A cura dell’avv. Xavier Santiapichi
Con il Decreto che oggi pubblichiamo, il Tribunale civile di Roma ha rigettato il ricorso ex art. 95 del D.P.R. 396/2000 proposto da due donne sposate in Portogallo, avverso il diniego di trascrizione del loro matrimonio, opposto dall’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di Roma.
Il Giudice di Roma ha ritenuto che ad oggi la legge italiana, per la validità giuridica dell’atto di matrimonio, richiede la diversità di sesso dei nubendi e “l’eventuale equiparazione dei matrimoni omosessuali a quelli celebrati tra persone di sesso diverso e la relativa trascrizione dei registri dello stato civile rientrano nella competenza del legislatore nazionale” che, tuttavia, non ha provveduto in tal senso.
Per questo vuoto normativo il matrimonio contratto tra persone dello stesso sesso è esistente ma inidoneo, al momento, a produrre effetti giuridici all’interno dell’ordinamento italiano e, conseguentemente, non può essere trascritto.
La stessa Corte di legittimità, con sentenza n. 4184/2012 ha ritenuto che “l’intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende non più dalla loro inesistenza.. e neppure dalla loro invalidità, ma dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio appunto, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano”.
Da ciò deriva, per il Tribunale di Roma, la legittimità del diniego alla trascrizione dell’Ufficiale incaricato, che, sul presupposto di una interpretazione letterale della norma di riferimento, ha ritenuto che il matrimonio celebrato tra persone dello stesso sesso contrasti con l’art. 107 c.c. dell’ordinamento italiano che, utilizzando i termini “marito” e “moglie”, prevede la diversità di sesso dei nubendi come requisito necessario affinché il matrimonio produca i suoi effetti giuridici per l’ordinamento italiano, come già affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza 4184/2012 e dalla circolare del Ministero dell’Interno prot. 10863 del 7.10.2014.
Un’interpretazione in tal senso della norma, ad avviso delle Ricorrenti, sarebbe del tutto contrastante con il principio costituzionale di eguaglianza sancito dall’art. 2 della Costituzione e con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, in quanto, il diritto di sposarsi configurerebbe un diritto fondamentale della persona riconosciuto a livello nazionale dalla menzionata norma costituzionale, nonché, a livello sovranazionale, dagli artt. 12 e 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo del 1948; dagli artt. 8 e 12 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; dagli artt. 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata a Nizza il 7.12.2000.
Inoltre, la disparità di trattamento per le due donne deriverebbe dal diverso trattamento riserbato dalla legge italiana alle persone transessuali che, ottenuta la rettifica dell’attribuzione del sesso ai sensi della l. n. 164 del 1982, possono contrarre matrimonio con persone del proprio sesso di nascita.
Dello stesso avviso non è, comunque, il Giudice adito che distingue il problema del riconoscimento di un atto come vincolo matrimoniale tra omosessuali dalla questione del generale riconoscimento giuridico del rapporto che si instaura in termini di convivenza more uxorio tra due persone dello stesso sesso.
Infatti le unioni omosessuali, segnala il Giudice, sono già inquadrate, per rinomata giurisprudenza, tra le formazioni sociali di cui all’art. 2 della Costituzione e, come tali, hanno ottenuto riconoscimento giuridico ma ciò non comporta la necessaria equiparazione della unione omosessuale al matrimonio (cfr. sent. cass. civ. n. 138 del 2010) e l’individuazione delle forme di garanzia e di riconoscimento di queste unioni, spetta, comunque, al Parlamento.
A sostegno della propria tesi il Giudice di Roma, inoltre, segnala che già la Corte di Cassazione con pronuncia n. 2400 del 2015, aveva affermato che il matrimonio omosessuale non sarà trascrivibile almeno fino a quando il Parlamento non avrà espressamente previsto di estendere l’unione matrimoniale alle persone dello stesso sesso chiarendo che a livello europeo sussiste il principio del margine di apprezzamento per gli Stati membri ai quali è lasciata discrezionalità nella scelta delle forme e della disciplina giuridica dell’unione matrimoniale anche, eventualmente, tra persone dello stesso sesso.
Per la giurisprudenza riportata, comunque, l’eventuale mancata estensione del modello matrimoniale alle persone dello stesso sesso non costituirebbe una lesione della dignità umana e dell’uguaglianza che sono tutelate nelle situazioni individuali ed in quelle relazionali rientranti nelle formazioni sociali protette dagli artt. 2 e 3 della Costituzione.
Con il Decreto in commento e con la nuova giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. sent. n. 4899/2015) assistiamo ad un vero e proprio arresto del riconoscimento italiano dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, in conformità a quanto aveva già ordinato la circolare Alfano del 7 ottobre 2014.
Quest’ultima, infatti, ha disposto il blocco delle trascrizioni e l’annullamento d’ufficio di quelle già intervenute, provocando numerose azioni giudiziarie dinanzi al Tribunale ordinario ed a quello amministrativo.
Avverso il rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di trascrivere il matrimonio, l’ordinamento prevede la possibilità di proporre ricorso ex. art. 95 dpr n. 396/2000 “Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile” per “opporsi a un rifiuto dell’ufficiale dello stato civile … di eseguire una trascrizione”. In questo caso, recita lo stesso articolo 95 “si propone ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio dello stato civile presso il quale .. si chiede che sia eseguito l’adempimento”.
L’azione civile, come il caso di specie dimostra, non è, comunque, al momento accoglibile dai Giudici ordinari che ritengono, nel merito, vi sia un vuoto normativo che non permette di trascrivere il matrimonio omosessuale.
Diversi sono i casi in cui le trascrizioni sono già intervenute ed il Prefetto ne ha disposto l’annullamento. In tali circostanze, infatti, le azioni sono state proposte dinanzi ai TAR, avverso i provvedimenti di annullamento dei Prefetti.
In generale i Tribunali di giustizia amministrativa (cfr. per tutte sent. Tar Lazio, Roma, n. 5954/2015) hanno accolto i suddetti ricorsi ritenendo la competenza per l’annullamento delle trascrizioni solo in capo ai Tribunali civili; a loro avviso nessun potere in tal senso sarebbe dato al Ministero dell’Interno, né al Prefetto.
Il definitivo avallo all’annullamento di queste trascrizioni è stato, però, dato dal Consiglio di Stato che in riforma della riportata pronuncia del Tar Lazio n. 5954/2015, con sentenza n. 4899/2015 ha chiarito che i Prefetti hanno il potere di “autotutela sugli atti adottati contra legem dall’organo subordinato”.
In sostanza la giurisprudenza, sia civile che amministrativa, ha scelto di adempiere alla circolare Alfano: la prima ha ritenuto la legittimità del rifiuto degli ufficiali dello stato civile di trascrivere i matrimoni omosessuali; l’altra ha riconosciuto l’efficacia dell’annullamento delle stesse trascrizioni disposte dai Prefetti.