Pubblichiamo l’articolo della Collega Avv. Leonilde Famularo sul tema “La responsabilità del medico nella diagnosi prenatale delle malattie genetiche” pubblicato su Giustizia Civile nota rivista mensile di Giurisprudenza.
CORTE DI CASSAZIONE – Sez. III – 2 ottobre 2012 n. 16754 – Pres. Amatucci – Est. Travaglino – P.M. Fresa (concl. conf.) – O.G. (avv. Massano, Cornelio) c. INA Assitalia s.p.a. (avv. Vincenti) e a. (Cassa App. Venezia 2 novembre 2010 n. 2163).
[6628/564] Responsabilità civile – Professionisti – Medici e paramedici – Attività medico-chirurgica – Danni civili – Nascita indesiderata di minore malformato – Omessa informazione da parte del medico circa più efficaci accertamenti diagnostici prenatali – Responsabilità – Soggetti danneggiati. (Cost., art. 2, 3, 20, 30, 32; c.c., art. 2043).
Il risarcimento del c.d. « danno da nascita indesiderata », scaturente dall’errore del medico che, non rilevando malformazioni congenite del concepito, impedisca alla madre l’esercizio del diritto di interruzione della gravidanza, spetta non solo ai genitori del bimbo nato malformato, ma anche ai suoi fratelli. Nel caso in cui il medico ometta di segnalare alla gestante l’esistenza di più efficaci test diagnostici prenatali rispetto a quello in concreto prescelto, impedendole così di accertare l’esistenza d’una malformazione congenita del concepito, quest’ultimo, ancorché privo di soggettività giuridica fino al momento della nascita, una volta venuto ad esistenza ha diritto, fondato sugli art. 2, 3, 29, 30 e 32 cost., ad essere risarcito da parte del sanitario del danno consistente nell’essere nato non sano, rappresentato dell’interesse ad alleviare la propria condizione di vita impediva di una libera estrinsecazione della personalità.
Per la prima volta in Italia la Suprema Corte afferma la risarcibilità dei danni in favore del figlio nato con una patologia genetica, nei confronti del medico che non l’ha diagnosticata.
Il danno non dipende da un diritto a nascere solo se sano, ma dalla vita handicappata da alleviare.
La fattispecie e le sue peculiarità
La Corte di cassazione con la sentenza in commento riconosce per la prima volta la legittimazione del neonato, tramite il suo legale rappresentante, ad agire in giudizio nei confronti del medico per il risarcimento del danno consistente nell’essere nato con una malformazione.
La causa veniva introdotta nel 1999 dai genitori che, in proprio e per le due figlie minori, convenivano in giudizio il ginecologo e l’azienda sanitaria, spiegando che la madre si era rivolta al medico per effettuare gli accertamenti occorrenti, intendendo escludere la presenza di malformazioni per la prosecuzione della gravidanza.
Tuttavia il ginecologo aveva fatto eseguire solo il c.d. «Tritest», omettendo di svolgere gli esami più specifici idonei a riscontrare la presenza di alterazioni cromosomiche, che si rivelavano alla nascita.
Il Tribunale in via pregiudiziale dichiarava il difetto di legittimazione attiva della figlia e, nel merito, respingeva la domanda dei genitori e, quindi, anche quella della sorella.
I soccombenti impugnavano la decisione, ma i giudici di secondo grado rigettavano il gravame.
Preliminarmente confermavano il difetto di legittimazione passiva delle figlia nata con la sindrome di Dawn, richiamando le affermazioni delle precedenti pronunce di legittimità, specie quelle di Cass. 29 luglio 2004 n. 14488 (1) in cui si sottolinea l’inconfigurabilità di un diritto del concepito a non nascere se non sano.
Nel merito la Corte d’appello ribadiva l’infondatezza delle pretese dei genitori, nonché quelle della sorella, ritenendo insussistente l’inadempimento contrattuale medico, in quanto il c.d. « Tri- test » poteva considerarsi sufficiente per la giovane età della madre e per l’assenza di malformazioni genetiche familiari note.
Secondo i giudici di merito un test più invasivo come l’amniocentesi poteva giustificarsi previa informazione sui rischi, solo per un’esplicita richiesta, che nella fattispecie non era avvenuta e, comunque, non era provata.
I giudici precisavano anche che l’accertamento di una malformazione « non è di per sé sufficiente a legittimare un’interruzione di gravidanza », possibile solo in presenza dei presupposti dell’art. 6 l. 22 maggio 1978 n. 194, non accennati e tanto meno provati dagli interessati.
La sentenza veniva impugnata davanti alla Corte di cassazione che, con la decisione che si annota, ribalta sorprendentemente i risultati dei due precedenti gradi di giudizio accogliendo il ricorso.
Nella lunghissima motivazione vengono riepilogate le affermazioni delle principali pronunce emesse in materia non smentendole, ma superandole per giungere a diverse conclusioni, che rischiano di essere più gravose per i medici e per le loro assicurazioni professionali.
La prima peculiarità della pronuncia è quella di affermare l’inadempimento del ginecologo per l’errata diagnosi prenatale dovuta alla mancanza di esami diagnostici ulteriori rispetto a quelli di rito, anche in assenza di presupposti oggettivi e di una espressa richiesta.
La sentenza sembra imporre al medico una sorta di responsabilità oggettiva, che rischia di trasformare in obbligazione di risultato un’obbligazione tipicamente di mezzi come quella professionale (2).
Riconosciuto l’inadempimento contrattuale, la pronuncia stabilisce la risarcibilità dei danni alla madre come parte del contratto e al padrecome terzo protetto, conformemente alle precedenti pronunce (3).
Tuttavia, diversamente da queste, estende la risarcibilità anche alla sorella per i danni non patrimoniali e indicati nella « diminuita possibilità di godere di un rapporto parentale con i genitori caratterizzato da serenità ».
Questo aspetto rappresenta l’ulteriore peculiarità della sentenza, che estende l’ambito sogget- tivo della risarcibilità dei danni, anche ad altre persone, oltre ai genitori, necessariamente coinvolti nella prestazione
Infine ed è questa forse la novità più rilevante, la Corte riconosce il risarcimento pure alla figlia nata con la malformazione, anche se non è stata causata dall’errore del medico, la cui condotta, semmai, ha paradossalmente consentito la nascita malgrado l’handicap.
La sentenza ha il pregio di riuscire ad assicurare per la prima volta in Italia un ristoro concreto al soggetto più debole della vicenda, rendendolo destinatario di un’attribuzione patrimoniale che può alleviarne la posizione.
Tuttavia la mancanza di un nesso di causalità tra la condotta del medico e il danno, avvicina la somma riconosciuta al minore più che a un risarcimento a una sanzione con funzione indennitaria gravante sul ginecologo.
Inoltre l’ampliamento del numero dei soggetti risarcibili, rischia di creare una duplicazione, anzi, un moltiplicazione dei danni risarcibili, con possibili squilibri contrari ai principi di equità.
Il c.d. – danno da nascita indesiderata – nozioni e distinzioni
La fattispecie in esame viene comunemente fatta rientrare nel c.d. « danno da nascita indesiderata ».
Con questa nozione si intende il pregiudizio causato dalla mancata diagnosi prenatale di malformazioni talmente gravi, da rientrare tra i presupposti di una possibile interruzione volontaria della gravidanza (4) oltre i novanta giorni ai sensi dell’art. 6 l. n. 194, cit.
La fattispecie deve essere distinta dal c.d. « danno da genitorialità non voluta » che, invece, indica una nascita in contrasto con il proprio piano familiare e allude alla mancata riuscita di un aborto (5), oppure al fallimento di un intervento di sterilizzazione o di vasectomia (6).
Le ipotesi sono accomunate alla fattispecie in esame solo dalla circostanza che, in entrambi i casi, si discute della responsabilità professionale del medico incaricato, chiamato a risarcire i danni per inadempimento contrattuale. La figura in questione deve, inoltre, tenersi distinta anche dal c.d. « danno da lesione prenatale » (7), in cui durante la gravidanza o il parto, si determina una malattia o una malformazione del bambino di cui può essere responsabile il medico (8), la struttura sanitaria (9) oppure entrambi (10).
In questo caso, diversamente da quello in esame riguardante malformazioni genetiche, il concepimento è, almeno in potenza, destinato a svilupparsi in una nascita sana, che viene deviata da un evento esterno, non necessariamente legato all’attività del medico
In un famoso caso giurisprudenziale il danno durante la vita prenatale risulta causato proprio dal padre, responsabile di aver trasmesso la lue al concepimento e condannato a risarcire il figlio del c.d. « danno da procreazione » (11)
Il rapporto con il ginecologo come contratto ad effetti protettivi verso terzi
La sentenza, come altre pronunce (12), qualifica il rapporto tra medico e gestante come un contratto (13), specificando che si tratta in particolare di un « contratto ad effetti protettivi verso di terzi » (14), che deve garantire, oltre agli interessi della parte, anche quelli di determinati terzi.
La figura, elaborata in Germania, è stata recepita nel nostro Paese, dove la relatività del contratto ex art. 1372 c.c. può essere superata solo per gli effetti favorevoli che l’interessato può scegliere se accettare in ottemperanza dell’art. 1411 c.c.
La norma è quella sul contratto a favore del terzo che, di regola, acquista verso il promittente un vero e proprio diritto alla prestazione derivante dalla stipulazione delle parti.
Nel contratto con effetti protettivi, invece, il terzo non acquista mai una pretesa diretta nei confronti del promittente, ma ha la facoltà di agire nei suoi confronti in caso di inadempimento. In questo modo potrà chiedere il risarcimento per i danni derivanti dall’inosservanza di un contratto di cui non è parte, senza ricorrere alla responsabilità aquiliana, che ha tempi più lunghi di prescrizione, ma anche oneri probatori più gravosi per il creditore.
L’argomento rientra in quello più ampio dei c.d. « obblighi di protezione » (15) del contratto, che sono necessari non tanto per i principi di correttezza e buona fede ex art. 1175 c.c., ma per la diligenza nell’adempimento richiesta dall’art. 1176 c.c.
Dalla norma si ricava l’obbligo di proteggere nell’esecuzione della prestazione determinati terzi che, per ragioni lavorative o familiari, sono particolarmente vicini alla parte e, quindi, più esposti della generalità al pericolo dei danni di una cattiva esecuzione.
A questo punto si tratta di capire nella fattispecie in esame quali siano i terzi verso cui il ginecologo non ha un semplice dovere generico di non arrecare danni, ma una specifica obbligazione di protezione, dopo aver delineato il contenuto della sua prestazione principale.
L’esecuzione della prestazione del ginecologo e la sua responsabilità in caso di anomalie genetiche
L’onere probatorio. — La prestazione professionale del ginecologo, come quella di tutti i medici, comprende senz’altro anche l’obbligo di informazione, adeguato alle capacità di comprensione, ai fini del c.d. « consenso informato » ossia consapevole, come evidenziato anche dagli art. 33 ss. del codice di deontologia medica.
Anche la l. n. 194, cit. tutela la consapevolezza della maternità, concretamente garantita solo attraverso una corretta diagnosi, idonea ad evidenziare l’eventuale presenza di « un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna » ex art. 6 l. n. 194, cit. (16).
Uno stato di inconsapevolezza risulta preclusivo non solo di una reale scelta, ma anche della possibilità di prepararsi all’evento.
In questo senso una corretta diagnosi, preceduta da un’adeguata informazione, dovrebbe escludere la responsabilità del medico in caso di anomalie genetiche (17) e ogni sorta di pretesa risarcitoria
Quindi occorre delineare i confini di tali obblighi di informazione gravanti sul ginecologo.
Nel caso trattato da Cass. 29 luglio 2004 n. 14488, cit. il medico era stato espressamente avvisato dalla madre che il padre della nascitura era talassemico. Tuttavia il professionista si era limitato a svolgere i soli test rituali, omettendo gli esami specifici necessari e pertanto era risultato inadempiente.
Nella fattispecie in esame, invece, non vi era alcuna ragione conosciuta dal medico per svolgere, oltre agli accertamenti di rito, altri esami più specifici e notoriamente anche più invasivi. La madre era giovane, non erano note malattie familiari, né risultava manifestamente espressa la volontà di eseguire esami più specifici e invasivi per l’intenzione di interrompere volontariamente la gravidanza ai sensi della l. n. 194, cit. in caso di anomalie.
Tuttavia i giudici di legittimità ritenevano ugualmente inadempiente il ginecologo, affermando l’insufficienza del « livello di consenso informato che il referto relativo al « Tritest » determina » perché una paziente incolta di medicina non può « riuscire a comprendere la relativa finalità ».
La Cassazione ritiene provata la richiesta da parte della gestante di approfonditi esami diagnostici, solo per la mancanza di una specifica contestazione sul punto, ritenendo così che l’incarico non avesse ad oggetto un accertamento solo routinario, ma anche funzionale e specifico.
In pratica sul piano probatorio la Corte delinea una presunzione semplice che consente di ritenere richiesti dalla madre degli esami approfonditi, specificando che, in caso di diagnosi infausta, l’intento interruttivo di una gravidanza « ha indubbio carattere di presunzione semplice ».
Le affermazioni riportate finiscono per delineare quasi una forma di responsabilità oggettiva del medico, gravato dell’onere di provare l’assenza di intenti interruttivi della gravidanza e di aver informato la stessa sulle funzioni dei diversi test diagnostici in modo comprensibile.
Evidentemente si tratta di prove molto difficili, quasi diaboliche, perché impossibili da vincere senza la specifica precostituzione di un documento.
Dunque l’unico modo per il medico di tutelarsi è quello di far sottoscrivere alla paziente al memento del conferimento dell’incarico un’espressa dichiarazione sull’intenzione di accedere alla facoltà di cui alla l. n. 194, cit. in caso di anomalie e un’informativa completa e anche comprensibile sullo spettro diagnostico prenatale dei diversi test.
L’individuazione dei terzi protetti
a) la posizione del padre e quella dei fratelli e delle sorelle. — Con riferimento alla posizione del padre la sentenza ha confermato l’orientamento delle precedenti pronunce (18), che riconoscevano gli effetti protettivi del contratto nei confronti del futuro padre. Non tanto per i suoi rapporti con la gestante, quanto per quelli con il concepito, con cui è destinato ad instaurare un legame fondamentale esistenziale oltre che giuridico, con conseguenze di natura personale e patrimoniale (art. 29 e 30 cost., 143, 147, 261 e 279 c.c.).
Con riferimento alla posizione dei fratelli e delle sorelle, invece, la sentenza sancisce la le legittimazione giuridica di tali soggetti ai fini della richiesta risarcitoria per l’inadempimento del ginecologo.
La pronuncia afferma che per i fratelli e le sorelle deve « presumersi l’attitudine a subire un serio danno non patrimoniale », consistente nella minor disponibilità di tempo dei genitori e nella ridotta possibilità di godere di un sereno rapporto parentale. Inoltre i giudici alludono al futuro pregiudizio legato alle inevitabili esigenze assistenziali destinate ad insorgere alla premorienza dei genitori.
In questo modo la Cassazione estende la risarcibilità dei danni per l’inadempimento del ginecologo anche a dei soggetti che non rientrano nel rapporto di filiazione, che riguarda solo la madre, il padre e il figlio nato affetto da anomalie genetiche.
I fratelli, a rigore, non dovrebbero ritenersi terzi protetti del particolare contratto in esame, per sua natura legato alla genitorialità e incidente direttamente solo su questa. I fratelli hanno evidentemente una posizione diversa da tenere ben distinta da quella dei genitori. La loro esistenza non è indispensabile, ma sempre meramente eventuale, oltre che numericamente variabile e, tra l’altro, non necessariamente nota, o prevedibile.
Quindi la risarcibilità dei danni anche in favore dei fratelli non solo esula rispetto alla natura del contratto in questione, ma è estranea anche rispetto alle regole della causalità diretta e della prevedibilità dei danni di cui all’art. 1225 c.c.
Si noti che il criterio della prevedibilità del danno si fonda proprio sul principio per cui l’obbligazione è funzionale al soddisfacimento di un altrui interesse, cosicché, salvo i casi di dolo, la misura e gli eventi risarcibili devono essere contenuti dalla lesione degli interessi connessi alla prestazione (19).
La posizione del figlio
La situazione più difficile riguarda proprio il figlio che, per la natura stessa del rapporto, deve ritenersi un terzo protetto dal contratto.
Tuttavia la titolarità di ogni suo diritto risulta subordinata all’evento della nascita, che condiziona l’acquisto della capacità giuridica ai sensi dell’art. 1 c.c.
Il nostro codice civile si occupa del nascituro come destinatario di attribuzioni economiche a titolo di successione ereditaria (art. 462 c.c.) o di donazione (art. 784 c.c.), con norme tendenzial- mente finalizzate a garantire la continuità dei patrimoni familiari.
La prima legge che nel nostro ordinamento considera il concepito come una persona in potenza (20) è, paradossalmente, proprio la l. n. 194, cit. sull’interruzione volontaria della gravi- danza che con l’art. 1 sancisce il «diritto a una procreazione cosciente», e riconosce la «tutela della vita umana fin dall’inizio».
La giurisprudenza (21), in considerazione della crescente attenzione per i diritti fondamentali, per garantirne l’acquisto integerrimo, da tempo afferma la rilevanza giuridica ai fini risarcitori dei danni subiti durante la vita intrauterina e destinati a manifestarsi con la nascita.
Quindi risulta superata la difficoltà di concepire un danno subito prima dell’acquisto della capacità giuridica e riscontrato successivamente rispetto alla condotta che lo ha causato (22).
I principi esposti hanno rappresentato il passaggio intermedio necessario per giungere ad affermare espressamente la vera e propria soggettività giuridica del concepito (23), confermata dalle successive pronunce (24) e da sempre sostenuta da autorevole dottrina (25).
Il nascituro, pur non avendo la capacità giuridica (26) rappresenta un centro di imputazioni di interessi già individuabili e tutelabili fin dal concepimento, ancorché azionabili solo alla nascita.
In particolare si ritiene giuridicamente rilevante la violazione degli obblighi medici di informazione per lui dannosi, riconoscendosi il diritto a nascere sano, ma non quello a non nascere se non sano (27).
Proprio la violazione dei suddetti obblighi informativi sono gli unici riscontrabili in presenza di anomalie genetiche, come quelle della fattispecie in esame in cui la Cassazione ripercorre gli orientamenti della precedente giurisprudenza, riportandone i punti principali (28).
La sentenza richiama anche il caso Nicolàs Perruche, che ha fatto tanto scalpore in Francia, dove nel 2000 l’assemblea plenaria della Corte di cassazione (29) aveva riconosciuto al minore il risarcimento per il proprio handicap, per gli errori del medico che avevano impedito di esercitare alla madre il diritto di scegliere di interrompere la gravidanza.
La pronuncia aveva suscitato polemiche tali da far intervenire il legislatore francese con l’art. 1 l. 4 marzo 2002 n. 303, che stabilisce che nulla può essere chiesto dall’handicappato per il solo fatto della nascita, quando l’handicap non è stato provocato o aggravato dal medico (30). In questo modo il legislatore francese ha sollevato i giudici da ogni responsabilità discrezionale sulla questione, implicante problemi non tanto giuridici, quanto etici.
Il timore è che, in alcuni casi molto gravi, possa affermarsi il principio per cui il fatto di nascere e vivere possa costituire di per se un danno, attribuendo un valore negativo alla vita.
Non solo, ma se si dichiara il diritto a nascere sani o a non nascere affatto (31), il passo successivo potrebbe essere quello di sancire il diritto di vivere sani o di non vivere affatto, affermando principi eugenetici, da cui si potrebbe dedurre anche un diritto all’eutanasia.
Tuttavia deve osservarsi che, se la vita in se non può essere un danno, lo è certamente la malattia o la malformazione fisica indissolubilmente legata alla vita (32).
In casi come quello in esame l’handicap colpisce il figlio ma questi, pur subendo direttamente il pregiudizio effettivo, fino ad oggi non era riuscito a ricevere alcuna tutela concreta, malgrado le declamazioni teoriche a protezione dei concepiti (33).
La sentenza in commento, invece, ammette per la prima volta la risarcibilità dei danni anche in favore del nascituro, non smentendo, ma trascendendo i principi affermati dalle precedenti pronunce che negavano ogni pretesa al figlio (34).
Il concepito non viene protetto attraverso l’individuazione della sua soggettività giuridica e neppure attraverso il diritto a nascere solo se sano, scongiurando il pericolo di affermare temuti principi di eugenetica.
Il danno non è legato alla nascita e neppure all’handicap, ma alla futura vita handicappata che, secondo i giudici, deve essere tutelata e « alleviata per via risarcitoria ».
Tuttavia, come si è detto, sfumando il nesso di causalità tra l’handicap e la condotta medica, la somma a tal scopo riconosciuta tende ad avere una funzione più indennitaria che risarcitoria.
La ragione è quella di consentire una vita meno disagiata all’interessato, in quanto diretto destinatario degli importi liquidati, senza la mediazione di terzi, « quand’anche fossero i genitori, ipoteticamente liberi di utilizzare il risarcimento a loro riconosciuto ai più disparati fini ».
Del resto un risarcimento in favore dei soli genitori aveva indubbiamente il limite di non assicurare la destinazione neppure di una parte della somma ad alleviare la vita handicappata del figlio, a meno della spontanea costituzione di un vincolo in forza dell’art. 2645 c.c. oppure ai sensi del più classico art. 167 c.c.
Per quanto riguarda la natura dei danni, la Corte riconosce al figlio i danni non patrimoniali rappresentati dal c.d. « danno biologico » e dal « danno da lesione » dei c.d.« interessi costituzio- nalmente protetti », come quello di cui all’art. 2 cost., per il pregiudizio nello svolgimento della propria personalità sia come singolo sia nelle formazioni sociali.
I danni patrimoniali derivanti dalla cura della patologia restano evidentemente in capo ai soli genitori, giuridicamente obbligati per legge al mantenimento, comprensivo delle spese mediche, fino a un’autonomia che, in questo caso, potrebbe non arrivare mai.
Glossario termini
(*) Scritto sottoposto a procedura di valutazione scientifica.
(1) In questa Rivista, 2005, I, 2403 ss.
(2) MENGONI, Obbligazioni di mezzi ed obbligazioni « di risultato » ed obbligazioni » di mezzi », in Riv. dir. comm., 1954, I, 185 ss.
(3) Per tutte, Cass. 29 luglio 2004 n. 14488, cit., più volte richiamata in motivazione.
(4) Cfr. GIOVENARDI, Brevi note sull’ammissibilità del danno da vita indesiderata, in Giur. it., 2005, I, 1152 ss.; App. Perugia 24 maggio 2000, in Familia, 2001, 812 ss.; e Trib. Locri 6 ottobre 2000, in Giur. merito, 2001, 1038, con nota di ZANUZZI.
(5) Cfr. ZENO ZENCOVICH, Responsabilità e risarcimento per mancata interruzione della gravidanza, in Foro it., 1986, I, 1997; Trib. Genova 10 ottobre 2002, in Giur. it., 2003, I, 1825 ss.; Cass. 8 luglio 1994 n. 6464, in Resp. civ. prev., 1994, 1029 ss.
(6) Trib. Milano 20 ottobre 1997, in Resp. civ. prev., 1998, 1144 ss.
(7) Cass. 16 maggio 1999 n. 4852, in Danno resp., 2000, 157 ss.; Cass. 22 novembre 1993 n.
11503, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, 690 ss., con nota di ZENO ZENCOVICH; Trib. Verona 15 ottobre 1990, in Foro it., 1991, I, 261.
(8) Cass. 9 giugno 2011 n. 12686, che specifica la necessità di accertare se la condotta possa essere stata causa (o concausa), secondo un giudizio di adeguata probabilità sul piano scientifico, della patologia riscontrata alla nascita e, soltanto in questo caso trarne le conseguenze; Cass. 21 luglio 2003 n. 11316, in Foro it., 2003, I, 2970, che ha ritenuto la responsabilità del medico che partecipa all’intervento in ragione di un rapporto con il paziente, al di là della struttura in cui opera, anche se la struttura si sia rivelata inadeguata
(9) Cass. 2 febbraio 2005 n. 2042, che conferma quanto affermato da Cass. 14 luglio 2003 n. 11001, in Arch. civ., 2004, 685, che qualifica il « ricovero » come contratto con effetti protettivi a favore di terzo, specificando che, ai fini della responsabilità dell’ente, è irrilevante l’individuazione del sanitario o dei sanitari, cui sia imputabile la condotta lesiva poiché, in base al principio di immedesimazione organica, è attribuibile direttamente all’ente l’attività del personale; Cass., sez. un., 1o luglio 2002 n. 9556, in questa Rivista, 2003, I, 2196, dove si legge che il rapporto che si instaura tra la casa di cura e una partoriente, anche se questa sceglie fuori della struttura il medico, non si esaurisce nella fornitura di prestazioni di natura alberghiera, ma implica la messa a disposizione di personale, medicinali ed attrezzature necessarie idonee anche alle emergenze.
(10) Trib. Napoli 13 febbraio 1997, in Nuova giur. civ. comm., 1997, 984, in cui la casa di cura privata è stata ritenuta « solidalmente responsabile, poiché l’attività che un libero professionista svolge presso una casa di cura privata, comporta un vincolo di dipendenza, sorveglianza e vigilanza tra la casa di cura committente e il medico preposto ».
(11) Trib. Piacenza 31 luglio 1950, in Foro it., 1951, I, 987, in cui è stata riconosciuta la responsabilità del padre verso il figlio per avergli trasmesso la lue all’atto del concepimento; RESCIGNO P., Il danno da procreazione, in Riv. dir. civ., 1956, 614 ss.; OPPO G., L’inizio della vita umana, ivi, 1982, I, 499 ss.
(12) Per tutte, Cass. 29 luglio 2004 n. 14488, cit., più volte richiamata in motivazione.
(13) Cfr. Cass., sez. un., 11 gennaio 2008 n. 577 (in Resp. civ., 2009, 22) ove si afferma che:
« La responsabilità della struttura sanitaria va inquadrata nella responsabilità contrattuale, sul rilievo che l’accettazione del paziente in ospedale, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto. A sua volta anche l’obbligazione del medico dipendente dalla struttura sanitaria nei confronti del paziente, ancorché non fondata sul contratto, ma sul “contatto sociale”, ha natura contrattuale ».
(14) Cass. 10 maggio 2002 n. 6735 (in Giur. it., 2003, I, 884 ss.; in Danno resp., 2002, 1148); Cass. 22 novembre 1993 n. 11503, cit.
(15) DI MAJO, Obbligazioni in generale, in Commentario del codice civile a cura di SCIALOJA e BRANCA, Libro quarto delle obbligazioni, Art. 1173-1176, Bologna-Roma 1988, 123; BENATTI, Doveri di protezione, in D. disc. priv., sez. civ., VII, Torino 1991, 221; CASTRONOVO, Obblighi di protezione, in Enc. giur. Treccani, XXI, Roma 1990.
(16) Cass. 13 luglio 2011 n. 15386, ove si afferma che chi agisce per il risarcimento del danno, assumendo che l’omessa diagnosi circa le malformazioni fetali abbia leso il diritto di interrompere la gravidanza, ha l’onere di provare che al momento del fatto sussistevano le condizioni dell’aborto terapeutico; Cass. 24 marzo 1999 n. 2793, in Giur. it., 2000, I, 43, in cui si precisa che il risarcimento non consegue automaticamente all’inadempimento dell’obbligo di esatta informazione, ma necessita della prova delle condizioni richieste dalla legge per l’interruzione volontaria della gravidanza.
(17) Cass. 10 maggio 2002 n. 6735, cit.; Cass. 1o dicembre 1998 n. 12195, in Danno resp., 1999, 522; Trib. Locri 6 ottobre 2000, cit. Secondo Cass. 22 marzo 2013 n. 7269: « È onere della parte attrice allegare e dimostrare che, se fosse stata informata delle malformazioni del concepito, avrebbe interrotto la gravidanza; tale prova non può essere desunta dal solo fatto che la gestante abbia chiesto di sottoporsi ad esami volti ad accertare l’esistenza di eventuali anomalie del feto, poiché tale richiesta è solo un indizio privo dei caratteri di gravità ed univocità ». Per Cass. 27 novembre 2012 n. 20984: « La valutazione del consenso sufficientemente informato prescinde dalla cosiderazione della qualità soggettiva del paziente, tale qualità rilevando solo ai fini delle modalità di informa- zione, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto di tale stato soggettivo ».
(18) Cfr.: Cass. 2 febbraio 2010 n. 2354, in Danno resp., 2011, 384, richiamata in motivazione. Nella sentenza si sottolinea che l’obbligo di informazione prescritto dall’art. 29 del codice di deontologia medica approvato nel giugno 1995, non è soggetto a nessuna valutazione discrezionale. Perciò comprende tutti gli aspetti diagnostici e prognostici e, quindi, « anche i rischi meno probabili, purché non del tutto anomali ». Tale obbligo, integra il contenuto del contratto e quindi ha rilevanza giuridica anche perché l’eventuale inadempimento può determinare la violazione di diritti fonda- mentali e inviolabili; Cass. 4 gennaio 2010 n. 13 (in questa Rivista, 2011, I, 76; in Danno resp., 2010, 404), ove si precisa che sicuramente il padre non ha titolo per intervenire sulla decisione di interrompere la gravidanza, spettante alla sola madre, ma diversa questione è quella relativa al danno che il padre subisce perché altri hanno impedito la scelta; Cass. 14 luglio 2006 n 16123, in cui, tra l’altro, si precisa che per procedere all’interruzione della gravidanza dopo il novantesimo giorno non basta che siano presenti anomalie, ma occorre che queste siano idonee a cagionare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre ex art. 6 l. n. 194, cit.; Cass. 20 ottobre 2005 n. 20320, in Foro it., 2006, I, 2097; Cass. 29 luglio 2004 n. 14488, cit.; Cass. 10 maggio 2002 n. 6375.
(19) Cfr. BIANCA C.M., Diritto civile, V, Milano 2012, 171 ss.; Cass. 4 gennaio 2010 n. 13, cit., ,in tema di responsabilità del sanitario, per omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata, per i danni che non che siano conseguenza immediata e diretta dell’inadem- pimento in termini di causalità adeguata.
(20) Aristotele, La metafisica (trad. a cura di REALE, Napoli 1968, 183 ss.), dove si afferma che ciò che è in potenza non ha rilevanza e non si realizza tanto in quanto « sé stesso », ma in quanto è « una certa potenzialità ».
(21) Cass. 9 maggio 2000 n. 5881, in questa Rivista, 2001, I, 711; Cass. pen., sez. IV, 13 novembre 2000, in Corr. giur., 2001, 348, con nota di MOROZZO DELLA ROCCA; App. Torino 8 febbraio 1988, in Giur. it., 1989, I, 2, 690, che ha riconosciuto nella perdita del padre già prima della nascita la lesione nella sfera giuridica del nascituro, sia dal punto di vista morale che patrimoniale, essendo privato della relazione genitoriale affettiva e del relativo mantenimento sin quando verrà ad esistenza; Cass. 22 novembre 1993 n. 11503, cit.; e Trib. Verona 15 ottobre 1990, cit.
(22) MONATERI, Le fonti delle obbligazioni. La responsabilità civile, in Trattato di diritto civile a cura di SACCO, IV, Torino 1998, 512; FRANZONI, Il danno risarcibile, Milano 2004, 430; Trib. Monza 8 maggio 1998, in Giur. it., 1999, I, 42, che, nel caso di morte del padre in un incidente stradale, ha affermato che il nascituro concepito ha diritto al risarcimento anche per i danni derivanti da comportamenti anteriori alla nascita, poiché le norme sul risarcimento del danno non escludono la possibilità di un divaricazione temporale tra l’illecito e il danno.
(23) Cass. 11 maggio 2009 n. 10741, in Danno resp., 2009, 1167, dove si afferma che il nascituro ha soggettività giuridica e ha diritto a nascere sano, con il conseguente obbligo del sanitario di risarcirlo sia per la mancata corretta informazione sia per la violazione del dovere di non somministrare alla madre farmaci dannosi, in quanto il rapporto tra la gestante e i sanitari produce effetti protettivi nei suoi confronti. Tuttavia si precisa anche il nascituro non ha diritto al risarci- mento quando il consenso informato viene richiesto ai fini dell’interruzione della gravidanza, stante la non configurabilità del diritto a non nascere se non sano.
(24) Cass. 3 maggio 2011 n. 9700, in cui si afferma che il concepito, pur non avendo piena capacità giuridica, è un soggetto di diritto, perché titolare di interessi personali riconosciuti quali il diritto alla vita, alla salute, all’onore, all’identità personale e a nascere sano. La Corte ribadisce anche che l’azionabilità in giudizio ai fini risarcitori resta subordinata alla condicio iuris della nascita.
(25) BIANCA C.M., op. cit., I, Milano 2002, 222 ss., dove si precisa che per nascituro concepito deve intendersi solo l’embrione inserito nell’utero materno.
(26) FALZEA, Capacità (teoria generale), in Enc. dir., VI, Milano 1995, 8.
(27) Cass. 11 maggio 2009 n. 10741, in Giur. it., 2010, I, 67.
(28) In particolare con riferimento a Cass. 29 luglio 2004 n. 14488, cit, in cui si ricorda che ai sensi dell’art. 1 c.c. il concepito non è titolare di alcun diritto prima della nascita, tanto meno di un diritto a non nascere se non sano. Inoltre si precisa che, ove mai configurabile, un diritto a nascere solo se sani, sarebbe un diritto privo di titolare, ossia adespota, con esclusione di ogni risarcibilità. Viene sottolineato anche che eventuali malformazioni assumono rilevanza solo ai fini della l. n. 194, cit., ossia nei limiti di una possibile incidenza sulla salute dalla madre, a cui è riservata la facoltà di scegliere l’interruzione della gravidanza oltre il novanta giorni ex art. 6 della citata norma.
(29) Cour de cassation, assemblée pleniere, 17 novembre 2000 n. 155, in Danno resp., 2005, 475, con nota di GORGONI, Nascere sani o non nascere affatto: verso un nuovo capitolo della storia della naissance d’enfants sains non désirés.
(30) La norma dispone letteralmente: « Nul ne peut se prévloir d’un prejudice du seul fait de sa naissance. La personne née avec un handicap du à une faute médicale peut obtenir la reparation de son prejudice lorsque l’acte fautif a provoqué directament le handicap ou l’a aggravè, ou n’a pas permis de prendre les mesures susceptibles de l’atténuer ».
(31) GIOVENARDI, Brevi note sull’ammissibilità del danno da vita indesiderata, cit., che afferma il diritto a nascere sani, ma non quello a non nascere in presenza di malformazioni perché, se così fosse, il diritto all’aborto in presenza di anomalie, si trasformerebbe in un obbligo che, se disatteso, farebbe nascere inaccettabili pretese risarcitorie del figlio verso la madre.
(32) OPPO G., L’inizio della vita umana, cit., 499 ss.
(33) SANTORO-PASSARELLI F., Dottrine generali del diritto civile, 9a ed., Napoli 1977, 26, che parla del concepito come di un « centro autonomo di rapporti giuridici, in previsione e attesa della persona »; BIANCA C.M., op. cit., I; ESPINOZA, Sullo statuto giuridico del concepito, in Dir. fam., 1994, II, 371; BUSNELLI, Lo statuto del concepito, in Dem. dir., 1988, 213; RESCIGNO P., Nascita, in D. disc. priv., sez. civ., XII, Torino 1995, 1 ss.
(34) Per tutte, Cass. 29 luglio 2004 n. 14488, cit., richiamata nella motivazione della sentenza in rassegna. Anche in Germania la giurisprudenza disconosce la pretesa risarcitoria del figlio, suscitando osservazioni critiche da parte di chi obietta la violazione del principio di eguaglianza perché, pur rientrando il figlio tra i terzi protetti del rapporto, deve sopportare in proprio e per la vita l’aggravio economico derivante dalle malformazioni (PICKER, Schadenersatz für unerwünwchte eingene Leben “Wrongful life”, Tubingen 1995).