L’inderogabile distanza di 10 metri tra pareti finestrate

Pubblicato il 21-12-2017
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A cura dell’Avv. Valentina Taborra

Con la sentenza n. 5785/2017 in commento, il TAR Campania ha nuovamente affrontato il tema dell’inderogabile distanza legale di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Chiarisce il Giudice che il rispetto della disposizione sancita dall’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 è doveroso indipendentemente dall’eventuale differenza di quote tra gli edifici ed è sufficiente che una sola delle due pareti interessate sia finestrata; tale distanza è finalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico all’igiene ed alla sicurezza collettiva, non alla tutela del diritto dominicale, e, pertanto, è esclusa ogni valutazione discrezionale, anche del giudice, circa l’esistenza in concreto di intercapedini nocive alla salute od alla sicurezza.

Si tratta, d’altronde, di un orientamento consolidato in giurisprudenza e riaffermato, di recente, anche dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3522/2016. Tale limite si applica certamente ai nuovi edifici ed alla nuova costruzione di parti di essi, compresa la sopraelevazione, ma anche agli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino modifiche al volume ed alla collocazione del fabbricato, rendendo l’opera oggettivamente diversa dalla preesistente.

MINISTERO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3641 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da: GIOVANNI RUGGIERO e GIOVANGIUSEPPE RUGGIERO, rappresentati e difesi dall’Avv. Antonio Vitello, con il quale sono elettivamente domiciliati presso la Segreteria di questo Tribunale;

CONTRO

COMUNE DI GRUMO NEVANO, rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea Orefice, con il quale è elettivamente domiciliato in Napoli al Viale Gramsci n. 23;

PER L’ANNULLAMENTO

quanto al ricorso introduttivo:

a) della nota dirigenziale del Comune di Grumo Nevano prot. n. 5131 del 23 aprile 2015, con la quale è stato denegato il rilascio della DIA (denuncia di inizio attività) in sanatoria con riguardo ad un intervento di ampliamento residenziale realizzato presso l’edificio di proprietà dei ricorrenti sito nel territorio comunale alla Via Zara n. 5, nonché del correlato preavviso di diniego prot. n. 4499 del 9 aprile 2015;

b) della nota dirigenziale del Comune di Grumo Nevano prot. n. 6487 del 26 maggio 2015, con la quale è stato denegato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria con riguardo all’intervento di cui sopra;

c) di ogni altro atto preordinato, presupposto, connesso e conseguente, parimenti lesivo;

quanto al ricorso per motivi aggiunti:

d) dell’ordinanza dirigenziale del Comune di Grumo Nevano n. 4 del 13 febbraio 2017, recante l’ingiunzione di demolizione delle opere oggetto dell’intervento di cui sopra;

e) della nota dirigenziale del Comune di Grumo Nevano prot. n. 3836 del 7 aprile 2017, con la quale è stato nuovamente denegato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria con riguardo all’intervento di cui sopra;

f) di ogni altro atto presupposto, successivo e connesso, parimenti lesivo.

  • Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
  • Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente;
  • Viste le memorie difensive;
  • Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 novembre 2017 il dott. Carlo Dell’Olio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1. Con il gravame in trattazione, i ricorrenti espongono di essere proprietari di un edificio sito in Grumo Nevano alla Via Zara n. 5 in zona A (centro storico) e di aver trasformato in abitazione il sottotetto ivi esistente, posto al terzo piano, in virtù del permesso di costruire n. 22 del 23 settembre 2013.

Aggiungono che successivamente ai lavori di trasformazione, ultimati nel gennaio 2015, ed al fine di porre rimedio ad alcune imperfezioni costruttive relative all’impermeabilizzazione del tetto di copertura ed alla tenuta strutturale del solaio di calpestio del terzo piano, realizzavano in assenza di titolo abilitativo un intervento di ampliamento del piano sottotetto; tale intervento comprendeva la creazione di due nuovi locali lungo il lato nord con aumento di volumetria per circa 41 mc., la realizzazione di ulteriori rampe con sopraelevazione della relativa cassa scale al livello del terzo piano, l’abbassamento del piano di calpestio del terzo piano, il ripristino delle murature portanti e la sostituzione delle pregresse falde di copertura con rimozione degli originari abbaini.

I ricorrenti, nel riferire di aver presentato nel tempo varie richieste di sanatoria per accertamento di conformità ai sensi del combinato disposto dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 e degli artt. 4 e 12 (comma 4-bis) della legge regionale sul piano casa n. 19/2009, impugnano, anche attraverso la proposizione di motivi aggiunti, i seguenti atti del Comune di Grumo Nevano ostativi alla legittimazione dell’intervento di cui sopra: 1) nota dirigenziale prot. n. 5131 del 23 aprile 2015, con la quale è stato denegato il rilascio della DIA in sanatoria (unitamente al correlato preavviso di diniego prot. n. 4499 del 9 aprile 2015); 2) nota dirigenziale prot. n. 6487 del 26 maggio 2015, con la quale è stato denegato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria; 3) nota dirigenziale prot. n. 3836 del 7 aprile 2017, con la quale è stato nuovamente denegato il rilascio del permesso di costruire in sanatoria; 4) ordinanza dirigenziale n. 4 del 13 febbraio 2017, recante l’ingiunzione di demolizione delle opere oggetto dell’intervento.

Il Comune di Grumo Nevano, costituitosi in giudizio, eccepisce nei suoi scritti difensivi la parziale inammissibilità e, comunque, la totale infondatezza del ricorso.

Parte ricorrente insiste nelle proprie tesi con memoria conclusionale.

La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 7 novembre 2017.

2. In via preliminare, si ritiene di non indugiare sullo scrutinio delle eccezioni di rito sollevate dalla difesa comunale, giacché il gravame, come integrato dai motivi aggiunti, si presenta complessivamente infondato nel merito.

Si premette che le istanze di sanatoria presentate dai ricorrenti invocano l’applicazione dei benefici ampliativi della volumetria esistente (aumento fino al 20% della cubatura), previsti dall’art. 4 della legge regionale n. 19/2009 per soddisfare finalità abitative.

Si rileva, altresì, che i vari dinieghi di sanatoria insistono tutti sul persistente contrasto dell’intervento di ampliamento con la normativa urbanistico-edilizia sotto i tre seguenti profili, ognuno capace di per sé di sostenere le negative determinazioni dell’amministrazione (cfr. in particolare il preavviso di diniego prot. n. 4499 del 9 aprile 2015 e la nota dirigenziale prot. n. 3836 del 7 aprile 2017): i) l’ampliamento del sottotetto sul lato nord, mediante l’edificazione dei due nuovi locali e la sopraelevazione della cassa scale, costituisce nuova costruzione soggetta al rispetto della distanza di 10 metri dal fabbricato antistante, come previsto dall’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 e ribadito dall’art. 12 delle N.T.A. (norme tecniche di attuazione) del vigente piano regolatore, distanza nella specie non rispettata; ii) dal confronto tra gli elaborati grafici allegati al permesso di costruire n. 22/2013 e quelli acclusi alle istanze di sanatoria emerge un incremento dell’altezza della linea di gronda pari a 0,40 metri, con conseguente variazione dell’andamento delle falde del tetto, che si palesa incompatibile con il disposto dell’art. 4, comma 1, della legge regionale n. 15/2000 sul recupero abitativo dei sottotetti, a termini del quale “Il recupero del sottotetto non deve comportare la modifica dell’altezza di colmo e di gronda né l’inclinazione delle falde”; iii) l’intervento risulta eseguito in assenza dell’autorizzazione sismica prescritta dalla normativa nazionale e regionale per le costruzioni in zone sismiche.

Si nota, infine, che l’ordinanza di demolizione è stata emanata ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, ingiungendo la totale rimozione dell’intervento in questione perché posto in essere in assenza del previo rilascio del permesso di costruire.

3. Ciò premesso, vale cominciare dall’esame di una prima batteria di censure articolate avverso i tre dinieghi di sanatoria, le quali possono essere così riassunte:

a) gli ultimi due dinieghi in ordine di tempo non sono stati preceduti né dalla comunicazione di avvio del procedimento né dal preavviso di rigetto, in violazione degli artt. 7 e 10-bis della legge n. 241/1990 e con conseguente compromissione sia delle prerogative partecipative dei diretti interessati sia degli obblighi motivazionali previsti dalla legge;

b) i provvedimenti, essendo propedeutici all’adozione delle misure sanzionatorie, non sono stati emessi a seguito del parere vincolante della competente Soprintendenza ai beni culturali, in violazione dell’art. 33, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001;

c) non è predicabile l’osservanza della distanza legale di 10 metri, rientrando l’intervento di ampliamento nell’ambito del concetto di ristrutturazione edilizia piuttosto che in quello di nuova costruzione, con conseguente applicabilità del disposto dell’art. 9, comma 1, punto 1), del d.m. n. 1444/1968, che assoggetta le operazioni di ristrutturazione da effettuare in zona A alla sola prescrizione, rispettata nella specie, secondo la quale “le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti”;

d) l’intervento di ampliamento rispetta comunque le prescrizioni dettate dall’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 per le nuove costruzioni in zona A, essendo rimaste inalterate le distanze dai fabbricati circostanti ed insistendo l’intervento sulla medesima sagoma assentita con il permesso di costruire n. 22/2013;

e) ad ogni modo, l’esigibilità della distanza legale di 10 metri è sconfessata anche dalla circostanza che “l’ampliamento non prospettava su pareti finestrate, le distanze dalla precedente scala a chiocciola erano rimaste invariate e, comunque, al contorno della quota di elevazione non risultano ingombri volumetrici”;

f) il diniego del 2017 è viziato da carente istruttoria, essendo stato emesso sulla scorta dei “fuorvianti” rilievi documentali rifluiti nel primo diniego dell’aprile 2015 e senza considerare che l’intervento di ampliamento era conforme alle previsioni eccezionali della legge regionale n. 19/2009 sia al momento della sua esecuzione sia al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria.

Tutte le prefate doglianze non meritano condivisione per le ragioni di seguito esplicitate.

4. Quanto alla lamentata violazione delle garanzie partecipative assicurate dagli artt. 7 e 10-bis della legge n. 241/1990, è sufficiente osservare che la natura rigidamente vincolata delle determinazioni in materia di abusi edilizi e, quindi, anche delle determinazioni di sanatoria, esclude la possibilità di apporti partecipativi dei soggetti interessati e, conseguentemente, di un obbligo di previa comunicazione di avvio del procedimento (peraltro escluso in presenza di un procedimento ad istanza di parte) o di previo invio del preavviso di rigetto (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. III, 1° dicembre 2016 n. 5555; TAR Piemonte, Sez. I, 12 agosto 2016 n. 1111).

5. Inconferente appare il richiamo all’art. 33, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001 ed al parere ivi previsto, applicandosi propriamente tale disposizione solo alla fase repressiva degli interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire, e giammai ad eventuali altre fasi provvedimentali poste a monte dell’azione repressiva, come quelle inerenti alle istanze di sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, per le quali la legge prevede un apposito iter procedimentale.

6. E’ pacifico e comprovato dalle emergenze processuali (cfr. elaborati grafici acclusi alle istanze di permesso di costruire in sanatoria presentate nel 2015 e nel 2017) che l’ampliamento del sottotetto sul lato nord è posto ad una distanza inferiore ai 10 metri (e precisamente alla distanza di 8 metri) dalla parete del fabbricato antistante, il quale a sua volta insiste ad una quota inferiore di quasi 2 metri rispetto al piano di calpestio del sottotetto (circa 8,40 metri a fronte di circa 10,60 metri).

6.1 Giova sottolineare, in termini generali, che la disposizione contenuta nell’articolo 9 del d.m. n. 1444/1968, che prescrive la distanza di 10 metri che deve sussistere tra edifici antistanti, ha carattere inderogabile poiché si tratta di norma imperativa, la quale predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza; tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell’interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 settembre 2017 n. 4337).

Va osservato, inoltre, che tale disposizione si applica sia ai “nuovi edifici” – intendendosi per tali gli edifici (o parti e/o sopraelevazioni di essi: cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 agosto 2016 n. 3522) costruiti per la prima volta – ossia alle nuove costruzioni, sia agli interventi di ristrutturazione edilizia che, in ragione dell’entità delle modifiche apportate al volume e alla collocazione del fabbricato, rendano l’opera realizzata nel suo complesso oggettivamente diversa da quella preesistente (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 30 giugno 2017 n. 16268; TAR Lombardia Milano, Sez. II, 30 novembre 2016 n. 2274).

6.2 Ciò chiarito, il Collegio ritiene che l’intervento di ampliamento in questione sia stato correttamente sussunto nell’ambito del concetto di nuova costruzione, poiché la ristrutturazione edilizia sussiste solo quando viene modificato un immobile già esistente nel rispetto delle caratteristiche fondamentali dello stesso, mentre nel caso di specie è stato totalmente trasformato il precedente piano sottotetto abitabile, con conseguente creazione non solo di un apprezzabile aumento volumetrico (in rapporto al volume complessivo dell’intero fabbricato) ma anche di un disegno sagomale con connotati alquanto diversi da quelli della struttura originaria (allungamento delle falde del tetto, perdita degli originari abbaini, sopraelevazione della cassa scale, etc.). Invero, pur consentendo l’art. 10, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 380/2001 di qualificare come interventi di ristrutturazione edilizia anche le attività volte a realizzare un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, implicanti modifiche della volumetria complessiva, della sagoma o dei prospetti, tuttavia occorre conservare sempre una identificabile linea distintiva tra le nozioni di ristrutturazione edilizia e di nuova costruzione, potendo configurarsi la prima solo quando le modifiche volumetriche e di sagoma siano di portata limitata e comunque riconducibili all’organismo preesistente (cfr. TAR Emilia Romagna Bologna, Sez. II, 25 febbraio 2010 n. 1613).

Ne discende che la fattispecie in commento non si presta affatto ad essere disciplinata dal punto 1) dell’art. 9, comma 1, del d.m. n. 1444/1968, ma deve giustamente essere ricondotta all’ambito applicativo del successivo punto 2), che richiede per le nuove costruzioni “in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti”.

7. E’ irrilevante che l’intervento di ampliamento non rechi modifiche alle pregresse distanze dai fabbricati circostanti e sia allineato alla sagoma assentita con il permesso di costruire n. 22/2013. Infatti, va rimarcato che per le distanze tra costruzioni in zona A, posto che il limite di distanza corrispondente a quella tra i volumi edificati preesistenti riguarda soltanto gli interventi di risanamento conservativo e di ristrutturazione, nel caso (eccezionale) di nuova costruzione anche nella suddetta zona si applica la distanza di 10 metri di cui all’art. 9, comma 1, punto 2), del d.m. n. 1444/1968 (orientamento consolidato: cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4337/2017 cit.; Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 gennaio 2003 n. 419; Consiglio di Stato, Sez. V, 19 marzo 1999 n. 280; TAR Liguria, Sez. I, 14 dicembre 2012 n. 1660).

8. Inoltre, vale osservare che il dovere di rispettare le distanze stabilite dall’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 sussiste indipendentemente dall’eventuale differenza di quote esistente tra gli edifici aventi pareti frontistanti e che, ai fini dell’operatività della previsione, è persino sufficiente che sia finestrata anche una sola delle due pareti interessate (come verificatosi nel caso di specie, essendo caratterizzata la superfetazione del sottotetto sul lato nord addirittura da aperture a balcone); tanto si spiega in ragione della portata generale, astratta ed inderogabile della norma, che esclude ogni discrezionalità valutativa, anche del giudice, circa l’esistenza in concreto di intercapedini o di condizioni di pregiudizio alla salubrità e sicurezza dei luoghi (orientamento consolidato: cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 agosto 2016 n. 3522).

Alla luce di quanto esposto, nemmeno può essere valorizzata la distanza dalla precedente scala a chiocciola, configurandosi questa come elemento costruttivo accessorio assolutamente non equiparabile all’ingombro di una parete.

9. Infine, non è ravvisabile alcuna carenza di istruttoria nel provvedimento di diniego del 2017, essendo questo stato emesso sulla scorta degli elaborati documentali forniti dagli stessi interessati in occasione della presentazione della corrispondente istanza di sanatoria, elaborati che davano inequivocabilmente conto della mancata osservanza della distanza legale di 10 metri, come già evidenziato ai precedenti paragrafi 6, 6.1 e 6.2.

9.1 Né riscuote plausibilità la tesi della conformità dell’intervento di ampliamento alle previsioni eccezionali della legge regionale n. 19/2009, dal momento che i benefici ampliativi della volumetria (residenziale) esistente non possono essere riconosciuti per gli interventi che si pongano in contrasto con il rispetto delle distanze minime e delle altezze massime dei fabbricati fissate nel d.m. n. 1444/1968 (cfr. art. 4, comma 2, lett. c), della legge regionale n. 19/2009).

10. Quanto sopra esposto riveste carattere assorbente ed esime il Collegio dall’esaminare le ulteriori censure, con cui parte ricorrente intende contestare i provvedimenti di diniego di sanatoria in ordine ai profili motivazionali dell’incremento dell’altezza della linea di gronda e dell’assenza dell’autorizzazione sismica, dal momento che comunque l’impianto complessivo di tali atti risulta validamente sorretto dalla mancata osservanza della distanza di 10 metri dal fabbricato antistante. Soccorre, al riguardo, il condiviso principio secondo il quale, laddove una determinazione amministrativa di segno negativo tragga forza da una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali sia di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse passi indenne alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall’annullamento (cfr. Consiglio di Stato, A.P., 29 febbraio 2016 n. 5; Consiglio di Stato, Sez. V, 6 marzo 2013 n. 1373 e 27 settembre 2004 n. 6301; Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 luglio 2010 n. 4243).

11. Passando allo scrutinio delle censure dedotte in via autonoma avverso l’ordinanza di demolizione n. 4/2017, si rileva che secondo i ricorrenti essa contrasterebbe sia con l’art. 34, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, dovendosi ritenere preferibile l’alternativa irrogazione della sanzione pecuniaria a fronte del pregiudizio che la riduzione in pristino arrecherebbe alla maggior consistenza del fabbricato, sia con l’art. 37, comma 3, dello stesso d.P.R., essendo stata omessa la doverosa interlocuzione con il Ministero per i beni e le attività culturali in merito alla restituzione in pristino o alla comminatoria del trattamento sanzionatorio pecuniario.

Entrambe le doglianze vanno disattese.

11.1 Quanto alla prima, è sufficiente osservare che l’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 connette la possibile applicazione della misura sanzionatoria di tipo pecuniario all’ipotesi di parziale difformità dal permesso di costruire, mentre nel caso di specie è pacifico che l’intervento abusivo è stato posto in essere in assenza del permesso di costruire, con conseguente doverosità dell’ingiunzione demolitoria imposta dal più rigido meccanismo sanzionatorio contemplato dal precedente art. 31.

11.2 Con riguardo, invece, alla seconda, giova evidenziare l’inconferenza del richiamo alla procedura di interpello disciplinata dall’art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001, giacché essa si attaglia propriamente ai soli interventi in zona A eseguiti in assenza o in difformità dalla SCIA (segnalazione certificata di inizio attività), mentre la fattispecie, si ribadisce, rientra nel novero delle opere realizzate in assenza del permesso di costruire.

12. Infine, alla luce della complessiva trattazione sopra svolta, non possono non perdere consistenza anche le rimanenti censure di invalidità derivata mosse nei confronti della nota di diniego prot. n. 3836/2017 e dell’ordinanza di demolizione n. 4/2017, non essendosi profilata la dedotta illegittimità dei primi due provvedimenti di diniego di sanatoria del 2015.

13. In conclusione, resistendo gli atti impugnati a tutte le censure prospettate, il ricorso, come integrato dai motivi aggiunti, deve essere respinto siccome infondato.

Le spese processuali devono essere addebitate alla soccombente parte ricorrente, nella misura liquidata in dispositivo, disponendosi l’attribuzione nei confronti del difensore dell’amministrazione comunale dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna i ricorrenti in solido a rifondere in favore del Comune di Grumo Nevano le spese processuali, che si liquidano in complessivi € 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre IVA e CPA come per legge, con attribuzione al difensore antistatario.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2017 con l’intervento dei magistrati:

  • Giancarlo Pennetti, Presidente
  • Gabriele Nunziata, Consigliere
  • Carlo Dell’Olio, Consigliere, Estensore