“In corso di pubblicazione su Guida al Diritto” di Xavier Santiapichi.
1. Il nuovo reato di “combustione illecita di rifiuti”
Il Governo ha recentemente approvato il Decreto Legge cd. “Terra dei Fuochi” che mira, tra l’altro, a reprimere l’incivile comportamento di bruciare rifiuti.
La tutela penalistica italiana dal pericolo degli incendi era tradizionalmente ancorata, in basso, alle cautele del testo unico delle leggi di Pubblica Sicurezza relative all’accensione dei fuochi e, in alto, a livello di previsioni di delitti di comune pericolo, alle incriminazioni previste dagli art. 423, 423 bis, 424 e, quanto alle ipotesi aggravate, 425 c.p. Una protezione penalistica in esplicita funzione di salvaguardia dell’incolumità pubblica, limitata nel fine. La fattispecie era ed è applicabile solo nell’ipotesi di un incendio tale, per proporzioni e possibilità di sviluppo, da mettere in pericolo, appunto, la pubblica incolumità.
Magari a rigore, una interpretazione del concetto di “incolumità pubblica “ tale da risentire dei pericoli e delle lesioni ambientali avrebbe potuto condurre ad un allargamento della tutela. Ma il dato di fatto è quello della limitatezza dell’ambito di applicazione delle previsioni codicistiche. Al di la della messa in pericolo dell’incolumità pubblica bruciare i rifiuti violava specificamente le disposizioni sullo smaltimento dei rifiuti, con relativa applicazione del reato di “Attività di gestione dei rifiuti non autorizzata” (art. 256 del Codice dell’Ambiente) che prevede:
a) la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
b) la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
Oggi viene introdotto il reato ben più grave. La nuova fattispecie criminosa, introdotta con l’art. 256 bis enuclea lo specifico reato di “combustione illecita di rifiuti” e lo circoscrive, anzitutto, ai rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate. La condotta materiale è costituita dall’appiccamento del fuoco e non rilevano le dimensioni dell’incendio. La norma prevede una fattispecie aggravata, nel caso di rifiuti pericolosi.
Dall’originaria finalità della previsione codicistica di tutela dell’incolumità pubblica si è andati verso le esigenze di tutela dell’ambiente, in generale.
Si riconosce a livello normativo ciò che è già nel sentito comune; l’accensione anche di un piccolo incendio – ancorché incapace di ledere direttamente la salute pubblica – danneggia l’ambiente nella sua accezione più vasta, in conseguenza soprattutto delle emissioni di sostanze inquinanti in atmosfera e delle relative ricadute. Quindi anche fenomeni minori – ad esempio il fuoco in un cassonetto – sono sottoposti a sanzioni forti dall’ordinamento, che ha dovuto prendere atto delle conseguenze (non meno gravi rispetto alle sanzioni) di incendi anche modesti.
Non è inutile rammentare che la definizione di rifiuto (ex art. 183 del Codice dell’Ambiente) è rimessa ad una valutazione tendenzialmente soggettiva di chi dispone del rifiuto (“«rifiuto»: qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”).
L’effetto di quanto riportato (il richiamo ai rifiuti, in generale) fa si che la disposizione dovrebbe trovare applicazione anche rispetto al fuoco acceso per bruciare gli sfalci, le potature e gli avanzi dell’attività agricola in generale. Su questo va ricordato l’art. 185, co. I, lett. f del Codice dell’Ambiente, nella parte in cui esclude dal novero dei rifiuti la “..paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura e nella selvicoltura”. Tuttavia la disposizione prevede anche che i processi di smaltimento (il fuoco, ad esempio) non danneggino l’ambiente o mettano in pericolo la salute umana. Si tratta quindi di un esame da compiersi caso per caso, rimesso all’apprezzamento del Giudice e legato anche alla rilevanza dell’intervento, ad esempio alla quantità di vegetazione bruciata.
Lascia qualche perplessità la specificazione, contenuta nella nuova previsione di reato, che limita il delitto ai “rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate”. Per aree autorizzate deve intendersi qualsiasi zona destinata a deposito temporaneo, anche quindi piccoli centri di trasferenza, ovvero gli stessi cassonetti. L’effetto dell’applicazione di questa disposizione potrebbe essere quello di punire con la (lieve) contravvenzione ex 256 del Codice dell’Ambiente l’appiccamento del fuoco di siti di stoccaggio provvisorio (ad esempio i grandi cumuli di rifiuti a ridosso dei cassonetti che spesso abbiamo visto – purtroppo – nell’area campana) e colpire con il delitto ex 256bis del Codice chi brucia anche solo una busta di rifiuto nel proprio giardino.
Per quanto concerne la previsione di cui al n 4, la nuova legge non specifica l’aumento di pena che, in conseguenza, deve essere calcolato secondo la previsione dell’art 64 c.p. (aumento della pena fino ad un terzo): si tratta dell’aggravamento del delitto in dipendenza dalla eventuale dichiarazione di stato di emergenza nel settore dei rifiuti per alcuni territori.
La confisca del mezzo di trasporto prevista dal n 5 aggiunge un ulteriore elemento di deterrenza ma c’è qui una inversione dell’onere della prova quanto al terzo, eventuale proprietario del mezzo di trasporto. La buona fede non è presunta e, anzi, il terzo deve provare che l’uso del bene è avvenuto a sua insaputa e in assenza di un proprio comportamento negligente. La confisca dell’area è, invece, collegata alla proprietà da parte anche di un compartecipe nel reato.Il reato ha natura dolosa e, nei congrui casi, cede davanti ad un reato più grave.
Il reato ha natura dolosa e, nei congrui casi, cede davanti ad un reato più grave.
2. Il recupero delle aree colpite dal fenomeno
Prima ancora di introdurre il nuovo reato, il Decreto Legge si occupa di prevedere interventi specifici per arginare gli effetti negativi dell’inquinamento già prodottosi e per proseguire l’opera di mappatura già avviata.
Per la mappatura al CRA (il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura), all’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), all’Istituto superiore di sanità ed all’ARPA Campania (Agenzia regionale per la protezione ambientale) viene affidato il compito – in base ad una Direttiva dei competenti Ministeri in fase di predisposizione – di mappare i terreni della Regione Campania destinati all’agricoltura, al fine di accertare l’esistenza di effetti contaminanti a causa di sversamenti e smaltimenti abusivi, anche mediante combustione.
In realtà la medesima attività è stata da tempo avviata dal Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, attraverso il progetto “Monitoraggio delle aree potenzialmente inquinate (MIAPI)”. Si tratta di indagini e mappature svolte con la Magnetometria (per la ricerca di fusti sepolti), la spettrometria con raggi gamma e la ricerca termica (per i rifiuti radioattivi). Il MAPI è un progetto già finanziato con risorse anche comunitarie e che oggi viene ulteriormente finanziato con tre milioni di euro (previsti dal comma 6 dell’art. 1).
A seguito della mappatura delle aree, l’ISPRA e gli altri soggetti indicati dovranno individuare anche una proposta sui possibili interventi di bonifica, da realizzarsi prima in alcune aree (denominate “prioritarie”, quindi con maggiori fenomeni di inquinamento) e poi estesa a tutto il territorio colpito dai fenomeni.
A questo punto la disposizione avrebbe dovuto prevedere una cospicua dotazione finanziaria, per far fronte alle bonifiche. Si tratta della vera misura necessaria che il Governo deve assumere per recuperare questi territori.
Si prevede invece (articolo 2) l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, di un Comitato interministeriale, presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un Ministro da lui delegato, composto dal Ministro per la coesione territoriale, dal Ministro dell’interno, dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, dal Ministro della salute, dal Ministro per i beni e le attività culturali e dal Presidente della regione Campania. Questo Comitato, in sintesi, è chiamato a supervisionare l’attività di una neoistituita Commissione (con i rappresentanti dei ministeri) che dovrà adottare e coordinare un programma straordinario e urgente di interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei territori mappati.
Il problema è che questo programma straordinario non è – allo stato – finanziato. Bisognerà individuare le risorse dalla riprogrammazione delle linee di intervento del Piano di azione coesione della Regione Campania e da “eventuali” ulteriori disponibilità previste dai programmi dei fondi strutturali europei 2014-2020. Ancora una volta assistiamo a molti bei programmi ed all’inasprimento delle pene, senza però che contemporaneamente siano indicate disponibilità finanziarie immediatamente spendibili.