Garanzia degli standard urbanistici anche nelle tecniche perequative

Pubblicato il 27-03-2014
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A cura dell’avv. Nicoletta Tradardi

Gli standard urbanistici, anche in caso di perequazione, vanno collocati, spazialmente e funzionalmente, in prossimità dell’area interessata dall’intervento edificatorio.

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Il Consiglio di Stato, con una recente sentenza (sez. IV, n. 616 del 10.02.2014), fa il punto sulla collocazione spaziale e funzionale dello standard urbanistico. La pronuncia prende l’avvio dallo scopo della disciplina urbanistica, consistente nell’assicurare funzione privata e collettiva delle aree in modo coerente con le aspettative di vita della popolazione che vi risiede.

Gli standard urbanistici, essendo indicatori minimi della qualità edificatoria, debbono connettersi direttamente, in termini sia spaziali che funzionali, con le aspettative dei fruitori dell’area interessata. Il principio non viene meno in ipotesi di perequazione, perché queste tecniche debbono, ugualmente, assicurare nella collocazione degli standard la salvaguardia di livelli qualitativi omogenei di convivenza civile: in altre parole, anche in tal casogli standard vanno dislocati in prossimità dell’area di intervento, così da legare commoda ed incommoda derivanti dalla modificazione del territorio.

Pubblichiamo la sentenza sul ricorso in appello n. 7502 del 2012

  • N. 00616/2014 REG.PROV.COLL.
  • N. 07502/2012 REG.RIC

MINISTERO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

HA PRONUNCIATO LA PRESENTE SENTENZA

sul ricorso in appello n. 7502 del 2012, proposto da
Raffaela Furlan, rappresentata e difesa dagli avv.ti Alberto Borella, Piero Borella, Fabio Lorenzoni e Stefania Piovesan, ed elettivamente domiciliata presso l’avv. Fabio Lorenzoni in Roma, via del Viminale n. 43, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

CONTRO

Comune di Oderzo, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alberto Munari e Antonio Munari, ed elettivamente domiciliato presso Michele Costa in Roma, via Bassano del Grappa n. 24, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;
CAMA s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Manzi e Vincenzo Pellegrini, ed elettivamente domiciliata presso il primo dei difensori in Roma, via F. Confalonieri n. 5, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;

NEI CONFRONTI DI

Mariapia Furlan, Andrea Furlan, Stefania Furlan, non costituiti in giudizio;

PER LA RIFORMA

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione seconda, n. 727 del 25 maggio 2012, resa tra le parti e concernente l’approvazione di una variante urbanistica.

  • Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
  • Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Oderzo e di Cama s.p.a.;
  • Viste le memorie difensive;
  • Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 novembre 2013 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 7502 del 2012, Raffaela Furlan propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione seconda, n. 727 del 25 maggio 2012 con la quale è stato respinto il ricorso proposto contro il Comune di Oderzo e CAMA s.p.a. per l’annullamento: a) delle delibere del Consiglio comunale di Oderzo n. 7 del 23.2.2011, di approvazione della variante urbanistica — APP 16, e di tutti gli atti presupposti e conseguenti, ivi compresa la deliberazione del Consiglio comunale n. 91 del 9.12.2010, di adozione del predetto accordo, nonché le delibere della G.C. n. 60 dell’8.3.2010 e n. 254 del 1.12.2010; b) della delibera del Consiglio cComunale n. 13 del 9.3.2011, di approvazione del Piano degli Interventi, nonché di tutti gli altri atti presupposti e conseguenti, ivi compresa la deliberazione del consiglio comunale n. 89 del 29.11.2010, di adozione del P.I.

Dinanzi al giudice di prime cure, la ricorrente Furlan Raffaela aveva premesso di essere proprietaria di un appezzamento di terreno compreso in un lotto più ampio, dell’estensione pari a circa 15.700 mq., il cui complessivo ambito è stato oggetto delle previsioni introdotte dal Piano degli interventi adottato dal Consiglio comunale di Oderzo con delibera n. 89 del 29 novembre 2010. In base alle nuove previsioni pianificatorie l’area è stata classificata in parte con destinazione C-residenziale, assoggettata a PUA, ed in parte con destinazione F1.

Riferisce altresì la ricorrente che le previsioni così individuate sono state a loro volta oggetto di una variante, adottata a brevissima distanza di tempo con delibera consiliare n. 91 del 9 dicembre 2010, denominata APP 16, in conseguenza dell’accordo concluso con privati ai sensi dell’art. 6 della L.r. n. 11/2004, nella specie con la CAMA s.p.a., così come da proposta risalente al 22 novembre 2010. L’intervento avrebbe interessato una consistente porzione dell’ambito nel quale è compresa anche la proprietà della ricorrente e proprio grazie alla variante così apportata al PI, che ha modificato la destinazione dell’area da residenziale a commerciale direzionale, sarebbe stata possibile la realizzazione da parte della controinteressata di un fabbricato ad uso commerciale direzionale, con annessa sistemazione della viabilità contermine, in modo particolare mediante la realizzazione di una rotonda al fine di favorire gli accessi limitrofi. In via perequativa, a fronte della nuova destinazione urbanistica dell’area oggetto dell’accordo, il soggetto privato si impegnava nei confronti dell’amministrazione comunale alla realizzazione degli interventi di sistemazione e riqualificazione di Piazza della Vittoria.

Quindi, con delibera consiliare n. 7 del 23 febbraio 2011 interveniva l’approvazione dell’APP 16 e quindi con deliberazione n. 13 del 9 marzo 2011 l’approvazione del PI.

La ricorrente presentava le proprie osservazioni sia con riguardo all’APP 16 che al PI adottati, rilevando con riguardo al primo come la previsione di trasformare l’area da residenziale a commerciale direzionale risultasse del tutto in contrasto con i principi ispiratori del PAT, risalente al 2008, e del PI da pochi giorni adottato, oltre ad aver palesemente ignorato le problematiche di carattere idrogeologico presenti sull’area de qua; per quanto riguarda il secondo, la ricorrente contestava la previsione relativa al mantenimento di una porzione dell’ambito, ricadente nella proprietà della ricorrente, con destinazione F1, previsione del tutto incongrua e fortemente penalizzante per la proprietà.

Con il ricorso in prime cure e con i motivi aggiunti successivamente depositati, la signora Furlan ha quindi dedotto tutta una serie articolata di censure rivolte avverso l’APP 16 nonché avverso il P.I. ed atti connessi – anche con specifico riguardo al testo dell’ “accordo di pianificazione ex art. 6 l.r. n. 11/2004” sottoscritto fra il Comune e CAMA il 12.12.2011, successivamente conosciuto a seguito del deposito in corso di causa – in quanto lesivi degli interessi della proprietà sotto molteplici aspetti.

Si sono costituiti in giudizio sia il Comune di Oderzo che la controinteressata CAMA, le cui difese hanno puntualmente controdedotto in ordine ai motivi di ricorso, chiedendo la reiezione del gravame.

Si sono altresì costituiti in giudizio con atto di intervento ad opponendum i signori Furlan Maria Pia, Furlan Andrea e Furlan Stefania, in qualità di proprietari del terreno compreso fra via Tre Piere ed il Canale Peressina (Fg 19, mapp. 44, 485 e 486) e di porzione dei mappali 455 e 45, per una superficie complessiva di mq 10.100, oggetto del contratto preliminare di compravendita con la società CAMA per la realizzazione dell’insediamento commerciale direzionale di cui è causa e che ha dato avvio all’accordo pubblico privato APP 16, oggetto delle contestazioni di parte istante.

In sede cautelare parte ricorrente ha rinunciato all’istanza di sospensione dei provvedimenti impugnati, così come attestato con ordinanza n. 472/2011.

Assunto in decisione all’udienza del 12 aprile 2012, il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione a tutti e nove i motivi di ricorso.

Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo le proprie doglianze.

Nel giudizio di appello, si sono costituiti le parti controinteressate, Comune di Oderzo e CAMA s.p.a., chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

All’udienza del 13 novembre 2012, l’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza n. 4458/2012.

Alla pubblica udienza del 19 novembre 2013, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. – In via preliminare, occorre prendere posizione sull’eccezione di improcedibilità dell’appello, proposta dalla controinteressata CAMA s.p.a., dovuta all’intervenuta approvazione da parte del Comune di Oderzo in data successiva alla pubblicazione della sentenza gravata, di un nuovo piano degli interventi, denominato n. 2, sulla cui base si fonda ora la facoltà edificatoria e che pertanto l’accoglimento del gravame non porterebbe alcun vantaggio concreto all’appellante in quanto l’intervento edilizio potrebbe essere attuato sulla base del nuovo strumento.

1.1. – L’eccezione non può essere accolta.

Osserva la Sezione come, in via generale (da ultimo, Consiglio di Stato, V, 26 settembre 2013, n. 479; id., 15 marzo 2010, n. 1280; ma anche in continuità con quanto già notato in sede cautelare dall’ordinanza n. 4458/2012), la declaratoria di improcedibilità di un ricorso giurisdizionale per sopravvenuta carenza di interesse può derivare o da un mutamento della situazione di fatto o di diritto presente al momento della presentazione del ricorso, che faccia venire meno l’effetto del provvedimento impugnato, ovvero dall’adozione, da parte dell’Amministrazione, di un provvedimento che, idoneo a ridefinire l’assetto degli interessi in gioco, pur senza avere alcun effetto satisfattivo nei confronti del ricorrente, sia tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, in ciò distinguendosi dalla cessazione della materia del contendere, che si verifica allorquando l’Amministrazione, in pendenza del giudizio, annulli o comunque riformi in maniera satisfattoria per il ricorrente il provvedimento amministrativo contro cui è stato proposto il ricorso.

La pronuncia d’improcedibilità postula quindi una positiva verifica sulla sovrapponibilità non degli atti, astrattamente intesi come successione cronologica di provvedimenti emessi in un determinato ambito, ma dall’incompatibilità degli effetti che da questi derivano, qualora producano discipline tra loro incidenti nel medesimo segmento d’azione amministrativa.

Nel caso in esame, il rapporto tra le due successive fasi procedimentali in esame, ossia quella che ha dato origine alla sentenza gravata, sulla base delle delibere descritte nella parte in fatto, e quella successiva, culminata con l’approvazione del nuovo piano di interventi, data con delibera consiliare n. 29 del 6 giugno 2012, non implica una parallela successione della disciplina applicabile nell’area in esame. Infatti, tra i due strumenti vi è una sostanziale continuità, specialmente per quanto riguarda gli interventi qui in scrutinio.

In particolare, la delibera n. 15 del 2012, relativa all’adozione del piano n. 2, si appropria delle precedenti deliberazioni in materia, evidenziando l’inesistenza di una cesura disciplinare. Si legge, infatti, nella parte introduttiva della stessa delibera che “il Piano degli Interventi n. 2 per quanto riguarda la pianificazione recepisce il Piano degli Interventi vigenti conseguentemente le previsioni urbanistiche rimangono sostanzialmente invariate” e che “per quanto riguarda la variante approvata dal Consiglio comunale con la deliberazione n. 7 del 23/02/2011 su proposta della ditta CAMA, si confermano i contenuti della predetta deliberazione, conformandoli al presente Piano degli Interventi”.

Non può quindi dirsi che il nuovo piano degli interventi abbia mutato la disciplina valevole in area e, in particolare, abbia inciso sull’intervento in esame, atteso che non vi è un’innovazione nell’ordinamento, ma una mera conferma delle previsioni già vigenti e nemmeno con valore novativo, atteso che la ripresa degli effetti non determina neppure un momento di iato dei tempi di efficacia, attesa l’evidenziata continuità delle previsioni già vigenti.

Deve quindi respingersi la proposta eccezione d’improcedibilità.

2. – Passando all’esame in merito, deve rilevarsi come l’appello sia fondato e meriti accoglimento sulla scorta dell’assorbente sesto motivo di appello, che ripropone l’identica doglianza proposta in prime cure e che va quindi vagliato prioritariamente.

L’appellante lamenta la violazione dell’art. 46 delle norme tecniche del PAT, delle linee guida approvate con delibera n. 60 del giorno 8 marzo 2010, nonché eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità, dello sviamento e del difetto di istruttoria. In concreto, l’appellante si duole della modalità con cui è stato applicato al caso in specie il principio perequativo, atteso che l’accordo intervenuto tra il Comune e la CAMA s.p.a. si è fondato sulla disponibilità della società a realizzare a proprie spese, in cambio della variazione della destinazione urbanistica dell’area di interesse, gli interventi di risistemazione di un’area pubblica, ossia piazza della Vittoria, per un importo di circa €. 400.000 Euro, dando vita così ad opere slegate funzionalmente con l’area dell’intervento.

2.1. – La doglianza è fondata e va accolta.

Osserva la Sezione come il tema del rispetto degli standard urbanistici abbia nuovamente assunto di recente un rilievo centrale nell’ambito degli strumenti di governo del territorio. In questo senso, sono riscontrabili non solo interventi normativi (peraltro organizzati secondo prospettive dialetticamente opposte riguardo al tema della loro necessità e cogenza, poiché mirano, da un lato – come nel caso della legge 14 gennaio 2013, n. 10 “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani” – a marcarne la rilevanza ai fini della qualità di vita urbana e, dall’altro – come con l’introduzione dell’art. 2-bis “Deroghe in materia di limiti di distanza tra fabbricati” nel d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” – a renderne al contrario più flessibile e meno stringente il contenuto), ma anche prese di posizione di questo Consiglio, che non si è sottratto al dovere di esprimere il proprio avviso su un tema così rilevante nella costruzione del tessuto urbanistico.

In particolare, questo Giudice ha già delineato una propria linea interpretativa in merito al collegamento tra interventi edilizi e ricerca degli standard urbanistici e ha così assunto decisioni che hanno, ad esempio, negato la sufficienza di un parcheggio collocato in area non fruibile, dove la fruibilità era collegata non a valutazioni normative, ma fattuali, poiché il “terreno pertinenziale destinato a parcheggio deve ragionevolmente intendersi come condizione necessaria per la migliore fruizione del parcheggio medesimo da parte di tutti coloro che intendono comodamente accedervi con i propri mezzi di locomozione per poi uscire con i relativi acquisti più o meno ingombranti e/o pesanti da collocare su tali mezzi” (Consiglio di Stato, sez. V, 25 giugno 2010 n. 4059); oppure decisioni che hanno evidenziato i pericoli legati alla smaterializzazione degli standard, sottolineando come “la monetizzazione degli standard urbanistici non può essere considerata alla stregua di una vicenda di carattere unicamente patrimoniale e rilevante solo sul piano dei rapporti tra l’ente pubblico e il privato che realizzerà l’opera, e ciò perché, da un lato, così facendo si legittima la paradossale situazione di separare i commoda (sotto forma di entrata patrimoniale per il Comune) dagli incommoda (il peggioramento della qualità di vita degli appellanti) e dall’altro, si nega tutela giuridica agli interessi concretamente lesi degli abitanti dell’area” (Consiglio di Stato, sez. IV, ord. 4 febbraio 2013 n. 644).

Ancora, si è affermato che “qualora si potessero individuare gli standard costruttivi in ragione del solo dato dimensionale, verrebbe conseguentemente posto in ombra il dato funzionale, ossia la destinazione concreta dell’area, come voluta dal legislatore. Soddisfacendo gli standard con la messa a disposizione di aree non utilizzabili in concreto (ossia, seguendo l’indicazione del T.A.R., utilizzando “le porzioni che non sono utilizzabili, per forma o per le ridotte dimensioni, ovvero perché eccedenti un posto macchina standard ma insufficienti per realizzarne un altro, ovvero infine per il difficile accesso”), la norma di garanzia verrebbe frustrata, atteso che il citato art. 41 sexsies della legge urbanistica non contempla un nudo dato quantitativo, ma un dato mirato ad uno scopo esplicito” (Consiglio di Stato, sez. IV, 28 maggio 13 n. 2916).

Come si vede, il quadro complessivo emergente dalla giurisprudenza è quello di una marcata attenzione alla funzione stessa degli standard urbanistici, intesi come indicatori minimi della qualità edificatoria (e così riferiti ai limiti inderogabili di densità edilizia, di rapporti spaziali tra le costruzioni e di disponibilità di aree destinate alla fruizione collettiva) e come tali destinati a connettersi direttamente con le aspettative dei fruitori dell’area interessata. Il che comporta, come già notato dalle decisioni che precedono, come il criterio essenziale di valorizzazione e di decisione sulla congruità dello standard applicato sia quello della funzionalizzazione dello stesso al rispetto delle esigenze della popolazione stanziata sul territorio, che dovrà quindi essere posta in condizione di godere, concretamente e non virtualmente, del quantum di standard urbanistici garantiti dalla disciplina urbanistica.

La Sezione non può peraltro esimersi dal notare come la cogenza di questa stretta correlazione spaziale tra intervento edilizio e localizzazione dello standard, correlazione che connota il tema della qualità edilizia, assuma una valenza ancora più marcata nei casi in cui operino strumenti urbanistici informati al principio della perequazione. Infatti, la soluzione perequativa, che tende ad attenuare gli impatti discriminatori della pianificazione a zone, sia in funzione di un meno oneroso acquisto in favore della mano pubblica dei suoli da destinare a finalità collettive, sia per conseguire un’effettiva equità distributiva della rendita fondiaria, si fonda su una serie di strumenti operativi che, letti senza un congruo ancoraggio con le necessità concrete cui si riferiscono, favoriscono astrazioni concettuali pericolose. L’utilizzo di formule retoricamente allettanti (aree di decollo, aree di atterraggio, pertinenze indirette, trasferimenti di diritti volumetrici et similia) non deve fare dimenticare che lo scopo della disciplina urbanistica non è la massimizzazione dell’aggressione del territorio, ma la fruizione, privata o collettiva, delle aree in modo pur sempre coerente con le aspettative di vita della popolazione che ivi risiede.

In particolare, l’assenza di una disciplina nazionale sulla perequazione urbanistica (tanto più necessaria dopo che la Corte costituzionale ha affermato, con la sentenza del 26 marzo 2010 n, 121, che le “previsioni, relative al trasferimento ed alla cessione dei diritti edificatori, incidono sulla materia «ordinamento civile», di competenza esclusiva dello Stato”, con ciò rendendo dubbia la presenza di discipline regionali emanate prima della fissazione di un quadro organico statale – che non si limiti all’aspetto della mera documentazione della trascrizione dei diritti edificatori, di cui all’art. 5 comma 3 del D.L. 13 maggio 2011, n. 70) dimostra la viva necessità di una disamina concreta delle diverse previsioni adottate negli strumenti urbanistici, al fine di evitare che l’estrema flessibilità delle soluzioni operative adottate dalle singole Regioni si traduca in una lesione di ineliminabili esigenze di salvaguardia dei livelli qualitativi omogenei di convivenza civile (e la riconducibilità dell’attività amministrativa, intesa come “prestazione”, al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione, proprio in rapporto a istituti di diritto dell’edilizia, è chiarissima nella giurisprudenza del giudice delle leggi, cfr. Corte Costituzionale, 27 giugno 2012 n. 164).

Conclusivamente, la Sezione intende rimanere fedele al suo orientamento che vede lo standard urbanistico collocarsi spazialmente e funzionalmente in prossimità dell’area di intervento edilizio, al fine di legare strettamente e indissolubilmente commoda e incommoda della modificazione sul territorio.

Sulla scorta delle coordinate appena indicate, appare del tutto palmare l’inidoneità della soluzione proposta dal Comune, che ha reperito gli standard collegati all’intervento edilizio proposto dalla parte privata appellata acconsentendo alla realizzazione di un’opera pubblica in area non contigua né funzionalmente collegata con quella di riferimento.

Infatti, con l’accordo intervenuto tra il Comune e la CAMA s.r.l. si è stabilito che la società, in cambio della variazione della destinazione urbanistica dell’area di interesse, realizzasse a proprie spese gli interventi di risistemazione di un’area pubblica, ossia piazza della Vittoria, per un importo di circa €. 400.000 Euro. Si tratta di un’area collocata in zona non contigua né funzionalmente collegata con il sito dove avverrà la trasformazione urbanistica da residenziale a commerciale.

Il primo giudice ha dato atto che le norme tecniche del PAT ammettono il ricorso alla procedura perequativa, disponendo in termini generali che per le aree interessate dalle linee di espansione residenziale la modalità perequativa consiste nella cessione del 50% dell’area che il PI attiverà, da destinare alla dotazione urbanistica o al trasferimento dei crediti edilizi. La stessa disposizione prevede inoltre che, in alternativa alla cessione delle aree e a seguito della valutazione operata da parte dell’amministrazione, potrà essere ammessa la realizzazione di opere di interesse pubblico, laddove l’amministrazione ne ravvisi l’opportunità.

Tuttavia, interpretando il contenuto di tale disciplina, ha fondamentalmente scisso i due momenti, affermando che, “se è vero che in linea generale la medesima disposizione delle norme tecniche qui richiamata prevede che ai fini perequativi possano anche essere considerate aree distinte e non contigue, purchèé funzionalmente collegate, è anche vero che detta prescrizione si collega direttamente all’ipotesi ordinaria e cioè a quella per cui la modalità perequativa viene perseguita mediante la cessione di una percentuale delle aree che il PI attiverà.

All’ipotesi diversa e derogatoria rispetto a tale previsione, ossia quella consistente nella realizzazione a spese del privato di opere di pubblico interesse, non pare applicabile anche l’invocato requisito della contiguità e funzionalità delle aree, per il semplice motivo che le valutazioni dell’amministrazione (valutazione che, richiamando il termine utilizzato nella stessa disposizione, è di opportunità) possono anche ravvisare l’interesse alla realizzazione di opere in altri ambiti del territorio comunale.

In altre parole, una volta ammesso che ai fini della perequazione sia possibile anche compensare il vantaggio ricevuto con la realizzazione di un’opera pubblica, ciò non implica necessariamente che detta opera debba essere unicamente realizzata in aree funzionalmente collegate.

In realtà come correttamente indicato nelle linee guida di cui alla delibera di Giunta n. 60/2010, è sufficiente che si tratti di opere rientranti nel programma triennale delle opere pubbliche e quindi che le stesse siano giustificate dalla programmazione comunale e dall’interesse pubblico sotteso alla loro realizzazione.”

La Sezione contrasta decisamente tale assunto, proprio nella considerazione che la tipologia di esigenze pubbliche, che giustificano l’inserimento di un’opera nel programma triennale di cui all’art. 128 del codice appalti, non sono sovrapponibili a quelle che animano la disciplina degli standard urbanistici, visti i contesti topograficamente differenziati e gli interessi dimensionalmente distinti che li giustificano. In particolare, la vicenda qui in esame lo dimostra in maniera lampante come gli interessi privati e pubblici sottesi ai due diversi provvedimenti siano addirittura opposti: infatti, se è vero che in una determinata area cittadina vi sarà un miglioramento della viabilità, è pur vero che in un’altra avrà luogo un parallelo peggioramento della qualità di vita, conseguente alla diversa dislocazione degli interventi edificatori.

Il che contrasta con il criterio di radicamento territoriale degli standard sopra evidenziato e rende concreto quel pericolo di miopia concettuale sopra tratteggiato, dove il rispetto della costruzione teorica fa perdere di vista il risultato effettivamente conseguito e il suo impatto sul territorio. E deve essere rimarcato come il ricorso a concetti di più difficile concretizzazione, come appunto quello di interesse pubblico, non deve far dimenticare come questo non abbia una sua connotazione unica e globalizzante, ma sia oggettivamente complesso, frammentato e, nella sua connotazione più utilizzata, quella di interesse pubblico in concreto, sia il frutto di una ponderazione di tutti gli interessi, privati e pubblici, che si equilibrano nel procedimento. Il che rende ragione dell’insidiosità della sovrapposizione (e della ritenuta preminenza) dell’interesse concreto che ha giustificato la redazione di un atto amministrativo, come il piano triennale delle opere pubbliche, rispetto all’altro interesse concreto (ma individuato in generale in previsioni di rango legislativo e regolamentare) che impone il rispetto degli standard urbanistici.

Pertanto, in riforma della pronuncia del primo giudice, deve darsi atto dell’effettivo contrasto degli atti gravati con l’art. 46 delle norme tecniche del PAT e delle linee guida approvate con delibera n. 60 del giorno 8 marzo 2010, con consequenziale declaratoria di illegittimità in parte qua.

3. – La fondatezza del sesto motivo di ricorso rende conto della questione proposta dall’appellante e determina l’accoglimento della sua domanda. Ritiene tuttavia la Sezione, in ossequio alla funzione conformativa della sentenza amministrativa e stante la pendenza davanti al giudice di prime cure di un ulteriore seguito giudiziario della vicenda, di soffermarsi in maniera sintetica su tutte le ulteriori doglianze, che sono comunque infondate.

3.1. – In relazione al primo motivo di appello, con cui è stata lamentata la violazione degli artt. 6 e 20 della legge regionale Veneto n. 11 del 2004, nonché l’eccesso di potere per difetto dei presupposti e di istruttoria, in quanto l’accordo sarebbe stato sottoscritto con la società CAMA, nonostante questa non risultasse al momento della sottoscrizione proprietaria dell’area interessata dall’accordo, va ribadita la posizione del primo giudice, che ha rimarcato, in primo luogo, la non applicabilità delle norme invocate a parametro; in secondo luogo, la circostanza che nella specie non si è dato luogo al rilascio di un titolo edilizio, circostanza che naturalmente presuppone la titolarità o comunque la disponibilità giuridica dell’area sulla quale verrà realizzato un determinato intervento da parte del soggetto che avanza la richiesta; e infine, la sufficienza del contratto preliminare stipulato.

3.2. – In relazione al secondo motivo, con cui si denuncia la violazione dell’art. 49 delle NTA del PAT, dell’art. 6 della legge regionale Veneto n. 11 del 2004 e del PI adottato, nonché l’eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria, della motivazione, dell’illogicità e dello sviamento, perché l’accordo impugnato risulta in palese contrasto con i contenuti del PAT e con quelli del PI nella variante adottata appena pochi giorni prima che non contemplavano alcun insediamento commerciale, va parimenti condivisa la decisione espressa dal primo giudice.

In merito al contrasto con il PAT, deve osservarsi come sia previsto per tutti gli ATO la distribuzione di una quota percentuale della volumetria realizzabile avente destinazione non residenziale, ma a servizio dello stesso, ossia per commercio, artigianato di servizio, destinazioni strettamente connesse all’abitare nelle percentuali indicate nella relazione. È quindi corretto affermare che, se è ben vero che solo per l’ATO 3 è stata espressamente prevista una volumetria destinata ad attività turistico-commerciale (alberghiera), ciò non esclude che anche nelle altre aree si possa ammettere la presenza di insediamenti a carattere commerciale.

Per quanto attiene invece alla violazione delle prescrizioni contenute nel PI, non vi è ragione per escludere che l’accordo di pianificazione possa introdurre modifiche in variante alle prescrizioni contenute nel piano stesso, come è evincibile della lettura dell’art. 8, commi 1 e 3 delle N.T.O. del PI. Qui, infatti, si dice che spetta alle schede urbanistiche di intervento ad individuare la trasformazione urbanistica ed edilizia dei vari ambiti, spostando quindi nel tempo e nel modo amministrativo la concreta determinazione della natura degli interventi, nei limiti ivi consentiti.

Neppure appare condivisibile la questione della ricomprensione nell’ambito dell’APP 16 di una porzione di giardino di un edificio vincolato, che non emerge dagli atti.

3.3. – È infondato anche il terzo motivo di appello, dove si denuncia la violazione della delibera della Giunta Rregionale n. 3637 del 13 dicembre 2002, dell’art. 49 del PAT, nonché l’eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità e difetto di istruttoria, in relazione alla violazione delle linee guida dettate dalla Regione in materia di rischio idraulico, le quali richiedono che ogni strumento urbanistico o sua variante valutino attentamente, previa acquisizione del parere dell’autorità preposta (Genio cCivile), la compatibilità idraulica delle modifiche apportate alle previsioni urbanistiche.

Come notato in fatto dal giudice di prime cure, l’area de qua è stata già oggetto di numerose valutazioni di compatibilità idraulica in occasione delle precedenti varianti generali al PRG e del PAT, per cui, tenuto conto del modesto incremento edificatorio derivante dalle nuove previsioni, non sussisterebbero le condizioni per imporre una nuova valutazione di compatibilità idraulica. Peraltro, coerentemente con le stesse direttive impartite dalla Regione con la DGR n. 2948 del 6 ottobre 2009, la detta valutazione, al fine di non appesantire l’iter procedurale, è stata correttamente sostituita con una dichiarazione asseverata del tecnico estensore dello strumento urbanistico, che attesti la sussistenza dei presupposti per non dare luogo ad una nuova valutazione di compatibilità idraulica.

3.4. – Anche la doglianza del quarto motivo di appello non può essere condivisa. Qui si denuncia la violazione dell’art.. 49 delle NTA del PAT, dell’art. 31 della legger regionale Veneto n. 11 del 2004, dell’art. 16 della legge regionale Veneto n. 15 del 2004 e della legge n. 122 del 1989, nonché l’eccesso di potere per illogicità, difetto di istruttoria e motivazione in relazione alla carenza di un’adeguata dotazione di parcheggi e aree a verde, indicata solo in maniera del tutto generica con rinvio allo spazio destinato a parcheggi esterni (mq 3.015) , con grigliato e ghiaino alberati, oltre a mq. 1.714 per standard a verde. Del pari viene denunciato come illogico lo scomputo degli oneri di urbanizzazione primaria, per effetto della realizzazione della viabilità di accesso all’area, mediante la realizzazione di una rotatoria, utile anche al fine di risolvere i problemi connessi agli accessi limitrofi.

Va qui notato come la dotazione di parcheggi e verde sia prevista in maniera indistinta dall’art. 18 delle NTO, con riferimento al solo dato della superficie lorda di pavimento, e quindi la dotazione indicata per l’intervento appare rispondente a detta previsione e anche la loro indistinzione.

Appare peraltro corretto anche lo scomputo degli oneri che, nella in una logica di coerenza tra intervento e dotazioni accessorie su cui ci si è ampiamente soffermati, appare di maggior garanzia per la soluzione dei problemi alla viabilità eventualmente connessi alla realizzazione dell’intervento.

3.5. – Non è fondato il quinto motivo di appello, con cui si lamenta eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, difetto di istruttoria e della motivazione, con riferimento all’art. 19 della legge regionale Veneto n. 15 del 2004, con particolare riguardo alla proposta proveniente dalla società CAMA di una strada di progetto che si aggiunge alla viabilità esistente e che consente l’accesso del traffico specializzato e non al nuovo insediamento commerciale, così individuando una viabilità alternativa, dove correttamente il primo giudice evidenzia la carenza di interesse in capo all’attuale appellante.

3.6. – Il settimo motivo, con cui si lamenta ancora la violazione delle linee guida perché l’accordo impugnato, per quanto riguarda le opere da realizzare in termini perequativi, non prevede una seria garanzia per l’esecuzione dell’intervento, stante l’esiguità della polizza richiesta, appare erroneamente proposto, vista la presenza di due diversi moduli di garanzia, uno teso a confermare la volontà di attuare gli impegni di cui alla proposta di accordo della società CAMA, e l’altro mirato a garantire la totalità dell’importo di perequazione e quindi per un importo stimato in € 400.000, con escussione a prima richiesta entro 15 giorni dalla richiesta scritta.

3.7. – Non è fondato nemmeno l’ottavo motivo di ricorso, il primo di quelli rivolti avverso il Piano degli interventi (PI), dove si denuncia la violazione dell’art. 18 della legge regionale Veneto n. 11 del 2004 e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria, in relazione alla mancata disamina di un’osservazione proposta dalla parte, oltre che al PI, anche avverso l’APP 16.

Va, infatti, rimarcato in fatto come le osservazioni presentate avverso il PI e quelle avverso l’APP siano state congiuntamente presentate in data 7 febbraio 2011 e protocollate rispettivamente ai nn. 3572 e 3569. Il Consiglio cComunale si è quindi espresso, esaminando congiuntamente entrambe le osservazioni (osservazione n. 1, prot. n. 3569 ed osservazione n. 2 prot. n. 3572, presentate il 7 febbraio 2011).

3.8. – Nemmeno il nono e ultimo motivo di appello può essere condiviso. Si lamenta, riprendendo argomentazioni già espresse con riguardo alla seconda censura, che non solo il Consiglio cComunale non ha recepito l’APP 16 in sede di adozione del PI, ma neppure in occasione dell’approvazione di quest’ultimo è stato operato il necessario recepimento.

La particolare procedura adottata, dove si imponeva al responsabile del servizio di gestione del territorio di provvedere all’adeguamento degli elaborati del PI recependo i contenuti degli APP nelle more approvati e di cui si lamenta il contrasto con l’art. 6 della legge regionale, appare superata dalla deliberazione n. 15 del 19 marzo 2012, che ha provveduto ad approvare una nuova variante al PI che ha recepito formalmente recettiva del l’accordo, introducendo nel PI le modifiche da esso derivanti, così superando le doglianze di cui al motivo di ricorso.

Trattandosi di un meccanismo procedurale adeguato alla normativa di legge, non permangono qui le esigenze di valutazione della congruità tra i diversi provvedimenti susseguitisi che hanno fondato l’ammissibilità del presente ricorso. Non inerendo a profili sostanziali, ma unicamente alle modalità di adeguamento tra i due diversi strumenti urbanistici, deve condividersi la valutazione del T.A.R. sul venir meno dell’interesse a coltivare anche tale ultima ragione di doglianza.

4. – L’appello va quindi accolto, nei limiti di cui in motivazione. Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla novità della questione decisa.

P.Q.M

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Accoglie l’appello n. 7502 del 2012 e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sezione seconda, n. 727 del 25 maggio 2012, accoglie il ricorso di primo grado;

2. Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2013, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – con la partecipazione dei signori:

  • Paolo Numerico, Presidente
  • Sergio De Felice, Consigliere
  • Fabio Taormina, Consigliere
  • Diego Sabatino, Consigliere, Estensore
  • Francesco Quadri, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 10/02/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)