi investimenti nel settore “a maggior ragione quando essa interviene all’improvviso e inopinatamente senza lasciargli il tempo necessario per adeguarsi alla nuova situazione legislativa” (punti 51 e 52); e chiarito ancora che, alla luce delle prerogative attribuite agli Stati membri da una direttiva in ambito fiscale, una modifica legislativa adottata in conformità con la direttiva non può essere considerata imprevedibile (punto 54); ebbene, sulla scorta di tali rilievi la Corte ha rimesso al giudice nazionale la valutazione sul “se un operatore economico prudente ed accorto poteva essere in grado di prevedere la possibilità di tale abolizione in un contesto come quello della causa principale”, occorrendo tener conto delle modalità di informazione di regola utilizzate dallo Stato membro che l’ha adottata e delle circostanze del caso di specie” da valutare “globalmente e in concreto” (trattandosi di un regime previsto da una normativa nazionale; punto 57).

A tale riguardo, essa ha evidenziato una serie di elementi utili allo scrutinio (non conoscenza da parte dell’interlocutore istituzionale dell’impresa, appositamente compulsato, delle modifiche normative; utilizzo della precedente modulistica; abolizione del regime agevolativo con una legge distinta da quella di favore; entrata in vigore in termini ristretti), soffermandosi altresì sulle “diverse circostanze che hanno preceduto” l’entrata in vigore della normativa sotto il profilo del contesto normativo tanto nazionale quanto comunitario (punti 61 ss.: a tal fine, nel primo ambito la Corte ha enucleato l’indicazione della normativa anteriore circa l’obbligo di riesame delle agevolazioni al fine di non dare luogo a una “sovracompensazione dei costi addizionali legati alla produzione dei biocarburanti”, ciò rilevando in termini di percepibile precarietà del regime di esenzione; l’enunciazione, in alcuni atti governativi ufficiali e nell’interlocuzione con gli interessati, dell’intenzione di rivedere i vantaggi fiscali; in contrario, la conferma avvenuta in via legislativa, cinque mesi prima dell’abolizione delle agevolazioni, dell’originaria data di scadenza delle stesse e della progressiva abolizione del regime mediante riduzioni scaglionate dal 2008 al 2012; con riferimento all’ambito comunitario, essa si è riferita all’assenza di modifiche nel corso del periodo in esame). In definitiva, spetta al giudice nazionale, in una valutazione globale e in concreto delle pertinenti circostanze fattuali, stabilire se l’impresa ricorrente disponesse “come operatore prudente e accorto, […] di elementi sufficienti per consentirle di aspettarsi che il regime di esenzione fiscale di cui trattasi fosse abolito prima della data iniziale prevista per la sua scadenza”, non sussistendo – giova ribadire – preclusioni derivanti dai canoni della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento (punti 67 e 68). Facendo applicazione di tali coordinate interpretative al caso di specie, si può ritenere che non si riscontrino elementi tali da far reputare vulnerato alcuno degli anzidetti principi generali. In disparte quanto già rilevato sulla portata non retroattiva delle modifiche al regime di sostegno, è da dire che gli operatori, nel richiedere essenzialmente il rispetto degli orizzonti temporali di durata prefissati dalle autorità, pretendono in realtà che le attribuzioni del regolatore vengano esercitate sulla base di una ponderazione degli interessi, per così dire, retrospettiva, vale a dire effettuata prendendo in considerazione le loro attese reddituali al momento della programmazione degli investimenti, laddove la funzione pubblica si esplica di norma con riferimento alle situazioni esistenti e future, specie per materie caratterizzate da mutevolezza intrinseca, nelle quali occorre por mente a tutti gli effetti della divisata regolazione.

Orbene, non pare possa dubitarsi della circostanza che il settore del fotovoltaico abbia subìto negli anni più recenti notevoli modifiche in ragione così dell’andamento dei costi delle componenti impiantistiche (in particolare, per effetto della forte riduzione del costo dei pannelli solari) come dell’aumento progressivo delle potenze installate (elementi che le deduzioni di parte ricorrente non riescono a confutare).

Ciò si desume dalla notoria evoluzione di questo comparto, nel quale una serie di fattori (puntualmente evidenziati dalla parte resistente) hanno consentito un’accelerazione delle iniziative dirette a raggiungere l’obiettivo nazionale, consistente nell’installazione di 8.000 MW di potenza entro il 2020: tra questi, il completamento entro il 31.12.2010 di impianti per una potenza di ca. 3.720 MW che sarebbero potuti entrare in esercizio entro il successivo mese di giugno 2011 (dato che correttamente il GSE qualifica come imprevedibile, atteso che con il Secondo conto sono stati incentivati 6.809 MW per effetto del d.l. 8 luglio 2010, n. 105, conv. con modif. dalla l. 13 agosto 2010, n. 129, c.d. salva Alcoa, di cui 3.089 entrati in esercizio nel triennio 2008-2010 e gli altri 3.720 per l’appunto entro il mese di giugno 2011), confermato dall’elevato tasso di crescita delle installazioni anche nell’ambito delle successive edizioni del regime incentivante (nei cinque mesi di applicazione del Terzo conto, ossia sino al 31.5.2011 sono entrati in esercizio 1.531 MW, sui 3.000 totali; il GSE ricorda ancora che nei successivi mesi giugno 2011–gennaio 2012, nel vigore del Quarto conto, sono entrati in esercizio oltre 4.217 MW; cfr. pag. 12 mem. GSE 9.6.2012).

Non si ha motivo di dubitare delle ragioni cui il GSE ha ricondotto questo impetuoso sviluppo, consistenti essenzialmente nella diminuzione dei costi delle componenti base degli impianti (principalmente, dei pannelli) a un tasso maggiore della riduzione delle tariffe incentivanti previste dal Terzo conto, con la conseguente formazione di ingiustificati extra-profitti (di entità tale da attrarre imprese anche straniere).

Né si tratta di addossare alle imprese del settore “pronostici” in ordine a dette linee tendenziali, potendosi al riguardo presumere che un operatore “prudente e accorto” fosse ben consapevole, oltre che dell’intrinseca mutevolezza dei regimi di sostegno, delle modalità con cui questi sono stati declinati dalle autorità pubbliche nazionali sin dal Primo conto, vale a dire: a) con un orizzonte temporale assai limitato (tanto che da taluni è stata lamentata questa eccessiva brevità rispetto al termine di sette anni contenuto nella direttiva 2001/77/CE; cfr. 16° consid. e art. 4, par. 2, lett. e); b) con ripetuti interventi a breve distanza di tempo (quattro in soli cinque anni, dal luglio 2005 all’agosto 2010). La lettura coordinata di questi elementi permette di affermare come un operatore avveduto fosse senz’altro in grado di percepire le mutazioni del contesto economico di riferimento nonché il prossimo raggiungimento della grid parity degli impianti fotovoltaici rispetto a quelli convenzionali. Ciò che consente di disattendere i profili di critica in esame.

C) In conclusione, e ribadito che la disciplina in esame, come si è visto, non solo non tocca le iniziative già avviate (quelle per le quali gli impianti sono entrati in esercizio al 31.5.2011), ma introduce una ragionevole differenziazione tra le situazioni di fatto, operando una distinzione fondata sulla data di entrata in esercizio degli impianti, ossia sull’unico elemento che consente di individuare con certezza il grado di sviluppo dell’iniziativa imprenditoriale, pare condivisibile il rilievo del GSE secondo cui la mancata realizzazione degli impianti da parte degli operatori già in possesso del necessario titolo giuridico va ascritta alle singole logiche imprenditoriali (oltre che a inefficienze gestionali), alla luce dei tempi occorrenti per la conclusione dei lavori (da un mese per gli impianti della potenza di 2 MW a meno di nove mesi per quelli della potenza di 80 MW; cfr. pag. 20 mem. GSE 9.6.2012; su questi rilievi non risultano contestazioni).

Ulteriore conferma della ragionevolezza del nuovo regime incentivante si desume inoltre dal trattamento degli impianti post 31.5.2011, assoggettati (come si è detto; v. sopra, punto 1.1) a un primo periodo transitorio (fino al 31.8.2011), caratterizzato da una lieve riduzione della tariffa e dall’accessibilità diretta agli incentivi, e a un successivo periodo (fino al 31.12.2012) basato sul sistema dei registri e delle graduatorie, con il quale si è tenuto essenzialmente conto dell’anteriorità delle iniziative.

D) Le superiori considerazioni consentono pertanto di escludere la sussistenza così dei dedotti profili di incompatibilità con la normativa comunitaria come della lamentata incostituzionalità delle disposizioni primarie di riferimento, risultando l’assetto divisato dal d.lgs. n. 28/2011 non irragionevole e non in contrasto con i principi di cui agli artt. 3, 41 e 97 Cost.

3. In conclusione, il ricorso è infondato (con conseguente irrilevanza delle formulate istanze istruttorie) e i motivi aggiunto sono inammissibili. La complessità e la novità delle questioni affrontate consente peraltro di ritenere integrati i presupposti per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione Terza-ter, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe e dichiara inammissibili i motivi aggiunti.

Spese compensate. La presente sentenza sarà eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 gennaio 2013 con l’intervento dei magistrati:

  • Giuseppe Daniele, Presidente
  • Mario Alberto di Nezza, Consigliere, Estensore
  • Michelangelo Francavilla, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 02/04/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE