Il Consiglio di Stato sulla “pollina”, tra sottoprodotto e rifiuto

Pubblicato il 27-05-2015
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A cura dell’avv. Xavier Santiapichi

I Giudici di Palazzo Spada si esprimono ancora sulla nozione di rifiuto e di sottoprodotto: la “certezza” dell’impiego da parte di terzi in un separato ciclo produttivo può derivare anche dal fatto che per la sostanza esista un mercato o una domanda, non necessariamente dall’avvenuta stipula di specifici accordi negoziali. La qualificazione come “sottoprodotto” di un impianto di valorizzazione della pollina (ma sarebbe lo stesso per le biomasse o per gli scarti vegetali) conduce all’impossibilità di applicare in via diretta la disciplina urbanistica e igienico-sanitaria degli impianti di trattamento dei rifiuti. Anche se, in realtà, la gassificazione della pollina, in quanto attività inquinante, deve rispettare il più elevato standard di sicurezza previsto per le attività comparabili, a tutela della salute pubblica.

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N. 00498/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01306/2012 REG.RIC.

Pubblichiamo la sentenza N. 197 ANNO 2014

MINISTERO

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

HA PRONUNCIATO LA PRESENTE SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1306 del 2012, proposto da:
3A SOCIETÀ AGRICOLA, rappresentata e difesa dagli avv. Alessandro Stefana, Roberto Lancellotti e Domenico Bezzi, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Brescia, via Diaz 13/C;

CONTRO

PROVINCIA DI BRESCIA, rappresentata e difesa dagli avv. Magda Poli, Gisella Donati e Raffaella Rizzardi, con domicilio eletto presso i medesimi legali in Brescia, piazza Paolo VI 29;
nei confronti del COMUNE DI BEDIZZOLE, rappresentato e difeso dall’avv. Mauro Ballerini, con domicilio eletto presso il medesimo legale in Brescia, viale Stazione 37;

PER L’ANNULLAMENTO

– del provvedimento del direttore del Settore Ambiente n. 2493 del 20 luglio 2012, con il quale è stata negata l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di un impianto per la produzione di energia elettrica e calore alimentato da fonti rinnovabili, da localizzare nel Comune di Bedizzole;
– con domanda di risarcimento;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Brescia e del Comune di Bedizzole;
Viste le memorie difensive;
Visti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 gennaio 2015 il dott. Mauro Pedron;
Uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

FATTO E DIRITTO

1. La ricorrente società agricola 3A, proprietaria di numerosi allevamenti avicoli nel Comune di Bedizzole e in ambiti limitrofi, ha chiesto in data 30 dicembre 2010 alla Provincia di Brescia l’autorizzazione ex art. 12 del Dlgs. 29 dicembre 2003 n. 387 per la costruzione e l’esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica e calore alimentato da fonti rinnovabili, con potenza pari a circa 1 MWe. L’area scelta per la localizzazione dell’impianto si trova nel Comune di Bedizzole, in via dei Riali, ed è classificata come agricola di salvaguardia (nella tavola paesistica del PTCP è descritta come zona di pascoli e prati permanenti). Non si tratta di area sottoposta a vincolo paesistico o idrogeologico.

2. Il progetto prevedeva la realizzazione di un gassificatore di pollina, in quanto la notevole concentrazione di allevamenti avicoli nel raggio di 10 Km avrebbe consentito un facile approvvigionamento di tale combustibile (v. relazione del dott. agronomo Gabriele Zola dell’ottobre 2011).

3. La Provincia, con nota del direttore del Settore Ambiente del 22 settembre 2010, aveva ritenuto non necessario l’espletamento della procedura di VIA.
4. Al termine della procedura di cui al DM 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili), il medesimo dirigente, con provvedimento n. 2493 del 20 luglio 2012, ha negato l’autorizzazione richiamando in particolare i verbali della conferenza di servizi del 13 giugno 2012 e del 18 luglio 2012.

5. La conferenza di servizi aveva evidenziato varie criticità, così sintetizzabili:
(a) la combustione (gassificazione) di pollina dovrebbe essere qualificata come smaltimento e recupero di rifiuti, e in quanto tale sarebbe vietata dall’art. 293 comma 1 del Dlgs. 3 aprile 2006 n. 152. Per gli impianti che producono emissioni in atmosfera tale norma consente infatti l’utilizzo come combustibili esclusivamente dei materiali elencati nell’allegato X alla parte quinta del Dlgs. 152/2006, purché gli stessi non costituiscano rifiuti ai sensi della parte quarta del medesimo decreto. La pollina non è espressamente elencata nel predetto allegato X. Inoltre, trattandosi di pollina proveniente da terzi, non sussisterebbe la possibilità di qualificarla come sottoprodotto ai sensi dell’art. 2-biscomma 1 del DL 3 novembre 2008 n. 171, con la conseguenza che l’unica categoria applicabile rimarrebbe quella di rifiuto;
(b) dovendo applicare la disciplina dei rifiuti, mancherebbe la distanza minima di 1.000 metri dai siti sensibili prevista dalla DGR 20 ottobre 2010 n. 9/661 (Piano Provinciale di Gestione dei Rifiuti della Provincia di Brescia). Nello specifico, a circa 800 metri la Fondazione Quarena intende costruire un asilo: per consentire la realizzazione di questa iniziativa il Comune ha inserito nel PGT un’area con apposita destinazione;

(c) le emissioni in atmosfera provocherebbero un’ulteriore compromissione della qualità dell’aria, tenendo conto che l’ambito territoriale in questione è stato classificato come A2 (zona di risanamento) dalla DGR 2 agosto 2007 n. 8/5290 (Suddivisione del territorio regionale in zone e agglomerati per l’attuazione delle misure finalizzate al conseguimento degli obiettivi di qualità dell’aria ambiente e ottimizzazione della rete di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico). A sostegno di questa affermazione la Provincia rinvia ai dati sulla concentrazione media annua dell’ozono, degli ossidi di azoto e delle PM10 rilevati dalle centraline ARPA dei Comuni di Rezzato (zona A1) e Lonato (zona A2), distanti circa 10 Km;
(d) vi è poi il problema dei singoli inquinanti. In particolare, la combustione di pollina è in grado di produrre diossina e metalli pesanti. La presenza di fosforo e ossido di potassio nelle ceneri fa presumere che queste sostanze siano presenti in concentrazioni significative anche nelle emissioni. Non è poi garantita l’assenza di benzene. Nello studio di ricaduta degli inquinanti (simulazione CALPUFF prodotta il 2 maggio 2012) la ricorrente ha offerto alcune precisazioni, esponendo i dati di un impianto simile, ma non ha chiarito se le misure si riferiscano al massimo inquinante potenziale. Inoltre, non sono precisati i valori in ingresso utilizzati per dimensionare i sistemi di abbattimento delle emissioni. Mancano alcuni parametri anche nello studio sull’impatto olfattivo;

(e) infine, sotto il profilo paesistico, pur non trattandosi di area vincolata, il sito scelto per la localizzazione dell’impianto si trova a circa 1.300 metri dagli anfiteatri morenici del Garda, ed è collocato in classe 3 (sensibilità paesistica media). In questo scenario le strutture dell’impianto, che sono formate da costruzioni con altezza al colmo pari a 9,5 metri, disposte su una superficie coperta pari a 2.600 mq, a cui si aggiungono silos alti 12 metri e un camino alto 15 metri, potrebbero avere un impatto eccessivo e dissonante.

6. Contro il provvedimento di diniego la ricorrente ha presentato impugnazione con atto notificato l’8 novembre 2012 e depositato il 30 novembre 2012. Le censure possono essere sintetizzate come segue: (i) violazione degli art. 184-bis e 293 del Dlgs. 152/2006, in quanto la pollina dovrebbe ormai essere considerata un sottoprodotto, con piena assimilazione alle altre biomasse combustibili; (ii) violazione del punto 14 del DM 10 settembre 2010, in quanto la Provincia avrebbe segnalato in ritardo alcune criticità (ad esempio sotto il profilo paesistico), omettendo così di assumere un atteggiamento pienamente collaborativo e impedendo alla ricorrente di modificare in tempo utile il progetto; (iii) inapplicabilità delle fasce di rispetto previste per gli impianti di trattamento dei rifiuti; (iv) travisamento, in quanto i dati sugli inquinanti forniti dalla ricorrente nel corso della procedura sarebbero idonei a sostenere una valutazione favorevole (viene richiamata la perizia della dott. Gabriella Jaforte del 31 ottobre 2012).

7. Oltre all’annullamento dell’atto impugnato è stato chiesto il risarcimento del danno, derivante sia dall’esito sia dalla lunghezza della procedura (circa 19 mesi contro i 90 giorni previsti dall’art. 12 comma 4 del Dlgs. 387/2003). Quali voci di danno la ricorrente indica, in particolare, la perdita degli incentivi pubblici e il mancato guadagno.

8. La Provincia e il Comune di Bedizzole si sono costituiti in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.
9. Sulle questioni rilevanti ai fini della decisione si possono svolgere le seguenti considerazioni.
Sulla qualificazione della pollina come sottoprodotto
10. In base all’art. 293 comma 1 del Dlgs. 152/2006 gli impianti che producono emissioni in atmosfera possono utilizzare come combustibili esclusivamente i materiali elencati nell’allegato X alla parte quinta del Dlgs. 152/2006, purché gli stessi non costituiscano rifiuti ai sensi della parte quarta del medesimo decreto. La pollina non rientra nell’elenco dell’allegato X, ma è qualificata come sottoprodotto dall’art. 2-bis comma 1 del DL 171/2008 (come modificato dall’art. 18 comma 1 della legge 4 giugno 2010 n. 96). Con questa norma è stata quindi introdotta un’equiparazione tra la pollina e le biomasse combustibili disciplinate dalla sezione 4 della parte II dell’allegato X.

11. È vero che l’art. 2-bis comma 1 del DL 171/2008 collega espressamente la qualifica di sottoprodotto alla circostanza che la pollina sia destinata alla combustione nel medesimo ciclo produttivo. Letteralmente intesa, questa norma autorizzerebbe microimpianti presso ogni allevamento avicolo, per la gassificazione della pollina ivi prodotta, ma non un impianto che utilizzi la pollina di una pluralità di allevamenti. Questa soluzione avrebbe alcune conseguenze non desiderabili, tra cui la perdita di massa critica per la produzione di energia, l’aumento dei costi a causa della ridotta scala di produzione, e la dispersione sul territorio di punti di inquinamento meno facilmente controllabili.

12. Non si tratta però di una via interpretativa obbligata. La disciplina della pollina ricade infatti nella generale regolamentazione dei sottoprodotti contenuta nell’art. 184-bis del Dlgs. 152/2006, in base al quale è prevalente la qualifica di sottoprodotto rispetto a quella di rifiuto quando vi sia la certezza che la sostanza sarà utilizzata nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi. La certezza dell’impiego da parte di terzi in un separato ciclo produttivo può derivare anche dal fatto che per la sostanza esista un mercato o una domanda, condizione che in base all’art. 184-ter comma 1-b del Dlgs. 152/2006 concorre a determinare la perdita della qualità di rifiuto. È evidente, infatti, che il produttore di pollina, quando vi sia un soggetto disposto ad acquistare o a ritirare questa sostanza come combustibile, non ha più l’esigenza di sbarazzarsene come rifiuto. Sotto un diverso profilo, si osserva inoltre che per l’insieme delle materie fecali, a cui la pollina appartiene, l’utilizzo come biomassa combustibile per la produzione di energia è uno dei presupposti della perdita della qualità di rifiuto in base all’art. 185 comma 1-f del Dlgs. 152/2006 (v. CS Sez. IV 28 febbraio 2013 n. 1230).

13. In definitiva, la disciplina derivante, da un lato, dagli art. 184-bis e 184-ter del Dlgs. 152/2006 (inseriti dall’art. 12 comma 1 del Dlgs. 3 dicembre 2010 n. 205), e dall’altro dall’art. 185 del Dlgs. 152/2006 (come sostituito dall’art. 13 comma 1 del Dlgs. 205/2010), supera la previsione dell’art. 18 comma 1 della legge 96/2010, estendendo la nozione di sottoprodotto e consentendone l’impiego in cicli produttivi gestiti da terzi. In questo quadro, la pollina commercializzata per il rifornimento dei gassificatori è un combustibile alla pari delle altre biomasse combustibili, e soggetto alla medesima disciplina.
14. Anche prima della normativa comunitaria armonizzata sull’uso della pollina come combustibile introdotta dal Reg. CE 3 giugno 2014 n. 592/2014 (Regolamento della Commissione che modifica il regolamento UE n. 142/2011 per quanto riguarda l’uso di sottoprodotti di origine animale e di prodotti derivati come combustibile negli impianti di combustione) era quindi possibile autorizzare con la procedura dell’art. 12 del Dlgs. 387/2003 impianti come quello in esame.
Sulla distanza da siti sensibili

15. Dalla qualificazione della pollina come sottoprodotto combustibile deriva l’impossibilità di applicare in via diretta all’impianto di gassificazione la disciplina urbanistica e igienico-sanitaria degli impianti di trattamento dei rifiuti.
16. Peraltro, questo è solo il lato formale della questione. È evidente, in realtà, che la gassificazione della pollina, in quanto attività inquinante, deve rispettare il più elevato standard di sicurezza previsto per le attività comparabili, a tutela della salute pubblica. Per stabilire il contenuto dello standard di sicurezza esigibile può essere ragionevole fare riferimento anche alla disciplina sul trattamento dei rifiuti, in particolare quando la differenza tra sottoprodotto e rifiuto passa non per le caratteristiche intrinseche della sostanza utilizzata ma per l’inserimento della stessa in un particolare ciclo produttivo. Pertanto, il riferimento al Piano Provinciale di Gestione dei Rifiuti della Provincia di Brescia come fonte di regolamentazione delle distanze può risultare legittimo all’interno di una complessiva valutazione di natura tecnica.

17. La Provincia ha però oltrepassato i limiti della discrezionalità tecnica sotto due profili: (a) quando ha esteso la protezione dei siti sensibili a una mera ipotesi di realizzazione futura di un edificio destinato a ospitare un asilo, accordando tutela a un bene giuridico ancora senza oggetto, a discapito di un interesse invece concreto e attuale della ricorrente; (b) quando ha ritenuto che l’unica forma di tutela fosse il rispetto della distanza minima di 1.000 metri, omettendo di valutare l’altro strumento a disposizione, ossia il dimensionamento delle misure di abbattimento degli inquinanti e delle emissioni odorose. Sotto il primo profilo è stata fatta un’applicazione sproporzionata del principio di prevenzione, sotto il secondo è stato trascurato il bilanciamento, di impiego normale nelle valutazioni igienico-sanitarie, tra minore distanza e migliori tecniche disponibili (BAT).
Sul problema degli inquinanti
18. Un impianto di produzione di energia elettrica e calore alimentato da fonti rinnovabili è giuridicamente distinto da un impianto di coincenerimento di rifiuti. Tuttavia, per il principio di precauzione, può essere ragionevole applicare alle biomasse diverse dai rifiuti (in aggiunta ai valori di emissione previsti dalla tabella 1.1 della parte III dell’allegato I alla parte quinta del Dlgs. 152/2006, e, per la pollina, a quelli introdotti dal Reg. CE 592/2014) i valori di emissione previsti per il coincenerimento dal Dlgs. 11 maggio 2005 n. 133 (Attuazione della direttiva 2000/76/CE, in materia di incenerimento dei rifiuti).

19. Il punto decisivo è infatti la composizione della sostanza utilizzata come combustibile. L’art. 3 del Dlgs. 133/2005 esclude dalla disciplina sul coincenerimento dei rifiuti alcuni materiali, tra cui i rifiuti vegetali e i rifiuti del legno, ma a proposito di questi ultimi (v. comma 1-a.4) stabilisce che la predetta disciplina si applica comunque quando possano essere presenti composti organici alogenati o metalli pesanti. In termini analoghi dispone ora l’art. 237-ter comma 1-s.2.5 del Dlgs. 152/2006 (introdotto dall’art. 15 comma 1 del Dlgs. 4 marzo 2014 n. 46). Queste disposizioni possono essere utilizzate per formulare il seguente criterio generale: quando ricorrano le medesime condizioni che impongono per alcune sostanze, inizialmente escluse, l’applicazione dei valori-limite del Dlgs. 133/2005, è necessario estendere tale normativa anche alle altre sostanze escluse, indipendentemente dalla qualificazione delle stesse come sottoprodotto. Una codificazione di questo criterio sembra essere intervenuta con l’art. 237-quater comma 2-a del Dlgs. 152/2006 (introdotto dall’art. 15 comma 1 del Dlgs. 46/2014) a proposito della purificazione dei gas negli impianti di gassificazione e di pirolisi.

20. Poiché la Provincia ha evidenziato la presenza di metalli pesanti nel processo di gassificazione della pollina, appare corretta la decisione di esigere dalla ricorrente uno studio sugli inquinanti riferito ai parametri del Dlgs. 133/2005.
21. Come chiarito nella perizia della dott. Gabriella Jaforte (v. allegato 3), la Provincia ha espresso un giudizio fortemente negativo sulle emissioni dell’impianto in questione utilizzando come riferimento valori-limite inesatti (molto più bassi di quelli ex lege) per le diossine, i furani e gli idrocarburi policiclici aromatici. Una volta sgombrato il campo da questo fraintendimento, il problema residuo è quello dell’esatta comprensione dei valori di alcuni inquinanti, che secondo la Provincia non sarebbero del tutto chiari. Un simile rilievo è però insufficiente a determinare la bocciatura del progetto, mentre può giustificare la richiesta di studi integrativi.

22. Per quanto riguarda poi la concentrazione di metalli pesanti, occorre tenere presente l’argomento dei progettisti dell’impianto, che distinguono tra i metalli accumulati nelle ceneri della pollina (parte meno volatile) e quelli che potrebbero disperdersi in atmosfera. Anche su questo punto, come per la questione del cloro (che secondo la perizia della dott. Jaforte dipenderebbe dalla salinità della pollina, e dunque dai cloruri presenti in questa forma), la Provincia avrebbe avuto margini sufficienti per sollecitare ulteriori approfondimenti, rinviando la conclusione della procedura, ma non per adottare un provvedimento negativo. Circa la presenza di benzene in emissione, appare corretto esigere l’applicazione delle BAT, ma non imporre l’assenza di tale inquinante, condizione che da un lato potrebbe risultare impossibile, e dall’altro contrasta con la tolleranza che l’ordinamento manifesta verso il benzene contenuto nella benzina verde (v. allegato I al Dlgs. 21 marzo 2005 n. 66, come sostituito dall’allegato A al Dlgs. 31 marzo 2011 n. 55).

23. Relativamente allo studio di ricaduta degli inquinanti, l’impostazione seguita nella simulazione del 2 maggio 2012, che cerca di individuare i valori di emissione attesi sulla base della tecnologia di progetto, appare corretta. Il modello di dispersione atmosferica CALPUFF è ampiamente utilizzato in questo settore. La Provincia può chiedere che sull’ipotesi di base e sul processo di estrapolazione dei dati siano forniti ulteriori chiarimenti, in particolare per stabilire se il modello venga effettivamente calibrato sull’impianto di progetto. I risultati, una volta accertata questa condizione, saranno poi utilizzabili anche a ritroso per dimensionare meglio i sistemi di abbattimento delle emissioni.

24. A proposito dell’impatto olfattivo, che ricade tra i fattori inquinanti collegati alle emissioni in atmosfera (v. TAR Venezia Sez. III 5 maggio 2014 n. 573), la Provincia può chiedere stime più precise, tenendo conto delle linee-guida approvate dalla Regione con la DGR 15 febbraio 2012 n. 9/3018. In mancanza di una normativa nazionale sui valori-limite, possono essere utilizzate come riferimento per disciplinare il caso concreto le regole tecniche elaborate a livello internazionale e le applicazioni che ne sono state fatte dalle competenti autorità regionali (per la Lombardia v. DGR 16 aprile 2003 n. 7/12764 relativa al compost; per l’Emilia Romagna v. DGR 24 ottobre 2011 n. 1495 relativa al biogas).

25. Per quanto riguarda poi il problema dell’incidenza dell’impianto sulla qualità dell’aria, le osservazioni della Provincia non appaiono idonee a sostenere un provvedimento di diniego. Le direttive regionali (v. DGR 2 agosto 2007 n. 8/5290 e DGR 30 novembre 2011 n. 9/2605) non possono essere intese come vincoli insuperabili (potenzialmente in contrasto con la libertà di iniziativa economica), ma piuttosto come parametri da applicare tenendo conto delle particolarità di ogni singolo caso. Conseguentemente, l’ipotesi del divieto di insediamento di un’attività inquinante appare giustificata nelle zone critiche ad alta densità emissiva, salvo dimostrazione in concreto della compatibilità, mentre nelle altre zone, compresa quella di risanamento che qui interessa, una simile opzione ha carattere eccezionale, nel senso che è applicabile solo se si dimostra che l’inquinamento apportato dalla nuova attività non è incrementale ma direttamente fuori scala.

26. Quando, come nel caso in esame, l’inquinamento aggiuntivo non è invece tale da alterare il livello di rischio di un’intera zona, occorre procedere a una valutazione complessiva, tenendo conto dell’ampiezza dell’area che può essere effettivamente investita da quantità significative di inquinanti, dell’efficacia delle BAT nella limitazione delle emissioni, e, trattandosi di fonti rinnovabili, del vantaggio derivante all’ambiente dal mancato impiego di combustibili fossili.

Sull’impatto paesistico
27. Le considerazioni espresse dalla Provincia sull’inserimento paesistico dell’impianto non sono idonee a giustificare il diniego di autorizzazione. Occorre sottolineare che neppure nelle aree effettivamente sottoposte a vincolo paesistico si richiede che la nuova opera abbia impatto zero (v. TAR Brescia Sez. I 1 ottobre 2014 n. 1024; TAR Brescia Sez. I 11 gennaio 2010 n. 9). A maggior ragione è quindi sufficiente, al di fuori delle aree vincolate, che il giudizio paesistico si limiti a verificare se nel progetto vi sia un rapporto accettabile tra la nuova edificazione e la perdita delle caratteristiche ambientali preesistenti.
28. In questa prospettiva, la Provincia può chiedere che alcuni elementi costruttivi siano modificati per ridurne la visibilità, e che siano adottate misure di mitigazione ulteriori rispetto a quelle già inserite nel progetto, compresa una diversa soluzione cromatica. Non devono invece essere utilizzati argomenti estetici che facciano leva sulle caratteristiche non agricole dell’impianto, perché il legislatore ha già valutato positivamente la compatibilità di queste strutture con il contesto agricolo (v. art. 12 comma 7 del Dlgs. 387/2003).

Conclusioni
29. Il ricorso deve quindi essere accolto, con il conseguente annullamento dell’atto impugnato. L’effetto conformativo di questa pronuncia vincola la Provincia a indire nuovamente una conferenza di servizi per esaminare, previo coinvolgimento della ricorrente, le questioni tecniche ancora aperte, nei limiti sopra descritti. La nuova decisione sulla domanda di autorizzazione dell’impianto, comprensiva delle eventuali prescrizioni tecniche, dovrà intervenire nel termine di novanta giorni dal deposito della presente sentenza.

30. Non vi sono invece le condizioni per riconoscere un danno risarcibile mediante compensazione monetaria. Alcune questioni giuridiche e tecniche sono effettivamente complesse, e comunque la motivazione del provvedimento impugnato è molto articolata. Pur non essendo condivisibile il risultato a cui è pervenuta la Provincia, non può essere imputata a questa e alle altre amministrazioni coinvolte una condotta istruttoria negligente o disattenta. La stessa durata della procedura appare giustificabile in relazione agli approfondimenti necessari.
31. Su questi presupposti può essere concessa la compensazione integrale delle spese di giudizio, comprese quelle della fase cautelare.
32. Il contributo unificato è a carico della Provincia ai sensi dell’art. 13 comma 6-bis.1 del DPR 30 maggio 2002 n. 115.

P.Q.M

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando:

(a) accoglie il ricorso come precisato in motivazione;

(b) respinge la domanda di risarcimento;

(c) compensa integralmente le spese di giudizio, comprese quelle della fase cautelare;

(d) pone il contributo unificato a carico della Provincia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 8 gennaio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Mauro Pedron, Consigliere, Estensore

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/04/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)