Pubblichiamo la sentenza del Consiglio di Stato in merito al condono edilizio in aree con vincolo “indiretto”.
N. 01642/2015REG.PROV.COLL.
N. 02591/2012 REG.RIC.
N. 03160/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sesta Sezione)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2591 del 2012, proposto dalla società Sanrocco Carburanti Srl, rappresentata e difesa dall’avv. Saverio Profeta, con domicilio eletto presso l’avv. Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria, 2;
CONTRO
Comune di Altamura, rappresentato e difeso dall’avv. Filippo Panizzolo, con domicilio eletto presso l’avv. A. Placidi in Roma, Via Cosseria, 2; sul ricorso numero di registro generale 3160 del 2012, proposto dal Comune di Altamura, rappresentato e difeso dall’avv. Filippo Panizzolo, con domicilio eletto presso l’avv. Alfredo Placidi in Roma, Via Cosseria n. 2;
CONTRO
Sanrocco Carburanti S.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. Saverio Profeta, con domicilio eletto presso l’avv. A. Placidi in Roma, Via Cosseria, 2;
PER LA RIFORMA
quanto al ricorso n. 2591 del 2012: della sentenza del T.a.r. Puglia – Bari, Sezione II, n. 01513/2011, resa tra le parti, concernente diniego di condono edilizio e demolizione di opere abusive; quanto al ricorso n. 3160 del 2012 della sentenza del T.a.r. Puglia – Bari, Sezione II n. 01513/2011, resa tra le parti, concernente diniego di condono edilizio e demolizione di opere abusive;
- Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
- Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Altamura e della società Sanrocco Carburanti S.r.l.;
- Viste le memorie difensive;
- Visti tutti gli atti della causa;
- Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 marzo 2015 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati De Bonis per delega dell’avv. Profeta e Panizzolo;
- Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, n. 1513/11 del 12 ottobre 2011 è stato accolto il ricorso proposto dalla società Sanrocco Carburanti s.r.l., avverso un diniego di condono edilizio e contestuale ordine di demolizione, riferiti ad un impianto per il deposito e la commercializzazione di carburanti, ubicato nel Comune di Altamura e composto da diversi corpi di fabbrica, per una superficie complessiva di 336,32 mq..
Tale complesso, abusivamente realizzato, risultava oggetto di una originaria domanda di condono edilizio, presentata il 28 marzo 1986 ai sensi della legge n. 47 del 1985: istanza respinta, per ragioni prioritariamente riferibili alla presenza di un vincolo archeologico, con provvedimento sindacale n. 35523 del 13 novembre 1996. Successivamente, il 28 febbraio 1995, veniva presentata una seconda domanda di condono (il cui oggetto risulta controverso fra le parti) ai sensi della legge n. 724 del 1994 e in data ancora successiva la Soprintendenza esprimeva, con nota n. 2958 del 9 febbraio 2000, parere favorevole con prescrizioni (nota n. 2958 del 9 febbraio 2000); il condono, tuttavia, veniva poi conclusivamente negato, con atto n. 194 in data 8 ottobre 2009 – previo nuovo pronunciamento negativo della medesima Soprintendenza (n. 9700 del 23 maggio 2002) – in considerazione dei vincoli gravanti sull’area (tutela indiretta del bene storico-archeologico e rilevanza paesaggistica del sito), nonché per mancanza di autonomia funzionale delle opere (ampliamento di un fabbricato, già reso oggetto della precedente domanda di condono) e per avvenuta incorporazione nel lotto di una strada di proprietà comunale.
Nella sentenza appellata si rilevava come la società ricorrente fosse divenuta proprietaria dell’impianto in epoca posteriore alla trascrizione del decreto impositivo di vincolo archeologico indiretto (con divieto di costruzione a distanza inferiore a 50 metri dal limite esterno di mura megalitiche); detto vincolo, tuttavia, avrebbe avuto carattere non assoluto, ma relativo, implicando solo l’obbligatoria assunzione di preventivo parere favorevole della Soprintendenza. Mentre, dunque, la prima domanda di condono (riferita ad una superficie abusiva di mq. 336,32) sarebbe stata in effetti respinta sulla base di parere negativo della Soprintendenza (salvo successivo intervento dell’Amministrazione in via di autotutela, in presenza di un successivo parere favorevole), la seconda domanda – riferita solo ad un ampliamento di superficie pari a mq. 191,44 – avrebbe potuto essere accolta, in quanto il parere emesso nel 2000 dalla Sovrintendenza avrebbe confermato la natura relativa del vincolo e la fattibilità dell’intervento.
Non sarebbe stata ravvisabile, inoltre, alcuna prova concreta di una proprietà comunale del sedime della “strada vicinale Carrera”, presumibilmente ormai acquisito per usucapione.
Sarebbe stato ragionevole ritenere, tuttavia, che la ricorrente avesse omesso di inserire nella domanda di condono del 1995 tutte le opere abusive, confidando nell’accoglimento della prima domanda, non ancora respinta alla data di presentazione della seconda. Il secondo diniego, pertanto, veniva annullato, in quanto ritenuto illegittimo, con riferimento al solo ampliamento di uno dei fabbricati, insistenti sull’area. Avverso la predetta sentenza hanno proposto appello sia la società Sanrocco Carburanti s.r.l. (n. 2591/12, notificato il 30 marzo 2012) sia il Comune di Altamura (n. 3160/12, notificato il 12 aprile 2012).
Nel primo di tali appelli – riepilogata in punto di fatto la vicenda contenziosa – la società sopra citata rappresentava di avere proposto la seconda domanda di condono edilizio per tutte le opere abusive, oltre che per un ulteriore ampliamento. La sentenza di accoglimento, pertanto avrebbe dovuto essere riformata, per violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, nonché per travisamento dei presupposti fatto e di diritto. Anche nella verificazione disposta dal TAR, poi, sarebbe emersa la ricomprensione nel nuovo procedimento di tutte le opere abusive, a cui sarebbe stato globalmente riferibile, pertanto, il parere favorevole della Soprintendenza.
Nella seconda impugnativa, proposta dal Comune di Altamura, si prospettava viceversa il carattere assoluto del vincolo di inedificabilità, imposto fin dai primi anni sessanta – per una fascia di 50 metri – a tutela indiretta delle mura megalitiche, quale bene archeologico di primaria importanza, “risalente a cinquecento anni prima di Cristo”.
La prima domanda di condono, respinta con atto notificato il 14 novembre 1996, riguardava opere collocate a poco più di 15 metri dalle mura ed eseguite su una strada da tempo non in uso, ma comunque di proprietà comunale (in rapporto alla quale era stata anche avanzata proposta di acquisto, o di concessione in uso, da parte della stessa società Sanrocco). Il ricorso, proposto avverso detto primo diniego, veniva respinto dal TAR per la Puglia con sentenza n. 207 del 6 marzo 1999, non appellata e passata in giudicato; il differente oggetto della seconda domanda di condono, inoltre, avrebbe trovato riscontro nell’ambito della verificazione disposta dal TAR. Nella sentenza appellata, pertanto, si sarebbe in primo luogo omesso di rilevare il carattere evidentemente assoluto del vincolo di inedificabilità all’interno della predetta fascia di 50 metri, mentre avrebbe avuto carattere relativo solo il vincolo imposto sull’intera particella catastale in questione, al di fuori di detta fascia. Il parere favorevole, emesso dalla Soprintendenza con nota n. prot. 2958/2000, peraltro, risultava implicitamente revocato dalla medesima con nota n. 9700 del 23 maggio 2002. La mancanza di autonomia funzionale dell’ampliamento (pure ricadente nella fascia di inedificabilità assoluta) e lo sconfinamento degli interventi sul suolo comunale, infine, sarebbero stati confermati, rispettivamente, dalle dichiarazioni del tecnico di parte e dalle proposte di acquisizione della società Sanrocco.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene opportuno disporre, in via preliminare, la riunione degli appelli nn. 2591/12 e 3160/12, in quanto legati da evidente connessione soggettiva ed oggettiva.
Nel merito, il Collegio ritiene che il primo di tali appelli non sia meritevole di accoglimento, mentre risulta fondato il secondo, proposto dal Comune di Altamura, per le ragioni di fatto e di diritto che vengono, di seguito, unitariamente considerate in rapporto ad entrambe le impugnative (essendo le stesse riferite ad un’unica sentenza, con opposte argomentazioni sui presupposti dell’atto impugnato).
Debbono ritenersi infatti fondamentali, per entrambe le citate impugnative, la definizione dell’effettiva natura del vincolo, imposto sull’area e l’oggetto della domanda di condono, proposta ai sensi della legge n. 724 del 1994.
Sotto il primo profilo, non appare condivisibile la tesi esposta nella sentenza appellata, secondo cui il parere negativo, espresso dalla Soprintendenza con nota n. 11669/OV del 17 giugno 1996, ai sensi della legge n. 1089 del 1939 (Tutela delle cose di interesse artistico e storico), sarebbe stato formulato in termini tali, da escludere il carattere assoluto del vincolo in questione, imposto per la tutela indiretta di un sito di interesse archeologico. Sembra appena il caso di sottolineare, infatti, che la natura assoluta o relativa di un vincolo di inedificabilità va ricercata nella legge, che ne autorizza l’imposizione e nel relativo atto impositivo, non modificabile dall’Autorità preposta alla tutela del bene protetto. Nella situazione in esame la motivazione del parere negativo n. 11669 del 14 giugno 1996 – benchè formalmente riferita a “richiesta di parere ai sensi dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47” – richiamava il carattere cogente delle disposizioni vincolistiche e l’esigenza di conservazione di una “fascia di rispetto per la cinta muraria megalitica, larga m. 50, nella quale è fatto divieto di ogni costruzione”; veniva inoltre sottolineata la realizzazione delle opere abusive a circa 15 metri dalle mura in questione – circostanza già sufficiente per il diniego – pur essendo “ad abundantiam” specificato che la presenza delle opere, per le quali era stato richiesto il condono, ai sensi della legge n. 47 del 1985, impediva “la visione dei resti archeologici, alterando vistosamente le condizioni ambientali”. La formula conclusiva utilizzata dalla medesima Soprintendenza (“questo Ufficio non ritiene di concedere parere favorevole”) – pur sembrando riferita ad una potestà di valutazione discrezionale – non poteva viceversa che essere ricondotta al chiaro dettato del decreto di vincolo, notificato in data 11 dicembre 1961 (ovvero in data antecedente a quella di realizzazione delle opere, oggetto della prima istanza di condono del 1986, che indicava come periodo di riferimento per la realizzazione delle stesse il 1972). Tale decreto – al dichiarato fine di evitare che nuove costruzioni danneggiassero “prospettiva e luce” delle mura megalitiche, con alterazione delle “condizioni di ambiente e di decoro” – vietava infatti espressamente “ogni costruzione, anche provvisoria”, ivi compresi impianti di palificazioni o simili, “a distanza inferiore a m. 50 dal limite esterno delle mura in questione”. Il parere della medesima Soprintendenza, pertanto, aveva margini di discrezionalità solo per opere realizzate nell’area vincolata, retrostante alla fascia di inedificabilità assoluta, o per interventi realizzati su edifici, che prima dell’imposizione del vincolo fossero stati legittimamente realizzati nella medesima fascia.
Il vincolo cosiddetto indiretto (ora disciplinato dall’art. 46 del d.lgs. n. 42 del 2004 –codice dei beni culturali e del paesaggio) corrisponde d’altra parte ad esigenze di tutela di valori primari, culturali ed ambientali, che giustificano l’imposizione di limiti alla proprietà ed alla libertà di iniziativa economica, nei termini enunciati dagli articoli 41 e 42 della Costituzione (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. V, 12 giugno 2009, n. 3770; Cass. Pen., sez. III, 3 aprile 2003, n. 25726; Cons. St., sez. III, 29 ottobre 2002, n. 2016; Cons. St., sez. IV, 13 maggio 2003, n. 1896; Cons. St., sez. VI, 24 settembre 2007, n. 4924) . In via di pratica applicazione dei principi in questione, sono stati individuati numerosi vincoli – non soggetti a decadenza né fonte di indennizzo – imposti in via di pianificazione d’uso del territorio per ragioni “latu sensu” ambientali, in corrispondenza di fasce di rispetto inedificabili, zone agricole di pregio, aree destinate a parco o a verde attrezzato e così via (Cons. St., sez. IV, 23 dicembre 2010, n. 9372 e 19 febbraio 2008, n. 529). Il principio da ultimo indicato appare estensibile all’imposizione di un vincolo di tutela indiretta, come quello di cui si discute, potendosi ritenere la relativa disposizione regolatrice di un modo di essere della proprietà, senza effetti espropriativi (giurisprudenza consolidata: cfr., fra le tante, Cons. St., sez. VI, 23 marzo 1979, n. 188, 24 aprile 1979, n. 306; Cons. St., sez. IV, 5 ottobre 1995, n. 781, 8 giugno 2000, n. 3214 e 23 dicembre 2010, n. 9372).
Le considerazioni sopra esposte hanno, con ogni evidenza, carattere assorbente, poiché giustificano “ex se” il diniego sia del primo, che del secondo condono, in quanto nessuna costruzione risultava assentibile, o sanabile (anche in base alle normative a carattere eccezionale, dettate con leggi nn. 47 del 1985 e 724 del 1994) nell’area di cui trattasi, tenuto conto di quanto prescritto nell’art. 33 della prima di tali normative. Tenuto conto di quanto sopra, pur non essendo sottoposto a giudizio il parere favorevole, espresso dalla Soprintendenza con nota n. 2958 del 9 febbraio 2000, il Collegio non può fare a meno di rilevare come la stessa Soprintendenza, con la successiva nota n. prot. 9700 del 23 maggio 2002, abbia riconosciuto come detto parere favorevole fosse stato rilasciato “in deroga” al decreto impositivo di vincolo (una deroga di per sè inammissibile, una volta riconosciuta la natura del vincolo stesso, nei termini in precedenza esposti) e non potesse più, comunque, ritenersi attuale, soprattutto in considerazione del progetto, presentato dalla medesima società Sanrocco il 12 febbraio 2001, per l’integrale ristrutturazione del complesso edilizio, da trasformare in “strutture polifunzionali per attività sportive, ricettive e culturali”, con “bar, ristorante e spazi all’aperto”. Non senza una certa contraddittorietà di comportamento, in effetti, nel 2002 (con la richiamata nota n. 9700) la citata Soprintendenza riferiva la propria pregressa posizione favorevole ad un intervento, inteso ad assicurare la continuazione dell’attività lavorativa, svolta in strutture di cui sembrava venire ignorata la natura interamente abusiva, già oggetto di diniego di condono, ritenuto legittimo nel 1999 con sentenza passata in giudicato. L’ambiguità del citato parere favorevole, in ogni caso, aveva indotto la società interessata a ritenere nuovamente aperte le prospettive di sanatoria per tutte le opere realizzate – come attestato in una relazione del 28 marzo 2011 del CTU, arch. Annamaria Curcuruto, acquisita agli atti a seguito di istruttoria effettuata in primo grado di giudizio – con conclusioni che però smentivano la pretesa estensione della seconda domanda di condono a tutte le opere presenti sull’area, come di seguito meglio precisato. Quanto sopra, peraltro, senza che detta estensione potesse avere conseguenze decisive per la società interessata, poichè – come testualmente precisato nella successiva nota della Soprintendenza n. 9700 del 2002 (e come reso evidente dal già ricordato tenore dell’atto) – il vincolo imposto col d.m. del 15 novembre 1961 implicava “inedificabilità assoluta”, nella ricordata fascia di 50 metri dalle mura.
Il Collegio è chiamato comunque a stabilire se nell’istanza di condono – frutto di riapertura dei termini, ex lege n. 724 del 1994, quando la prima domanda non era ancora stata definita – fossero state nuovamente comprese anche le opere oggetto di tale prima domanda. Nella già citata relazione del CTU si evidenzia, infatti, come l’istruttoria delle due pratiche di condono sia stata praticamente contemporanea e parallela, con qualche confusione – anche a livello comunale – sulla continuazione di entrambe le procedure (in termini di possibile “riesame”, o “ridefinizione” di quella originariamente avviata) dopo il parere favorevole della Soprintendenza, della cui ambiguità si è già fatto cenno, ma che, in ogni caso, non poteva incidere sulla legittimità di un diniego, già formulato nel 1996 e divenuto inoppugnabile, dopo il relativo riscontro in sede giurisdizionale.
In effetti, nel proprio appello la società Sanrocco rivendica non la continuazione della precedente pratica di condono (a cui aveva fatto allusione il CTU), ma la rinnovata sottoposizione a procedura di sanatoria di tutte le opere realizzate attraverso la seconda domanda di condono, presentata a norma della legge n. 724 del 1994. Su questo punto non si ravvisa però l’asserita convergenza del CTU, che nelle proprie conclusioni riferisce detta domanda al seguente intervento: “realizzazione, in adiacenza di volume preesistente (corpo A) di un manufatto edilizio avente un’estensione superficiale di mq. 191,44….adibito al ricovero dei mezzi di trasporto della società”, con commisurazione soltanto a quest’ultimo dell’oblazione corrisposta (senza che possa acquisire particolare rilevanza, in tale contesto, la mera rappresentazione cartografica delle altre opere realizzate).
Non si vede, d’altra parte, quale diverso esito potesse trovare una procedura, reiterata sulle medesime opere che – sulla base di una normativa formalmente, ma non sostanzialmente diversa, se non per quanto riguarda la data di ultimazione delle stesse – erano state oggetto di un diniego di condono, ormai inoppugnabile. A diverse conclusioni, evidentemente, sarebbe stato possibile pervenire se il primo condono fosse stato negato, appunto, per mancato completamento delle opere nel termine prescritto, ma non anche per inedificabilità assoluta dell’area, in base al vincolo indiretto rimasto invariato. A quest’ultimo riguardo, sembra appena il caso di rilevare l’inconferenza di argomentazioni, riferite all’attuale consistenza delle mura megalitiche, definite dalla società appellante “un muretto di altezza non superiore a 50 centimetri….al centro della strada”, con consistenza ulteriormente ridotta (da 50 centimetri ad un centimetro soltanto) “in prossimità dell’impianto della Sanrocco”, in presenza, peraltro, di reiterate autorizzazioni rilasciate per altre edificazioni, nella fascia di 50 metri dalle medesime mura.
Il valore di un bene archeologico – e l’esigenza di non comprometterne la visuale – corrispondono infatti ad apprezzamenti di valore, rimessi alla discrezionalità tecnica delle Autorità competenti, non confutabili con mere e generiche argomentazioni difensive, né con altrettanto generiche indicazioni di intervenute autorizzazioni, il cui pur effettivo – e nel caso illegittimo – rilascio non consentirebbe di derogare all’effettiva natura del vincolo assoluto di inedificabilità, tuttora vigente (risultando dagli atti solo un generico preannuncio della Soprintendenza, riferito all’intento di “procedere ad una revisione complessiva delle misure di tutela della fascia esterna alla cinta muraria megalitica” (cfr. nota n. 2700/2002 cit).
Ugualmente non può trovare conferma (pur trattandosi di argomentazione recessiva, rispetto a quanto già rilevato) la valutazione effettuata nella sentenza appellata, secondo cui non vi sarebbe stata “alcuna prova concreta di una proprietà comunale del sedime della strada vicinale Carrera”, in quanto “plurimi elementi” avrebbero indotto a ritenere che tale sedime fosse “ormai acquisito in proprietà alla società ricorrente in forza di possesso continuato per vent’anni”.
Non può essere condivisa, infatti, un’osservazione che prescinde da qualsiasi puntuale disamina dei presupposti, di cui agli articoli 1158 e seguenti del codice civile in tema di usucapione, tenuto conto, peraltro, del riconoscimento della proprietà comunale, riferito ad una parte dell’area interessata dai fabbricati abusivi, ad opera della stessa società richiedente il condono ai sensi della legge n 47 del 1985 (con manifestata disponibilità, in data 29 marzo 1986, all’acquisto della proprietà o ad una concessione d’uso a titolo oneroso ed ulteriore proposta di transazione al riguardo, in occasione della presentazione del progetto di ristrutturazione del 2001).
Diverse ragioni, in conclusione, inducono a ritenere legittimo il diniego di condono, emesso ai sensi della legge n. 724 del 1994, con assorbimento di ogni ulteriore argomentazione difensiva, prospettata da entrambe le parti appellanti.
Ad avviso del Collegio, quindi, l’appello della società Sanrocco Carburanti deve essere respinto, mentre appare meritevole di accoglimento l’impugnativa del Comune di Altamura, con gli effetti precisati in dispositivo.
Le spese giudiziali – da porre a carico della citata società, in quanto parte soccombente in entrambe le impugnative riunite – vengono liquidate nella misura complessiva di €. 7.000,00 (euro settemila/00) per i due gradi di giudizio, a favore del Comune di Altamura.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, riunisce gli appelli nn. 2591/12 e 3160/12, indicati in epigrafe; respinge il primo di tali appelli ed accoglie il secondo e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso proposto dalla società Sanrocco Carburanti avverso il diniego di condono n. 194 in data 8 ottobre 2009; condanna detta società al pagamento delle spese giudiziali, a favore del Comune di Altamura, nella misura complessiva di €. 7.000,00 (euro settemila/00) per i due gradi di giudizio di entrambi gli appelli.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 marzo 2015 con l’intervento dei magistrati:
- Luciano Barra Caracciolo, Presidente
- Maurizio Meschino, Consigliere
- Claudio Contessa, Consigliere
- Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
- Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere