A cura dell’avv. Gaetano Pecoraro
Il Consiglio di Stato interviene a difesa del sistema “emergenziale” di rifiuti del Lazio. Lo fa con una sentenza che, ribaltando il primo grado, sostiene che l’Ordinanza commissariale ha un ambito di operatività più esteso rispetto al suo stretto tenore testuale. Diventa quindi superabile il divieto di smaltimento intra-ATO (Ambito Territoriale Ottimale) poiché l’unico vero limite normativo è il territorio regionale.
Pubblichiamo la sentenza del Consiglio di Stato
- N. 02546/2014 REG.PROV.COLL.
- N. 05247/2013 REG.RIC
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
HA PRONUNCIATO LA PRESENTE SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5247 del 2013, proposto da: Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, in persona del Ministro in carica, Commissario per fronteggiare la situazione di grave criticità nella gestione dei rifiuti del Lazio urbani nel territorio della Provincia di Roma, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
CONTRO
SAF s.p.a. – Società Ambiente Frosinone, non costituita in giudizio nel presente grado;
NEI CONFRONTI DI
Roma Capitale, in persona del Sindaco in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Angela Raimondo, con domicilio eletto presso l’Avvocatura Capitolina, in Roma, via del Tempio di Giove, 21; AMA s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Damiano Lipani, Laura Mammucari e Francesca Sbrana, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Vittoria Colonna, 40;
PER LA RIFORMA
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II BIS, n. 6649/2013, resa tra le parti e concernente: gestione dei rifiuti del Lazio urbani nel territorio della Provincia di Roma;
- Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
- Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate;
- Viste le memorie difensive;
- Visti tutti gli atti della causa;
- Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 4 marzo 2014, il Cons. Bernhard Lageder e uditi, per le parti, l’avvocato dello Stato Biagini e gli avvocati Raimondo, Lipani e Sbrana.;
- Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il T.a.r. per il Lazio accoglieva il ricorso n. 807 del 2013, proposto dalla Società Ambiente Frosinone s.p.a. (SAF s.p.a.) – società a capitale pubblico partecipata dai 91 Comuni della Provincia di Frosinone e dalla medesima Provincia, titolare dell’impianto di trattamento e recupero di rifiuti urbani sito in Colfelice – avverso il decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 1 del 3 gennaio 2013, come integrato dai decreti ministeriali del 9 gennaio 2013 e del 25 marzo 2013, con cui il Prefetto a riposo Goffredo Sottile era stato nominato a Commissario ai sensi dell’art. 1, comma 358, l. 24 dicembre 2012, n. 228 [Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2013)], per fronteggiare la situazione di grave criticità della gestione dei rifiuti urbani nel territorio della Provincia di Roma di cui al d.P.C.M. 22 luglio 2011 e ss. mm. ii., dichiarativo di correlativo stato di emergenza ambientale, ed avverso il conseguente provvedimento commissariale del 15 gennaio 2013, con cui – tra i dieci impianti elencati nella tabella allegata al decreto ministeriale – erano stati individuati quattro impianti per il trattamento meccanico-biologico (TMB) dei rifiuti del Lazio indifferenziati dei comuni di Roma Capitale, Fiumicino e Ciampino e dello Stato della Città del Vaticano, tra cui quello gestito dalla società ricorrente, oggetto di diffida a trattare detti rifiuti nel proprio impianto entro i limiti della capacità residua autorizzata (indicata in 139.597 tonnellate/anno); provvedimenti impugnati, fondati sulla presupposta esistenza di un deficit impiantistico (differenza tra fabbisogni e capacità autorizzata) dei quattro impianti TMB esistenti nel territorio di Roma Capitale (rispettivamente gli impianti Rocca Cencia e Via Salaria, gestiti da AMA s.p.a., e Malagrotta 1 e Malagrotta 2, gestiti dal consorzio CO.LA.RI. s.r.l.), calcolato in ca. 300.000 tonnellate/anno di rifiuti indifferenziati fino alla fine dell’anno 2014 (quando, secondo le previsioni, sarebbe stata raggiunta una percentuale del 50% di raccolta differenziata).
Il T.a.r. accoglieva il ricorso sulla base del rilievo centrale ed assorbente, che l’impugnato decreto ministeriale ampliava i poteri commissariali oltre i limiti consentiti dalla normativa primaria, prevedendo la possibilità di individuare siti in cui conferire in trattamento i rifiuti della Capitale, con poteri di diffida e sostitutivi, con ciò illegittimamente estendendo i poteri emergenziali e in deroga, stabiliti dalla citata l. n. 228 del 2012, a fattispecie ulteriori e per una situazione di emergenza già esauritasi al 31 dicembre 2012 (come da d.P.C.M. del 22 luglio 2011), mentre la disposizione legislativa istitutiva del commissario delegato, con richiamo dell’o.P.C.M. 6 settembre 2011, n. 3963, aveva limitato i compiti commissariali diretti a fronteggiare la situazione di grave criticità in questione, in primo luogo, alla «continuità delle azioni in corso per il superamento di tale criticità», ovvero tese «alla realizzazione di una o più discariche» per fronteggiare l’imminente chiusura del sito di Malagrotta, «e/o», in secondo luogo, «per l’ampliamento di discariche esistenti indicate dalla medesima Regione» (v. commi 358, 359 e 360 dell’art. 1 l. n. 228 del 2012, nonché l’ivi richiamata o.P.C.M. n. 3963 del 2011).
Il T.a.r. aggiungeva che, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata della disciplina contenuta nella l. n. 228 del 2012, i poteri di cui ai richiamati commi 358, 359 e 360 non potevano che trovare i propri limiti entro l’ambito della finalità espressa dalla legge medesima, ovvero in funzione della menzionata «continuità» con quanto disposto nel provvedimento emergenziale richiamato, dovendosi la deroga alle ordinarie competenze fondare su un dato legalmente chiaro, determinato temporalmente e definito con riguardo alla specifica esigenza (la realizzazione di un nuovo impianto o l’ampliamento di quelli preesistenti), mentre nessuna disposizione autorizzava a ritenere incluso tra le competenze il conferimento dei rifiuti indifferenziati per il trattamento meccanico-biologico in impianti di differenti ambiti territoriali, dimensionati con riguardo a diverse esigenze su scala locale, pena la violazione dei principi – di rilievo comunitario – di autosufficienza e prossimità, fissati dall’art. 182-bis d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, come integrato dall’art. 9 d.lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, oltre che del principio di sussidiarietà.
Il T.a.r., pur affermando che l’evidenziata violazione dei limiti posti dalla normazione primaria fosse sufficiente a viziare i decreti ministeriali sub specie di violazione di legge, rilevava la fondatezza anche delle censure di carenza d’istruttoria e di motivazione, oltre che di sviamento determinato «dall’utilizzo dei decreti gravati e dei conseguenti provvedimenti commissariali per finalità ulteriori rispetto a quelle legalmente individuate, nonché di mezzi inficiati sotto il profilo della proporzionalità dell’azione amministrativa in relazione alla compromissione dei territori coinvolti, anche con riguardo alla prevenzione dei rischi, alla cui protezione è finalizzata la Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 19 novembre 2008 n. 2008/98/CE (art. 13) » (v. così, testualmente, il § 10. dell’impugnata sentenza).
Il T.a.r. annullava pertanto l’impugnato decreto ministeriale del 3 gennaio 2013, «con riguardo all’ampliamento dei poteri commissariali ed alla connessa individuazione degli impianti di trattamento», i successivi decreti integrativi e, per illegittimità derivata, incompetenza e straripamento di potere, i conseguenti provvedimenti commissariali, con assorbimento di ogni altra censura e con salvezza di ogni ulteriore determinazione dell’amministrazione.
2. Avverso tale sentenza interponevano appello il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché l’organo commissariale, censurando la violazione dell’art. 1, commi 358, 359 e 360, l. n. 228 del 2012 e dell’art. 182-bis d.lgs. n. 152 del 2006, in particolare sostenendo che l’elencazione dei poteri commissariali contenuta nel comma 360 dell’art. 1 l. n. 228/2012 non poteva ritenersi tassativa ed esaustiva, ma, in virtù dell’ivi contenuta clausola di salvezza riferita a «quanto previsto dall’ultimo periodo del comma 359» la determinazione dei compiti commissariali era, dalla normativa primaria, espressamente rimessa al decreto ministeriale di attuazione, con conseguente legittima attribuzione (nell’impugnato decreto) al commissario del potere di individuare, in ambito regionale, gli impianti di trattamento meccanico-biologico dei rifiuti urbani, che avessero una capacità residua di trattamento; peraltro, l’art. 41, comma 5, d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (seguito dal decreto ministeriale di attuazione del 27 giugno 2013), a conferma di tale interpretazione, aveva espressamente esteso i poteri commissariali anche a quelli di cui all’art. 2 della citata o.P.C.M. n. 3963 del 6 settembre 2011, «necessari per assicurare la prosecuzione, senza soluzione di continuità, dello smaltimento dei rifiuti nell’area interessata dallo stato di emergenza di cui alla presente ordinanza», e, dunque, comprensivi del potere di individuare impianti al fuori dal territorio provinciale interessato dallo stato di emergenza.
Né, secondo le amministrazioni appellanti, potevano ritenersi lesi i principi comunitari di autosufficienza e prossimità in materia di smaltimento dei rifiuti, non ponendo il d.lgs. n. 152 del 2006 alcun divieto di trattare i rifiuti urbani al di fuori del territorio comunale o provinciale di provenienza, essendo unicamente vietato lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi al di fuori del territorio regionale. Le parti appellanti assumevano inoltre che, a fronte dell’accertata insufficienza impiantistica nel territorio interessato dallo stato di emergenza e del divieto, di fonte comunitaria (direttiva 1999/31/CE), di conferire i rifiuti indifferenziati in discarica senza preventivo trattamento, nonché tenuto conto della prevista utilizzazione degli impianti di destinazione nei limiti della capacità autorizzata, gli impugnati provvedimenti, anche in punto di valutazione dei presupposti di fatto, si sottraevano ad ogni censura.
Le amministrazioni appellanti chiedevano pertanto, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’appellata sentenza e in sua riforma, la reiezione dell’avversario ricorso di primo grado.
3. Si costituivano in giudizio le appellate Roma Capitale ed AMA s.p.a., aderendo all’appello proposto dalle Amministrazioni statali e chiedendone l’accoglimento, mentre ometteva di costituirsi nel presente grado l’originaria ricorrente SAF s.p.a..
4. Accolta con ordinanza n. 3057 del 31 luglio 2013 l’istanza di sospensiva – con motivazione incentrata sul requisito del periculum in mora –, all’udienza pubblica del 4 marzo 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
5. L’appello è fondato e merita accoglimento.
5.1. Contrariamente a quanto ritenuto dal T.a.r., deve affermarsi la legittimità dell’impugnato decreto ministeriale n. 1 del 3 gennaio 2013, come integrato dai decreti ministeriali del 9 gennaio 2013 e del 25 marzo 2013 (recante «Nomina del Commissario per fronteggiare la situazione di grave criticità nella gestione dei rifiuti urbani nel territorio della provincia di Roma, ai sensi dell’articolo 1, comma 358, della legge 24 dicembre 2012, n. 228»), nella parte in cui, sulla premessa che l’obbligo di trattamento preventivo dei rifiuti indifferenziati ai fini del conferimento in discarica era espressamente previsto dalla disciplina comunitaria [segnatamente, dall’art. 6, lettera a), della direttiva 1999/31/CE], aveva attribuito al Commissario il potere d’individuazione degli impianti di trattamento meccanico-biologico dei rifiuti urbani esistenti nella Regione Lazio, aventi una capacità autorizzata residua di trattamento [(v. art. 2, comma 1 lett. a), dell’impugnato decreto].
Premesso che la situazione di grave criticità nella gestione dei rifiuti del Lazio urbani nel territorio della Provincia di Roma trova il suo diretto ed immediato riconoscimento nei commi 358 e 359 dell’articolo 1 della legge n. 228 del 2012, contenenti un espresso richiamo sia al d.P.C.M. del 22 luglio 2011(Dichiarazione dello stato di emergenza ambientale nel territorio della provincia di Roma in relazione all’imminente chiusura della discarica di Malagrotta ed alla conseguente necessità di realizzare un sito alternativo per lo smaltimento dei rifiuti), sia all’o.P.C.M. 6 settembre 2011, n. 3963 (Disposizioni urgenti di protezione civile finalizzate a fronteggiare la situazione di emergenza ambientale nel territorio della provincia di Roma in relazione all’imminente chiusura della discarica di Malagrotta ed alla conseguente necessità di realizzare un sito alternativo per lo smaltimento dei rifiuti), e che le citate disposizioni primarie, espressione di discrezionalità legislativa, non risultano specificamente censurate per eventuali vizi di illegittimità costituzionale (v. il ricorso di primo grado, non contenente l’articolazione di siffatte censure), si osserva che l’impugnato decreto ministeriale, attribuendo al Commissario delegato il menzionato potere di individuare, in ambito regionale, impianti TMB a capacità residua in grado di sopperire alla (temporanea) insufficienza degli impianti siti nel territorio di Roma Capitale, si muove entro i confini dettati dalla normativa primaria. Infatti, l’elenco delle attribuzioni concrete del Commissario, contenuto nel comma 360 del citato articolo 1 – il quale testualmente recita:
«360. Fermo restando quanto previsto dall’ultimo periodo del comma 359, il Commissario provvede all’espletamento dei seguenti compiti in ambito regionale: a) autorizzazione alla realizzazione e gestione delle discariche per lo smaltimento dei rifiuti urbani nonché di impianti per il trattamento di rifiuto urbano indifferenziato e differenziato, nel rispetto della normativa comunitaria tecnica di settore; b) supporto alla Regione Lazio nelle iniziative necessarie al rientro nella gestione ordinaria; c) adozione, a fronte dell’accertata inerzia dei soggetti preposti alla gestione, manutenzione, od implementazione degli impianti per il recupero e lo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nei comuni di Roma capitale, Fiumicino, Ciampino e nello Stato della Città del Vaticano, previa diffida ad adempiere entro termini perentori non inferiori a giorni trenta, dei necessari provvedimenti di natura sostitutiva in danno dei soggetti inadempienti» – deve ritenersi di natura meramente esemplificativa, in quanto la clausola di salvezza contenuta nella parte iniziale della citata disposizione legislativa mantiene espressamente ferma la disposizione contenuta nell’ultimo periodo del precedente comma 359, secondo cui, con il decreto ministeriale, «sono determinati i compiti e la durata della nomina, per un periodo di sei mesi, salvo proroga o revoca». Ne deriva che l’attribuzione del compito in esame al Commissario delegato trova un preciso fondamento legittimante nella normazione primaria (anche quanto al termine dello stato di emergenza).
Sia la disciplina primaria, sia il decreto ministeriale attuativo, si muovono nel rispetto dei limiti segnati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di stato di emergenza e potere di ordinanza ex art. 5 l. 24 febbraio 1992, n. 225 (v. al riguardo, per tutte, Corte Cost. 14 aprile 1995, n. 127), atteso lo stretto nesso di strumentalità tra lo stato di emergenza ambientale in questione e il potere d’individuazione di impianti TMB a capacità residua in ambito regionale attribuito al Commissario, e considerata la sufficiente determinatezza delle previsioni legislative e provvedimentali in punto di contenuto, tempi e modalità di esercizio del potere.
Come, poi, condivisibilmente dedotto dalle amministrazioni appellanti, l’art. 41, comma 5, d.l. 21 giugno 2013, n. 69 – il quale ha espressamente esteso i poteri commissariali anche a quelli di cui all’art. 2 della citata o.P.C.M. n. 3963 del 6 settembre 2011, «necessari per assicurare la prosecuzione, senza soluzione di continuità, dello smaltimento dei rifiuti nell’area interessata dallo stato di emergenza di cui alla presente ordinanza» – ha sostanzialmente confermato, con valenza ricognitiva, la correttezza dell’interpretazione dell’assetto normativo posta a base dell’impugnato decreto ministeriale, e della conseguente legittima inclusione tra i poteri commissariali anche di quello di individuare impianti (anche fuori Provincia) per fronteggiare, nell’immediatezza, le carenze impiantistiche degli impianti ubicati nel territorio di Roma Capitale.
Né, contrariamente a quanto ritenuto dal T.a.r., è ravvisabile una violazione dei principi di autosufficienza e prossimità in materia di smaltimento e di recupero dei rifiuti solidi urbani non differenziati (non pericolosi), sanciti dall’art. 182-bis d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (in attuazione dell’art. 16 della direttiva 2008/98/CE) – secondo cui ogni regione deve provvedere allo smaltimento dei rifiuti propri –, attesa la riferibilità dei limiti di massima estensione dell’ambito territoriale ottimale, di cui al comma 1, lett. a), del citato art. 182-bis, al territorio regionale (v. anche l’art. 182, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006, che vieta lo smaltimento di rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti), con conseguente legittima individuazione degli impianti oggetto di diffida (peraltro, ad efficacia temporale limitata, in funzione del superamento della situazione di criticità venutasi a determinare nel territorio provinciale di Roma) anche in province diverse da quella di Roma, in ambito regionale.
Neppure è ravvisabile la paventata violazione del principio di sussidiarietà, attesa la riconducibilità della fattispecie in esame ai poteri statali nelle ipotesi di dichiarazione dello stato di emergenza (nella specie, ambientale), quali delineati dalla l. n. 225 del 1992 (in conformità all’art. 120, comma 2, Cost.). Sotto i profili in esame – in accoglimento dei correlativi motivi d’appello e in riforma dell’appellata sentenza – va affermata la legittimità dell’impugnato decreto ministeriale.
5.2. Merita, altresì, accoglimento il motivo d’appello, con cui le amministrazioni appellanti deducono la correttezza degli accertamenti e delle valutazioni in fatto suffraganti gli impugnati provvedimenti commissariali (v. pp. 16 e 17 del ricorso in appello), in tal modo censurando l’erroneità della statuizione del T.a.r. – adottata, peraltro, in modo ambiguo, con formula («in disparte») che può ingenerare il giustificato dubbio che si tratti di mera statuizione ad abundantiam inidonea a determinare l’interesse all’impugnazione –, di accoglimento della censura di eccesso di potere per insufficienza d’istruttoria e di motivazione.
Infatti, alla luce di una valutazione unitaria ed onnicomprensiva della documentazione acquisita al giudizio deve pervenirsi alla conclusione che l’individuazione degli impianti oggetto di diffida sia avvenuta sulla base di accertamenti istruttori esaurienti attorno all’insufficienza della rete impiantistica esistente nel territorio di Roma Capitale, costituita da quattro impianti TMB (Rocca Cencia, Via Salaria, Malagrotta 1 e Malagrotta 2) con una capacità autorizzata complessiva al trattamento di 935.000 tonnellate/anno, a fronte di un fabbisogno di 1.218.000.000 tonnellate/anno, ed alla capacità ricettiva residua degli impianti oggetto di diffida nel rispetto delle rispettive esigenze tecniche, di sicurezza e di pianificazione nel contesto dell’intera rete di impianti esistente nella Regione [ciò, anche con riguardo alla problematica dei flussi dei rifiuti del Lazio in uscita, compreso il combustibile derivato da rifiuti (CDR) inviato a recupero energetico; con particolare riguardo alla capacità residua dell’impianto di Colfelice, v. le risultanze delle relazioni ISPRA e ARPA, redatte in esito alla verificazione disposta nei ricorsi paralleli sub r.g nn. 1751 e 1752 T.a.r. Lazio; quanto al deficit di capacità ricettiva degli impianti di Roma Capitale, appaiono dirimenti i dati emergenti dalla relazione prodotta da AMA s.p.a. nell’ambito del presente giudizio]. Restano, con ciò, esclusi anche i paventati profili di illegittimità per difetto d’istruttoria e di motivazione e per violazione dei principi di proporzionalità ed adeguatezza dell’azione amministrativa.
5.3. Per le esposte ragioni, in accoglimento dell’appello e in riforma dell’impugnata sentenza, deve essere respinto il ricorso di primo grado. Nulla è dato statuire sui motivi assorbiti in primo grado, in difetto di espressa riproposizione ai sensi dell’art. 101, comma 2, cod. proc. amm..
6. Attese le alterne vicende connotanti la presente controversia, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del doppio grado di giudizio interamente compensate tra tutte le parti.
P.Q.M
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n. 5247 del 2013), lo accoglie e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado (ricorso n. 807 del 2013 T.a.r. Lazio); dichiara le spese del doppio grado di giudizio interamente compensate fra tutte le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2014, con l’intervento dei magistrati:
- Sergio De Felice, Presidente FF
- Roberto Giovagnoli, Consigliere
- Vito Carella, Consigliere
- Claudio Contessa, Consigliere
- Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 20/05/2014 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)