A cura dell’avv. Gaetano Pecoraro
Con la recente sentenza 517 del 21 gennaio 2019, la III Sezione del Consiglio di Stato ha preso posizione in ordine all’estensione della disposizione ex art. 105 comma 22 d. lgs. 50/2016 agli appalti diversi dai lavori.
La questione attiene alla possibilità, per l’operatore economico, di poter vantare, ai fini della dimostrazione del possesso dei requisiti economico-finanziari, il fatturato maturato da propri sub-appaltatori in precedenti commesse.
Il quesito è sorto in ragione del fatto che il comma 22 prevede espressamente che “Le stazioni appaltanti rilasciano i certificati necessari per la partecipazione e la qualificazione di cui all’articolo 83, comma 1, e all’articolo 84, comma 4, lettera b), all’appaltatore, scomputando dall’intero valore dell’appalto il valore e la categoria di quanto eseguito attraverso il subappalto. I subappaltatori possono richiedere alle stazioni appaltanti i certificati relativi alle prestazioni oggetto di appalto realmente eseguite”.
La disposizione mira, evidentemente, da un lato, ad evitare la duplicazione del fatturato (consentendo sia all’appaltatore, che al sub-appaltatore, di poterlo vantare), e dall’altro a consentire al sub-appaltatore la maturazione di un requisito, da poter vantare in future commesse, in ragione dello svolgimento in concreto dei lavori.
Il quesito su cui il Consiglio di Stato è stato chiamato a pronunciarsi attiene alla natura “generale” o meno della disposizione, se cioè la stessa sia applicabile a tutte le tipologie di appalti, o esclusivamente a quello di lavori.
Prima di verificare la soluzione fornita al caso concreto, appare opportuno richiamare, in termini generali, le disposizioni rilevanti.
L’art. 105 comma 2 d. lgs. 50/2016 definisce il subappalto come “il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto”, per poi precisare al comma 8 che “il contraente principale è responsabile in via esclusiva nei confronti della stazione appaltante”.
Da ciò consegue che i pagamenti vengono effettuati dalla Stazione appaltante in favore dell’appaltatore, il quale poi effettuerà il pagamento al sub-appaltatore, essendo prevista la possibilità di pagamento diretto da parte della Stazione appaltante in favore del sub-appaltatore, solo nelle ipotesi previste dal comma 13 “a) quando il subappaltatore o il cottimista è una microimpresa o piccola impresa; b) in caso di inadempimento da parte dell’appaltatore; c) su richiesta del subappaltatore e se la natura del contratto lo consente”.
Come precisato dall’ANAC (parere sulla normativa AG 26/12 del 7 marzo 2013), alla luce della monolitica giurisprudenza sul punto, “a seguito del subappalto non si crea tra la stazione appaltante e i sub-appaltatori alcun rapporto diretto di debito/credito. … Il pagamento diretto integra una delegazione di pagamento ex lege, che non ingenera un rapporto obbligatorio tra la stazione appaltante e i subappaltatori. La stazione appaltante pagando i subappaltatori estingue la propria obbligazione nei confronti dell’appaltatore e, in virtù delle delegazione, estingue anche l’obbligazione dell’appaltatore nei confronti del subappaltatore. I rapporti giuridici insorti restano distinti e autonomi, pertanto anche se fosse previsto il pagamento diretto, comunque i subappaltatori non potrebbero vantare pretese creditorie nei confronti della stazione appaltante”.
Se tali sono le coordinate ermeneutiche generali entro cui muoversi, è evidente, allora, la natura settoriale del comma 22 dell’art. 105 d. lgs. 50/2016, che trova giustificazione nella speciale disciplina dettata per gli appalti di lavori.
L’art. 105 comma 2 d. lgs. 50/2016 se, da un lato, rinvia all’art. 83 comma 1 (che individua i criteri di selezione, distinguendoli in a) requisiti di idoneità professionale; b) capacità economica e finanziaria; c) capacità tecniche e professionali), dall’altro chiarisce, rimandando all’art. 84 comma 4 lett. B) del medesimo Cod. App., che “tra i requisiti tecnico-organizzativi rientrano i certificati rilasciati alle imprese esecutrici da parte delle stazioni appaltanti”.
Ebbene, il comma 22 dell’art. 105 prevede che le stazioni appaltanti debbano effettuare lo scomputo degli importi dei lavori sub-appaltati, ai fini del rilascio del certificato di regolare esecuzione che, come visto, rientra tra i requisiti tecnico-organizzativi, e non tra i requisiti economico-finanziari, che non sono provati con certificati, ma con il fatturato o i bilanci.
Condivisibilmente, quindi, il Consiglio di Stato osserva come “lo scopo della norma è quello di evitare la valutazione di un requisito di capacità tecnica meramente cartolare (essendo stata subappaltata l’esecuzione della prestazione), rendendo applicabile il principio secondo cui l’impresa può far valere soltanto i lavori direttamente eseguiti (codificato dall’art. 24, comma 2, del D.P.R. n. 34/2000); nel caso della capacità economico finanziaria, invece, il subappalto non elide gli oneri e le funzioni gravanti sull’appaltatore sotto l’aspetto economico e finanziario”.
Il rischio correlato ad una interpretazione diversa sarebbe quello di “disincentivare il ricorso al subappalto, finendo per porre problemi di compatibilità con l’ordinamento eurounitario e con il principio di proporzionalità”: di qui, il principio affermato dai Giudici di Palazzo Spada secondo cui “in assenza di una norma che affermi il principio della depurazione del fatturato conseguito a mezzo di subappalto dall’appalto totale negli appalti di servizi, … , tale principio non può essere introdotto in via meramente interpretativa”.
Ma la sentenza che si annota è interessante anche perché individua il criterio discretivo tra RTI verticali ed orizzontali, negli appalti diversi dai lavori.
E’ noto che, ex art. 48 d. lgs. 50/2016, nel RTI verticale la mandataria esegue i lavori indicati dalla stazione appaltante come rientranti nella categoria prevalente, e le mandanti quelli delle categorie scorporabili, o secondarie, laddove nel RTI orizzontale gli operatori economici eseguono tutti il medesimo tipo di prestazione.
Ma quid iuris ove la stazione appaltante non operi quella distinzione, e ciò nonostante in sede di partecipazione, i componenti del RTI individuino le singole parti del servizio o fornitura da svolgere? Si verserebbe sempre e comunque nell’ipotesi di RTI verticale?
Per il Consiglio di Stato la risposta al quesito è negativa.
Criticando la decisione di primo grado che, a dire del Giudice d’appello, avrebbe fatto applicazione dell’art. 48 comma 2 d. lgs. 50/2016 come fosse una “monade”, non calata nel contesto della più ampia disciplina, il Consiglio di Stato ha dato continuità all’insegnamento giurisprudenziale risalente all’Adunanza Plenaria 22/2012 (e poi seguito dalla successiva giurisprudenza della medesima Sezione III, sentt. 24 maggio 2017 n. 2452; 8 ottobre 2018 n. 5765; 18 gennaio 2018 n. 310; n. 2952/2016), secondo cui “la diversità delle prestazioni, tale da escludere il carattere orizzontale del raggruppamento, ricorre solo se ciascuna delle imprese possiede specializzazioni e competenze diverse da quelle richieste dal bando, finalizzate all’esecuzione di un’attività non corrispondente a quella oggetto del contratto”, laddove l’omogeneità dei requisiti vantati dai componenti del RTI può indurre a riconoscerne la natura orizzontale, nonostante un’eventuale ripartizione dei servizi da svolgere, da loro dichiarata in sede di partecipazione, da qualificare come la mera risposta alla richiesta contenuta nel disciplinare di indicazione delle parti di servizio svolte da ciascuna di esse.
A tale soluzione, ad avviso di chi scrive, è possibile giungere ove non vengano in rilievo problemi relativi alla restrizione del mercato: consentire, infatti, la costituzione di RTI da parte di operatori che, singolarmente considerati, sarebbero qualificati per la partecipazione singola, rischia di falsare il mercato.
La ratio eurounitaria sottesa al Raggruppamento Temporaneo di Imprese è quella, infatti, di consentire l’aggregazione di operatori economici ai fini della partecipazione ad una procedura ad evidenza pubblica richiedente requisiti tecnici, o economico-finanziari, dai primi singolarmente non posseduti, attraverso la sommatoria degli stessi.
E tanto la giurisprudenza, quanto le Autorità indipendenti, hanno affrontato la questione della legittimità dei cosiddetti RTI sovrabbondanti osservando come “l’art. 48 non ponga un espresso divieto assoluto di costituzione delle cd. ATI sovrabbondanti, dovendosi invece sempre verificare la ricorrenza in concreto di un’indebita, sproporzionata e irragionevole compressione della concorrenza nella specifica gara” (così, TAR Roma, sent. 5 febbraio 2018, n. 1431).
Si tratta del medesimo orientamento seguito dall’ANAC: a seguito della determinazione AVCP n. 4 del 10.10.2012 (contenente i bandi tipo), il Presidente, con comunicato del 3 settembre 2014, ha osservato come “è sempre consentita la possibilità di costituire raggruppamenti temporanei, anche di tipo sovrabbondante, e che l’esclusione non potrà mai essere automatica. Infatti, qualora la stazione appaltante ravvisi possibili profili anticoncorrenziali nella formazione del raggruppamento ha l’onere di valutare in concreto la situazione di fatto, richiedendo ai concorrenti le relative giustificazioni, che potranno basarsi non solo su elementi legati ad eventuali stati di necessità, in termini di attuale capacità produttiva, ma su ogni altro fattore rientrante nelle libere scelte imprenditoriali degli operatori economici, come l’opportunità ovvero la convenienza di partecipare in raggruppamento alla luce del valore, della dimensione o della tipologia del contratto. Nell’ambito della valutazione di tali elementi, la stazione appaltante dovrà, quindi, accertare se la formazione del raggruppamento ha avuto per oggetto o per effetto quello di falsare o restringere la concorrenza, e solo in caso di esito positivo potrà essere disposta l’esclusione dalla gara”.
E dal canto suo, l’AGCM, con proprio comunicato del 23 dicembre 2014 ha condiviso tale orientamento, osservando come l’eventuale inclusione, nei bandi, di una clausola recante il divieto di RTI sovrabbondanti sarebbe da considerarsi legittima solo ove
- espliciti le ragioni della possibile esclusione in relazione alle esigenze del caso concreto, quali la natura del servizio e/o l’assetto del mercato di riferimento;
- preveda che l’esclusione del RTI non può essere automatica, essendo la stazione appaltante tenuta a dimostrare la sussistenza di rischi concreti e attuali di collusione delle imprese partecipanti alla gara in raggruppamento;
- disponga che la valutazione della stazione appaltante, relativa alla sussistenza dei possibili profili anticoncorrenziali nella formazione del raggruppamento, tenga conto delle giustificazioni – in termini di efficienza gestionale e industriale, alla luce del valore, della dimensione o della tipologia del servizio richiesto – che le imprese partecipanti al RTI forniscono al momento della presentazione della domanda o su richiesta della stazione appaltante.
N. 00517/2019REG.PROV.COLL.
N. 07140/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7140 del 2018, proposto da
Servizi Italia S.p.A in proprio e in qualità di mandataria del costituendo RTI, Medicair Centro S.r.l. in proprio e in qualità di mandante del costituendo RTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Paolo Sansone, Stefano Soncini, Eleonora E.L. Bonsignori, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
CONTRO
Arjo Italia S.p.A in proprio ed in qualità di capogruppo mandataria del costituendo RTI con Service Med S.p.A, Medi H Art S.r.l., e Service Med S.p.A, Medi H Art S.r.l. in proprio ed in qualità di mandanti del suddetto raggruppamento, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Enrico Sisti, Cesare Righetti, Paolo Todaro, Andrea Manzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Andrea Manzi in Roma, via Confalonieri n. 5;
NEI CONFRONTI
E.S.T.A.R., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Vallini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Laura La Rocca in Roma, piazza della Marina, n. 1;
Sapio Life S.r.l. in proprio e quale capogruppo del Rti con Euro Ausili S.r.l., non costituiti in giudizio;
PER LA RIFORMA
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza) n. 1099/2018, resa tra le parti, concernente la Determinazione n. 336 del 9 marzo 2018 del Dirigente U.O.C. Servizi Vari Tecnico Amministrativi dell’ESTAR, avente ad oggetto “Ammissione degli operatori economici al prosieguo della procedura aperta finalizzata alla stipula di convenzione tra appaltatore e ESTAR di noleggio, con gestione full service di dispositivi per la prevenzione delle ulcere da pressione per le Aziende/Enti del SSR toscano” e dei verbali di gara e documenti ad essa allegati;
- Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
- Visti gli atti di costituzione in giudizio di Arjo Italia S.p.A, Service Med S.p.A, di Medi H Art S.r.l. e di E.S.T.A.R.;
- Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2018 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati Paolo Sansone, Gaia Stivali su delega di Andrea Manzi, Paolo Piemontese su delega di Francesco Vallini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. – Con determinazione del 25.8.2017, ESTAR ha indetto una procedura aperta per l’affidamento del servizio di noleggio con gestione di dispositivi antidecubito per la durata di 78 mesi, su 9 lotti funzionali.
Oggetto dell’appalto era, più precisamente, la messa a disposizione di “Dispositivi [antidecubito] a pressione alternata” (lotto 1), comprendente “l’attivazione/cessazione del servizio .. mediante l’utilizzo di sistema informatico”. Secondo la disciplina di cui agli articoli 5 (pag. 10) e 6 (pag. 12 e 13) del capitolato tecnico di esecuzione (doc. 7 Estar), la prestazione includeva la messa a disposizione di dispostivi antidecubito, gestita attraverso “un software messo a disposizione [dall’appaltatore] sul proprio gestionale con le seguenti caratteristiche: gestione elettronica della richieste e delle varie attività legate al servizio di noleggio, quali richiesta di fornitura, richiesta di ritiro, richiesta di assistenza, notifica non conformità, stand by, movimentazione, [gestione documentazione, trasporto, collaudo, ecc.].. ricerca per singolo paziente, per reparto.. , esposizione di reportistica strutturata per acquisizione dei dati di movimentazione, riparazione, noleggio,” “accesso e consultazione”. Parimenti, nella prestazione posta in affidamento, erano incluse le attività di trasporto, movimentazione, riparazione, noleggio dei medesimi dispositivi.
La presente controversia si riferisce al lotto n. 1 avente valore di € 38.426.036,24 Iva esclusa (cfr bando di gara, par. II.2.6, doc. 34 Estar di primo grado).
1.1 – Con determinazione n. 336 del 9 marzo 2018 ESTAR ha disposto l’ammissione alla gara (con riferimento al lotto 1, oggetto del presente giudizio) dell’ATI composta dalla mandataria Servizi Italia s.p.a. e dalla mandante Medicair Centro s.r.l., dell’ATI composta dalla società Arjo Italia s.p.a., mandataria del costituendo raggruppamento temporaneo d’impresa con le mandanti Service Med s.p.a. e Medi H Art s.r.l. e dell’ATI composta dalla mandataria Sapio Life s.r.l. e dalla mandante Euro Ausili s.r.l.
2. – L’ATI Arjo Italia ha impugnato l’ammissione alla gara degli altri due raggruppamenti proponendo un ricorso principale seguito da successivi motivi aggiunti.
2.1 – Nel ricorso introduttivo ha dedotto (nei confronti sia del RTI Servizi Italia che del RTI Sapio) la violazione dell’art. 48, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 sostenendo che i due raggruppamenti avrebbero partecipato in forma di ATI verticale, avendo indicato, mandante e mandataria, l’esecuzione di servizi tra loro diversi per tipologia, nonostante la lex specialis di gara non avesse identificato le prestazioni principali e quelle secondarie.
2.2 – Con il secondo motivo, dedotto nei motivi aggiunti e relativo alla sola ammissione dell’ATI Servizi Italia, il raggruppamento ricorrente ha rilevato la violazione degli artt. 83, 85, 86, 105, comma 22, del d.lgs. n. 50/2016, sostenendo che il RTI Servizi Italia avrebbe dovuto essere escluso dalla gara per difetto del requisito di capacità economico finanziaria: secondo il ricorrente, infatti, Servizi Italia avrebbe utilizzato, ai fini del raggiungimento del requisito di capacità economica e finanziaria, i fatturati generati da subappalti eseguiti per suo conto da imprese terze; effettuando lo scomputo dell’importo di tali fatturati dal fatturato complessivo dichiarato, la società non avrebbe raggiunto la soglia di euro 5.250.000 stabilita pro quota (75% per il mandatario) dall’art. 3, pagina 11, penultimo comma, del disciplinare.
Si sono costituiti nel giudizio di primo grado Estar, Sapio Life S.r.l. e Servizi Italia.
3. – Con la sentenza appellata il TAR per la Toscana ha superato tutte le eccezioni in rito ed ha accolto il ricorso ritenendo fondate entrambe le doglianze proposte.
4. – Avverso tale decisione l’ATI Servizi Italia ha proposto appello chiedendone l’integrale riforma.
Si è costituita in giudizio ESTAR che ha concluso per la fondatezza dell’appello.
Si è costituita in giudizio anche l’ATI Arjo Italia che ha replicato alle doglianze proposte chiedendone il rigetto.
In prossimità dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie e memorie di replica.
5. – All’udienza pubblica del 13 dicembre 2018 l’appello è stato trattenuto in decisione.
6. – L’appello è fondato e va, dunque, accolto.
7. – Con il primo motivo di appello deduce l’appellante la doglianza di “Erroneità della statuizione di fondatezza dell’avverso primo motivo di ricorso, vertente sulla pretesa natura verticale dell’Ati Servizi Italia, per malgoverno dell’istituto dell’ATI verticale, erronea applicazione dell’art. 48, comma 2, del Codice dei contratti ed omessa motivazione e considerazione delle disposizioni del disciplinare di gara. In via tuzioristica: ulteriore vizio della motivazione per ultrapetizione e travisamento su una circostanza essenziale in fatto”.
Tale doglianza è stata articolata sotto due diversi profili con i quali l’appellante ha dedotto:
– il malgoverno dell’istituto dell’ATI verticale;
– l’omessa considerazione della lex specialis di gara e l’omessa motivazione.
L’appellante ha rilevato che il primo giudice avrebbe affermato la natura verticale dell’ATI Servizi Italia sulla base di un mero ragionamento deduttivo, in quanto tale qualificazione non soltanto non sarebbe rinvenibile nella domanda di partecipazione, ma sarebbe stata espressamente negata dalla stessa concorrente in sede giurisdizionale.
7.1 – La sentenza impugnata, quindi, fonderebbe la sua interpretazione in ordine alla forma dell’ATI sulla base di due argomentazioni:
– le due componenti dell’ATI (Servizi Italia e Medicair, rispettivamente mandataria e mandante) sarebbero portatrici di competenze differenziate tra loro;
– si sarebbero ritagliate, ai fini dell’esecuzione dell’appalto, servizi di tipologia diversa: non avrebbero, infatti, operato una suddivisione in parti dei servizi unitari previsti, ma avrebbero affidato ad un singolo componente un singolo servizio o fornitura qualitativamente distinto dagli altri;
– tale ripartizione sarebbe concettualmente estranea all’ATI orizzontale caratterizzata dall’esecuzione, da parte di ciascun componente, del “medesimo tipo di prestazione”;
– tenendo conto del tenore letterale dell’art. 48, comma 2, d.lgs. n. 50/2016 il raggruppamento costituirebbe, quindi, un ATI verticale;
– tale tipologia di raggruppamento, però, non sarebbe consentito dal disciplinare di gara che prevedrebbe l’affidamento di un servizio unitario, senza distinzione tra prestazioni principali e secondarie; inoltre, sarebbe prevista la responsabilità solidale propria dell’ATI orizzontale, nella quale la mandataria deve svolgere le prestazioni in misura maggioritaria nell’ambito dell’unico servizio;
– secondo la giurisprudenza costante, la mancata individuazione da parte della stazione appaltante delle prestazioni principali e secondarie, renderebbe inammissibile la partecipazione delle ATI verticali.
7.2 – Nel ricorso in appello Servizi Italia ha censurato tale ricostruzione rilevando che la mera disomogeneità qualitativa della distribuzione dei servizi all’interno del raggruppamento non implica la formazione di un’ATI verticale, tenuto conto che entrambe le società erano singolarmente in possesso (in tutto o pro parte) della totalità dei requisiti di qualificazione di capacità richiesti dal bando: non vi era, quindi, alcuna suddivisione all’interno dell’ATI delle competenze richieste dalla lex specialis, ma soltanto la ripartizione di parti di esecuzione della unitaria prestazione complessa oggetto di gara.
Secondo l’appellante, ciò che qualifica l’ATI verticale è la disomogeneità nel possesso dei requisiti richiesti dal bando, e dunque, delle competenze necessarie per l’ammissione alla gara: la mandataria è titolare dei requisiti previsti dal bando per l’esecuzione della prestazione principale, la mandante di quelli previsti per le prestazioni secondarie.
Una mera ripartizione interna delle singole attività proprie di un’unica prestazione complessa (quale è quella oggetto della presente gara), indipendentemente da un disomogeneo possesso in capo alla mandataria e alla mandante dei requisiti di capacità richiesti dal bando per la partecipazione alla gara, non potrebbe giustificare la qualificazione del raggruppamento come di tipo verticale.
La decisione impugnata, basata su una lettura puramente formale della norma dell’art. 48, comma 2 del d.lgs. n. 50/2016 senza tener conto della sua ratio, non avrebbe neppure tenuto conto della espressa prescrizione contenuta nel disciplinare di gara (art. 2, pag. 5, doc. n. 5 ESTAR) secondo cui “L’Operatore economico dovrà specificare le parti del servizio che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati”: la lex specialis, quindi, richiedeva l’indicazione delle “parti” del servizio (che avrebbero potuto non essere omogenee) e non delle “quote di esecuzione” del servizio (che presuppongono, al contrario, la ripartizione percentuale della stessa prestazione), come preteso dal TAR.
8. – La doglianza è fondata.
8.1 – Occorre preventivamente rilevare che la decisione del TAR si fonda sull’interpretazione letterale dell’art. 48 comma 2, del codice degli appalti, sganciata dalla lettura della norma con la sua ratio e dal contesto di riferimento.
Come ha correttamente ricordato l’appellante, la giurisprudenza ha da tempo sottolineato l’inadeguatezza dell’interpretazione meramente letterale ponendo l’accento sulla rilevanza della ricerca della ratio della norma (Cons. Stato, Sez. IV 30/06/2017, n. 3233, idem Consiglio di Stato, sez. IV, 11/02/2016, n. 606; Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 08/05/2015, n. 374 Cassazione civile, sez. I, 04/04/2014, n. 7981) che consente l’interpretazione della disposizione nel contesto dell’ordinamento.
La norma, infatti, non costituisce “una monade” sganciata dalle altre norme, da leggersi in modo atomistico, ma va letta all’interno della disciplina di settore accertando quale è la sua ratio e, quindi, quale è la funzione che essa svolge all’interno del complesso normativo.
L’interpretazione seguita dal TAR contrasta con la giurisprudenza (anche di questa Sezione) e non può essere condivisa dal Collegio.
8.2 – La sentenza della Sezione Quinta di questo Consiglio di Stato del 4 gennaio 2018, n. 51 ha ricostruito la distinzione tra ATI orizzontale e verticale – partendo dalla decisione dell’Adunanza Plenaria 13 giugno 2012 n. 22.
In tale decisione è stato affermato che deve respingersi la tesi che “deduce” la pretesa natura “di raggruppamento temporaneo di tipo verticale. … “dalla mancanza di omogeneità delle prestazioni erogate dalle imprese partecipanti al raggruppamento”… “ E ciò in quanto “Cons. Stato, Ad. plen., 13 giugno 2012, n. 22, ha chiarito: “La distinzione tra a.t.i. orizzontali e a.t.i. verticali – oggi enunciata sul piano legislativo dall’art. 37, commi 1 e 2, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/Ce e 2004/18/Ce) – poggia sul contenuto delle competenze portate da ciascuna impresa raggruppata ai fini della qualificazione a una determinata gara: in linea generale, l’a.t.i. orizzontale è caratterizzata dal fatto che le imprese associate (o associande) sono portatrici delle medesime competenze per l’esecuzione delle prestazioni costituenti oggetto dell’appalto…”. Il testuale riferimento legislativo al «tipo» di prestazione (e non alla prestazione concretamente svolta, e così ad un concetto astratto piuttosto che concreto) va inteso, insomma, nel senso che ciascun operatore economico dev’essere in grado, per le competenze possedute, di partecipare all’esecuzione dell’unica prestazione; quest’ultima, poi, altro non può essere che la prestazione oggetto del servizio da affidare (in tal senso, cfr. Cons. Stato, V, 16 aprile 2013, n. 2093) e le competenze non possono essere che quelle richieste dal bando di gara. Ciò significa… che la diversità delle prestazioni, tale da escludere il carattere orizzontale del raggruppamento, ricorre solo se ciascuna delle imprese possiede specializzazioni e competenze diverse da quelle richieste dal bando, finalizzate all’esecuzione di un’attività non corrispondente a quella oggetto del contratto”.
8.3 – Tali principi sono stati affermati anche da questa Sezione in più occasioni (cfr. Cons. Stato, Sez. Terza, 24 maggio 2017 n. 2452; 8 ottobre 2018 n. 5765; 18 gennaio 2018 n. 310; n. 2952/2016): più volte questa Sezione ha ritenuto che la mera scomposizione qualitativa interna dell’ATI è compatibile con l’istituto dell’ATI orizzontale e non vale ad identificare un’ATI verticale, per quale occorre, invece, una differente spendita del possesso dei requisiti di qualificazione (Cons. Stato, Sez. Terza n. 5765/2018, cit.).
8.4 – Va quindi ribadito che ciò che caratterizza il raggruppamento di tipo verticale è la disomogeneità e la differenziazione delle capacità e dei requisiti posseduti dai componenti del raggruppamento medesimo, portatori – nel caso di ATI verticali – di competenze distinte e differenti (che vengono riunite ai fini della qualificazione per una determinata gara).
L’oggetto dell’appalto deve riguardare prestazioni e tipologie di servizi effettivamente autonome e specifiche, differenziabili e scorporabili, tanto da poter essere svolte da soggetti distinti, dotati di determinati requisiti di qualificazione, idonei allo svolgimento di quelle particolari prestazioni che costituiscono secondo la stazione appaltante, valore secondario.
Ed infatti, nel caso di ATI verticale, la stazione appaltante deve individuare le prestazioni principali e secondarie da ripartire all’interno dell’associazione tra i suoi componenti, non potendo consentire all’autonomia delle parti privati la scelta delle prestazioni da svolgere, tenuto conto del differente regime relativo alla responsabilità che si applica alle ATI verticali.
8.5 – Nel caso di specie, nessuno dei due aspetti ricorre: non sussiste il requisito della disomogeneità e della differenziazione delle capacità e dei requisiti posseduti dai componenti del raggruppamento, in quanto i due soggetti che ne fanno parte dispongono entrambi dei requisiti di qualificazione richiesti.
Neppure ricorre l’autonomia delle prestazioni oggetto di gara: la procedura in questione attiene ad un’unica ed unitaria tipologia di servizio “il noleggio, con gestione full service di dispositivi” come indicato nel Capitolato Speciale di Appalto, la cui esecuzione richiede la sommatoria di varie operazioni, che non sono però suscettibili di dar luogo ad autonomi servizi o ad attività prestazioni differenziabili, tra le quali individuare una gerarchia di valore ed una diversificazione in termini di principalità ed accessorietà.
L’oggetto del contratto è unitario e l’indicazione delle parti materiali dell’unico complesso servizio oggetto di gara, quali sono la distribuzione del guardaroba o la gestione dell’attività attraverso mezzi informatici, costituisce la mera risposta fornita dalle ditte partecipanti al raggruppamento alla prescrizione contenuta nel disciplinare di gara (art. 2, pag. 5) che imponeva ai partecipanti al raggruppamento di indicare le “parti” (e non le “quote” come correttamente rilevato dall’appellante) del servizio che concretamente avrebbero svolto, indicazione necessaria alla stazione appaltante – in applicazione del principio del buon andamento dell’attività amministrativa – per poter operare le necessarie verifiche al fine di evitare il rischio dell’esecuzione di quote rilevanti dell’appalto da parte di soggetti sprovvisti delle qualità necessarie, che non assicurano la garanzia di un livello di prestazione adeguato all’interno di ciascuna fase di svolgimento del servizio (cfr. Cons. Stato A.P. n. 22/2012, cit.).
In sostanza, quindi, la ripartizione dichiarata dalle componenti dell’ATI Servizi Italia non integra i presupposti per la qualificazione del raggruppamento come “verticale”, ma costituisce soltanto la risposta alla richiesta contenuta nel disciplinare di indicazione delle parti di servizio svolte da ciascuna di esse.
La doglianza è dunque fondata e va accolta.
9. – Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto la doglianza di “Erroneità della sentenza appellata quanto al capo di accoglimento dei motivi aggiunti, per erronea applicazione degli artt. 105, comma 22, 84, comma 4, lett. b) e 86, commi 4, 5 e 5 bis, del Codice e contrasto con i principi affermati all’art. 1, comma 1, lett. r della legge delega n. 11/2016”.
L’appellata, ricorrente in primo grado, ha rilevato che per il lotto 1, il fatturato specifico triennale richiesto era pari ad € 7.000.000,00 sicchè Servizi Italia, partecipante in ATI con la quota del 75%, avrebbe dovuto dimostrare un fatturato specifico pari ad € 5.250.000,00.
Tale fatturato è stato raggiunto dall’appellante solo utilizzando il fatturato derivante dal servizio di materassi antidecubito imputabile al subappaltatore (e cioè dalla stessa società Arjo Italia), ma tale fatturato avrebbe dovuto essere decurtato ai sensi dell’art. 105, comma 22, del codice degli appalti e, quindi, la società Servizi Italia avrebbe dovuto essere esclusa.
In caso contrario, infatti, tale fatturato sarebbe stato utilizzato due volte, sia dall’appaltatore che dal subappaltatore.
9.1 – Il TAR ha accolto la censura ritenendo che:
– l’ATI Servizi Italia ha dichiarato, ai fini della partecipazione alla gara, di disporre del requisito di capacità economica e finanziaria di € 7.000.000,00 computando in tale importo anche il valore delle prestazioni eseguite mediante subappalto affidato a terzi;
– ai sensi dell’art. 105, comma 22, del codice degli appalti il valore relativo alle prestazioni svolte per effetto del subappalto deve essere scomputato;
– tale disposizione, secondo il TAR, si applica a tutti i tipi di appalto – e non solo a quello di lavori – in quanto la disposizione dell’art. 105, comma 22, attraverso il richiamo all’art. 83, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 reca un indifferenziato riferimento ai requisiti di idoneità professionale, di capacità economica e finanziaria e di capacità tecnica e professionale che è comune a tutte le tipologie di appalto;
– tale norma, secondo il TAR, riguarda non solo i requisiti di capacità tecnico professionale, ma anche quelli di capacità economica e finanziaria, atteso che l’art. 105, comma 22, cit. richiama non solo la lett. c) dell’art. 83, comma 1, ma l’intero comma 1, e si riferisce, quindi, anche alla lett. b) relativa alla capacità economico e finanziaria;
– secondo il TAR, quindi, la norma dell’art. 105, comma 22, del d.lgs. n. 50/2016 ha valenza generale;
– il riferimento ai “certificati necessari per la partecipazione” contenuto nell’art. 105, comma 22, cit. deve intendersi, infatti, come riferimento ai mezzi di prova dei requisiti dell’art. 83 comma 1 del d.lgs. n. 50/2016 che riguarda tutte le tipologie di appalto;
– tale interpretazione risponde all’esigenza di evitare una qualificazione o il possesso di requisiti solo cartolare;
– nel caso di specie, detraendo l’importo del fatturato ottenuto mediante il subappalto, l’ATI Servizi Italia non disponeva del requisito di capacità economico finanziaria richiesto dalla lex specialis, e pertanto, doveva essere esclusa.
9.2 – L’appellante ha dedotto l’erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 105, comma 22 del d.lgs. n. 50/2016 al caso di specie, sotto due diversi profili:
a) l’erronea applicazione dell’art. 105, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 ai requisiti di capacità economica e finanziaria (e non soltanto a quelli di capacità tecnica);
b) l’erronea applicazione di tale disposizione al settore degli appalti di servizi (e non al solo settore dei lavori pubblici).
9.2.1 – Con riferimento al punto a), l’appellante ha dedotto che:
– la norma dell’art. 105, comma 22 cit. si riferisce al rilascio dei certificati di buona esecuzione necessari per il rilascio dei requisiti di qualificazione relativi alla capacità tecnica, e quindi, si applica alla capacità economica e finanziaria;
– quest’ultima viene provata, infatti, attraverso le dichiarazioni di fatturato e i bilanci e non mediante i certificati di esecuzione lavori, o i “certificati” in genere;
– il riferimento all’art. 83, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 contenuto nella norma dell’art. 105, comma 22, del codice degli appalti non consente l’interpretazione seguita dal TAR, tenuto conto che la disposizione è chiara nel riferirsi ai certificati necessari per la qualificazione di cui all’art. 83, comma 1, e tali certificati sono solo quelli relativi ai requisiti di capacità tecnica;
– l’estensione di tale disposizione ai requisiti di capacità economico e finanziaria non è possibile neppure in via analogica, in quanto la ratio su cui si fonda lo scorporo per i requisiti di capacità tecnica (evitare la maturazione del requisito meramente cartolare per l’appaltatore) non vale per quelli di capacità economica e finanziaria;
– il rischio economico e finanziario grava, infatti, sull’appaltatore che risponde direttamente per la corretta esecuzione dell’appalto nei confronti della stazione appaltante anche nel caso del subappalto, con la conseguenza che il requisito deve maturare nei confronti dell’appaltatore essendo il soggetto che sopporta il peso economico e finanziario dell’appalto;
– non vi è una disposizione specifica che prevede lo scorporo nel caso di appalto di servizi e l’interpretazione analogica seguita dal TAR contrasta con il principio generale contenuto nella legge delega n. 11/2016, art. 1, comma 1, lett. r), e cioè quello di avere il maggior numero di potenziali concorrenti;
– tale interpretazione, incidendo sul ricorso al subappalto, pone problemi di compatibilità con l’ordinamento eurounitario.
9.2.2 – Con riferimento al punto b) l’appellante ha invece rilevato che:
– l’art. 105, comma 22, d.lgs. n. 50/2016 si applica ai soli appalti di lavori e alla dimostrazione del possesso dei requisiti di capacità tecnica per l’esecuzione dei lavori pubblici;
– solo per gli appalti di lavori il comma 5 bis dell’art. 86 richiede di comprovare con il certificato di esecuzione lavori il requisito di capacità tecnica;
– il Consiglio di Stato, Commissione speciale, nel parere n. 782/2017 ha fatto espresso riferimento ai soli appalti di lavori;
– la disposizione in questione si inquadra, infatti, in quello specifico settore avente una disciplina normativa particolare, e non è direttamente applicabile agli appalti di servizi e forniture;
– in materia di subappalto, ad esempio, la regolamentazione è differente per i settori dei servizi e delle forniture (cfr. art. 105, comma 3 lett. c-bis d.lgs. n. 50/2016).
9.3 – Anche ESTAR, nella propria memoria, ha rilevato che la norma dell’art. 105, comma, 22 si applica ai soli appalti di lavori e si riferisce ai requisiti di capacità tecnica e non a quelli di capacità economica e finanziaria.
9.4 – A quest’ultimo proposito è opportuno rilevare che nella propria memoria Arjo ha sostenuto che il requisito in questione costituirebbe anche un requisito di capacità tecnica.
Sul punto l’appellante ha svolto rilievi di ordine processuale, sottolineando l’inammissibilità di tale nuova prospettazione, mai dedotta in primo grado, contraddicendo quanto rilevato dinanzi al TAR.
Ha anche aggiunto che il fatturato è stato qualificato dalla stazione appaltante come requisito di capacità economica e finanziaria e che il disciplinare di gara non è stato impugnato.
Di qui l’inammissibilità di tale nuova prospettazione.
10. – La doglianza è fondata e va, quindi, accolta.
10.1 – E’ opportuno precisare fin d’ora che l’eccezione di inammissibilità, sollevata dall’appellante è fondata.
Si tratta, infatti, di una nuova prospettazione dedotta in violazione dell’art. 104, comma 1, c.p.a., e relativa al contenuto del disciplinare di gara, mai impugnato.
Il disciplinare, infatti, qualifica espressamente tale requisito come afferente alla capacità economica e finanziaria assoggettandolo alla relativa disciplina: tale documento di gara non è stato mai impugnato, come può chiaramente evincersi dalla lettura della sentenza di primo grado.
Anch’essa, peraltro, ha considerato tale requisito nei termini indicati nella legge di gara: ne consegue che la pretesa dell’appellata ad introdurre tale nuovo argomento, in replica alle difese avversarie, va dichiarato inammissibile.
10.2 – Prima di procedere alla disamina della doglianza, ritiene il Collegio di dover richiamare la disposizione recata dall’art. 105, comma 22, del d.lgs. n. 50/2016 secondo cui: “Le stazioni appaltanti rilasciano i certificati necessari per la partecipazione e la qualificazione di cui all’articolo 83, comma 1, e all’articolo 84, comma 4, lettera b), all’appaltatore, scomputando dall’intero valore dell’appalto il valore e la categoria di quanto eseguito attraverso il subappalto. I subappaltatori possono richiedere alle stazioni appaltanti i certificati relativi alle prestazioni oggetto di appalto realmente eseguite”.
Tale disposizione, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, non costituisce una norma generale dettata per tutte le tipologie di appalto, tanto da imporre per ogni settore dei contratti pubblici il divieto per l’operatore economico di far valere nell’ambito del proprio fatturato, quanto realizzato mediante il subappalto.
Depone in questo senso la piana lettura della disposizione che contiene precisi riferimenti allo specifico settore degli appalti di lavori.
10.3 – Il comma 22 dell’art. 105 cit. contiene, infatti, una specifica prescrizione diretta alle stazioni appaltanti nell’ambito dell’attività certificata ad esse demandata in ordine ai requisiti di qualificazione degli operatori economici nello specifico settore degli appalti di lavori, nella quale vige, diversamente che nel caso dei servizi e forniture, un’attività certificativa delle stazioni appaltanti attraverso cui gli organismi di attestazione (SOA) attingono i requisiti attinenti la capacità tecnica dell’impresa, ai fini della partecipazione alle gare di appalto.
Correttamente ESTAR ha ricordato nella propria memoria che la disposizione in questione non costituisce una novità assoluta in materia di appalti di lavori, in quanto risultava già vigente con riferimento al settore degli appalti inerenti i beni culturali ed ambientali: pertanto, la disposizione oggi introdotta nel codice degli appalti estende a tutto il settore degli appalti di lavori pubblici tale principio che era, in precedenza, proprio di uno specifico settore aventi specifiche caratteristiche di specialità.
Si tratta comunque, di una disposizione relativa allo svolgimento di un’attività certificativa, che è propria dello specifico settore degli appalti di lavori; si riconnette, infatti, al sistema di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici, come risulta palese dall’espresso richiamo all’art. 84, comma 4, lett. b) dello stesso codice degli appalti.
Del resto la nozione di “certificati necessari per la partecipazione” come ha correttamente dedotto l’appellante, evoca lo specifico settore degli appalti di lavori per i quali sussiste l’obbligo della stazione appaltante di rilasciarli; l’art. 86, comma 5-bis prevede, infatti, che l’esecuzione dei lavori è documentata dal certificato di esecuzione lavori; anche il riferimento alla “categoria” contenuto nella norma del comma 22 dell’art. 105 cit. rimanda alla precedente norma propria del settore degli appalti di lavori e segnatamente dei certificati di esecuzione lavori; infine la stessa Commissione Speciale di questo Consiglio di Stato, nel proprio parere n. 782/2017, reso sul correttivo al codice degli appalti, nell’interpretazione dell’art. 105 comma 22 cit. ha fatto chiaro riferimento al solo appalto di lavori.
Si tratta, quindi, di una disposizione specifica introdotta dal legislatore per tale tipologia di appalti che presenta aspetti peculiari rispetto alle altre tipologie di appalto, che il legislatore ha storicamente disciplinato in modo più rigido rispetto agli altri settori degli appalti di servizi e forniture.
10.4 – Non convince, infatti, la tesi sostenuta dall’appellata (ed accolta dal TAR) secondo cui la norma – attraverso il richiamo all’art. 83, comma 1, d.lgs. 50/2016 – avrebbe una valenza generale.
In un contesto nel quale è chiarissimo il riferimento al solo settore degli appalti di lavori – che presenta uno specifico regime – argomentare l’applicabilità della disposizione a tutte le tipologie di appalto solo facendo riferimento al richiamo ad una norma generale che riguarda i criteri di selezione nelle procedure di gara, si appalesa al Collegio poco persuasiva, tanto più che i requisiti di capacità economico finanziaria non sono provati con certificati, ma con il fatturato o i bilanci.
Sebbene non possa ritenersi precluso a priori l’uso di “certificati” per la comprova dei requisiti di capacità economico finanziaria, nondimeno la norma è chiara nel riferirsi ai certificati necessari per la qualificazione e tali sono quelli relativi alla capacità tecnica, e ciò spiega il richiamo all’art. 83, comma 1 cit. senza alcuna specificazione.
10.5 – Venendo al caso di specie, occorre rilevare che l’estensione della disposizione propria del settore degli appalti di lavori a quello degli appalti di servizi e, nell’ambito di esso ai requisiti di capacità economica e finanziaria, trova un ulteriore ostacolo costituito dal fatto che la ratio sulla quale si fonda la disposizione in questione non si attaglia ai requisiti di capacità economico finanziaria: nel caso dei requisiti di capacità tecnica, infatti, lo scopo della norma è quello di evitare la valutazione di un requisito di capacità tecnica meramente cartolare (essendo stata subappaltata l’esecuzione della prestazione), rendendo applicabile il principio secondo cui l’impresa può far valere soltanto i lavori direttamente eseguiti (codificato dall’art. 24, comma 2, del D.P.R. n. 34/2000); nel caso della capacità economico finanziaria, invece, il subappalto non elide gli oneri e le funzioni gravanti sull’appaltatore sotto l’aspetto economico e finanziario.
L’appaltatore infatti assume su di sé il rischio economico finanziario per le opere eseguite mediante subappalto, non può scaricare il rischio sul subappaltatore (tenuto conto che secondo quanto prevede il comma 14 dell’art. 105, il contratto di sub-appalto non può prevedere ribassi maggiori del 20% rispetto ai prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione del contratto di appalto), e ne sopporta integralmente la responsabilità della corretta esecuzione nei confronti della stazione appaltante.
Anche in caso di esecuzione tramite subappalto, il peso economico e finanziario è direttamente sopportato dall’appaltatore, al quale, conseguentemente, in assenza di un’espressa indicazione normativa di segno opposto, deve essere riconosciuto anche il maturare di un corrispondente requisito di capacità economico e finanziaria.
10.6 – La tesi seguita dal TAR che estende – in via interpretativa, in assenza di una chiara disposizione di legge che lo preveda – la portata di una disposizione propria del settore dei lavori pubblici a quello di servizi e che, nuovamente, ricorre all’interpretazione analogica per estendere, nell’ambito degli appalti di servizi, una disposizione dettata per i requisiti di capacità tecnica a quelli di capacità economica, non può essere condivisa alla luce dei rilievi già svolti, sia con riferimento alla differente disciplina che regola i settori degli appalti di lavori da quelli di servizi e forniture, sia con riferimento al differente regime esistente per le due tipologie di requisiti.
Inoltre, l’estensione della previsione recata dall’art. 105, comma 22, cit, potrebbe disincentivare il ricorso al subappalto, finendo per porre problemi di compatibilità con l’ordinamento eurounitario e con il principio di proporzionalità.
In sostanza, in assenza di una norma che affermi il principio della depurazione del fatturato conseguito a mezzo di subappalto dall’appalto totale negli appalti di servizi, su cui si fonda la domanda di Arjo Italia, tale principio non può essere introdotto in via meramente interpretativa.
11. – In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va respinto il ricorso di primo grado.
12. – Le spese del doppio grado di giudizio possono compensarsi tra le parte in considerazione della novità e complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
- Franco Frattini, Presidente
- Massimiliano Noccelli, Consigliere
- Pierfrancesco Ungari, Consigliere
- Stefania Santoleri, Consigliere, Estensore
- Giulia Ferrari, Consigliere