Sulla rivista CH4 – la Rivista Italiana del gas – l’intervento dell’avvocato Nicoletta Tradardi e dell’avvocato Xavier Santiapichi.
L’approfondimento normativo riguarda il tema trattato nella rivista 2015 – l’anno degli Atem.
Sono ormai in fase di conclusione molte delle procedure avviate della Autorità d’Ambito per la gestione della rete di distribuzione del gas, a seguito della nota privatizzazione del Decreto Letta.
Una questione di rilievo per gli enti locali, nel sistema a regime, concerne la titolarità della rete cittadina del gas ed in particolare se soggetti diversi dall’ente pubblico concedente possano essere proprietari di beni ed impianti strumentali all’esercizio del servizio. Sulla problematica si è di recente espresso anche il Ministero per lo Sviluppo economico, come oltre si esporrà.
Questi beni, in proprietà degli enti locali, sono annoverati nel “patrimonio indisponibile”, in quanto destinati ad un pubblico servizio (art. 826, co. 3 c.c.), quale l’attività di distribuzione di gas (art. 14 co. 1 cligs. n. 164/2000). in quanto tali, essi “non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano” (art. 828 co. 2 c.c.).
Il quadro normativo di riferimento per il settore dei gas è rappresentato dall’art. 14 co. 4 d. igs. n. 164 e da alcune disposizioni del DM. 226/2011, al decreto criteri (artt. 2, 7 ed 8). Lart. 113 del cligs. n. 267/2000, per espressa revisione, non è applicabile alla materia (art.113 cc. 1).
L’art. 14 co. 4 individua due tipologie di beni:
a) quelli preesistenti, già di proprietà dell’ente locale o del precedente gestore, dichiarati reversibili;
b) quelli realizzati dal gestore durante il periodo di affidamento, e di cui questi diviene proprietario.
Al termine del periodo di affidamento del servizio, i beni appartenenti alla prima categoria rientrano nella “piena disponibilità”dell’ente concedente; per quelli riconducibili alla seconda categoria vi sono due opzioni: possono essere trasferiti, alla scadenza del rapporto, all’ente locale, secondo le modalità stabilite nel bando di gara e nel contratto di servizio (co. 4); in alternativa, il gestore uscente ne può trasferire la proprietà a quello entrante previo rimborso (co. 8).
Le modalità attraverso le quali debbono attuarsi detti trasferimenti sono fissate dal “decreto criteri” (art. 7). Per le porzioni di impianto realizzate dal gestore, la concessione può prevedere la devoluzione gratuita alla conclusione dell’affidamento, all’ente locale, il quale ne acquisisce la proprietà, salvo indennizzo in caso di cessazione anticipata del contratto.
Se la concessione non contempla questa possibilità, il gestore uscente cede la proprietà della propria porzione di impianto al subentrante (secondo i criteri individuati dagli artt. 5 e 6 del Dm), il quale ne mantiene la proprietà per tutta la durata dell’affidamento, con l’obbligo di farne riacquistare, alla scadenza, la piena disponibilità funzionale all’ente locale od alla società patrimoniale delle reti, al fine di predisporre una procedura ad evidenza pubblica per individuare il nuovo gestore.
Il legislatore considera l’eventualità che un soggetto privato (il gestore) sia proprietario, seppure per il solo tempo di durata dell’affidamento, quanto meno della porzione di rete del gas dallo stesso realizzata.
L’ordinamento si colloca in posizione neutra rispetto alla titolarità delle reti, essendo, invece, essenziale che il regime proprietario sia funzionale al principio della esclusiva e completa disponibilità delle stesse al pubblico servizio ed al gestore, per tutto il periodo dell’affidamento: è consentita la circolazione della proprietà delle infrastrutture da e verso privati, ferma restando la destinazione funzionale (cioè, la circolazione del bene pubblico unitamente alla gestione della rete).
In questi termini, la proprietà delle infrastrutture è attribuibile all’ente locale, alle sue società patrimoniali ed ai soggetti privati, a condizione che la proprietà circoli unitamente con la gestione, dovendosi, invece, escludere negozi di circolazione che scindano la proprietà e l’uso a scopo di garanzia.
L’attribuzione in proprietà o nella disponibilità del privato delle reti e degli impianti si giustifica esclusivamente se strettamente correlata con la durata e i limiti del regime concessorio, su base contrattuale ed a seguito di gara, mentre va esclusa la possibilità di assoggettare tali beni a qualsiasi diritto reale in contrasto con le specifiche finalità.
In tal senso si è recentemente espresso il Ministero dello Sviluppo economico, il quale ha identificato la gara d’ambito come sede più opportuna per l’eventuale alienazione delle infrastrutture in proprietà all’ente concedente, mediante inserimento nel bando e trasferimento all’aggiudicataria.
Per evitare che l’alienazione possa creare nuovi oneri a carico dei clienti finali in termini di aumento delle tariffe, si è proposto che la determinazione del valore di trasferimento debba avvenire secondo gli stessi parametri con i quali è calcolata l’entità del rimborso al gestore uscente, da parte di quello subentrante, all’esito della nuova gara, (ed in precedenza parere n. 295 del 03.07.2013, Corte dei Conti Sez. reg. conti-. Lombardia).
La titolarità delle reti presenta risvolti di natura economica per i comuni nella fase successiva alla gara. Infatti, nel caso di reti in proprietà pubblica, il gestore corrisponde agli enti concedenti un canone annuale, per la messa a disposizione dell’impianto (art. 8 co. 3 DM), che non è oggetto di riscatto, (art. 7 co. 2 DM). Ciò potrebbe rendere maggiormente appetibile la nuova
gara, poiché il concessionario entrante non sarebbe gravato dai relativi oneri finanziari.
Non è dovuto il riscatto (salvo il riconoscimento di un rimborso per l’ipotesi di cessazione anticipata) anche per le porzioni di rete di proprietà del gestore ed oggetto di devoluzione gratuita all’ente locale concedente. Va segnalato che, in questa eventualità, il rimborso per la cessazione anticipata potrebbe rivelarsi gravoso, ad esempio nell’ipotesi di una scadenza naturale spostata molto in là nel tempo.
Ciò pone la questione della riscattabilità delle reti. Per le porzioni di impianto di proprietà del gestore uscente e cedute in proprietà a quello entrante, l’art. 14 cit., regolamentando i rapporti economici, prevede la corresponsione del rimborso.
Si è osservato che la norma non sembra inibire all’ente locale di riscattare dette porzioni di rete. Al contrario, il DM n. 226 assume una posizione restrittiva: esclude che gli enti locali concedenti possano procedere in tal senso e dispone che la proprietà dei beni sia ceduta dal gestore uscente a quello entrante dietro pagamento del valore di rimborso.
Ha suscitato perplessità la circostanza che la prescrizione restrittiva sia stata introdotta in una norma di rango secondario, avente una diversa funzione. Il tema potrebbe assumere un rilievo pratico, ad esempio, nelle ipotesi in cui le condizioni di riscatto siano vantaggiose, permettendo al comune di fruire dei canoni annui di locazione dal nuovo gestore.
Una seconda problematica emergente dall’impianto normativo, ed alla quale può qui farsi solo un cenno, si riferisce alle società patrimoniali. Il DM. 226, fra i possibili assetti proprietari, prevede quello della società patrimoniale, costituita ai sensi dell’art. 113 co. 13 Tuell, che può essere titolare (di una parte) degli impianti (cfr. art. 8 co. 3 ed art. 9 co. 6 lett. e) ed alla quale
i Comuni concedenti, possono demandare il ruolo di gestore della gara, in luogo del Comune Capoluogo di Provincia (cfr. art. 2 co. 1).
L’unica condizione imposta dal decreto è che la società sia già esistente, all’evidente scopo di evitare la creazione di nuove società ad hoc. Il d.lgs. n. 164/2000 individua, invece, come soggetti proprietari solo gli enti locali concedenti.
Di qui due ordini di problemi consequenziali: innanzitutto, la legittimità della previsione dell’utilizzo delle società patrimoniali in una norma di rango secondario, deputata a definire i criteri di gara e di valutazione delle offerte. In secondo luogo, la legittimità del rinvio del DM n. 226 ad una disposizione (il co. 13 dell’art. 113 Tuell) che, secondo la sentenza della Corte Costituzionale n. 320/2011, è stata tacitamente abrogata, per incompatibilità, dall’art. 23 bis co. 5 del d.l. n. 112/2008; a sua volta, il co. 5 dell’art. 23 bis è stato abrogato con referendum popolare, ma ciò, come chiarisce la detta pronuncia, non ha implicato la reviviscenza del co. 13 dell’art. 113 Tuell. Taluni precisano che il problema si porrebbe, eventualmente, per le società patrimoniali costituite dopo l’entrata in vigore dell’art. 23 bis, e non già per quelle costituite in precedenza.
Sempre riguardo al profilo in discussione, l’art. 2 del DM n. 226 non chiarisce quale sia il soggetto, cioè, se il comune capoluogo ovvero quelli dell’ambito, chiamato a decidere se affidare il ruolo di stazione appaltante alla società patrimoniale già esistente. Si discute se quest’ultima debba essere legata al comune capoluogo e, nell’eventualità negativa, secondo quali parametri essa sia individuabile, se nell’ambito ne siano presenti più d’una. Si fronteggiano opposte letture, nell’uno e nell’altro senso, entrambe sostenibili nel silenzio della norma.
Per tali ragioni, la facoltà di attribuire ad una società patrimoniale il ruolo di stazione appaltante ha suscitato molte perplessità. Infine altra questione Infine altra questione che rimane aperta, nel silenzio della norma, concerne l’applicabilità a queste società delle disposizioni sulla razionalizzazione delle società partecipate dagli enti locali, prescritta dall’art. 1 commi 611 e segg. della l.n. 190/2014 (legge di stabilità per il 2015). (Testo aggiornato al 9 febbraio 2015, ndr).