Pubblicato su Guida al Diritto del 14/05/2011.
Il divieto di partecipare alle gare previsto dal comma 9 dell’articolo 23-bis del Dl n. 112 del 2008 non opera per le società miste il cui socio operativo sia stato selezionato mediante procedure competitive a evidenza pubblica. Lo afferma il Consiglio di Stato, con la recente sentenza n. 2222 dell’ 11 aprile 2011.
La vicenda
La vicenda, dai tratti molto particolari, inizia con il ricorso promosso da una società mista contro l’aggiudicazione della gestione del servizio di raccolta differenziata dei rifiuti nel Comune di Reggio Calabria di un’altra società mista, che già gestiva, sempre per il Comune di Reggio Calabria, il servizio di raccolta indifferenziata dei rifiuti.
Il ricorso venne presentato al Tar di Reggio Calabria, deducendo numerosi motivi di illegittimità. La censura principale aveva a oggetto l’applicazione del divieto, previsto dal comma 9 dell’articolo 23-bis del Dl 25 giugno 2008 n. 112, di partecipare alle gare per l’affidamento della gestione di servizi pubblici ulteriori a quelli che la società già gestiva, oltre che alle società che fossero del primo servizio affidatarie dirette o gestori in virtù di una procedura non a evidenza pubblica, anche alle società miste il cui socio fosse stato selezionato a seguito di procedura a evidenza pubblica.
Invero il comma 9 dispone che le società che gestiscono «servizi pubblici locali in virtù di affidamento diretto, di una procedura non a evidenza pubblica ovvero ai sensi del comma 2 lettera b)» non possono acquisire la gestione di servizi ulteriori nemmeno partecipando alle relative gare. Il comma 2, lettera b) dispone che il conferimento della gestione di servizi pubblici locali avviene in via ordinaria a società a partecipazione mista pubblica e privata a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure a evidenza pubblica che abbiano a oggetto sia la qualità di socio, sia l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio.
L’interpretazione della ricorrente era nel senso che l’«ovvero» contenuto nel primo periodo del comma 9 avesse valore disgiuntivo rispetto a «procedure non a evidenza pubblica» e che, pertanto, una società mista già affidataria di un servizio pubblico, seppure il socio operativo fosse stato selezionato con procedure a evidenza pubblica, non avrebbe comunque potuto partecipare alle gare per l’affidamento di servizi ulteriori.
Il Tar Calabria nella sentenza n. 561 del 2010, non accogliendo questa tesi interpretativa, ha individuato nella norma uno spazio, seppur angusto, per sostenerne un’altra, cioè che l’«ovvero» avrebbe valore esplicativo di cosa sia una procedura a evidenza pubblica e che quindi la norma avrebbe dovuto essere intesa nel senso che il divieto opera solo per i soggetti che siano già affidatari diretti di un servizio pubblico, oppure ne siano gestori in virtù di una procedura o non a evidenza pubblica o non ai sensi del comma 2 lettera b).
Secondo questa interpretazione vi sarebbe una sostanziale assimilazione tra le normali procedure a evidenza pubblica e quelle per la scelta del socio privato operativo di una società mista alla quale venga contestualmente affidato anche il servizio.
La decisione del Consiglio di Stato
La puntuale argomentazione del Tar viene oggi confermata alla lettera dalla quinta sezione del Consiglio di Stato nella decisione n. 2222 del 2011 in esame. I giudici amministrativi muovono dal presupposto che l’affidamento a società mista con le modalità previste dal comma 2 lettera b) è, ai fini della tutela della concorrenza e del mercato, del tutto equivalente a quello attuato mediante pubblica gara, per cui sarebbe risultata irragionevole e immotivata, anche alla luce dei principi dettati dall’Ue in materia, l’applicazione nei confronti di società della specie del divieto di partecipazione alle gare bandite per l’affidamento di servizi diversi da quello in atto.
Sul punto chiara è la posizione assunta dalla Commissione nella comunicazione interpretativa sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico privati istituzionalizzati (Pppi).
Essa afferma infatti che «in sede di aggiudicazione alle entità a capitale misto di appalti pubblici o concessioni diversi da quelli mesi in concorrenza nell’ambito della procedura che ha portato alla costituzione del Pppi, occorre rispettare le regole applicabili agli appalti pubblici e alle concessioni derivanti dal trattato Ce o dalle direttive in materia di appalti pubblici. In altri termini, i Pppi devono continuare a operare nel loro ambito di attività iniziale e non possono, in linea di principio, ottenere nuovi appalti o concessioni senza una procedura di gara che rispetti il diritto comunitario in materia di appalti pubblici e concessioni». I principi di diritto – La Commissione ammette quindi implicitamente, ma chiaramente, che le società miste debbano poter partecipare a ulteriori procedure di gara, mentre una limitazione sarebbe ingiustificata alla luce dei principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità derivanti dagli articoli 43 e 49 del trattato Ce che riguardano rispettivamente la libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi.
Conforme e orientata a dare attuazione a questi principi è pertanto la sentenza del Tar Calabria, che ha infatti ottenuto l’avallo del Consiglio di Stato, anche se l’interpretazione della lettera norma risulta alquanto forzata e forse il giudice amministrativo avrebbe potuto limitarsi a disapplicarla per la parte in cui si poneva in contrasto con i summenzionati principi comunitari, fermo restando che, nella sostanza, il risultato non
sarebbe comunque stato diverso.
Equiparazione tra gara pubblica e partenariato pubblico privato
In conclusione il divieto di cui al comma 9 dell’articolo 23-bis del Dl 25 giugno 2008 n. 112 di assumere la gestione di ulteriori servizi pubblici locali, oltre a quello già gestito, opera soltanto nei confronti dei soggetti che abbiano ottenuto la gestione del primo servizio in forma diversa da una procedura a evidenza pubblica o da quella, che deve pure essere considerata a evidenza pubblica seppur soggetta a una particolare disciplina, prevista dalla lettera b) del comma 2 dello stesso articolo 23-bis.
Il risultato è la sostanziale equiparazione tra gara pubblica e partenariato pubblico privato istituzionalizzato che, infatti, vengono considerate dall’articolo 23-bis, comma 2, le due ordinarie modalità di affidamento dei servizi pubblici locali; a esse si continua invece a contrapporre, mantenendo il suo carattere eccezionale, la possibilità di affidamento in house ammessa dall’articolo 23-bis, comma 3.
Merita a questo punto rammentare che, sempre ai sensi dell’articolo 23-bis, comma 2, lettera b), condizioni di legittimità dell’affidamento a una società mista e, conseguentemente, condizioni di operatività dell’esclusione dal divieto di cui al comma 9, sono congiuntamente: che la procedura a evidenza pubblica abbia rispettato i principi del trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici (in particolare i principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, mutuo riconoscimento e proporzionalità); che la gara abbia avuto a oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio; che sia attribuita a quest’ultimo una partecipazione alla società non inferiore al 40 per cento.
Non solo; la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sezione V, sentenza n. 1555 del 16 marzo 2009) ha ulteriormente precisato che la selezione dell’offerta migliore deve essere rapportata non alla solidità finanziaria dell’offerente, ma alla capacità di svolgere le prestazioni specifiche oggetto del contratto; che il rapporto instaurato deve avere durata predeterminata; che l’attività della costituenda società mista deve essere resa, almeno in via prevalente, in favore dell’autorità pubblica che ha proceduto alla costituzione della medesima.
Anche la Corte di giustizia (sezione III, 15 ottobre 2009, C-196/08) non si è dispensata dal richiedere ulteriori criteri di legittimità quali la necessità che al socio privato sia effettivamente affidata l’attività operativa del servizio; che non si verifichino durante il periodo di durata del rapporto modifiche sostanziali del contratto, poiché altrimenti sarebbe necessaria una nuova gara; che l’oggetto sociale sia esclusivo e rimanga
inalterato per l’intera durata del rapporto. Su quest’ultimo punto sembra però di diverso avviso il Consiglio di Stato (sezione V, sentenza 11 gennaio 2011 n. 77, commentata da H. Bonura su «Guida al Diritto», n. 5/2011, pag. 109) il quale ha statuito che «le società miste che svolgono servizi pubblici locali non devono necessariamente avere un oggetto sociale esclusivo e limitato soltanto allo svolgimento di detti servizi».