A cura dell’avv. Nicoletta Tradardi
Con la pronuncia che si annota, il Tar Lazio, Roma (sez. II bis) si è espresso sull’ambito di operatività della l.r. Lazio sulla Rigenerazione Urbana (n. 7 del 2017, intitolata Disposizioni per la rigenerazione urbana e per il recupero edilizio), sotto tre distinti profili.
Gli interventi in essa contemplati – secondo la previsione normativa – possono eseguirsi su edifici legittimamente realizzati o legittimati, mediante sanatoria o condono edilizio (art. 1 co. 2, nostra enfasi). Anche la Circolare esplicativa emanata dalla Regione Lazio (DGR n. 867 del 19.1.2017) conferma l’applicabilità della disciplina agli edifici legittimi o legittimati e che siano stati già realizzati.
Su questo primo aspetto interviene la sentenza in commento, per puntualizzare che il requisito della regolarità urbanistico/edilizia è legato dalla norma all’edificio (inteso nel suo complesso e, quindi, legittim(at)o nell’ingombro urbanistico), mentre l’eventuale sussistenza di abusi edilizi circoscritti a singole porzioni del fabbricato, non costituisce di per sé causa ostativa all’applicazione della disciplina della l.r. 7/2017. Qualora nell’edificio legittimamente realizzato sarebbe consentito, in astratto, l’intervento richiesto, se esso è già stato realizzato abusivamente, deve essere considerato suscettibile di sanatoria.
Nel caso esaminato dalla sentenza, il Comune aveva ritenuto inammissibile la Scia presentata ai sensi della l.r. 7/2017, escludendo l’applicabilità della disciplina per un cambio di destinazione d’uso funzionale urbanisticamente rilevante, dalla categoria turistico – ricettiva a quella residenziale, poiché l’intervento era già stato eseguito in assenza di titolo (così recita la decisione: “né rileva, ai fini dell’ammissibilità della segnalazione, … che l’intervento di modifica, senza opere, della destinazione d’uso da parte degli interessati sia stato già attuato abusivamente, potendo detto istituto operare anche in sanatoria”).
La pronuncia esamina anche un secondo profilo. Sul fabbricato (a quanto è dato ricostruire) grava un atto d’obbligo (trascritto) a non modificare la destinazione d’uso dell’immobile ed a destinare a parcheggio una parte della superficie.
L’esistenza di questo atto d’obbligo era stata opposta dal Comune ai fini della realizzazione dell’intervento.
La sentenza, invece, chiarisce che, poiché l’atto d’obbligo contiene una clausola di riconsiderazione degli obblighi ivi contenuti, va esclusa una sua immodificabilità assoluta. Soprattutto, però, la pronuncia segnala che la l.r. n. 7/2017 consente i cambi nelle destinazioni d’uso previste dagli strumenti urbanistici generali, con (la necessità di verificare) un eventuale superamento dei vincoli contenuti nell’atto d’obbligo.
Infine, il Comune aveva opposto il mancato rispetto, nel caso concreto, del limite dimensionale minimo previsto dalle NTA del PRG per l’uso residenziale. La pronuncia non ha ritenuto la circostanza di per sé ostativa alla realizzabilità dell’intervento, perché la l.r. n. 7/2017 contempla possibilità di deroghe alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente e possibilità di monetizzare gli oneri derivanti dall’incidenza sul carico urbanistico.
Dal punto di vista processuale, la sentenza, sulla base degli argomenti esposti, ha accolto il ricorso per carenza di istruttoria e di motivazione del provvedimento dell’amministrazione, restando salve le successive determinazioni da adottare nel rispetto della decisione del Giudice.
N. 11938/2018 REG.PROV.COLL.
N. 11652/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 c.p.a.;
sul ricorso numero di registro generale 11652 del 2018, proposto da Emanuele Amati, rappresentato e difeso dall’avvocato Alvise Vergerio Di Cesana, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo in Roma, via G.P. da Palestrina, n. 19 e domicilio digitale come da p.e.c. da Registri di Giustizia;
CONTRO
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Andrea Magnanelli, con domicilio digitale all’indirizzo p.e.c. andrea.magnanelli02@pec.comune.roma.it;
NEI CONFRONTI DI
Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore della Giunta regionale, non costituita in giudizio;
PER L’ANNULLAMENTO
– del provvedimento di Roma Capitale, Municipio Roma IV, Direzione Tecnica, Servizio III, prot. CE n. 96542 in data 23.7.2018, con il quale è stata dichiarata “inammissibile” la Scia prot. n. CE/82813 in data 26.6.2018, presentata dalla parte ricorrente, in virtù degli artt. 4 e 6 della L.R. del Lazio n.7/2017, per il cambio di destinazione d’uso senza opere dell’unità immobiliare ubicata in Roma, Viale Palmiro Togliatti nn. 1506 – 1520 da turistico-ricettiva a residenziale;
– del provvedimento di Roma Capitale, Municipio Roma IV, Direzione Tecnica, Servizio III, prot. CE n. 106760 in data 13.8.2018, on il quale si è reso noto alla parte ricorrente che le osservazioni presentate nel procedimento non avrebbero consentito il superamento dei motivi di diniego in questione, i quali sono stati confermati unitamente alla “inammissibilità” della Scia da considerarsi “archiviata”, con la precisazione che eventuali opere realizzate saranno considerate abusive e perseguite ai sensi di legge;
– della determinazione dirigenziale di Roma Capitale, Municipio IV, Direzione tecnica, Urbanistica edilizia privata: ispettorato, disciplina, contrasto abusivismo, Ufficio disciplina edilizia, prot. n. CE/74579/2018 e rep. n. CE/1287/2018 in data 12.6.2018, notificata in data 9.8.2018, con la quale è stata ingiunta alla parte ricorrente la rimozione entro 60 giorni del cambio di destinazione d’uso senza opere reputato illegittimo, con avvertenza che in difetto, senza pregiudizio dell’azione penale, si procederà in via coattiva a spese del presunto trasgressore;
– di ogni altro atto presupposto, consequenziale e comunque connesso, compresi, ove occorra: a) la comunicazione ex art. 27, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001 della Polizia municipale; b) la relazione tecnica d’ufficio prot. n. CE/34776 del 13.4.2017; c) le prescrizioni dell’atto d’obbligo rep. n. 12085 in data 3.5.2010 e quelle del permesso di costruire n. 292/2010 del 12.5.2010, nelle parti che dovessero considerarsi lesive degli interessi della parte ricorrente;
nonché,
in via subordinata e ove occorrer possa, affinché si accerti che il suddetto atto d’obbligo non è ostativo al buon esito della Scia per cui è causa;
nonché,
in ogni caso, per il risarcimento di tutti i danni subiti e subendi in conseguenza dell’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa.
- Visti il ricorso e i relativi allegati;
- Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
- Viste le memorie difensive;
- Visti tutti gli atti della causa;
- Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2018 la dott.ssa Brunella Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;
Ritenuto in fatto ed in diritto quanto esposto dalle parti nel ricorso introduttivo e negli scritti difensivi.
PREMESSO CHE:
con il ricorso introduttivo del presente giudizio il Sig. Emanuele Amati – comproprietario unitamente alla coniuge dell’unità immobiliare sita in Roma, Viale Palmiro Togliatti n. 1506, piano 7, int. 79, catastalmente censita al foglio 608, particella 451, sub 579, acquistata in data 13 aprile 2012 – ha agito per l’annullamento dei provvedimenti e degli altri atti in epigrafe indicati, con i quali Roma Capitale ha valutato inammissibile la s.c.i.a. presentata in data 26.6.2018, ai sensi del d.P.R. n. 380 del 2001 e della l.r. Lazio n. 7 del 2017, avente ad oggetto il cambio di destinazione d’uso, senza opere, del suddetto immobile dalla categoria urbanistica funzionale turistico-ricettiva a quella residenziale;
avverso gli atti impugnati parte ricorrente ha dedotto vizi di violazione di legge ed eccesso di potere, contestando tutti i presupposti alla base delle determinazioni adottate dall’amministrazione;
unitamente all’azione di annullamento parte ricorrente ha esperito anche l’azione per il risarcimento dei danni correlati all’illegittimo esercizio dell’azione amministrativa;
Roma Capitale si è costituita in giudizio per resistere al gravame, concludendo per la reiezione del ricorso in quanto infondato;
alla camera di consiglio del 20 novembre 2018 fissata per la trattazione della domanda cautelare, il Collegio ha valutato sussistenti i presupposti per la definizione della presente controversia con sentenza in forma semplificata, provvedendo agli avvisi ed adempimenti prescritti in conformità alle previsioni dell’art. 60 c.p.a.;
RITENUTO CHE:
– il Collegio precisa, preliminarmente, che la domanda di riunione con altri giudizi analoghi, riferiti a diverse unità immobiliari ricomprese nel medesimo fabbricato, non si ritiene suscettibile di positivo apprezzamento, in ragione della sussistenza di una connessione soggettiva solo parziale e della non completa coincidenza delle deduzioni articolate, tenuto conto delle peculiarità riferite ad alcune di dette unità;
– il ricorso merita accoglimento, ai sensi e nei termini di seguito indicati;
– si palesano fondate le deduzioni dirette a contestare la carenza di istruttoria e di motivazione, avendo l’amministrazione comunale ritenuto preclusa l’ammissibilità della s.c.i.a. presentata dal ricorrente per il cambio di destinazione d’uso, senza opere, della unità immobiliare in proprietà, dalla categoria urbanistica funzionale turistico-ricettiva a quella residenziale, sulla base di presupposti erronei;
– si evidenzia, infatti, che la s.c.i.a. in argomento è stata presentata dall’interessato anche ai sensi della l.r. Lazio n. 7 del 2017, con la quale il legislatore regionale ha intesto perseguire, in attuazione della disciplina nazionale di riferimento, obiettivi di riqualificazione incentivata delle aree urbane e di razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente anche nella prospettiva della limitazione del consumo del suolo;
– quanto alla preclusione, indicata nella gravata determinazione, all’ammissibilità degli interventi di cui agli artt. 4 e 6 della citata legge regionale, costituita dalla non legittimità della preesistenza edilizia dell’immobile, osserva il Collegio che non è in contestazione che il fabbricato nel quale è inserita l’unità immobiliare in proprietà del ricorrente sia stato legittimamente edificato – e quindi legittimato nel suo ingombro urbanistico – mentre l’eventuale sussistenza di abusi edilizi circoscritti a singole porzioni del fabbricato, consistenti nel cambio di destinazione d’uso senza opere di singole porzioni immobiliari dalla categoria turistico-ricettiva a quella residenziale, non costituisce causa ostativa all’applicazione della disciplina recata dalla l.r. n. 7 del 2017 che viene in considerazione;
– ciò in quanto, essendo l’edificio “legittimamente realizzato”, per come prescrive l’art. 1 della citata l.r., ne sarebbe consentito, in astratto, il cambio d’uso, con la conseguenza tale cambio d’uso, se realizzato abusivamente, deve essere considerato suscettibile di sanatoria;
– il ricorrente ha fatto ricorso allo strumento della s.c.i.a. generalmente ammesso anche in sostituzione del permesso di costruire, né rileva, ai fini dell’ammissibilità della segnalazione, la circostanza che l’amministrazione contesti che l’intervento di modifica, senza opere, della destinazione d’uso da parte degli interessati sia stato già attuato abusivamente, potendo detto istituto operare anche in sanatoria e restando fermo il potere dovere dell’amministrazione di procedere ad una corretta qualificazione della segnalazione presentata, con possibilità di richiedere le eventuali integrazioni ritenute necessarie ai fini di una esaustiva e corretta istruttoria;
– emergono, inoltre, ulteriori carenze valutative da parte dell’ente resistente, il quale ha opposto la sussistenza di un atto d’obbligo, sottoscritto dall’originaria proprietaria del fabbricato e trascritto, senza neanche considerare la possibilità di un superamento dei vincoli scaturenti da tale atto alla luce delle nuove previsioni normative di cui alla l.r. n. 7 del 2017, che consentono i cambi nelle destinazioni d’uso previste dagli strumenti urbanistici generali, omettendo altresì di verificare la compatibilità dell’intervento tenuto conto delle modifiche intervenute nel tempo nella destinazione dell’immobile nel suo complesso, inizialmente a prevalenza residenziale in base alla licenza edilizia del 1972, poi con destinazione ad uffici in base alla licenza del 1979, con ripristino della destinazione residenziale dei piani dal 2° all’11° in base a DIA del 2008, e successiva destinazione a struttura turistico ricettiva con permesso di costruire del 2010, con conseguente necessità di una verifica della permanenza delle condizioni che avevano determinato l’assunzione dell’impegno, con l’atto d’obbligo del 2010, a non modificare la destinazione d’uso dell’immobile e a destinare una parte della superficie a parcheggio privato ad uso pubblico a servizio dei locali del fabbricato adibiti ad uso commerciale;
– al riguardo, inoltre, si evidenzia che lo stesso atto d’obbligo sottoscritto nel 2010 non ha escluso la possibilità di una riconsiderazione degli obblighi ivi contenuti, espressamente prevedendo una modifica ovvero la cancellazione dei vincoli “con il benestare del Comune di Roma, ovvero in conseguenza di leggi e regolamenti”;
– la clausola sopra richiamata, del resto, era contenuta anche nel precedente atto d’obbligo sottoscritto nel 2008, recante un contenuto del tutto speculare rispetto a quello del 2010, risultando, pertanto, evidente, l’assenza di una preclusione radicale costituita dalla sottoscrizione di tale impegno, con la conseguenza che, a prescindere dalla incidenza automatica e diretta dell’entrata in vigore della l.r. n. 7 del 2017 sulla perdurante efficacia del vincolo, l’amministrazione avrebbe dovuto svolgere le suddette verifiche adeguatamente motivando le eventuali determinazioni negative;
– del pari, al fine di addivenire a diverse conclusioni, non merita positivo apprezzamento l’ulteriore giustificativo alla base delle determinazioni impugnate, costituito dalla circostanza che l’unità immobiliare del ricorrente, a seguito di frazionamento ed a differenza di altre unità insistenti nel medesimo fabbricato, presenti una superficie inferiore a 45 mq. in violazione delle previsioni delle N.T.A. del P.R.G. che prescrivono tale limite dimensionale minimo;
– sul punto, infatti, il Collegio evidenzia la ratio sottesa alla previsione del predetto limite dimensionale minimo è da rinvenire nell’esigenza di evitare un eccessivo frazionamento incidente sull’incremento del carico urbanistico;
– coerentemente con le finalità perseguite, la l. r. n. 7 del 2017 espressamente contempla l’ammissibilità di deroghe alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente e, inoltre, l’art. 8 specificamente disciplina le modalità di soddisfacimento delle esigenze correlate alla incidenza degli interventi di cui agli artt. 3, 4, 6 e 7 del medesimo testo normativo sul carico urbanistico, stabilendo anche la possibilità di una monetizzazione;
– quanto, inoltre, ai rilievi riferiti alla sottoscrizione della s.c.i.a. ed alla delega rilasciata dall’interessato al professionista incaricato della presentazione della segnalazione, il Collegio reputa sufficiente evidenziare che, a prescindere da ulteriori considerazioni (e, segnatamente, dalla produzione in giudizio, in data 14 novembre 2018, da parte del ricorrente della documentazione idonea a comprovare la sussistenza della sottoscrizione dell’interessato, come da atti presentati all’ente in data 9 agosto 2018), nella fattispecie risulta evidente la chiara ed inequivoca riferibilità dell’atto al ricorrente e l’amministrazione, in conformità ai principi generali stabiliti dalla l. n. 241 del 1990 (in particolare, dall’art. 6, comma 1) – preordinati al soddisfacimento della comune esigenza di consentire la massima partecipazione ed orientare l’azione amministrativa, attenuando la rigidità delle forme – avrebbe potuto e dovuto esercitare le prerogative delle quali è attributaria anche nella fase istruttoria, richiedendo eventuali integrazioni, con l’ulteriore precisazione che, nella fattispecie, non venendo in rilievo una procedura comparativa, neanche sono configurabili limitazioni alla operatività del c.d. soccorso istruttorio correlate al rispetto della par condicio;
– alla luce delle considerazioni che precedono, meritano accoglimento le deduzioni con le quali è stata contestata la carenza di istruttoria e di motivazione delle determinazioni impugnate, restando salve le determinazioni che l’amministrazione intenderà adottare nel rispetto della presente decisione;
– in conclusione, il ricorso va accolto, ai sensi e nei termini sopra indicati, con assorbimento delle residue censure, e per l’effetto i provvedimenti impugnati vanno annullati;
– la domanda risarcitoria, per contro, va dichiarata inammissibile in quanto formulata in termini del tutto generici;
– le peculiarità della fattispecie e le problematiche interpretative derivanti dall’applicazione della recente normativa regionale che viene in considerazione, giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato:
accoglie la domanda di annullamento, ai sensi e nei termini di cui in motivazione, e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati;
dichiara inammissibile la domanda risarcitoria.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 novembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
- Elena Stanizzi, Presidente
- Brunella Bruno, Consigliere, Estensore
- Ofelia Fratamico, Consigliere