Pubblicato su Guida al Diritto 01/02/2011 – n. 1 – pag.74 di Santiapichi Xavier
Il decreto legislativo 205/2010 apre chiarendo il ruolo cooperativo delle diverse amministrazioni coinvolte nella difficile gestione della tematica dei rifiuti disponendo – con norma evidentemente di puro principio.
Per conseguire le finalità e gli obiettivi di cui ai commi da 1 a 4, lo Stato, le regioni, le province autonome e gli enti locali esercitano i poteri e le funzioni di rispettiva competenza in materia di gestione dei rifiuti in conformità alle disposizioni di cui alla parte quarta del presente decreto, adottando ogni opportuna azione ed avvalendosi, ove opportuno, mediante accordi, contratti di programma o protocolli d’intesa anche sperimentali, di soggetti pubblici o privati.
Ovviamente l’ordine utilizzato dal Legislatore non è casuale; si parte dall’ente esponenziale maggiore per giungere al minore. Non si faccia però lo sbaglio di definire la competenza sulla base di questa mera elencazione. Il richiamo operato dalla stessa norma alle disposizioni della parte IV del Dlgs 152/2006 svuota sostanzialmente di contenuti il principio, rinviando appunto alle disposizioni successive.
Si noti che nel testo originario questa norma – seppure, come detto, di mero principio – non esisteva. Il correttivo ha voluto in qualche modo ribadire la centralità del tema, pretendendo di coinvolgere tutti gli enti, compresa l’amministrazione centrale, nell’esercizio di poteri e funzioni in materia di rifiuti.
L’obbligo di cooperare consegue al successivo comma 4 dell’articolo 177 e all’articolo 178 del Tua, poiché le amministrazioni citate devono costituire un «sistema compiuto e sinergico», con l’obbligo di armonizzare le disposizioni tecniche, gli obiettivi da perseguire, i sistemi di accreditamento e di certificazione. Il senso dell’intervento normativo è quello di riportare le diverse amministrazioni coinvolte a una visione unitaria della problematica e non, com’è accaduto sino a oggi, di aggiungere centri di potere e burocratizzare la gestione dei rifiuti.
Competenze nazionali, provinciali e comunali
(Dlgs 205/2010, articoli 18 e 19) – Il riparto di competenze tra organi dello Stato è definito dagli articoli da 195 a 198 del codice dell’ambiente. Solo due dei quattro articoli citati sono stati modificati dal correttivo: il 195 in particolare – relativo alle competenze statali – ha subito una profonda rivisitazione, da un lato al fine di ribadire il ruolo programmatico e di indirizzo dell’amministrazione centrale, d’altro lato per favorire un reale processo di federalismo regionale e di delega agli enti locali. La novella ribadisce, si tratta ormai di una consuetudine legislativa, il ruolo di affiancamento della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del Dlgs 281/1997 in tutte le decisioni rilevanti assunte dallo Stato, sempre a proposito dell’attività di programmazione, indirizzo e coordinamento a esso riservate.
Il ruolo forte di programmazione attribuito all’amministrazione nazionale passa oggi attraverso la necessità di predisporre delle linee-guida circa i contenuti minimi delle autorizzazioni per gli impianti, circa le modalità e i limiti del recupero energetico, circa l’individuazione di una codifica omogenea per le operazioni di recupero e smaltimento da inserire nei provvedimenti autorizzativi da parte delle autorità competenti e, infine, circa l’individuazione delle procedure analitiche, dei criteri e delle metodologie per la classificazione dei rifiuti pericolosi.
L’altra norma modificata è quella riguardante la competenza delle province; resta fermo il ruolo sostanzialmente ispettivo e di controllo delle amministrazioni provinciali e la novella si limita a intervenire chirurgicamente, includendo gli enti che producono rifiuti pericolosi tra i soggetti che possono subire controlli e ad attribuire la facoltà delle province di tener conto, nella determinazione della frequenza dei controlli, delle registrazioni ottenute dai destinatari nell’ambito del sistema comunitario di ecogestione e audit.
Il nuovo regime dei Piani regionali (Dlgs 205/2010, articolo 20)
L’articolo 199 – relativo ai piani regionali di gestione dei rifiuti – ha subito diverse modifiche, la prima delle quali richiama l’applicazione delle disposizioni del titolo II, parte I dello stesso codice dell’ambiente, in relazione alla necessità che l’approvazione dei piani stessi sia preceduta dal procedimento di Valutazione ambientale strategica.
Non è un rinvio necessario, ancorché esso è certamente opportuno. La disposizione sulla Valutazione ambientale strategica si innesta in tutti i procedimenti di pianificazione e programmazione, a prescindere dal richiamo operato dalle disposizioni di settore, tuttavia troppo spesso la valutazione strategica viene ignorata; quando conosciuta è considerata un inutile aggravio procedurale. In realtà proprio i piani a maggior impatto
sugli ecosistemi non possono prescindere dal ritenere l’Ambiente come un fattore a considerazione necessaria, obiettivo perseguito dalla Vas.
Proseguendo l’analisi si nota che il Legislatore del 2010, sin dalla definizione dei contenuti minimi dei Piani regionali, ha imposto la necessità di non limitarsi all’esame delle misure tese alla riduzione delle quantità, dei volumi e della pericolosità dei rifiuti (come disponeva il vecchio comma 2 dell’articolo 199) ma di includere l’analisi della gestione dei rifiuti esistente nell’ambito geografico interessato, le misure da adottare per migliorare l’efficacia ambientale delle diverse operazioni di gestione dei rifiuti, nonché una valutazione del modo in cui i piani contribuiscono all’attuazione degli obiettivi e delle disposizioni della parte quarta del presente decreto.
I Piani regionali devono cessare di rappresentare un inutile libro dei sogni, ma divenire degli effettivi strumenti di programmazione includenti non solo gli obiettivi di raccolta differenziata, ma le scelte di pianificazione impiantistica.
In linea con le scelte strategiche di livello nazionale (ex articolo 180) i piani regionali devono contenere un programma di prevenzione della produzione dei rifiuti, che descriva le misure di prevenzione esistenti e fissi ulteriori misure adeguate. Il programma deve anche farsi carico di definire specifici obiettivi di prevenzione.
La nuova disposizione stabilisce che le misure e gli obiettivi dei piani devono essere finalizzati a dissociare
la crescita economica dagli impatti ambientali connessi alla produzione dei rifiuti. Viene quindi superato a livello legislativo il limite dello sviluppo sostenibile, legato all’equazione maggior crescita maggior impatto ambientale e si pretende che sin dalla fase di programmazione il rifiuto assuma le vesti di una effettiva risorsa, che non crea inquinamento.
La questione della soppressione degli ambiti territoriali ottimali
La modifica al codice dell’ambiente non interviene sulla questione più delicata e di maggiore attualità: la soppressione (ovvero la sostituzione) degli ambiti territoriali ottimali. Va detto che il Dl 191/2009 convertito dalla legge 42/2010, con il comma 186-bis dell’articolo 2 ha stabilito che, a far data dal 2011, sono soppresse le Autorità d’ambito operanti per la gestione integrata dei sevizi, rispettivamente, idrico (articolo 148 del Dlgs 152/2006) e dei rifiuti (articolo 201). La norma prevede che, trascorsa tale data, ogni atto compiuto dalle autorità debba considerarsi nullo; e che gli articoli 148 e 201 del Dlgs n. 163 dovranno considerarsi comunque abrogati. Entro la stessa data, le regioni debbono provvedere ad attribuire con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità d’ambito, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
In realtà il Legislatore non ha abrogato le ulteriori norme del Tua che regolano l’organizzazione territoriale del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, attraverso gli ambiti territoriali ottimali, l’affidamento del servizio, i contratti di servizio, le gestioni esistenti. Ciò provoca anche problemi di coordinamento normativo.
La legge sopprime una struttura – l’Autorità d’ambito – dotata di personalità giuridica, costituita in ciascun ambito territoriale ottimale (delimitato dalla competente regione), alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente. In particolare, l’articolo 200 del Dlgs n. 152 prevede che la gestione dei rifiuti sia organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali, improntati, fra gli altri, ai criteri del superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata; del conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative; della valorizzazione di esigenze comuni e affinità nella produzione e gestione dei rifiuti.
Nella riflessione giuridica in atto e nei disegni di legge regionali in itinere l’ente tendenzialmente destinatario delle competenze già attribuite all’Autorità d’ambito, e sulla base delle indicazioni desumibili dal Legislatore, viene identificato nelle province, enti di area vasta, già titolari, nella materia della gestione dei rifiuti, di funzioni amministrative di programmazione e organizzazione. I comuni, infatti, sono titolari, secondo il disposto legislativo, di compiti di prossimità, in quanto tali definiti in termini di concorso nell’ambito territoriale ottimale.
Autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti (Dlgs 205/2010, articolo 22)
Quanto al procedimento autorizzativo per la realizzazione dei nuovi impianti il Dlgs n. 205 ha sensibilmente modificato la disciplina. Il nuovo articolo 208 del Tua prevede oggi:
- la partecipazione in sede di conferenza non più di tutti gli enti interessati alla realizzazione dell’intervento, ma dei soli comuni sul cui territorio l’intervento è realizzato; si tratta certamente di una agevolazione procedurale che tuttavia può finire per escludere i soggetti rappresentanti di quelle comunità a carico delle quali si realizzano le ricadute maggiori, che non necessariamente sono le stesse amministrazioni nel cui territorio viene realizzato l’impianto;
- la replica (assunta sempre a maggioranza) dalla conferenza di servizi alle opinioni dissenzienti dei partecipanti non deve essere più analiticamente motivata. La sola motivazione (evidentemente sintetica) è ritenuta sufficiente;
- la stessa conferenza di servizi non è più chiamata a valutare tutte le «esigenze ambientali e territoriali» ma deve limitarsi a esaminare i punti indicati dal comma 4 dell’articolo 177 del codice dell’ambiente (che contiene l’elenco di alcune – non tutte – componenti ambientali; è assente ogni riferimento alla salute/sicurezza pubblica);
- dal tenore testuale del novellato comma 4 – rispetto alla decisione finale della regione – qualifica il parere della conferenza di servizi come obbligatorio, ma non più vincolante (il Dlgs n. 205 aggiunge l’espressione «valutando le risultanze della stessa» in sostituzione dell’antecedente «sulla base delle risultanze della stessa»);
- si ribadisce la responsabilità dell’amministrazione che non conclude il procedimento nei termini;
- una volta eliminati i riferimenti relativi al potenziale energetico dei rifiuti destinati alla termovalorizzazione (in altra parte della norma non si prevede più il rinvio a un Dm che li definisce) si prevede oggi che le autorizzazioni concernenti l’incenerimento o il coincenerimento con recupero di energia sono subordinate alla condizione che il recupero avvenga con un livello elevato di efficienza energetica, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili.