Le novità sul tema dei rifiuti della legge comunitaria per il 2013

Pubblicato il 5-11-2013
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Autorizzazione a smaltire i rifiuti da estrazione

La Legge comunitaria per il 2013 interviene anche sul complesso tema dei rifiuti e lo fa in maniera chirurgica, al solo fine di arginare gli effetti di procedure di infrazione ormai avviate. Manca – ancora una volta – una visione d’insieme delle problematiche, poiché i temi ambientali hanno necessità di interventi normativi quasi costanti, di anno in anno, che non necessariamente debbono essere il frutto di una reazione alle contestazioni dell’Unione europea.

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Veniamo all’esame analitico delle disposizioni.

I tre articoli in esame riguardano solo alcune tipologie di rifiuti: quelli derivanti dalle attività estrattive (articolo 20); le pile e gli accumulatori (articolo 21); i rifiuti elettrici (articolo 22).

Modifiche al Dlgs 117/2008 in materia di gestione di rifiuti delle attività estrattive. Procedure di infrazione n. 2011/2006 (Legge 97/2013, articolo 20) – Il tema delle attività estrattive è di grande importanza; gli uffici pubblici si sono trovati assai spesso a ricercare quale fosse la disciplina applicabile, spesso ritenendo (errando) che avrebbe potuto trovare applicazione la disposizione sulle cosiddette “terre e rocce da scavo” oggi disciplinate da apposito Dm del ministero dell’Ambiente (161/2012).

Il dubbio interpretativo nasce dalla lettura dell’articolo 1 (Definizioni) del citato Dm che dispone l’applicazione della norma anche ai «residui di lavorazione di materiali lapidei (marmi, graniti, pietre ecc.) anche non connessi alla realizzazione di un’opera e non contenenti sostanze pericolose». Non si comprendono le ragioni dell’inclusione ma oggi la questione appare definitivamente superata dalla circostanza che il Decreto sulle terre e rocce da scavo trova applicazione limitatamente alle “opere” (quindi esclusa l’estrazione) sottoposte a valutazione di impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale (articolo 184-bis del codice dell’ambiente nella riformulazione disposta dal decreto “Fare”).

In realtà i materiali provenienti da processi estrattivi o sono sottoprodotti, disciplinati dall’articolo 184-bis del codice dell’ambiente («È un sottoprodotto e non un rifiuto ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera a), qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa tutte le seguenti condizioni: a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.»), o sono rifiuti, per i quali vige un regime particolare, contenuto del Dlgs 117/2008 e successive modifiche e integrazioni.

Per essere considerati rifiuti è sufficiente che il detentore abbia la volontà di disfarsene (la qualificazione di un bene come rifiuto è legata alla valutazione soggettiva del suo detentore; così dispone l’articolo 183, comma 1, lettera a) del codice dell’ambiente, richiamato dall’articolo 1, comma 1 lettera ). Per la qualificazione come sottoprodotto vi sono da accertare le condizioni di cui all’articolo 184-.
Ove quindi il materiale proveniente da siti di estrazione venga qualificato come rifiuto a quel punto dovrà essere smaltito in siti all’uopo autorizzati, attraverso procedure e nel rispetto dei parametri contenuti nel Dlgs 117/2008.

È interessante, sul punto, una recente decisione della Corte di cassazione (Cassazione, sezione III penale, 26405/2013), secondo cui risulterebbero esclusi dalla definizione di «rifiuto» i materiali derivati dallo sfruttamento delle cave, a condizione che «…restino entro il ciclo produttivo dell’estrazione e connessa pulitura».

A ben guardare tuttavia la Corte è stata chiamata a pronunciarsi non sul tema del sottoprodotto (ad esempio lo scarto di lavorazione dei marmi, il più delle volte destinato al riutilizzo e che rappresenta una vera e propria materia prima) ma su una fattispecie particolare nella quale il produttore (detentore) soggettivamente aveva “abbandonato” il materiale ed era dubbia anche la riconducibilità dello stesso a scarti di lavorazione da estrazione.

La citata pronuncia aggiunge che «gli inerti provenienti dalla cava sono da considerarsi rifiuti e il loro smaltimento, ammasso, deposito e discarica è regolato dalla disciplina generale è scritto in diverse pronunce della Suprema corte (Sez. III n. 9491, 3 marzo 2009, non massimata; Sez. III n. 45463, 9 dicembre 2008, non massimata; Sez. III n. 41584, 12 novembre 2007; Sez. III n. 5315, 18 febbraio 2007)». Sempreché – mi si permetta di aggiungere – non sussistano le condizioni per la qualificazione come “sottoprodotto”. Un diverso approccio avrebbe l’effetto di non massimizzare l’utilizzo delle risorse naturali, che andrebbero quindi sprecate.

Le modifiche contenute nella Legge comunitaria sono volte a superare i rilievi formulati dalla Commissione europea con la procedura di infrazione 2011/2006 rispetto ai procedimenti autorizzatori dei siti di stoccaggio, sempre che il materiale venga dal detentore ritenuto un rifiuto.

Lamentava la Commissione, nel proprio parere motivato del 26 gennaio 2012, il non corretto recepimento della direttiva n. 2006/21/Ce, come già dalla medesima rilevato nel procedimento Eu Pilot n. 1059/10/Envi, con riferimento: alla restrizione dei diritti dei cittadini nel procedimento autorizzatorio relativo ai depositi dei rifiuti di estrazione; alla mancata previsione della possibilità di richiedere la convalida di un esperto, con riferimento alle verifiche periodiche dei rifiuti; alla mancata previsione della possibilità che l’incarico di operatore della gestione dei rifiuti sia assunto dall’autorità competente; alla circostanza che il percolato debba essere valutato anche dal punto di vista qualitativo, e non solo quantitativo; all’obbligo di informazione, agli Stati membri, in caso di incidente rilevante occorso a una struttura di deposito di rifiuti; alla non immediata intelligibilità delle disposizioni circa le ispezioni ai depositi anche dopo la chiusura.

Con la legge comunitaria, si ampliano i soggetti tenuti alla verifica della conformità dei dati presentati alle condizioni dell’autorizzazione, includendovi, oltre all’autorità competente, anche enti pubblici ed esperti, con oneri a carico dell’operatore. Si prevede la possibilità, per l’autorità competente, di assumersi gli obblighi in capo all’operatore qualora egli sia inadempiente dopo la chiusura definitiva del deposito, utilizzando le risorse previste all’articolo 14, comma 1 del decreto legislativo n. 117 del 2008. Soprattutto si amplia la fase partecipativa/concertativa dei procedimenti di rilascio, imponendo la diffusione di alcune informazioni e richiamando l’applicazione delle norme generali sul procedimento amministrativo.

Infine, si introducono ulteriori specificazioni sulla periodicità dei controlli, anche durante la fase successiva alla chiusura delle strutture di deposito dei rifiuti, disponendo che in caso di esito positivo dei controlli effettuati sulle strutture di deposito, non viene in alcun modo limitata la responsabilità dell’operatore in base alle condizioni dell’autorizzazione.

Modifiche al Dlgs 188/2008 recante attuazione della direttiva n. 2006/66/Ce concernente pile, accumulatori e relativi rifiuti. Procedura di infranzione 2011/2218 (Legge 97/2013, articolo 21) .

La novella vorrebbe essere la risposta del nostro ordinamento ai rilievi comunitari sollevati con la procedura di infrazione n. 2011/2218, e segnatamente rilevati nel parere motivato reso dalla Commissione il 21 novembre 2012.

La questione non è nuova, essendo stata già oggetto di contestazione nel procedimento Eu Pilot n. 1861/11/Envi: la Commissione ha più volte lamentato la non corretta trasposizione della direttiva nell’ordinamento italiano con riferimento: alla gratuità del ritiro da parte dei distributori; all’obbligo di relazione annuale sui livelli di riciclaggio; alla promozione della ricerca di metodi di riciclaggio ecocompatibili; allo smaltimento in discarica o incenerimento delle pile e degli accumulatori che fossero sottoposti, alternativamente (e non congiuntamente), a trattamento o riciclaggio; ai costi delle campagne pubbliche di informazione da porre a carico dei produttori; al mancato obbligo di utilizzare il simbolo del cassonetto barrato anche per i bacchi di batterie; alla mancata distinzione, in due allegati, tra trattamento e riciclaggio.

Intervenendo chirurgicamente, la legge comunitaria stabilisce:

l «che le operazioni di riciclaggio dei rifiuti di pile e accumulatori possono essere effettuate fuori dal territorio nazionale o comunitario solo se le relative spedizioni siano conformi alla normativa comunitaria in materia;
che non possono essere immesse sul mercato pile e accumulatori contenenti sostanze pericolose;
che i residui dei rifiuti di pile e accumulatori possono essere smaltiti (discarica e incenerimento) solo se sottoposti a preventivo trattamento e riciclaggio; che la disciplina in tema di etichettatura di pile e accumulatori sia estesa anche ai cosiddetti “pacchi batterie”, prevedendo che i contrassegni di tali prodotti debbano avere le caratteristiche di visibilità, leggibilità e indelebilità».

Infine si attribuisce al ministero dell’Ambiente la ricerca di metodi di riciclaggio ecocompatibili e con un buon rapporto costi/efficacia per tutti i tipi di pile e accumulatori.

Modifiche al Dlgs 151/2005 relativo alla riduzione dell’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche e elettorniche, nonché allo smaltimento di rifiuti. Procedura di infrazione n. 2009/2264 (Legge 97/2013, articolo 22) – Quanto ai rifiuti elettrici la norma apporta alcune modifiche all’allegato 1B del decreto legislativo n. 151 del 2005 relativo alla riduzione dell’uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento dei rifiuti. In particolare si modificano alcune trasposizioni scorrette o incomplete effettuate nel recepire l’allegato I B della direttiva Raee.

Per agevolare il lavoro dei distributori si prevede che rientra nella fase della “raccolta dei rifiuti” (normata dal Codice dell’ambiente) lo stoccaggio provvisorio degli elettrodomestici, purché finalizzato esclusivamente al loro trasporto presso i centri di raccolta di cui all’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, ed effettuato dai distributori presso i locali del proprio punto vendita o presso altro luogo risultante dalla comunicazione trasmessa. Da segnalare che il trasporto deve avvenire con cadenza mensile e, comunque, quando il quantitativo raggruppato raggiunga complessivamente i 3.500 chilogrammi (per singola tipologia di prodotto).

Di Xavier Santiapichi
In Guida al Diritto 26.9.2013