A cura dell’avv. Gaetano Pecoraro
E’ di recente pubblicazione la sentenza Cassazione Penale n. 12350 del 17 marzo 2014, che qui riportiamo, che fa il punto della situazione circa i rapporti tra il reato di lottizzazione abusiva, la successiva sanatoria del singolo abuso, e la confisca dei terreni.
In particolare, per gli Ermellini, l’intervenuto rilascio del “condono” non comporta automaticamente la revoca del provvedimento di confisca, dovendo il Giudice penale dell’esecuzione verificare la legittimità del provvedimento amministrativo, seppur incidenter tantum (spettando tale cognizione, ordinariamente, al Giudice amministrativo), e laddove ravvisi la sua non conformità a diritto, lo dovrà disapplicare, ovvero non attribuirgli rilevanza penale, con conseguente conferma della confisca degli immobili che hanno dato origine alla lottizzazione abusiva.
Se il provvedimento di condono del singolo abuso può non avere rilevanza in ordine alla confisca, rimane comunque certo che alcun effetto esso produce sul reato di lottizzazione abusiva.
Pubblichiamo la sentenza della Corte Suprema di Cassazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte Suprema di Cassazione (Sezione Terza)
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
- Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente
- Dott. LOMBARDI Alfredo M. – Consigliere
- Dott. GRILLO Renato – rel. Consigliere
- Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere
- Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere
HA PRONUNCIATO LA PRESENTE SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.P. N. IL (OMISSIS);
D.N. N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 22/2012 TRIB.SEZ.DIST. di ANDRIA, del 08/10/2012;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
lette le conclusioni del PG: inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1.1 Con ordinanza dell8 ottobre 2012 il Tribunale di Trani – Sezione Distaccata di Andria – quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza di dissequestro avanzata da P.P. e D. N., relativa ad un manufatto edilizio realizzato su area abusivamente lottizzata, ritenendo privo di rilevanza il provvedimento di sanatoria adottato a seguito di presentazione di istanza di condono ex L. n. 724 del 1994, in quanto essendo stato l’intero cantiere edile sottoposto a sequestro il 24 dicembre 1991, era da presumere che i lavori edili iniziati sull’area acquistata 50 giorni prima, alla data del 31 dicembre 1993 (data utile per il conseguimento della sanatoria) non fossero stati ultimati.
1.2 Avverso il detto provvedimento propongono ricorso la P. ed il D. a mezzo del loro difensore di fiducia, deducendo, con un primo motivo, violazione di legge per avere il giudice esercitato poteri di stretta competenza dell’Autorità Amministrativa, avendo ritenuto illegittimo il provvedimento di sanatoria senza neanche verificare la sussistenza dei presupposti per l’emissione di tale provvedimento. Con un secondo motivo la difesa l’erronea applicazione della legge penale con riferimento alla Legge fondamentale urbanistica n. 47 del 1985, art. 43, comma 5 in relazione alla L. n. 724 del 1994, art. 39 e manifesta illogicità della motivazione. Con un terzo motivo viene dedotta violazione della legge penale processuale per sua inosservanza e/o erronea applicazione in relazione all’art. 666 c.p.p., comma 5.
Con l’ultimo motivo viene dedotta la manifesta illogicità della motivazione nella parte della sentenza in cui si afferma l’impossibilità di ultimare i lavori edilizi in cinquanta giorni e comunque prima della scadenza del termine del 31 dicembre 1993.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
2. Va premesso, in punto di fatto, che con sentenza del 9 luglio 1994, divenuta definitiva il 31 gennaio 2001, P.P. veniva condannata per i concorrenti reati di lottizzazione abusiva e costruzione abusiva di un manufatto su area abusivamente lottizzata. L’area suddetta, unitamente al manufatto su di essa insistente, veniva definitivamente confiscata in sede di esecuzione.
Successivamente il Comune di Andria rilasciava alla detta P. concessione edilizia in sanatoria in data 20 marzo 2012 per la porzione di fabbricato sita al piano terra per uso deposito, mentre in pari data alla stessa P. – quale proprietaria e a D.N., quale soggetto richiedente – veniva rilasciata altra concessione in sanatoria per la porzione del fabbricato ubicata al primo piano per uso abitazione. Per effetto di tali provvedimenti entrambi i detti soggetti avevano inoltrato – limitatamente ai fabbricati oggetto del condono che aveva dato luogo al rilascio delle due concessioni in sanatoria – istanza al Tribunale per la revoca della confisca, istanza che veniva rigettata con il provvedimento oggi impugnato.
3. Tanto precisato, con il primo motivo si lamenta che il giudice non si è limitato a verificare la compatibilità tra il procedimento amministrativo di rilascio della concessione edilizia e il precedente provvedimento di confisca, ma avrebbe esorbitato dalle sue prerogative sindacando la potestà amministrativa di rilascio della concessione in quanto a suo avviso esercitata in assenza dei requisiti richiesti.
3.1 Tale censura non può essere condivisa: come correttamente dedotto dal P.G. requirente e come pacificamente risulta dalla legislazione disciplinante la materia, il giudice penale chiamato a pronunciarsi su una eventuale revoca della confisca ricollegata al rilascio di un provvedimento di sanatoria emesso dall’Autorità amministrativa è, comunque, tenuto a valutare la legittimità di tale ultimo provvedimento, in quanto è solo per effetto di un legittimo rilascio della concessione in sanatoria per condono che è possibile rivisitare la questione riguardante la confisca dei manufatti abusivamente realizzati su area abusivamente lottizzata e dunque confiscata.
3.2 Va, in altri termini, esaminata da parte del giudice penale la questione del rapporto intercorrente tra la confisca obbligatoria delle opere abusivamente costruite sul terreno lottizzato ed un’eventuale sanatoria delle stesse per “condono edilizio”. In proposito si ricorda che la Legge fondamentale urbanistica n. 47 del 1985, art. 35, comma 13 dispone che “per le costruzioni ed altre opere di cui all’art. 31, comma 1, realizzate in comprensori la cui lottizzazione sarebbe dovuta avvenire a norma della L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 8, il versamento dovuto per l’oblazione di cui all’art. 31 non costituisce titolo per ottenere il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, che resta subordinata anche all’impegno di partecipare pro-quota agli oneri di urbanizzazione dell’intero comprensorio in sede di stipula della convenzione”.
3.3 Ne consegue che il titolo abilitativo sopravvenuto legittima soltanto l’opera edilizia in quanto tale, ma non si estende alla possibilità di rivedere la questione riguardante la lottizzazione: ciò è tanto vero che è stato affermato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema il principio che anche se, per ipotesi, avvenga il rilascio di una pluralità di concessioni edilizie nell’area interessata da una lottizzazione abusiva ciò “non rende lecita un’attività che tale non è: la concessione non ha, infatti, una funzione strumentale urbanistica di pianificazione dell’uso del territorio” (Cass., Sez. 3, 21.4.1989, n. 6160, Greco, Rv. 181117).
3.4 E’, di contro, possibile che i singoli manufatti abusivamente eseguiti in quell’area, in attuazione del fine lottizzatorio e nell’ambito della lottizzazione, possano essere “sanati”, previa valutazione globale dell’attività di lottizzazione secondo lo speciale meccanismo previsto dalla L. n. 47 del 1985, art. 29 e art. 35, comma 13: il che comporta per il giudice penale, l’obbligo di valutare in concreto i presupposti della confisca, limitatamente alle opere edili sanate.
3.5 Rientra, ancora, nelle prerogative del giudice penale il potere di verificare la sussistenza dei presupposti affinchè possa essere applicata la speciale causa di estinzione determinata dal condono previsto dalla L. n. 724 del 1994, art. 39, il che inevitabilmente si riflette sulla legittimità, o meno, del provvedimento di concessione in sanatoria.
3.6 Trattasi, indiscutibilmente, di un potere di controllo riservato esclusivamente al giudice penale il quale, nell’ambito di tali poteri di verifica, dovrà accertare la sussistenza dei requisiti idonei al rilascio del titolo abilitativo. Più in particolare il giudice (penale) è tenuto ad accertare il tipo di intervento realizzato e la sua riconducibilità agli schemi della L. n. 47 del 1985, art. 20; la consistenza volumetrica dell’immobile; la data di ultimazione dei lavori (secondo la nozione fornita dalla L. n. 47 del 1985, art. 31) entro il termine previsto; la tempestività della presentazione, da parte dell’imputato (o di eventuali comproprietari) di una domanda di sanatoria riferita puntualmente alle opere abusive contestate nel capo di imputazione; l’avvenuto “integrale versamento” della somma dovuta ai fini dell’oblazione, ritenuta congrua dall’Amministrazione comunale, (in termini Sez. 3A 15.10.1997 n. 10512, P.M. in proc. Mazzola P., Rv. 209074).
3.7 Laddove i presupposti anzidetti (o anche uno solo di essi) siano inesistenti, il giudice dovrà dichiarare non integrata la fattispecie estintiva ed adottare le conseguenti determinazioni, disapplicando l’atto amministrativo ovvero non attribuendogli rilevanza penale, (in termini Sez. 3^ 21.11.2007 n. 9982, Quattrone, Rv. 238982; idem 28.9.2010 n. 40475, Ventrici, Rv. 249306, secondo la quale il giudice dell’esecuzione ha il dovere di controllare la legittimità dell’atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio).
4. Il secondo e terzo motivo, esaminabili congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono ugualmente infondati. Come è noto, la nozione di ultimazione dei lavori assume un diverso significato se prospettata ai fini della individuazione del momento di cessazione della permanenza ovvero del condono edilizio.
4.1 Sotto quest’ultimo profilo, il concetto di “ultimazione” dell’immobile ai fini dell’applicazione della sanatoria edilizia si desume dalla formulazione della L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 31, che considera tali gli edifici per i quali sia completato il rustico ed eseguita la copertura (ovvero, quanto alle opere interne o agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente) essendo la normativa del 1985 espressamente richiamata dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724 (Sez. 3A 12.8.1997 n. 9011, Di Fiore G., Rv. 208861; v. anche Sez. 3A 12.4.1999 n. 6548, Blando N., Rv. 213982; idem 2.12.2008 n. 8064, P.G. in proc. Dominelli e altro, Rv. 242740).
4.2 Secondo un consolidato indirizzo di questa Corte Suprema in tema di condono edilizio, la disposizione (L. n. 47 del 1985, art. 43) ai sensi della quale anche le opere non ultimate nei modi e tempi prescritti per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali, possono ottenere la sanatoria a seguito di condono, va intesa quale norma di favore relativa anche ai provvedimenti del giudice penale (Sez. 3A 25.3.2009 n. 20135, D’Antonio e altro, Rv. 243766). Tuttavia se ciò comporta una deroga al regime ordinario della sanatoria previsto in via generale dalla citata Legge, art. 31, nel caso in esame la valutazione espressa dal Tribunale circa l’impossibilità che il completamento delle strutture possa essere avvenuto nei cinquanta giorni prima antecedenti al sequestro penale è pur sempre un giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità laddove congruamente e logicamente motivato: il che è certamente avvenuto nel caso di specie, posto che non vi sono elementi tali da far ritenere che la valutazione operata dal giudice dell’esecuzione sia fuori dalla logica, tanto più che il ricorrente non spiega che tipo di interventi edilizi siano stati fatti. Nè può soccorrere la circostanza accennata nel terzo motivo di ricorso circa le ripetute violazioni di sigilli dopo l’adozione del provvedimento iniziale di sequestro, indicative – a dire dei ricorrenti – di un verosimile completamento delle strutture nel termine e modo voluto dal legislatore, in quanto gli elementi forniti sono assolutamente vaghi ed incerti in ordine alla consistenza di tali ulteriori interventi (illegittimi).
4.3 Invero nel provvedimento impugnato si fa cenno proprio alla carenza documentale relativa ai dati delle domande di condono edilizio quale ragione ostativa alla revoca della confisca limitatamente ai due manufatti (piano terra e primo piano).
5. Sotto altro profilo la censura mossa dai ricorrenti circa l’inosservanza da parte del giudice dell’esecuzione del disposto di cui all’art. 666 c.p.p., comma 5 non può essere condivisa, anzitutto perchè l’attività istruttoria esercitabile da parte del giudice rientra nelle sue facoltà discrezionali e non costituisce un obbligo; ancora, perchè – secondo la insindacabile valutazione operata da parte del giudice – non vi erano agli atti elementi tali da far ritenere che le strutture potessero ragionevolmente essere ultimate nei termini di legge secondo l’accezione voluta dal legislatore. Anche in questo caso la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto che “nel procedimento di esecuzione, l’acquisizione di atti, anche in copia, del procedimento di cognizione non costituisce attività istruttoria soggetta alle regole del contraddittorio, dal momento che l’intero fascicolo del procedimento di cognizione deve ritenersi sempre a disposizione del giudice dell’esecuzione che lo può (e, il più dello volte, lo deve) consultare” (Sez. 1A 30.11.2005 n. 1396, Fiorella e altri, Rv. 233102).
5.1 In altri termini, posto che il giudice dell’esecuzione ha la facoltà di consultare il fascicolo della cognizione, l’avere egli ritenuto che mancassero elementi tali da far ritenere avvenuto il completamento delle strutture nel termine di 50 giorni intercorrenti tra la data di inizio dei lavori e la data del sequestro, alla luce della consistenza volumetrica dell’edificio, implica una valutazione di merito espressa sulla base di tutti gli atti disponibili, essendo comunque onere degli istanti quello di provare un fatto contrario o comunque confermativo della loro tesi, come, in astratto, fatture di acquisto di materiali; pagamento degli operai, etc..
6. Del tutto generica si profila la censura contenuta nel quarto motivo, anche perchè frutto – di mere supposizioni, senza alcun aggancio a circostanze concrete (anzi, l’accenno alla realizzazione di un fabbricato di due elevazioni fuori terra con volumetria di circa 1.200 metri cubi finisce con l’accentuare la genericità delle conclusioni prospettate dalla difesa proprio per la particolare consistenza dei lavori incompatibile con una ultimazione rapida delle strutture come correttamente ritenuto dal giudice).
7. Alla stregua di tali considerazioni il ricorso va rigettato: segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2014