Imposta comunale sulla pubblicità e limiti della facoltà di aumento attribuita ai Comuni

Pubblicato il 4-08-2017
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A cura di Nicoletta Tradardi

Al vaglio della Corte Costituzionale l’art. 1 comma 739 l n.205 del 28.12.2015

Torna a far discutere la problematica dell’ambito di operatività delle norme che attribuiscono ai comuni la facoltà di aumentare le tariffe dell’imposta sulla pubblicità.

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Il Tar Basilicata, con Ordinanza Collegiale n. 404 del 06.06.2017, ha disposto la sospensione di un giudizio avente ad oggetto la determinazione delle tariffe dell’imposta sulla pubblicità, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale sulla questione di costituzionalità dell’art. 1 comma 739 l n.205 del 28.12.2015.

Si tratta di un argomento dibattuto in giurisprudenza.

Come noto, l’art. 11 co. 10 del d.lgs. n. 449/1997 attribuiva ai comuni la facoltà di aumentare fino ad un massimo del 50% della tariffa base l’imposta comunale sulla pubblicità, prevista dall’art. 12 del d.lgs. n. 507/1993. Questo potere era stato oggetto di ripetute sospensioni a far data dal 2008, nell’ambito delle disposizioni cd. “del blocco degli aumenti”, con le quali veniva inibito temporaneamente (fino alla definizione dei contenuti del nuovo patto di stabilità interno), il potere delle regioni e degli enti locali di deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote ovvero delle maggiorazioni di aliquote di tributi ad essi attribuiti con legge dello Stato (cfr. art. 1 co. 7 d.l. n. 93/2008, legge di conversione 126/2008; confermato dall’art. 1 co. 123 l. n. 220/2010, e dall’art. 1 co. 11 d.l. n. 138/2011, l. conversione n. 148/2011).

La disposizione recante il divieto di aumento (art. 1 co. 7 d.l. n. 93/2008) è stata abrogata nel 2011 (art. 13 co. 14 lett. a) d.l. n. 201/2011, legge di conversione n. 214/2011), con decorrenza dal 1 gennaio 2012.

Tuttavia, la rinnovata efficacia della norma che attribuiva ai comuni la facoltà di aumentare l’imposta sulla pubblicità è stata di breve durata; infatti, è sopraggiunta la sua abrogazione con il d.l. n. 83 del 22.06.2012, art. 23 comma 7, con efficacia dal 26.06.2012 (coincidente con l’entrata in vigore del decreto legge), fatti salvi i procedimenti avviati prima di quest’ultima data (co. 11).

La formula ha dato luogo ad un problema interpretativo, relativo all’esatta applicazione della normativa: si trattava di stabilire se ai comuni che avessero esercitato, nel vigore dell’art. 11 co. 10 d.lgs. n. 447/1997 (quindi, prima del 26.06.2012), la facoltà di aumentare l’imposta, fosse consentito, anche successivamente al venir meno della disposizione facoltizzante, continuare a confermare – espressamente o mediante tacito rinnovo – gli aumenti delle tariffe decisi in precedenza, ovvero se le relative delibere dovessero considerarsi illegittime per contrarietà alla normativa sopravvenuta o, comunque, disapplicabili.

Si trattava, dunque, di stabilire se si fosse dinanzi ad un caso di ultrattività della norma, tale da porre una clausola di salvaguardia degli aumenti deliberati prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 83/2012.

La giurisprudenza amministrativa non è stata univoca sul punto. Alcune pronunce non hanno condiviso questa interpretazione; esse hanno segnalato che, a fronte di un mutamento della disciplina, non è possibile configurare un atto meramente confermativo di un precedente (Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 6201 del 22.12.2014 e CGARS, parere n. 368 del 17.04.2015).

Di diverso avviso sono state altre sentenze, per le quali l’abrogazione dell’art. 11 co. 10 l n. 449 cit. “non legittima più l’ente locale all’adozione di aumenti, non potendosi tuttavia incidere su quelli già disposti, dovendosi, in altri termini, interpretare la ratio normativa come divieto di nuovi aumenti, vale a dire come volontà di cristallizzare le tariffe a quanto stabilito ed esistente all’atto dell’entrata in vigore della norma abrogatrice, la quale non contiene previsioni espresse regolanti la sorte delle già adottate determinazioni comunali” (Tar Venezia, sez. III, sent. n. 1001 del 07.10.2015).

Il legislatore è intervenuto per delineare l’esatta portata dell’art. 23 co. 7 d.l. n. 83 cit., stabilendo che esso “si interpreta nel senso che l’abrogazione non ha effetto per i comuni che si erano già avvalsi di tale facoltà [scil: di aumento delle tariffe] prima della data di entrata in vigore del predetto art. 23 comma 7” (art. 1 co. 723 l. n. 308/2015).

Anche questa norma non è stata sufficiente per dirimere la questione, ed, anzi, ha sollevato ulteriori problematiche. E’ stata revocata in dubbio la natura di interpretazione autentica della disposizione che, in realtà, avrebbe una portata novativa, con efficacia retroattiva in materia tributaria, laddove esclude dall’effetto abrogativo le ripetute conferme degli aumenti tariffari deliberati prima dell’entrata in vigore della norma abrogativa.

L’effetto della norma consisterebbe nel creare un “doppio binario”: da un lato, consentendo l’ultrattività degli aumenti operati prima del d.l. n. 83/2012, mediante la possibilità di conferma o rinnovo tacito degli stessi (poiché la disposizione non contempla un diniego in tal senso); dall’altro, escludendo questa facoltà per i comuni che non ne avessero fatto tempestivamente uso.

La tesi della ultrattività di tali aumenti è stata accolta in alcuni orientamenti giurisprudenziali. Si segnalano, in particolare, alcune sentenze del Tar Abruzzo, Pescara, sez. I, nn. 267, 268 e 269 del 2016, peraltro confermate in sede cautelare dal Consiglio di Stato, sez. V, con Ordinanze nn. 1776 e 1777 del 27.04.2017.

Ad avviso delle richiamate pronunce, “l’abrogazione della norma che prevedeva la possibilità di aumentare le tariffe, se ha privato (per il futuro) gli enti locali di tale potere, non ha invece inciso sulle tariffe già deliberate, non essendo stato disposto alcunché di esplicito riguardo ad esse. Operando l’abrogazione “dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge”, il comma 739 non autorizza la conclusione che il legislatore abbia inteso effettuare un generalizzato ripristino della tariffa base estendendo l’effetto abrogativo anche alle tariffe legittimamente maggiorate. …. La persistente facoltà di prorogare tacitamente le tariffe previgenti, in assenza di una norma che imponesse il ripristino della tariffa base ed alla luce del fatto che il potere di disporre aumenti è stato abrogato “dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge”, conferma che ciò che è venuto meno è il potere di deliberare nuovi aumenti, mentre l’effetto abrogativo non opera riguardo a quelli deliberati in precedenza”.

Di tutte le prospettate questioni si è fatta carico la Commissione Tributaria Provinciale di Pescara, che, con l’articolata Ordinanza n. 66 del 01.02.2017 (pubblicata in GU n. 20 del 17.05.2017) ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale del comma 739 dell’art. 1 l. n. 208 del 28.12.2015, “nella parte in cui non estende a tutti i Comuni l’efficacia dell’abrogazione della facoltà di aumento delle tariffe base disciplinata dall’art. 10, comma 11, legge n. 449/97, modificato dall’art. 30, comma 1, legge n. 388 del 1999”.

Nell’Ordinanza di remissione il Giudice tributario ha denunciato la violazione di molteplici principi costituzionali (fra i quali si segnalano quelli di uguaglianza per irragionevole disparità di trattamento sia tra i comuni, sia tra i contribuenti; di progressività delle imposte; di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione).

Per le ragioni esposte, il Tar Basilicata ha deciso di sospendere un giudizio su questioni analoghe, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale.

N. 00404/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00883/2015 REG.RIC.

MINISTERO

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 883 del 2015, proposto da:

Studiocinque Outdoor Srl – Soc. Unipersonale, in persona del legale rappresentante sig. Giuseppe Strippoli, rappresentato e difeso dall’avv. Carmelina di Gifico, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Carmine Bencivenga in Potenza, corso Garibaldi, 32;

CONTRO

Comune di Matera, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Franchino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Francesco Matteo Pugliese in Potenza, piazza Mario Pagano, 118;

PER L’ACCERTAMENTO DELLA NULLITÀ OVVERO L’ANNULLAMENTO

“dell’atto implicito di conferma, anche per l’anno 2015, delle tariffe relative all’imposta di pubblicità, sottintesamente convalidate, a decorrere dalla Deliberazione di Giunta Comunale di Matera n. DelG 00191/2014 del Registro Deliberazioni, avente per oggetto l’ ‘Approvazione delle tariffe per imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni anno 2014’ “ l’deliberazione di g.c. n. 191 del 12/6/2014, di determinazione di tariffe imposta di pubblicita’;

nonché “della Deliberazione di Giunta Comunale di Matera n. DelG 00191/2014 del Registro Deliberazioni, nella sua trasposizione applicativa del 2015, recante la determinazione, da parte del Comune di Matera, delle tariffe relative all’imposta comunale sulla pubblicità, in quanto divenuta oggi lesiva”;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Matera;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 maggio 2017 il dott. Giuseppe Caruso e uditi per le parti l’avv. Carmelina di Gifico e l’avv. Francesco Matteo Pugliese su delega dell’avv. Giuseppe Franchino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Con atto notificato il 7/9 ottobre 2015 e depositato il 28 ottobre 2015, la Studiocinque Outdoor Srl – impresa operante nel settore degli impianti pubblicitari – chiede che questo Tribunale accerti la nullità o comunque annulli:

1) “l’atto implicito di conferma, anche per l’anno 2015, delle tariffe relative all’imposta di pubblicità, sottintesamente convalidate”, a decorrere dalla deliberazione di Giunta Comunale di Matera n. DelG 00191/2014 del 12 giugno 2014, avente per oggetto: “Approvazione delle tariffe per imposta comunale sulla pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni anno 2014“;

2) la Deliberazione di Giunta Comunale di Matera n. DelG 00191/2014 del 12 giugno 2014, “nella sua trasposizione applicativa del 2015, recante la determinazione, da parte del Comune di Matera, delle tariffe relative all’imposta comunale sulla pubblicità, in quanto divenuta oggi lesiva”.

La società ricorrente sostiene che il Comune di Matera avrebbe illegittimamente determinato (rectius: mantenuto, ai sensi dell’art. 3, comma 5, del D.Lg.vo n. 507/1993) per l’anno 2015 l’aumento del 50% della tariffa base dell’imposta comunale sulla pubblicità prevista dall’art. 12 del D.Lg.vo n. 507/1993 (€ 15,49/mq), in applicazione delle disposizioni dell’art. 11, comma 10, della legge n. 449/1997, malgrado che queste ultime siano state abrogate dall’art. 23, comma 7, del D.L. n. 83/2012, conv. dalla legge n. 134/2012.

L’implicita “conferma” per il 2015 delle tariffe fissate per il 2014 dalla deliberazione della Giunta Comunale n. 191/2014 sarebbe stata decisa, a seguito dell’intervenuta abrogazione della disposizione che legittimava i Comuni all’aumento della tariffa base (art. 10, comma 11, della legge n. 449/1997), in carenza assoluta di potere, con conseguente nullità ex art. 21 septies della legge n. 241/1990. A sostegno delle sue tesi la ricorrente richiama la decisione del Consiglio di Stato, V, n. 6201 del 22 dicembre 2014 ed il parere reso dall’adunanza generale del C.G.A. in data 13 gennaio 2015.

Si è costituito in giudizio il Comune di Matera ed ha sostenuto l’infondatezza del gravame, facendo anche presente che le tariffe dell’imposta comunale sulla pubblicità nell’anno 2015 sono state oggetto di esplicite determinazioni, assunte con deliberazione della Giunta Comunale n. 285 del 30 luglio 2015.

Con successive memorie le parti hanno ribadito ed ampliato le rispettive argomentazioni, segnalando l’intervenuta approvazione della disposizione di cui all’art. 1, comma 739, della legge n. 208/2015, secondo cui “L’articolo 23, comma 7, del decreto – legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, nella parte in cui abroga l’articolo 11, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, relativo alla facoltà dei comuni di aumentare le tariffe dell’imposta comunale sulla pubblicità, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1 della legge 27 luglio 2000, n. 212, si interpreta nel senso che l’abrogazione non ha effetto per i comuni che si erano già avvalsi di tale facoltà prima della data di entrata in vigore del predetto articolo 23, comma 7, del decreto – legge n. 83 del 2012”.

La società ricorrente ha sostenuto l’illegittimità costituzionale di tale disposizione sopravvenuta, per violazione degli articoli 3, 23, 53, 97, 114, 117, 118, 119 e 102 della Costituzione, richiamandosi all’ordinanza di rimessione alla Consulta della questione stessa adottata dalla C.T.P. di Pescara (n. 30 dell’1 febbraio 2017).

La causa è stata assunta in decisione nella pubblica udienza del 10 maggio 2017.

Il collegio osserva che la C.T.P. di Pescara, con ordinanza n. 6891 dell’8 aprile 2016, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 739, della legge n. 208/2015, nella parte in cui non estende a tutti i Comuni l’efficacia dell’abrogazione della facoltà di aumento delle tariffe base disciplinata dall’art. 10, comma 11 della legge n. 449/1997, modificato dall’art. 30, comma 1, della legge n. 366/1999.

La presente controversia rientra nell’ambito applicativo della predetta disposizione, sicché è opportuno sospendere il giudizio, nell’attesa dell’esito dello scrutinio di costituzionalità, ai fini di una decisione assunta sulla base di normativa conforme a Costituzione.

Al riguardo l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato (v. ordinanza n. 28 del 15 ottobre 2014) ha condivisibilmente chiarito che nel processo amministrativo, secondo un consolidato indirizzo (cfr., fra le tante, ordinanza Sez. V, 27 settembre 2011, n. 5387; Sez. IV, 11 luglio 2002, n. 3926), trova ingresso la c.d. sospensione impropria del giudizio principale per la pendenza della questione di legittimità costituzionale di una norma, applicabile in tale procedimento, ma sollevata in una diversa causa.

Ha altresì precisato che il termine per la prosecuzione del giudizio sospeso è quello innovativamente sancito dall’art. 80, comma 1, cod. proc. amm. per tutte le ipotesi di sospensione del processo amministrativo e che esso decorre dalla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del provvedimento della Corte costituzionale di definizione del giudizio, nella fattispecie in esame relativo al citato art. 1, comma 739, della legge n. 208/2015.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata sospende il giudizio sul ricorso in epigrafe, ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione.

Così deciso in Potenza nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Caruso, Presidente, Estensore

Pasquale Mastrantuono, Consigliere

Benedetto Nappi, Referendario

IL PRESIDENTE, ESTENSORE Giuseppe Caruso