A cura dell’Avv. Nicoletta Tradardi
Il Tar Lazio rimette alla CGUE due questioni pregiudiziali sulla compatibilità alla disciplina comunitaria dell’art. 35 co. 1 del d.l. n. 133/2014 (cd. decreto Sblocca Italia) e del DPCM di attuazione del 10.08.2016 in materia di impianti di incenerimento per lo smaltimento dei rifiuti.
Il Tar Lazio, Roma, sez. I, con l’Ordinanza n. 4574 del 24 aprile 2018 ha rimesso alla Corte di Giustizia UE due questioni pregiudiziali aventi ad oggetto alcune disposizioni nazionali in materia di impianti di incenerimento per lo smaltimento dei rifiuti.
La vicenda sorge dall’impugnazione, da parte di associazioni ambientaliste, dinanzi al Tar Lazio del DPCM del 10.08.2016, (in Guri n. 233 del 05.10.23016), recante “ Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilati”.
Il DPCM è stato adottato sulla base dell’art. 35 co. 1 del d.l. n. 133/2014 (l. di conversione n. 164/2014, cd. decreto Sblocca Italia). Quest’ultima disposizione affida ad un DPCM l’individuazione della capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l’indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, nonché dell’indicazione degli impianti di incenerimento da realizzare per coprire il fabbisogno residuo.
Gli impianti così individuati costituiscono, secondo il legislatore, infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, finalizzati ad (1) attuare un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati; (2) garantire la sicurezza nazionale nell’autosufficienza; (3) consentire di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica; (4) favorire un progressivo riequilibrio socio – economico fra le aree del territorio nazionale.
Dal punto di vista metodologico, il DPCM del 10.08.2016 elenca, nella cd. tabella A, gli impianti di incenerimento di rifiuti urbani, in esercizio al novembre 2015, con l’indicazione della rispettiva capacità di trattamento autorizzata. La tabella A individua la capacità nazionale complessiva di trattamento degli impianti.
In una seconda tabella, denominata B, il DPCM enumera, invece, gli impianti di incenerimento, autorizzati e non in esercizio al novembre 2015, con indicazione della capacità potenziale di trattamento e la localizzazione su base regionale. La tabella B determina la capacità potenziale di trattamento derivante da questi impianti.
Infine, nella tabella C, il DPCM individua, per macro area geografica, gli impianti da realizzare o da potenziare per soddisfare il fabbisogno residuo nazionale, tenendo conto della programmazione regionale. La tabella C indica, per ciascuna macroarea geografica, le regioni nelle quali realizzare o potenziare gli impianti per soddisfare il fabbisogno nazionale e le relative capacità.
Questo complesso normativo, secondo la prospettazione del Tar Lazio, dà luogo a problematiche di compatibilità con la normativa europea.
La prima questione ha per oggetto il cd. principio – di matrice comunitaria – di “gerarchia dei rifiuti”, che privilegia altre modalità di gestione dei rifiuti (mediante recupero), prevedendo lo smaltimento tramite incenerimento solo come soluzione di ultima istanza.
Le norme nazionali in questione, invece, danno priorità assoluta all’incenerimento, attribuendo un preminente interesse nazionale alla creazione di nuovi impianti ovvero al potenziamento di quelli esistenti, senza, peraltro, svolgere analogo riconoscimento agli impianti volti al trattamento dei rifiuti per riciclo e riuso, pur essendo tali metodologie preminenti nella “gerarchia dei rifiuti” delineata dalla Direttiva 2008/98/CE.
Da questi argomenti discende la prima questione pregiudiziale sollevata nell’Ordinanza in commento, in riferimento alla Direttiva 2008/98/CE (artt. 4 e 13).
In via principale, si chiede alla CGUE di valutare se la richiamata disciplina comunitaria sia ostativa ad una normativa interna primaria ed alla correlata normativa secondaria di attuazione, (ovvero l’art. 53 co. 1 d.l. n. 133/2014 e il DPCM 10.08.2016), che qualifichi solo gli impianti di incenerimento ivi considerati quali infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, poiché una simile qualificazione non è stata parimenti riconosciuta dal legislatore interno agli impianti volti al trattamento dei rifiuti a fini di riciclo e di riuso, pur essendo tali due modalità preminenti nella gerarchia dei rifiuti.
In via subordinata rispetto al primo quesito, si sollecita il Giudice Comunitario a valutare, secondo i medesimi parametri normativi, la compatibilità con la disciplina comunitaria di quella nazionale, nella parte in cui qualifica gli impianti di incenerimento quali infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, allo scopo di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore, oltre che al fine di limitare il conferimento di rifiuti in discarica.
La seconda questione pregiudiziale prospetta dal Tar Lazio si riferisce, invece, alla mancata sottoposizione a Valutazione Ambientale Strategica del DPCM 10.08.2016.
Questa esclusione è motivata, nelle premesse del DPCM, con la sua valenza programmatica.
Secondo quanto si legge nelle premesse, il DPCM si limita all’individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento e del fabbisogno residuo da coprire mediante l’implementazione degli stessi. Il DPCM esclude la sussistenza dei presupposti per sottoporre a Vas i contenuti programmatici generali, poiché esso non definisce il quadro di riferimento per l’approvazione, l’autorizzazione, l’area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti, e, quindi, non integra un’ipotesi di obbligatoria sottoposizione a Vas, (art. 6 co. 2 lett. a d.lgs. n. 152/2006). Le Regioni, sulla base delle indicazioni fornite dal PDCM, individuano, nei propri atti di pianificazione, la localizzazione puntuale dei singoli impianti e le condizioni operative. Le procedure di Vas devono, quindi, essere avviate in quella seconda fase (di livello regionale).
In termini analoghi depone il parere della Commissione Tecnica di Verifica dell’Impatto Ambientale – Via e Vas, presso il Ministero dell’Ambiente, n. 2100 del 10.06.2016 (richiamato nelle premesse del PDCM e reperibile in a questo link.
La CTVIA ritiene che il «“Rapporto preliminare” delinei “un Programma recante l’individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento rifiuti urbani e assimilati in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché l’individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilabili”, senza i contenuti per essere sottoposto alla verifica di assoggettabilità alla Vas».
Tuttavia, l’Ordinanza in commento osserva che il DPCM effettua valutazioni strategiche (quali: computo del fabbisogno nazionale residuo e suo riparto tra macroaree, potenziamento delle strutture già in essere, localizzazione regionale dei nuovi impianti), che vengono sottratte all’esame degli organi regionali e locali. Il dubbio di conformità eurounitaria si riferisce al fatto che queste scelte non potranno essere ridiscusse nei relativi piani attuativi né rivalutate nelle eventuali procedure di Vas regionali. Peraltro, il DPCM consente l’aumento dell’attività degli impianti in esercizio fino all’esaurimento delle rispettive capacità organizzate; ciò esclude il valore solo ricognitivo del DPCM e fa sorgere il dubbio di compatibilità eurounitaria che le originarie procedure di Vas sugli impianti in essere possano considerarsi ad oggi valide.
L’Ordinanza perviene, quindi, alla definizione della seconda questione pregiudiziale, richiedendo alla CGUE di verificare se la Direttiva 2001/42/CE (artt. 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12) osti all’applicazione di una normativa interna primaria e alla sua correlata normativa secondaria di attuazione (art. 35, co. 1, d.l. n. 133/2014 e DPCM 10.8.2016), la quale preveda che il Presidente del Consiglio dei Ministri possa, con proprio decreto, rideterminare in aumento la capacità degli impianti di incenerimento in essere e determinare il numero, la capacità e la localizzazione regionale degli impianti di incenerimento da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, senza che tale normativa interna preveda che, in fase di predisposizione di tale piano emergente dal DPCM, si applichi la disciplina di valutazione ambientale strategica.
L’Ordinanza si conclude con la rimessione delle questioni pregiudiziali alla CGUE ed alla conseguente sospensione del giudizio dinanzi al Tar.
N. 04574/2018 REG.PROV.COLL.
N. 14990/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 14990 del 2016, proposto da
Associazione “Verdi Ambiente e Società – Aps Onlus”, “VAS – Aps Onlus” e Associazione di Promozione Sociale “Movimento Legge Rifiuti Zero per l’Economia Circolare”, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Federico Pernazza e Antonello Ciervo, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Po, 22;
CONTRO
Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso cui domiciliano ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Lazio, Regione Toscana, Regione Lombardia, non costituite in giudizio;
E CON L’INTERVENTO
ad adiuvandum:
Associazione “Mamme per Salute e l’Ambiente Onlus” e Comitato “Donne 29 Agosto”, in persona del legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall’avvocato Carmela Auriemma, con domicilio ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
per l’annullamento, previa sospensiva,
del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10.08.2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 233 del 05.10.2016, emesso in attuazione dell’art. 35, primo comma, del Decreto legge n. 133/2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 164/2014, D.P.C.M. avente ad oggetto la “Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilati”; nonché per l’annullamento e/o la disapplicazione di tutti gli atti e/o provvedimenti presupposti, connessi e consequenziali, inclusi gli allegati, le tabelle e le appendici al D.P.C.M. oggetto della presente impugnativa.
- Visti il ricorso e i relativi allegati;
- Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con la relativa documentazione;
- Visto l’intervento “ad adiuvandum” dell’Associazione “Mamme per Salute e l’Ambiente Onlus” e del Comitato “Donne 29 Agosto”, con i relativi allegati;
- Vista l’ordinanza collegiale istruttoria di questa Sezione n. 1365/2017 del 25.1.2017;
- Vista l’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 1442/2017 del 23.3.2017;
- Viste le memorie difensive;
- Visti tutti gli atti della causa;
- Visto l’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea – TFUE;
- Visto l’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione Europea;
- Visto l’art. 19, paragrafo 3, lett. b), del Trattato sull’Unione europea;
- Visti lo Statuto e il Regolamento di procedura della Corte di giustizia dell’Unione europea;
- Viste le “Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale” (2012/C 338/01) della Corte di giustizia dell’Unione europea;
- Visto l’art. 79, co. 1, cod. proc. amm.;
- Relatore nell’udienza pubblica del 28 febbraio 2018 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
1. L’oggetto della controversia, l’illustrazione dei fatti pertinenti e dei motivi di ricorso.
1.1 Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, le Associazioni in epigrafe chiedevano l’annullamento, previa sospensiva, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (dpcm), pure in epigrafe indicato.
In sintesi, le parti ricorrenti evidenziavano che il Governo della Repubblica Italiana aveva adottato il decreto-legge 12.9.2014, n. 133 (c.d. “decreto sblocca-Italia”), convertito con legge 11.11.2014, n. 164, il cui art. 35 aveva introdotto “Misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio. Misure urgenti per la gestione e per la tracciabilità dei rifiuti nonché per il recupero dei beni in polietilene”.
In particolare, il relativo primo comma affidava a un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (dpcm), su proposta del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano, l’individuazione della capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio, ovvero autorizzati a livello nazionale, con l’indicazione espressa della capacità di ciascun impianto.
Ponendo in evidenza i punti salienti di cui ai commi successivi (da 3 a 9) – quali: progressivo riequilibrio socio-economico rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio in relazione alla pianificazione regionale, qualificazione degli impianti come “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale”, tutela della salute della popolazione e dell’ambiente della aree interessate, realizzazione di un sistema integrato e moderno di gestione dei rifiuti urbani e assimilati, garanzia della sicurezza nazionale nell’autosufficienza per superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore – le parti ricorrenti ritenevano che tali obiettivi non fossero in realtà rinvenibili nella disposizione legislativa primaria come strutturata e in quella secondaria di attuazione.
1.2. Era quindi richiamato il dpcm in epigrafe che era stato adottato il 10.8.2016, ai sensi del comma 1 dell’art. 35 cit., e che aveva ad oggetto: “Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilabili in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilati”.
Era posto in evidenza l’art. 3, comma 1, che elencava gli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati in esercizio, con l’indicazione espressa per ciascun impianto della capacità di trattamento autorizzata e di quella relativa al trattamento dei rifiuti in questione, facendo rinvio alla Tabella A in allegato al dpcm stesso. Tale Tabella individuava, secondo il procedimento di cui all’Allegato I al medesimo, la capacità nazionale complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento in esercizio al novembre 2015. Questa capacità degli impianti – in esercizio ovvero autorizzati – risultava calcolata sulla base dei dati dell’ISPRA e di FederAmbiente, tenendo conto del “Rapporto sul recupero energetico da rifiuti urbani in Italia – 2014”, come aggiornato dalla stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri all’esito di riunioni del marzo e del settembre 2015 con la Conferenza Stato-Regioni.
Nel suddetto Allegato I, era specificato che “Alla capacità di trattamento annuale (espressa in tonnellate/anno) di ogni impianto è stata sottratta la capacità dedicata al trattamento dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, compresi i rifiuti sanitari, diversi dalle frazioni di rifiuti derivanti dal trattamento preliminare dei rifiuti urbani e assimilati di ogni singolo impianto” e che “Il dato sulla capacità di trattamento dedicata ai rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, è stato individuato sulla base dei dati forniti dalle Amministrazioni regionali e in mancanza di questi sulla base dei dati indicati nelle autorizzazioni.”.
Le parti ricorrenti evidenziavano che nella Tabella A allegata al suddetto dpcm, che computava la capacità totale di trattamento di tali rifiuti a fronte di una complessiva capacità di trattamento autorizzato di 5.910.099 t/a, quaranta impianti di incenerimento in esercizio (su quarantadue esistenti sul territorio italiano) erano stati riclassificati da tipo “D10” (“smaltimento”) a tipo “R1” (“recupero di energia”), ai sensi dell’art. 35, comma 4, d.l. n. 133/14 cit.
L’art. 4 del dpcm, poi, richiamava l’elenco degli impianti di incenerimenti autorizzati ma non in esercizio la cui l’indicazione, per ciascun impianto, della capacità potenziale di trattamento e della localizzazione su base regionale era riportata nella Tabella B, pure allegata.
Tra tali impianti, le Associazioni ricorrenti ne individuavano l’inserimento di sei, articolati su nove linee di trattamento, la cui costruzione era ferma da molti anni e per i quali era computata una capacità di circa 730.000 t/a di smaltimento.
Il successivo art. 5 – evidenziavano le parti ricorrenti – individuava gli impianti da realizzare o da potenziare, tenendo conto della programmazione regionale, per il fabbisogno residuo nazionale come individuato nell’Allegato II al dpcm, secondo quanto riportato nella Tabella C e in attuazione dei principi contenuti nell’Allegato III. In attuazione dell’art. 35, comma 1, del d.l. n. 133/2014 cit., come richiamato in tale Allegato III, la predetta Tabella individuava, altresì, le Regioni in cui realizzare o potenziare gli impianti necessari a soddisfare il fabbisogno nazionale e le relative capacità.
L’art. 6 del dpcm, infine, secondo il richiamo delle parti ricorrenti, dava luogo a disposizioni finali, tra cui erano richiamate quelle, di cui ai commi 1 e 2, che definivano gli impianti individuati nelle tre Tabelle (A, B e C), quali “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale” che “realizzano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantendo la sicurezza nazionale nell’autosufficienza del ciclo di gestione integrato dei rifiuti, così come richiesto dall’art. 16 della direttiva 2008/98/CE” nonché quelle che stabilivano che “le minori capacità di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in ragione delle politiche di cui al comma 6, sono ridistribuite all’interno della stessa macroarea secondo i criteri generali e le procedure di individuazione esplicitati nell’allegato III.”.
Premesso tutto ciò, le parti ricorrenti, sottolineando la propria legittimazione attiva a ricorrere, sollevavano le seguenti censure che si riportano in sintesi.
1.3. Con il primo motivo, era lamentata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 4 (come recepito dall’art. 179 d.lgs. n. 152/2006, come modificato dal d.lgs. n. 205/2010) e 13 della direttiva 2008/98/CE, che dovevano comportare l’annullamento dell’impugnato dpcm nella parte in cui determinava il fabbisogno residuo di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati, in violazione del principio della “gerarchia dei rifiuti”, previa eventuale disapplicazione dell’art. 35, comma 1, d.l. n. 133/14 cit., come convertito.
Dal coacervo delle disposizioni evidenziate, per le parti ricorrenti, risultava la violazione del principio della “gerarchia dei rifiuti”, desumibile dai “considerando” 6, 8 e 31 nonché dall’art. 4, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE, che erano riportati nei punti salienti. Anche l’art. 179, commi 1, 2, 3 e 6, d.lgs. n. 152/2006 (c.d. “Codice dell’Ambiente”), come modificato dal d.lgs. n. 205/2010, confermava il recepimento di tale principio che pure era trascritto.
La normativa eurounitaria, quindi, prevedeva solo in ultima istanza lo smaltimento dei rifiuti, dando prevalenza invece a diverse modalità ben distinte da quelle tramite inceneritori, mentre quella di cui al dpcm prevedeva misure tecnico-amministrative finalizzate a implementare la capacità degli impianti di incenerimento già esistenti nonché a realizzarne di nuovi, senza privilegiare ipotesi diverse, come quelle legate al recupero di materia e, anzi, arrivando a prevedere l’incenerimento anche di una quota di rifiuti già sottoposta al riuso o al riciclo.
L’Allegato II, infatti, nell’individuare il fabbisogno nazionale residuo di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati determinava la prima condizione di trattamento, con destinazione a tale forma di smaltimento di una quota pari al 10% degli scarti provenienti dalla raccolta “differenziata” in quanto idonei ad essere inceneriti (“idonei a tal fine”).
Nessuna misura specifica volta al riciclo o al riuso di rifiuti era stata prevista con gli strumenti del decreto-legge e del dpcm in questione, dato che l’art. 35 d.l. cit. aveva dato una priorità assoluta all’incenerimento, riconoscendo persino un “preminente interesse nazionale” all’implementazione degli impianti esistenti e alla realizzazione di nuovi.
Il “rimando” all’art. 16 della richiamata direttiva, di cui all’art. 6, comma 1, dpcm cit., era poi del tutto incongruo, dato che la rete integrata di impianto e smaltimento dei rifiuti, basata sui principi di “autosufficienza” e di “prossimità” al territorio locale interessato, era un obiettivo da perseguire solo in via “residuale”, rispetto all’ordine di cui alla richiamata “gerarchia” e il rispetto di tale ordine era rinvenibile anche in pronunce della Corte di Giustizia UE e del Consiglio di Stato italiano, che erano richiamate.
Inoltre, le parti ricorrenti osservavano che tale “gerarchia”, di cui all’art. 4 della direttiva, era da considerarsi norma “self-executing”, come anche rilevato dalla “Guidance of the Interpretation of key previsions of Directive 2008/98/CE” del 2012 del Dipartimento Ambiente della Commissione Europea (pag. 50).
Per le parti ricorrenti, evidente era anche il contrasto con l’art. 13 della direttiva, laddove questo, facendo riferimento ai principi di “precauzione” e di “minore impatto”, si volgeva alla tutela della salute umana, evitando pregiudizi all’ambiente e al paesaggio, come confermato anche dall’art. 179 d.lgs. n. 152/2006.
1.4. Con il secondo motivo di ricorso, le parti ricorrenti chiedevano, quindi, qualora al collegio decidente fossero sorti dubbi in ordine alla diretta applicazione nella presente sede delle conclusioni in questione, di sollevare la relativa questione di compatibilità alla Corte di Giustizia UE, sussistendone comunque tutti i presupposti.
1.5. Con il terzo motivo di ricorso, le parti ricorrenti lamentavano la violazione degli artt. 6, 7 e 11 del d.lgs. n. 152/2006, unitamente agli artt. 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 della direttiva n. 42/2001/CE, per il mancato esperimento della Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) e varie forme di eccesso di potere.
Non risultava previamente esperita la Valutazione in questione, non ostante il dpcm impugnato fosse da considerarsi un atto di pianificazione statale in materia di gestione di rifiuti.
Non potevano, allo scopo, essere condivise le premesse motivazionali contenute nello stesso (che erano riportate), a sostegno del mancato esperimento della valutazione in questione, fondate sulla considerazione per la quale il dpcm era da definirsi quale mera fattispecie programmatica e di riferimento per le amministrazioni territoriali, per cui solo al momento della singola pianificazione regionali poteva invocarsi l’applicazione della normativa concernente la V.A.S., dato che tutti i piani e programmi ambientali statali di gestione dei rifiuti aventi impatto sull’ambiente devono essere comunque sottoposti – anteriormente all’avvio della procedura legislativa – alla Valutazione in questione, ai sensi degli articoli 3, paragrafo 2, lett. a), e 4 della direttiva 42/2001/CE e degli artt. 6, comma 2, lett. a), e 7, commi 1, 5 e 6, del Codice Ambiente, che erano richiamati.
Né, se l’art. 35 d.l. cit. fosse da inquadrare quale mero strumento ricognitivo, poteva pure invocarsi l’esclusione della V.A.S., in quanto il dpcm impugnato, all’Allegato I, rideterminava la capacità di trattamento dei rifiuti nei quaranta impianti di incenerimento in essere, come elencati nella Tabella A, consentendo l’aumento dell’attività fino all’esaurimento della rispettiva capacità autorizzata, con notevole impatto sull’ambiente. Era richiamata anche la riclassificazione, da “D10” (smaltimento) a “R1” (recupero di energia), di tali impianti, con effetti potenzialmente negativi sull’ambiente, producendosi una serie di rifiuti secondari e di polveri nocive assai significativa nonché di sostanze velenose, quali il tallio e l’ossido di azoto, secondo quanto rilevato in un parere “pro veritate” reso dalla “International Society of Doctors for Environment” (ISDE Italia).
In subordine, le parti ricorrenti proponevano la relativa questione pregiudiziale da sottoporre alla Corte di Giustizia UE, suggerendo il relativo quesito.
1.6. Con il quarto motivo era lamentata la carenza di istruttoria e la violazione dei principi già richiamati, sotto altro profilo.
Era contestato che l’Allegato II al dpcm impugnato utilizzava una base di calcolo, per la rideterminazione del fabbisogno nazionale residuo di incenerimento, i cui esiti conducevano a un notevole sovradimensionamento dei fabbisogni regionali effettivi, in contraddizione con lo stesso art. 35, comma 1, d.l. cit. e con il principio di “gerarchia dei rifiuti”, secondo pareri tecnici, allegati in giudizio, che erano illustrati.
1.7. Da ultimo, con il quinto motivo, le parti ricorrenti lamentavano il contrasto con l’art. 6, paragrafo 3, del Regolamento n. 850/2004, relativo agli inquinanti organici persistenti, dato che non erano state illustrate, nel dcpm impugnato, le soluzioni alternative prese a riferimento ed eventualmente escluse, quanto meno per gli impianti di prima attivazione.
1.8. Si costituivano in giudizio con atto di mera forma la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Con la prima ordinanza in epigrafe, questa Sezione disponeva in via istruttoria di acquisire dalla prima una dettagliata relazione sui presupposti che avevano indotto, in concreto, all’adozione del dpcm impugnato, con allegata la specifica documentazione relativa.
Ottemperato a tale ordinanza, all’esito della camera di consiglio sulla domanda cautelare, questa Sezione pronunciava la seconda ordinanza in epigrafe, con la quale respingeva la richiesta di sospensiva.
Proponevano rituale intervento in giudizio “ad adiuvandum” l’Associazione e il Comitato pure indicati in epigrafe, a sostegno delle ragioni delle parti ricorrenti.
In prossimità dell’udienza per la trattazione di merito, quest’ultime depositavano una memoria in cui insistevano su tutte le tesi espresse nel ricorso e, alla pubblica udienza del 28.2.2018, la causa era trattenuta in decisione.
2. La normativa nazionale in applicazione.
2.1. Viene in rilevo principalmente l’art. 35 d.l. n. 133/2014, il quale dispone al primo comma: “Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l’indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell’autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica.”.
I successivi commi da 2 a 9 dispongono, a loro volta, quanto segue:
“2. Ai medesimi fini di cui al comma 1, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, effettua la ricognizione dell’offerta esistente e individua, con proprio decreto, il fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, articolato per regioni; sino alla definitiva realizzazione degli impianti necessari per l’integrale copertura del fabbisogno residuo così determinato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono autorizzare, ove tecnicamente possibile, un incremento fino al 10 per cento della capacità degli impianti di trattamento dei rifiuti organici per favorire il recupero di tali rifiuti raccolti nel proprio territorio e la produzione di compost di qualità.
3. Tutti gli impianti di recupero energetico da rifiuti sia esistenti sia da realizzare sono autorizzati a saturazione del carico termico, come previsto dall’articolo 237-sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, qualora sia stata valutata positivamente la compatibilità ambientale dell’impianto in tale assetto operativo, incluso il rispetto delle disposizioni sullo stato della qualità dell’aria di cui al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, le autorità competenti provvedono ad adeguare le autorizzazioni integrate ambientali degli impianti esistenti, qualora la valutazione di impatto ambientale sia stata autorizzata a saturazione del carico termico, tenendo in considerazione lo stato della qualità dell’aria come previsto dal citato decreto legislativo n. 155 del 2010.
4. Gli impianti di nuova realizzazione devono essere realizzati conformemente alla classificazione di impianti di recupero energetico di cui alla nota 4 del punto R1 dell’allegato C alla parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni.
5. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per gli impianti esistenti, le autorità competenti provvedono a verificare la sussistenza dei requisiti per la loro qualifica di impianti di recupero energetico R1 e, quando ne ricorrono le condizioni e nel medesimo termine, adeguano in tal senso le autorizzazioni integrate ambientali.
6. Ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non sussistendo vincoli di bacino al trattamento dei rifiuti urbani in impianti di recupero energetico, nei suddetti impianti deve comunque essere assicurata priorità di accesso ai rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale fino al soddisfacimento del relativo fabbisogno e, solo per la disponibilità residua autorizzata, al trattamento di rifiuti urbani prodotti in altre regioni. Sono altresì ammessi, in via complementare, rifiuti speciali pericolosi a solo rischio infettivo nel pieno rispetto del principio di prossimità sancito dall’articolo 182-bis, comma 1, lettera b), del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 e delle norme generali che disciplinano la materia, a condizione che l’impianto sia dotato di sistema di caricamento dedicato a bocca di forno che escluda anche ogni contatto tra il personale addetto e il rifiuto; a tale fine le autorizzazioni integrate ambientali sono adeguate ai sensi del presente comma.
7. Nel caso in cui in impianti di recupero energetico di rifiuti urbani localizzati in una regione siano smaltiti rifiuti urbani prodotti in altre regioni, i gestori degli impianti sono tenuti a versare alla regione un contributo, determinato dalla medesima, nella misura massima di 20 euro per ogni tonnellata di rifiuto urbano indifferenziato di provenienza extraregionale. Il contributo, incassato e versato a cura del gestore in un apposito fondo regionale, è destinato alla prevenzione della produzione dei rifiuti, all’incentivazione della raccolta differenziata, a interventi di bonifica ambientale e al contenimento delle tariffe di gestione dei rifiuti urbani. Il contributo è corrisposto annualmente dai gestori degli impianti localizzati nel territorio della regione che riceve i rifiuti a valere sulla quota incrementale dei ricavi derivanti dallo smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale e i relativi oneri comunque non possono essere traslati sulle tariffe poste a carico dei cittadini.
8. I termini per le procedure di espropriazione per pubblica utilità degli impianti di cui al comma 1 sono ridotti della metà. Nel caso tali procedimenti siano in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono ridotti di un quarto i termini residui. I termini previsti dalla legislazione vigente per le procedure di valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale degli impianti di cui al comma 1 si considerano perentori.
9. In caso di mancato rispetto dei termini di cui ai commi 3, 5 e 8 si applica il potere sostitutivo previsto dall’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.”.
2.2. Viene in rilevo anche l’art. 179 del d.lgs. n. 152/2006, che così dispone:
“1. La gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia:
a) prevenzione;
b) preparazione per il riutilizzo;
c) riciclaggio;
d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia;
e) smaltimento.
2. La gerarchia stabilisce, in generale, un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale. Nel rispetto della gerarchia di cui al comma 1, devono essere adottate le misure volte a incoraggiare le opzioni che garantiscono, nel rispetto degli articoli 177, commi 1 e 4, e 178, il miglior risultato complessivo, tenendo conto degli impatti sanitari, sociali ed economici, ivi compresa la fattibilità tecnica e la praticabilità economica.
3. Con riferimento a singoli flussi di rifiuti è consentito discostarsi, in via eccezionale, dall’ordine di priorità di cui al comma 1 qualora ciò sia giustificato, nel rispetto del principio di precauzione e sostenibilità, in base ad una specifica analisi degli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti sia sotto il profilo ambientale e sanitario, in termini di ciclo di vita, che sotto il profilo sociale ed economico, ivi compresi la fattibilità tecnica e la protezione delle risorse.
4. Con uno o più decreti del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute, possono essere individuate, con riferimento a singoli flussi di rifiuti specifici, le opzioni che garantiscono, in conformità a quanto stabilito dai commi da 1 a 3, il miglior risultato in termini di protezione della salute umana e dell’ambiente.
5. Le pubbliche amministrazioni perseguono, nell’esercizio delle rispettive competenze, iniziative dirette a favorire il rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti di cui al comma 1 in particolare mediante:
a) la promozione dello sviluppo di tecnologie pulite, che permettano un uso più razionale e un maggiore risparmio di risorse naturali;
b) la promozione della messa a punto tecnica e dell’immissione sul mercato di prodotti concepiti in modo da non contribuire o da contribuire il meno possibile, per la loro fabbricazione, il loro uso o il loro smaltimento, ad incrementare la quantità o la nocività dei rifiuti e i rischi di inquinamento;
c) la promozione dello sviluppo di tecniche appropriate per l’eliminazione di sostanze pericolose contenute nei rifiuti al fine di favorirne il recupero;
d) la determinazione di condizioni di appalto che prevedano l’impiego dei materiali recuperati dai rifiuti e di sostanze e oggetti prodotti, anche solo in parte, con materiali recuperati dai rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi;
e) l’impiego dei rifiuti per la produzione di combustibili e il successivo utilizzo e, più in generale, l’impiego dei rifiuti come altro mezzo per produrre energia.
6. Nel rispetto della gerarchia del trattamento dei rifiuti le misure dirette al recupero dei rifiuti mediante la preparazione per il riutilizzo, il riciclaggio o ogni altra operazione di recupero di materia sono adottate con priorità rispetto all’uso dei rifiuti come fonte di energia.
7. Le pubbliche amministrazioni promuovono l’analisi del ciclo di vita dei prodotti sulla base di metodologie uniformi per tutte le tipologie di prodotti stabilite mediante linee guida dall’ISPRA, eco-bilanci, la divulgazione di informazioni anche ai sensi del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, l’uso di strumenti economici, di criteri in materia di procedure di evidenza pubblica, e di altre misure necessarie.
8. Le Amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti di cui al presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.”.
2.3. Sovvengono anche gli artt. 6, 7, 196 e 199 d.lgs. cit., in relazione alle procedure di V.A.S., che qui rilevano, i quali dispongono quanto segue.
Art. 6, commi 1 e 2:
“1. La valutazione ambientale strategica riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente e sul patrimonio culturale.
2. Fatto salvo quanto disposto al comma 3, viene effettuata una valutazione per tutti i piani e i programmi:
a) che sono elaborati per la valutazione e gestione della qualità dell’aria ambiente, per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l’approvazione, l’autorizzazione, l’area di localizzazione o comunque la realizzazione dei progetti elencati negli allegati II, II-bis, III e IV del presente decreto…”.
Art. 7, commi 1, 2, 5, 6, 7 e 8 (Competenze in materia di VAS e AIA):
“1. Sono sottoposti a VAS in sede statale i piani e programmi di cui all’articolo 6, commi da 1 a 4, la cui approvazione compete ad organi dello Stato.
2. Sono sottoposti a VAS secondo le disposizioni delle leggi regionali, i piani e programmi di cui all’articolo 6, commi da 1 a 4, la cui approvazione compete alle regioni e province autonome o agli enti locali.
5. In sede statale, l’autorità competente ai fini della VAS e dell’AIA è il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Il parere motivato in sede di VAS è espresso dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, che collabora alla relativa attività istruttoria. Il provvedimento di AIA è rilasciato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
6. In sede regionale, l’autorità competente ai fini della VAS e dell’AIA è la pubblica amministrazione con compiti di tutela, protezione e valorizzazione ambientale individuata secondo le disposizioni delle leggi regionali o delle Province autonome.
7. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano con proprie leggi e regolamenti le competenze proprie e quelle degli altri enti locali in materia di VAS e di AIA. Disciplinano inoltre:
a) i criteri per la individuazione degli enti locali territoriali interessati;
b) i criteri specifici per l’individuazione dei soggetti competenti in materia ambientale;
c) fermo il rispetto della legislazione europea, eventuali ulteriori modalità, rispetto a quelle indicate nel presente decreto, purché con questo compatibili, per l’individuazione dei piani e programmi o progetti o installazioni da sottoporre a VAS ed AIA e per lo svolgimento della relativa consultazione;
d) le modalità di partecipazione delle regioni e province autonome confinanti al processo di VAS, in coerenza con quanto stabilito dalle disposizioni nazionali in materia;
e) le regole procedurali per il rilascio dei provvedimenti di AIA e dei pareri motivati in sede di VAS di propria competenza, fermo restando il rispetto dei limiti generali di cui al presente decreto ed all’articolo 29 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.”
Art. 196:
“1. Sono di competenza delle regioni, nel rispetto dei principi previsti dalla normativa vigente e dalla parte quarta del presente decreto, ivi compresi quelli di cui all’articolo 195:
a) la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento, sentiti le province, i comuni e le Autorità d’ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti, di cui all’articolo 199;
b) la regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti, ivi compresa la raccolta differenziata dei rifiuti urbani, anche pericolosi, secondo un criterio generale di separazione dei rifiuti di provenienza alimentare e degli scarti di prodotti vegetali e animali o comunque ad alto tasso di umidità dai restanti rifiuti;
c) l’elaborazione, l’approvazione e l’aggiornamento dei piani per la bonifica di aree inquinate di propria competenza;
d) l’approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione di rifiuti, anche pericolosi, e l’autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti, fatte salve le competenze statali di cui all’articolo 195, comma 1, lettera f), e di cui all’articolo 7, comma 4-bis;
e) l’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti, anche pericolosi, fatte salve le competenze statali di cui all’articolo 7, comma 4-bis;
f) le attività in materia di spedizioni transfrontaliere dei rifiuti che il regolamento (CEE) n. 259/93 del 1° febbraio 1993 attribuisce alle autorità competenti di spedizione e di destinazione;
g) la delimitazione, nel rispetto delle linee guida generali di cui all’articolo 195, comma 1, lettera m), degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani e assimilati;
h) la redazione di linee guida ed i criteri per la predisposizione e l’approvazione dei progetti di bonifica e di messa in sicurezza, nonché l’individuazione delle tipologie di progetti non soggetti ad autorizzazione, nel rispetto di quanto previsto all’articolo 195, comma 1, lettera r);
i) la promozione della gestione integrata dei rifiuti;
l) l’incentivazione alla riduzione della produzione dei rifiuti ed al recupero degli stessi;
m) la specificazione dei contenuti della relazione da allegare alla comunicazione di cui agli articoli 214, 215 e 216, nel rispetto di linee guida elaborate ai sensi dell’articolo 195, comma 2, lettera b);
n) la definizione di criteri per l’individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, nel rispetto dei criteri generali indicati nell’articolo 195, comma 1, lettera p);
o) la definizione dei criteri per l’individuazione dei luoghi o impianti idonei allo smaltimento e la determinazione, nel rispetto delle norme tecniche di cui all’articolo 195, comma 2, lettera a), di disposizioni speciali per rifiuti di tipo particolare;
p) l’adozione, sulla base di metodologia di calcolo e di criteri stabiliti da apposito decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri delle attività produttive e della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della parte quarta del presente decreto, delle disposizioni occorrenti affinché gli enti pubblici e le società a prevalente capitale pubblico, anche di gestione dei servizi, coprano il proprio fabbisogno annuale di manufatti e beni, indicati nel medesimo decreto, con una quota di prodotti ottenuti da materiale riciclato non inferiore al 30 per cento del fabbisogno medesimo. A tal fine i predetti soggetti inseriscono nei bandi di gara o di selezione per l’aggiudicazione apposite clausole di preferenza, a parità degli altri requisiti e condizioni. Sino all’emanazione del predetto decreto continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela e del mare del territorio 8 maggio 2003, n. 203, e successive circolari di attuazione. Restano ferme, nel frattempo, le disposizioni regionali esistenti.
2. Per l’esercizio delle funzioni di cui al comma 1 le regioni si avvalgono anche delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente.
3. Le regioni privilegiano la realizzazione di impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti in aree industriali, compatibilmente con le caratteristiche delle aree medesime, incentivando le iniziative di autosmaltimento. Tale disposizione non si applica alle discariche.”
Art. 199:
“1. Le regioni, sentite le province, i comuni e, per quanto riguarda i rifiuti urbani, le Autorità d’ambito di cui all’articolo 201, nel rispetto dei principi e delle finalità di cui agli articoli 177, 178, 179, 180, 181, 182 e 182-bis ed in conformità ai criteri generali stabiliti dall’articolo 195, comma 1, lettera m), ed a quelli previsti dal presente articolo, predispongono e adottano piani regionali di gestione dei rifiuti. Per l’approvazione dei piani regionali si applica la procedura di cui alla Parte II del presente decreto in materia di VAS. Presso i medesimi uffici sono inoltre rese disponibili informazioni relative alla partecipazione del pubblico al procedimento e alle motivazioni sulle quali si è fondata la decisione, anche in relazione alle osservazioni scritte presentate.
2. I piani di gestione dei rifiuti di cui al comma 1 comprendono l’analisi della gestione dei rifiuti esistente nell’ambito geografico interessato, le misure da adottare per migliorare l’efficacia ambientale delle diverse operazioni di gestione dei rifiuti, nonché una valutazione del modo in cui i piani contribuiscono all’attuazione degli obiettivi e delle disposizioni della parte quarta del presente decreto.
3. I piani regionali di gestione dei rifiuti prevedono inoltre:
a) tipo, quantità e fonte dei rifiuti prodotti all’interno del territorio, suddivisi per ambito territoriale ottimale per quanto riguarda i rifiuti urbani, rifiuti che saranno prevedibilmente spediti da o verso il territorio nazionale e valutazione dell’evoluzione futura dei flussi di rifiuti, nonché la fissazione degli obiettivi di raccolta differenziata da raggiungere a livello regionale, fermo restando quanto disposto dall’articolo 205;
b) i sistemi di raccolta dei rifiuti e impianti di smaltimento e recupero esistenti, inclusi eventuali sistemi speciali per oli usati, rifiuti pericolosi o flussi di rifiuti disciplinati da una normativa comunitaria specifica;
c) una valutazione della necessità di nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità di cui agli articoli 181, 182 e 182-bis e se necessario degli investimenti correlati;
d) informazioni sui criteri di riferimento per l’individuazione dei siti e la capacità dei futuri impianti di smaltimento o dei grandi impianti di recupero, se necessario;
e) politiche generali di gestione dei rifiuti, incluse tecnologie e metodi di gestione pianificata dei rifiuti, o altre politiche per i rifiuti che pongono problemi particolari di gestione;
f) la delimitazione di ogni singolo ambito territoriale ottimale sul territorio regionale, nel rispetto delle linee guida di cui all’articolo 195, comma 1, lettera m);
g) il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all’interno di ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 200, nonché ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di rifiuti;
h) la promozione della gestione dei rifiuti per ambiti territoriali ottimali, attraverso strumenti quali una adeguata disciplina delle incentivazioni, prevedendo per gli ambiti più meritevoli, tenuto conto delle risorse disponibili a legislazione vigente, una maggiorazione di contributi; a tal fine le regioni possono costituire nei propri bilanci un apposito fondo;
i) la stima dei costi delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti urbani;
l) i criteri per l’individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti nonché per l’individuazione dei luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti, nel rispetto dei criteri generali di cui all’articolo 195, comma 1, lettera p);
m) le iniziative volte a favorire, il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dai rifiuti di materiale ed energia, ivi incluso il recupero e lo smaltimento dei rifiuti che ne derivino;
n) le misure atte a promuovere la regionalizzazione della raccolta, della cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani;
o) la determinazione, nel rispetto delle norme tecniche di cui all’articolo 195, comma 2, lettera a), di disposizioni speciali per specifiche tipologie di rifiuto;
p) le prescrizioni in materia di prevenzione e gestione degli imballaggi e rifiuti di imballaggio di cui all’articolo 225, comma 6;
q) il programma per la riduzione dei rifiuti biodegradabili da collocare in discarica di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36;
r) un programma di prevenzione della produzione dei rifiuti, elaborato sulla base del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti di cui all’art. 180, che descriva le misure di prevenzione esistenti e fissi ulteriori misure adeguate. Il programma fissa anche gli obiettivi di prevenzione. Le misure e gli obiettivi sono finalizzati a dissociare la crescita economica dagli impatti ambientali connessi alla produzione dei rifiuti. Il programma deve contenere specifici parametri qualitativi e quantitativi per le misure di prevenzione al fine di monitorare e valutare i progressi realizzati, anche mediante la fissazione di indicatori.
4. Il piano di gestione dei rifiuti può contenere, tenuto conto del livello e della copertura geografica dell’area oggetto di pianificazione, i seguenti elementi:
a) aspetti organizzativi connessi alla gestione dei rifiuti;
b) valutazione dell’utilità e dell’idoneità del ricorso a strumenti economici e di altro tipo per la soluzione di problematiche riguardanti i rifiuti, tenuto conto della necessità di continuare ad assicurare il buon funzionamento del mercato interno;
c) campagne di sensibilizzazione e diffusione di informazioni destinate al pubblico in generale o a specifiche categorie di consumatori.
5. Il piano regionale di gestione dei rifiuti è coordinato con gli altri strumenti di pianificazione di competenza regionale previsti dalla normativa vigente.
6. Costituiscono parte integrante del piano regionale i piani per la bonifica delle aree inquinate che devono prevedere:
a) l’ordine di priorità degli interventi, basato su un criterio di valutazione del rischio elaborato dall’Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA);
b) l’individuazione dei siti da bonificare e delle caratteristiche generali degli inquinamenti presenti;
c) le modalità degli interventi di bonifica e risanamento ambientale, che privilegino prioritariamente l’impiego di materiali provenienti da attività di recupero di rifiuti urbani;
d) la stima degli oneri finanziari;
e) le modalità di smaltimento dei materiali da asportare.
7. L’approvazione del piano regionale o il suo adeguamento è requisito necessario per accedere ai finanziamenti nazionali.
8. La regione approva o adegua il piano entro il 12 dicembre 2013. Fino a tale momento, restano in vigore i piani regionali vigenti.
9. In caso di inutile decorso del termine di cui al comma 8 e di accertata inattività nell’approvare o adeguare il piano, il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e tutela del territorio e del mare, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, diffida gli organi regionali competenti a provvedere entro un congruo termine e, in caso di ulteriore inerzia, adotta, in via sostitutiva, i provvedimenti necessari alla elaborazione e approvazione o adeguamento del piano regionale.
10. Le regioni, sentite le province interessate, d’intesa tra loro o singolarmente, per le finalità di cui alla parte quarta del presente decreto provvedono alla valutazione della necessità dell’aggiornamento del piano almeno ogni sei anni, nonché alla programmazione degli interventi attuativi occorrenti in conformità alle procedure e nei limiti delle risorse previste dalla normativa vigente.
11. Le regioni e le province autonome comunicano tempestivamente al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare l’adozione o la revisione dei piani di gestione e dei programmi di prevenzione dei rifiuti di cui al presente articolo, al fine del successivo invio degli stessi alla Commissione europea.
12. Le regioni e le province autonome assicurano, attraverso propria deliberazione, la pubblicazione annuale nel proprio sito web di tutte le informazioni utili a definire lo stato di attuazione dei piani regionali e dei programmi di cui al presente articolo.
12-bis. L’attività di vigilanza sulla gestione dei rifiuti è garantita almeno dalla fruibilità delle seguenti informazioni:
a) produzione totale e pro capite dei rifiuti solidi urbani suddivisa per ambito territoriale ottimale, se costituito, ovvero per ogni comune;
b) percentuale di raccolta differenziata totale e percentuale di rifiuti effettivamente riciclati;
c) ubicazione, proprietà, capacità nominale autorizzata e capacità tecnica delle piattaforme per il conferimento dei materiali raccolti in maniera differenziata, degli impianti di selezione del multimateriale, degli impianti di trattamento meccanico-biologico, degli impianti di compostaggio, di ogni ulteriore tipo di impianto destinato al trattamento di rifiuti solidi urbani indifferenziati e degli inceneritori e coinceneritori;
d) per ogni impianto di trattamento meccanico-biologico e per ogni ulteriore tipo di impianto destinato al trattamento di rifiuti solidi urbani indifferenziati, oltre a quanto previsto alla lettera c), quantità di rifiuti in ingresso e quantità di prodotti in uscita, suddivisi per codice CER;
e) per gli inceneritori e i coinceneritori, oltre a quanto previsto alla lettera c), quantità di rifiuti in ingresso, suddivisi per codice CER;
f) per le discariche, ubicazione, proprietà, autorizzazioni, capacità volumetrica autorizzata, capacità volumetrica residua disponibile e quantità di materiale ricevuto suddiviso per codice CER, nonché quantità di percolato prodotto.
13. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.”
2.4. Rileva altresì il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 agosto 2016, adottato in attuazione del riportato art. 35, comma 1, cit.
“Art. 1. Oggetto
1. Ai sensi dell’art. 35, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, il presente decreto ha ad oggetto:
a) l’individuazione della capacità attuale di trattamento nazionale degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati in esercizio al mese di novembre 2015;
b) l’individuazione della capacità potenziale di trattamento nazionale, riferita agli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati autorizzati e non in esercizio al mese di novembre 2015;
c) l’individuazione, per macroaree e per regioni, degli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare o da potenziare per coprire il fabbisogno residuo nazionale di trattamento dei medesimi rifiuti.
Art. 2. Definizioni
1. Ai fini del presente decreto si intende per:
a) impianti di incenerimento: gli impianti che rispondono alla definizione di cui all’art. 237-ter, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e che sono autorizzati:
i. all’esercizio delle operazioni di smaltimento indicate nella lettera D10, dell’allegato B, della Parte IV del predetto decreto;
oppure
ii. all’esercizio delle operazioni di recupero indicate nella lettera R1, dell’allegato C della Parte IV del predetto decreto.
b) impianti autorizzati: impianti che hanno ottenuto il rilascio dei provvedimenti autorizzatori ai sensi del Titolo III-bis, della Parte II del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ovvero ai sensi dell’art. 208 del medesimo decreto.
Art. 3. Elenco degli impianti di incenerimento in esercizio
1. L’elenco degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati, di cui all’art. 1, comma 1, lettera a), con l’indicazione espressa per ciascun impianto della capacità di trattamento autorizzata e quella relativa al trattamento dei rifiuti urbani e assimilati, è riportato nella Tabella A, che costituisce parte integrante del presente provvedimento.
2. La predetta tabella individua, altresì, secondo il procedimento riportato nell’allegato I, la capacità nazionale complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati in esercizio al mese di novembre 2015.
Art. 4. Elenco degli impianti di incenerimento autorizzati non in esercizio
1. L’elenco degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati, di cui all’art. 1, comma 1, lettera b), con l’indicazione espressa per ciascun impianto della capacità potenziale di trattamento e della localizzazione su base regionale è riportato nella tabella B, che costituisce parte integrante del presente provvedimento.
2. La predetta tabella individua, altresì, secondo il procedimento riportato nell’allegato I, la capacità potenziale nazionale di trattamento derivante dagli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati autorizzati e non in esercizio al mese di novembre 2015.
Art. 5. Individuazione degli impianti da realizzare o da potenziare per soddisfare il fabbisogno residuo nazionale
1. L’individuazione del numero e della capacità degli impianti di incenerimento con recupero energetico dei rifiuti urbani e assimilati da realizzare o da potenziare tenendo conto della programmazione regionale, per soddisfare il fabbisogno residuo nazionale di trattamento, come individuato nell’allegato II, è riportata nella tabella C, che costituisce parte integrante del presente provvedimento.
2. In attuazione dei principi indicati nell’art. 35, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, come esplicitati nell’allegato III, la predetta tabella individua, altresì, le regioni in cui realizzare o potenziare gli impianti necessari a soddisfare il fabbisogno nazionale e le relative capacità.
Art. 6. Disposizioni finali
1. Ai sensi dell’art. 35, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, gli impianti individuati nelle Tabelle A, B e C costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale e realizzano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantendo la sicurezza nazionale nell’autosufficienza del ciclo di gestione integrato dei rifiuti, così come richiesto dall’art. 16 della direttiva 2008/98/CE.
2. Al fine di garantire la sicurezza nazionale nell’autosufficienza e nel rispetto delle finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale, ai sensi dell’art. 35, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, le minori capacità di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in ragione delle politiche di cui al comma 6, sono ridistribuite all’interno della stessa macroarea secondo i criteri generali e le procedure di individuazione esplicitati nell’allegato III.
3. Entro il 30 giugno di ogni anno, le regioni e le province autonome possono presentare al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare una richiesta di aggiornamento del fabbisogno residuo regionale di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati individuato nell’allegato II. La richiesta è presentata in presenza di nuova approvazione di piano regionale di gestione dei rifiuti o dei relativi adeguamenti, ai sensi dell’art. 199 del decreto legislativo n. 152 del 2006, o di variazioni documentate del fabbisogno riconducibili: a) all’attuazione di politiche di prevenzione della produzione dei rifiuti e di raccolta differenziata; b) all’esistenza di impianti di trattamento meccanico-biologico caratterizzati da una efficienza, in valori percentuali, di riciclaggio e recupero di materia, delle diverse frazioni merceologiche superiori rispetto ai valori indicati nell’allegato II; c) all’utilizzo di quantitativi di combustibile solido secondario (CSS) superiori a quelli individuati nell’allegato II; d) ad accordi interregionali volti a ottimizzare le infrastrutture di trattamento dei rifiuti urbani e assimilati.
4. La richiesta, adeguatamente motivata, è indirizzata al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e reca in allegato la seguente documentazione: a) documento contenente dati attestanti la prevista diminuzione, rispetto ai livelli dell’anno precedente, della produzione di rifiuti attesa in attuazione del piano regionale di prevenzione della produzione dei rifiuti adottato ai sensi dell’art. 199 del decreto 3 aprile 2006, n. 152; b) il modello unico di dichiarazione ambientale presentato per l’anno precedente; c) l’autorizzazione dell’impianto produttivo attestante il quantitativo potenziale utilizzabile nel medesimo impianto.
5. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, entro 120 giorni dalla scadenza del termine di presentazione delle richieste di cui al comma 4, esaminata la documentazione, propone le necessarie modifiche del presente decreto, secondo il procedimento di cui all’art. 35, comma 1, del decreto-legge del 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164.
6. Per le modifiche di cui al comma 5 si tiene conto anche delle politiche in atto relative alla dismissione di impianti o alla riduzione di capacità di incenerimento per le sole regioni e province autonome, esplicitate nell’allegato III, caratterizzate da una sovracapacità di trattamento rispetto al relativo fabbisogno di incenerimento.
7. Dall’attuazione del presente decreto non derivano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Il presente decreto sarà trasmesso agli organi di controllo per gli adempimenti di competenza e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.”
Allegato I:
“Individuazione della capacità attuale di trattamento nazionale degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati in esercizio o autorizzati non in esercizio alla data novembre 2015
L’individuazione della capacità attuale di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati in esercizio o autorizzati è stata effettuata sulla scorta dei dati ISPRA e FederAmbiente del “RAPPORTO SUL RECUPERO ENERGETICO DA RIFIUTI URBANI IN ITALIA – ed. 2014”.
I dati sono stati aggiornati sulla base delle indicazioni fornite dalle Regioni e dalle Province autonome e dai gestori degli impianti, all’esito delle riunioni tecniche della Conferenza Stato-Regioni del 20 marzo 2015 e del 9 settembre 2015.
Nel caso in cui l’autorizzazione di un impianto riportava una capacità di trattamento superiore a quella effettiva di esercizio dichiarata dal gestore, è stato assunto quale dato di riferimento la capacità di trattamento media per gli anni dal 2011 fino al primo trimestre 2015.
Alla capacità di trattamento annuale (espressa in tonnellate/anno) di ogni impianto è stata sottratta la capacità dedicata al trattamento dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, compresi i rifiuti sanitari, diversi dalle frazioni di rifiuti derivanti dal trattamento preliminare dei rifiuti urbani e assimilati di ogni singolo impianto.
Il dato sulla capacità di trattamento dedicata ai rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi, è stato individuato sulla base dei dati forniti dalle Amministrazioni regionali e in mancanza di questi sulla base dei dati indicati nelle autorizzazioni.
Gli elementi valutativi di cui sopra hanno portato all’elaborazione delle appendici sotto descritte:
In appendice I è riportata la capacità di trattamento degli impianti di rifiuti urbani e assimilati in esercizio e le capacità riferite al trattamento delle diverse frazioni di rifiuto.
In appendice II è riportata la capacità di trattamento degli impianti di rifiuti urbani e assimilati autorizzati ma non operativi o in fase di realizzazione e le capacità riferite al trattamento delle diverse frazioni di rifiuto.
Per l’elaborazione delle appendici I e II si è peraltro tenuto conto delle informazioni acquisite dalle Amministrazioni regionali e dai gestori degli impianti relativamente alle infrastrutture di Cà del Bue (VR), Castelnuovo di Garfagnana (LU), Pietrasanta (LU), Terni, Roma, Potenza, Rufina (FI), Sesto Fiorentino (FI), Scarlino (GR) Albano Laziale (RM), San Vittore del Lazio (FR), Gioia Tauro (RC), Massafra (TA), Statte (TA), Manfredonia (FG), Taranto e Busto Arsizio (VA).
In particolare, per l’impianto di Rufina (FI) la regione Toscana con nota acquista al prot. n. 12407 del 7 ottobre 2015 ha comunicato che “L’impianto, attualmente non è in esercizio, è autorizzato per un suo potenziamento da 12.000 t/a a 68.640 t/a. In attuazione al Piano regionale di gestione dei rifiuti, approvato il 18 novembre 2014 è stato ritenuto che non vi sia necessità di realizzare e mettere in esercizio tale impianto. A tale riguardo la Regione Toscana, l’AATO Centro, i Comuni e l’Azienda hanno concordato sulla sua non necessità di realizzazione (d.g.r.t. 412 del 7/04/2015). L’impianto non deve pertanto essere considerato tra le capacità potenziali di trattamento dei RU e assimilati attribuite alla Regione Toscana”.
Per l’impianto di Sesto Fiorentino, la Città Metropolitana di Firenze, con Atto Dirigenziale n. 4688 del 23 novembre 2015, ha rilasciato, a favore della società Q.THERMO s.r.l, l’Autorizzazione Integrata Ambientale ai sensi dell’art. 29-sexies del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Per l’impianto di Busto Arsizio (VA), la società ACCAM spa ha comunicato – giusta nota prot. n. U2512 del 9 novembre 2015 – che “a seguito dell’Assemblea dei Soci di Accam spa […] i comuni Soci hanno deliberato nell’atto di indirizzo programmatico la data improrogabile di spegnimento dell’impianto di incenerimento entro e non oltre il 31 dicembre 2017”. Pertanto, l’impianto, alla data di novembre 2015, risulta essere in esercizio ai fini dell’individuazione della capacità attuale di trattamento.
Per l’impianto di Albano Laziale (RM), la regione Lazio ha comunicato – giusta nota prot. n. 667897 del 2 dicembre 2015 – “che il termine della validità dell’Autorizzazione Integrata Ambientale di cui alla Determinazione n. B3694 del 13/8/2009 è trascorso, la autorizzazione medesima si intende decaduta”.
L’Allegato II contiene le condizioni come ivi riportate con elaborazioni grafiche e tabelle, che rappresentano la base di calcolo per determinare il calcolo del fabbisogno nazionale di incenerimento dei rifiuti urbani assimilati nonché del fabbisogno residuo nazionale di incenerimento, mettendo a confronto il fabbisogno di incenerimento per ciascuna regione con la relativa capacità complessiva di incenerimento, ottenendo, per sottrazione della seconda dalla prima, il fabbisogno residuo per regione e, quindi, il fabbisogno residuo nazionale.
Allegato III:
Individuazione degli impianti da realizzare o da potenziare per soddisfare il fabbisogno residuo nazionale di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati
Al fine di individuare gli impianti da realizzare o potenziare il comma 1 dell’art. 35 del decreto-legge n. 133 del 2014 ha stabilito i seguenti criteri generali:
a) progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale;
b) risoluzione delle procedure di infrazione in corso, e prevenzione dall’avvio di ulteriori contenziosi con l’Unione europea;
c) considerazione della programmazione regionale;
d) realizzazione di un sistema moderno e integrato di gestione dei rifiuti urbani e assimilati.
Per quanto attiene al riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale, l’individuazione delle regioni all’interno delle quali localizzare gli impianti è effettuata sul presupposto che ciascuna macroarea (Nord, Centro, Sud, Sicilia, Sardegna) debba rendersi tendenzialmente autosufficiente nel complessivo ciclo di produzione e gestione dei rifiuti, ivi compresa, naturalmente, l’attività di incenerimento dei rifiuti stessi.
Sulla scorta di tale presupposto, la localizzazione degli impianti in ciascuna delle regioni che costituiscono la macroarea, tiene conto:
della produzione, in termini assoluti, dei rifiuti urbani e assimilati;
della presenza di impianti di incenerimento e di impianti di trattamento meccanico-biologico di rifiuti;
del fabbisogno residuo di impianti di incenerimento;
del preponderante ricorso allo smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati in impianti di discarica;
della densità abitativa;
Con riferimento alla risoluzione delle procedure di infrazione in corso e alla prevenzione dall’apertura di ulteriori contenziosi con l’Unione europea, si tiene conto dell’esigenza di rispettare integralmente le norme europee di settore, individuando, per ciascuna macroarea, le regioni per le quali sono pendenti contenziosi e precontenziosi per violazione della normativa europea in materia di gestione dei rifiuti, nonché le regioni oggetto di condanna da parte della Corte di giustizia europea.
Ulteriormente, si considerano le condizioni di gestione critica del ciclo dei rifiuti all’interno delle singole regioni costituenti la macroarea, al fine di porre rimedio a situazioni suscettibili di sfociare in nuovi rilievi da parte dell’UE.
In ordine al rispetto della programmazione regionale per l’implementazione di un ciclo integrato dei rifiuti, si tiene conto delle previsioni contenute negli atti di pianificazione di gestione dei rifiuti elaborati da ciascuna regione, anche relativamente all’individuazione di nuova capacità di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati.
Per quanto riguarda la realizzazione di un sistema moderno e integrato di gestione dei rifiuti urbani e assimilati, si considera la c.d. «taglia minima» di sostenibilità tecnico/economica degli impianti da realizzare in ciascuna regione, così come individuata dalla vigente disciplina sull’individuazione delle migliori tecniche disponibili di cui al decreto ministeriale 27 gennaio 2007 recante «linee guida per l’individuazione e l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili, in materia di gestione dei rifiuti».
In particolare, il paragrafo H.12.2 del documento «Linee guida relative ad impianti esistenti per le attività rientranti nelle categorie IPPC: 5 Gestione dei rifiuti (Impianti di incenerimento)», stabilisce che «Nel caso di incenerimento di RU, al fine di conseguire economie di scala, la potenzialità di un impianto di incenerimento non dovrebbe essere inferiore alle 300 t/g, riferite ad un PCI di 10,5 MJ/kg, indicativamente suddivise in 2 linee da 150 t/g, corrispondenti ad un bacino di utenza dell’ordine di 300.000 abitanti».
Esplicitati così i criteri della norma di riferimento, l’ulteriore analisi riguarda le peculiari situazioni di ciascuna macroarea e, più puntualmente, di ciascuna regione…Individuazione degli impianti da realizzare o da potenziare per soddisfare il fabbisogno residuo nazionale di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati
Al fine di individuare gli impianti da realizzare o potenziare il comma 1 dell’art. 35 del decreto-legge n. 133 del 2014 ha stabilito i seguenti criteri generali:
a) progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale;
b) risoluzione delle procedure di infrazione in corso, e prevenzione dall’avvio di ulteriori contenziosi con l’Unione europea;
c) considerazione della programmazione regionale;
d) realizzazione di un sistema moderno e integrato di gestione dei rifiuti urbani e assimilati.
Per quanto attiene al riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale, l’individuazione delle regioni all’interno delle quali localizzare gli impianti è effettuata sul presupposto che ciascuna macroarea (Nord, Centro, Sud, Sicilia, Sardegna) debba rendersi tendenzialmente autosufficiente nel complessivo ciclo di produzione e gestione dei rifiuti, ivi compresa, naturalmente, l’attività di incenerimento dei rifiuti stessi.
Sulla scorta di tale presupposto, la localizzazione degli impianti in ciascuna delle regioni che costituiscono la macroarea, tiene conto:
della produzione, in termini assoluti, dei rifiuti urbani e assimilati;
della presenza di impianti di incenerimento e di impianti di trattamento meccanico-biologico di rifiuti;
del fabbisogno residuo di impianti di incenerimento;
del preponderante ricorso allo smaltimento dei rifiuti urbani e assimilati in impianti di discarica;
della densità abitativa;
Con riferimento alla risoluzione delle procedure di infrazione in corso e alla prevenzione dall’apertura di ulteriori contenziosi con l’Unione europea, si tiene conto dell’esigenza di rispettare integralmente le norme europee di settore, individuando, per ciascuna macroarea, le regioni per le quali sono pendenti contenziosi e precontenziosi per violazione della normativa europea in materia di gestione dei rifiuti, nonché le regioni oggetto di condanna da parte della Corte di giustizia europea.
Ulteriormente, si considerano le condizioni di gestione critica del ciclo dei rifiuti all’interno delle singole regioni costituenti la macroarea, al fine di porre rimedio a situazioni suscettibili di sfociare in nuovi rilievi da parte dell’UE.
In ordine al rispetto della programmazione regionale per l’implementazione di un ciclo integrato dei rifiuti, si tiene conto delle previsioni contenute negli atti di pianificazione di gestione dei rifiuti elaborati da ciascuna regione, anche relativamente all’individuazione di nuova capacità di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati.
Per quanto riguarda la realizzazione di un sistema moderno e integrato di gestione dei rifiuti urbani e assimilati, si considera la c.d. «taglia minima» di sostenibilità tecnico/economica degli impianti da realizzare in ciascuna regione, così come individuata dalla vigente disciplina sull’individuazione delle migliori tecniche disponibili di cui al decreto ministeriale 27 gennaio 2007 recante «linee guida per l’individuazione e l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili, in materia di gestione dei rifiuti».
In particolare, il paragrafo H.12.2 del documento «Linee guida relative ad impianti esistenti per le attività rientranti nelle categorie IPPC: 5 Gestione dei rifiuti (Impianti di incenerimento)», stabilisce che «Nel caso di incenerimento di RU, al fine di conseguire economie di scala, la potenzialità di un impianto di incenerimento non dovrebbe essere inferiore alle 300 t/g, riferite ad un PCI di 10,5 MJ/kg, indicativamente suddivise in 2 linee da 150 t/g, corrispondenti ad un bacino di utenza dell’ordine di 300.000 abitanti».
Esplicitati così i criteri della norma di riferimento, l’ulteriore analisi riguarda le peculiari situazioni di ciascuna macroarea e, più puntualmente, di ciascuna regione…”.
La collegata Tabella A riporta, poi, l’”elenco degli impianti di incenerimento in esercizio”, per un totale di 40, con 79 Linee e carico termico di 2.893,77 MW per capacità di trattamento pari a 5.910.099 (t/a); la Tabella B l’elenco di quelli autorizzati non in esercizio, per un totale di 5, con 9 Linee e carico termico di 449,1 MW per capacità di trattamento pari a 665.650 (t/a); la Tabella C, concernente l’”Individuazione, localizzazione e capacità degli impianti da realizzare o da potenziare per soddisfare il fabbisogno residuo nazionale”, indica un fabbisogno impiantistico da realizzare in t/a pari a 530.000 per il Centro Italia, a 490.000 per il Sud Italia, a 121.000 per la Sardegna, a 690.000 per la Sicilia, per un totale di 1.831.000 (t/a).
3. La normativa di riferimento dell’Unione e l’opinione del Collegio sulle questioni pregiudiziali.
La normativa dell’Unione che si pone in evidenza è principalmente la Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio.
3.1 Vengono in rilievo, in primo luogo, i seguenti “considerando” 6, 8, 28 e 31:
“(6) L’obiettivo principale di qualsiasi politica in materia di rifiuti dovrebbe essere di ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l’ambiente. La politica in materia di rifiuti dovrebbe altresì puntare a ridurre l’uso di risorse e promuovere l’applicazione pratica della gerarchia dei rifiuti.”;
“(8) È pertanto necessario procedere a una revisione della direttiva 2006/12/CE per precisare alcuni concetti basilari come le definizioni di rifiuto, recupero e smaltimento, per rafforzare le misure da adottare per la prevenzione dei rifiuti, per introdurre un approccio che tenga conto dell’intero ciclo di vita dei prodotti e dei materiali, non soltanto della fase in cui diventano rifiuti, e per concentrare l’attenzione sulla riduzione degli impatti ambientali connessi alla produzione e alla gestione dei rifiuti, rafforzando in tal modo il valore economico di questi ultimi. Inoltre, si dovrebbe favorire il recupero dei rifiuti e l’utilizzazione dei materiali di recupero per preservare le risorse naturali. Per esigenze di chiarezza e leggibilità, la direttiva 2006/12/CE dovrebbe essere abrogata e sostituita da una nuova direttiva.”;
“(28) La presente direttiva dovrebbe aiutare l’Unione europea ad avvicinarsi a una “società del riciclaggio”, cercando di evitare la produzione di rifiuti e di utilizzare i rifiuti come risorse. In particolare, il Sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente sollecita misure volte a garantire la separazione alla fonte, la raccolta e il riciclaggio dei flussi di rifiuti prioritari. In linea con tale obiettivo e quale mezzo per agevolarne o migliorarne il potenziale di recupero, i rifiuti dovrebbero essere raccolti separatamente nella misura in cui ciò sia praticabile da un punto di vista tecnico, ambientale ed economico, prima di essere sottoposti a operazioni di recupero che diano il miglior risultato ambientale complessivo. Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare la separazione dei composti pericolosi dai flussi di rifiuti se necessario per conseguire una gestione compatibile con l’ambiente.”;
“(31) La gerarchia dei rifiuti stabilisce in generale un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale nella normativa e politica dei rifiuti, tuttavia discostarsene può essere necessario per flussi di rifiuti specifici quando è giustificato da motivi, tra l’altro, di fattibilità tecnica, praticabilità economica e protezione dell’ambiente.”
3.2. Si richiamano, in secondo luogo, gli artt. 4, paragrafi 1 e 2, 13 e 16, secondo cui:
Art. 4:
“1. La seguente gerarchia dei rifiuti si applica quale ordine di priorità della normativa e della politica in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti:
a) prevenzione;
b) preparazione per il riutilizzo;
c) riciclaggio;
d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e
e) smaltimento.
2. Nell’applicare la gerarchia dei rifiuti di cui al paragrafo 1, gli Stati membri adottano misure volte a incoraggiare le opzioni che danno il miglior risultato ambientale complessivo. A tal fine può essere necessario che flussi di rifiuti specifici si discostino dalla gerarchia laddove ciò sia giustificato dall’impostazione in termini di ciclo di vita in relazione agli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti.
Gli Stati membri garantiscono che l’elaborazione della normativa e della politica dei rifiuti avvenga in modo pienamente trasparente, nel rispetto delle norme nazionali vigenti in materia di consultazione e partecipazione dei cittadini e dei soggetti interessati.
Conformemente agli articoli 1 e 13, gli Stati membri tengono conto dei principi generali in materia di protezione dell’ambiente di precauzione e sostenibilità, della fattibilità tecnica e praticabilità economica, della protezione delle risorse nonché degli impatti complessivi sociali, economici, sanitari e ambientali.”.
Art. 13:
“Gli Stati membri prendono le misure necessarie per garantire che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana, senza recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare:
a) senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, la flora o la fauna;
b) senza causare inconvenienti da rumori od odori e
c) senza danneggiare il paesaggio o i siti di particolare interesse.”.
Art. 16:
“1. Gli Stati membri adottano, di concerto con altri Stati membri qualora ciò risulti necessario od opportuno, le misure appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti e di impianti per il recupero dei rifiuti urbani non differenziati provenienti dalla raccolta domestica, inclusi i casi in cui detta raccolta comprenda tali rifiuti provenienti da altri produttori, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili.
In deroga al regolamento (CE) n. 1013/2006, al fine di proteggere la loro rete gli Stati membri possono limitare le spedizioni in entrata di rifiuti destinati ad inceneritori classificati come impianti di recupero, qualora sia stato accertato che tali spedizioni avrebbero come conseguenza la necessità di smaltire i rifiuti nazionali o di trattare i rifiuti in modo non coerente con i loro piani di gestione dei rifiuti. Gli Stati membri notificano siffatta decisione alla Commissione. Gli Stati membri possono altresì limitare le spedizioni in uscita di rifiuti per motivi ambientali come stabilito nel regolamento (CE) n. 1013/2006.
2. La rete è concepita in modo da consentire alla Comunità nel suo insieme di raggiungere l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti nonché nel recupero dei rifiuti di cui al paragrafo 1 e da consentire agli Stati membri di mirare individualmente al conseguimento di tale obiettivo, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti.
3. La rete permette lo smaltimento dei rifiuti o il recupero di quelli menzionati al paragrafo 1 in uno degli impianti appropriati più vicini, grazie all’utilizzazione dei metodi e delle tecnologie più idonei, al fine di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e della salute pubblica.
4. I principi di prossimità e autosufficienza non significano che ciascuno Stato membro debba possedere l’intera gamma di impianti di recupero finale al suo interno.”
4. La proponibilità della prima questione pregiudiziale.
4.1. Premesso quanto finora illustrato, il Collegio, passando ad esaminare i motivi di ricorso e la proponibilità della collegata “questione pregiudiziale”, rileva la legittimazione attiva della prima Associazione ricorrente, in quanto “riconosciuta” con d.m. 29.3.1994 tra le associazioni di “protezione ambientale” ai sensi dell’art. 13 l. n. 349/1986 e ciò è sufficiente per l’esame del gravame, indipendentemente dalla posizione dell’ulteriore associazione ricorrente, su cui si tornerà in sede di riesame dopo la pronuncia della Corte di Giustizia UE che il Collegio intende adire per quanto sarà in prosieguo illustrato.
Per quanto riguarda il primo motivo, il Collegio ritiene che lo stesso necessiti dell’interpretazione della Corte adita, sulla Direttiva 2008/98/CE e sui relativi articoli 4 e 13, non rilevando strumenti per la diretta disapplicazione dell’art. 35, comma 1, d.l. n. 133/14, conv. in l. n. 164/14, come prospettato dalle ricorrenti in relazione al contenuto del dpcm impugnato, laddove determina il fabbisogno residuo di incenerimento dei rifiuti urbani senza previsione prioritaria di misure corrispondenti a politiche di gestione dei rifiuti finalizzate a incentivare la raccolta differenziata nonché il riuso e il riciclo, prevedendo altresì l’incenerimento di una quota di rifiuti già trattati ai fini di riuso e riciclo.
Appare necessaria, a questo punto, infatti una interpretazione indirizzata dalla Corte di Giustizia UE sul principio della “gerarchia dei rifiuti”, di cui alla richiamata Direttiva del 2008.
Sotto tale profilo, quindi, il Collegio concorda sull’impostazione data dalle ricorrenti nel secondo motivo (subordinato) di ricorso.
4.2. In argomento, valga il richiamo ad alcune pronunce del Giudice eurounitario che si riassumono.
Viene in rilievo la sentenza della Sezione Sesta della Corte di Giustizia UE, 15.10.2014, in C-323/13.
In questa, la Corte, ai paragrafi 36-38, ha precisato che:
“Riguardo agli obblighi derivanti dall’articolo 4 della direttiva 2008/98, è sufficiente rilevare che, come emerge chiaramente dal paragrafo 2 di tale articolo, gli Stati membri devono, nell’applicare la gerarchia dei rifiuti prevista da tale direttiva, adottare misure appropriate per incoraggiare le opzioni che danno il miglior risultato ambientale complessivo.
La stessa constatazione vale in merito all’articolo 13 della citata direttiva, che dispone che gli Stati membri devono prendere le misure necessarie per garantire che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana né recare pregiudizio all’ambiente. Orbene, una tale esigenza, letta alla luce del considerando 6 della stessa direttiva, secondo il quale l’obiettivo di qualsiasi politica in materia di rifiuti deve essere quello di ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e per l’ambiente, implica necessariamente l’obbligo per gli Stati membri di assicurarsi che i trattamenti a cui sono sottoposti i rifiuti permettano di ridurne il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente e sulla salute umana.
Alla luce di tali considerazioni, deve concludersi che gli articoli 1, paragrafo 1, 2, lettera h), e 6, lettera a), della direttiva 1999/31 nonché 4 e 13 della direttiva 2008/98 devono essere intesi nel senso che obbligano gli Stati membri ad adottare le misure necessarie affinché i rifiuti collocati a discarica che vi si prestano siano sottoposti ad un trattamento idoneo a ridurre il più possibile le ripercussioni negative di tali rifiuti sull’ambiente e sulla salute umana.”
In riferimento all’art. 16, paragrafo 1, della Direttiva, la Corte ha anche evidenziato che sussiste un obbligo per gli Stati membri – come ribadito in quell’occasione della Commissione parte del giudizio – di creare una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti urbani non differenziati, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili (paragrafi 46 e 52).
4.3. In secondo luogo, valga richiamare la sentenza della Sezione Quinta della Corte di Giustizia UE, 12.12.2013, in C-292/12.
In essa, al paragrafo 59 è precisato che “In forza dell’articolo 16 della direttiva 2008/98, gli Stati membri sono tenuti a istituire una rete integrata ed adeguata di impianti di trattamento dei rifiuti destinati allo smaltimento e dei rifiuti urbani non differenziati che sono raccolti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili, e concependo tale rete, in particolare, in modo tale da consentire loro di raggiungere individualmente l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti e che tale trattamento possa aver luogo in uno degli impianti appropriati più vicini al luogo di produzione di tali rifiuti.”
4.4. Si richiama anche la sentenza della Sezione Sesta della Corte di Giustizia UE, 18.12.2014, in C-551/13, il cui paragrafo 44 afferma che:
“In particolare, l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2008/98, che stabilisce la gerarchia dei rifiuti quale dev’essere attuata nella normativa e nella politica in materia di prevenzione e gestione di rifiuti, non consente di concludere che si dovrebbe preferire un sistema che permetta ai produttori di rifiuti di provvedere personalmente al loro smaltimento. Al contrario, lo smaltimento dei rifiuti figura soltanto all’ultimo posto di tale gerarchia”.
A tali presupposti giurisprudenziali, può aggiungersi quanto indicato dalle parti ricorrenti nella loro ultima memoria, ove è richiamata la “Comunicazione COM(2017)/34 del 26.1.2017 della Commissione Europea “AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI” concernente “Il ruolo della termovalorizzazione nell’economia circolare”, in cui è esplicitamente indicato quanto segue: “Stati membri con elevate capacità di incenerimento dedicate.
Lo studio dell’Agenzia europea dell’ambiente indica che attualmente nell’UE nel suo complesso non ci sono sovraccapacità di incenerimento. Tuttavia, i dati statistici dimostrano che alcuni singoli Stati membri dipendono in misura eccessiva dall’incenerimento dei rifiuti urbani. Questa situazione si può spiegare in parte con la forte domanda di calore attraverso le reti di teleriscaldamento, la maggiore efficienza dei processi di termovalorizzazione in tali Stati e gli alti livelli di consenso sociale. Nondimeno, tassi così elevati di incenerimento non sono coerenti con obiettivi di riciclaggio più ambiziosi. Per ovviare a questo problema si possono decidere a livello nazionale varie misure, alcune delle quali sono già state attuate in taluni Stati membri, in particolare:
− introdurre o aumentare le imposte sull’incenerimento, specialmente per i processi a basso recupero di energia, garantendo al contempo che le imposte sulle discariche siano più elevate;
− abolire gradualmente i regimi di sostegno per l’incenerimento dei rifiuti e, se del caso, reindirizzare gli aiuti verso processi che occupano posti più alti nella gerarchia dei rifiuti; e
− introdurre una moratoria sui nuovi impianti e smantellare quelli più vecchi e meno efficienti.”.
4.5. Alla luce di tali presupposti, il Collegio richiama dunque la normativa italiana sopra evidenziata, in particolare l’art. 35, comma 1, d.l. n. 133/14 cit., che ha demandato a un dpcm di individuare, a livello nazionale, la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l’indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, evidenziando che gli impianti così individuati costituiscono “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell’autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica.”.
Richiamati anche i successivi commi dell’art. 35 cit., come sopra trascritti, che hanno precisato la portata della disposizione dando luogo a facilitare le modalità procedurali per la creazione di nuovi impianti di incenerimento e termovalorizzazione e il potenziamento di quelli già esistenti, il Collegio richiama quindi l’adottato dpcm in esecuzione della norma primaria, che ha confermato l’impostazione della medesima, in particolare ribadendo, all’art. 6 (sopra riportato) che gli impianti individuati nelle allegate Tabelle A, B e C sono da considerarsi “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale”, al fine di realizzare “un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantendo la sicurezza nazionale nell’autosufficienza del ciclo di gestione integrato dei rifiuti, così come richiesto dall’art. 16 della direttiva 2008/98/CE”.
4.6.Ebbene, il Collegio rileva che la normativa italiana ora evidenziata possa porsi in contrasto con quella eurounitaria pure sopra riportata e, in assenza di giurisprudenza specifica sul punto e in assenza di un’evidenza tale da non lasciare alcun ragionevole dubbio, ritiene in particolare che l’incremento della portata della termovalorizzazione e incenerimento e la definizione dei relativi impianti come “infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale” possano porsi in violazione dei su ricordati articoli 4, 13 e 16 della Direttiva 2008/98/CE – ponendosi questa come questione rilevante per la decisione del merito della presente controversia che chiede l’annullamento del dpcm impugnato – soprattutto perché analogo riconoscimento non è stato esteso agli altri impianti volti al trattamento dei rifiuti a fini di riciclo e riuso, non ostante la loro preminenza nella “gerarchia dei rifiuti” di cui alla richiamata Direttiva, da intendersi eventualmente come direttamente applicabile e vincolante per tutti gli Stati membri dell’Unione.
A ciò deve aggiungersi l’osservazione che la prevalenza allo smaltimento dei rifiuti tramite incenerimento – si ricorda, come osservato dalle parti ricorrenti, che le operazioni di incenerimento dei rifiuti con basso recupero di energia sono equiparabili, nell’ottica del richiamato principio di “gerarchia”, allo smaltimento in discarica – potrebbe porsi in violazione anche dei principi di “precauzione” e di minore impatto sulla salute umana e sull’ambiente, di cui all’art. 13 della Direttiva 2008/98/CE.
4.7. In sostanza, il Collegio dubita della conformazione alla normativa eurounitaria dell’art. 35, comma 1, d.l. n. 133/14, come convertito in legge, recante “Misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio. Misure urgenti per la gestione e per la tracciabilità dei rifiuti nonché per il recupero dei beni in polietilene”, nella parte in cui, al primo comma, affida a un dpcm di individuare, a livello nazionale, la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l’indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale, facendo in modo che gli impianti così individuati costituiscano infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuino un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscano la sicurezza nazionale nell’autosufficienza, consentano di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica.
Poiché in giudizio l’Amministrazione si è difesa solo con un deposito documentale e con una relazione – peraltro sollecitate in sede istruttoria – senza ulteriori scritti o memorie difensive, in cui emerge una generica posizione a difesa della conformità del dettato normativo alla competenza statale e alla Direttiva 2008/98/CE per quanto riguarda l’ottimizzazione e il potenziamento delle infrastrutture di incenerimento con recupero energetico, ritenuto genericamente rispettoso del principio della “gerarchia dei rifiuti”, ne consegue che il Collegio propone alla Corte adita questa prima questione:
“Dica la Corte di Giustizia UE se gli artt. 4 e 13 della Direttiva 2008/98/CE, unitamente ai “considerando” 6, 8, 28 e 31, ostano a una normativa interna primaria e alla sua correlata normativa secondaria di attuazione – quali l’art. 35, comma 1, d.l. n. 133/2014, come convertito in l. n. 164/2014, e il d.p.c.m. 10.8.2016, pubblicato sulla gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 233 del 5.10.2016 – laddove qualificano solo gli impianti di incenerimento ivi considerati secondo l’illustrazione degli Allegati e delle Tabelle di cui al d.p.c.m. quali infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, che attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati e che garantiscono la sicurezza nazionale nell’autosufficienza, dato che una simile qualificazione non è stata parimenti riconosciuta dal legislatore interno agli impianti volti al trattamento dei rifiuti a fini di riciclo e riuso, pur essendo tali due modalità preminenti nella gerarchia dei rifiuti di cui alla richiamata Direttiva”.
“In subordine, se non osta quanto sopra richiesto, dica la Corte di Giustizia UE se gli articoli 4 e 13 della Direttiva 2008/98/CE ostano a una normativa interna primaria e alla sua correlata normativa secondaria di attuazione – quali l’art. 35, comma 1, d.l. n. 133/2014, come convertito in l. n. 164/2014, e il d.p.c.m. 10.8.2016, pubblicato sulla gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 233 del 5.10.2016 – laddove qualificano gli impianti di incenerimento di rifiuti urbani quali infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, allo scopo di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore, oltre che al fine di limitare il conferimento di rifiuti in discarica”.
5. La proponibilità della seconda questione pregiudiziale.
5.1. Analogamente il Collegio intende procedere per quanto riguarda il terzo motivo di ricorso, in relazione alla mancata sottoposizione a Valutazione Ambientale Strategica (V.A.S.) del dpcm impugnato, dato che la riconducibilità di tale provvedimento alla richiesta valutazione può emergere solo a seguito della pronuncia sul punto della Corte adita.
5.2. Vengono quindi in rilievo gli articoli 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 della Direttiva 2001/42/CE, che si riportano:
Art. 2:
“Ai fini della presente direttiva:
a) per “piani e programmi” s’intendono i piani e i programmi, compresi quelli cofinanziati dalla Comunità europea, nonché le loro modifiche
– che sono elaborati e/o adottati da un’autorità a livello nazionale, regionale o locale oppure predisposti da un’autorità per essere approvati, mediante una procedura legislativa, dal parlamento o dal governo e
– che sono previsti da disposizioni legislative, regolamentari o amministrative;
b) per “valutazione ambientale” s’intende l’elaborazione di un rapporto di impatto ambientale, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del rapporto ambientale e dei risultati delle consultazioni nell’iter decisionale e la messa a disposizione delle informazioni sulla decisione a norma degli articoli da 4 a 9;
c) per “rapporto ambientale” s’intende la parte della documentazione del piano o del programma contenente le informazioni prescritte all’articolo 5 e nell’allegato I;
d) per “pubblico” s’intendono una o più persone fisiche o giuridiche, secondo la normativa o la prassi nazionale, e le loro associazioni, organizzazioni o gruppi.”;
Art. 3:
“1. I piani e i programmi di cui ai paragrafi 2, 3 e 4, che possono avere effetti significativi sull’ambiente, sono soggetti ad una valutazione ambientale ai sensi degli articoli da 4 a 9.
2. Fatto salvo il paragrafo 3, viene effettuata una valutazione ambientale per tutti i piani e i programmi,
a) che sono elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l’autorizzazione dei progetti elencati negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE, o
b) per i quali, in considerazione dei possibili effetti sui siti, si ritiene necessaria una valutazione ai sensi degli articoli 6 e 7 della direttiva 92/43/CEE.
3. Per i piani e i programmi di cui al paragrafo 2 che determinano l’uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al paragrafo 2, la valutazione ambientale è necessaria solo se gli Stati membri determinano che essi possono avere effetti significativi sull’ambiente.
4. Gli Stati membri determinano se i piani e i programmi, diversi da quelli di cui al paragrafo 2, che definiscono il quadro di riferimento per l’autorizzazione dei progetti, possono avere effetti significativi sull’ambiente.
5. Gli Stati membri determinano se i piani o i programmi di cui ai paragrafi 3 e 4 possono avere effetti significativi sull’ambiente attraverso l’esame caso per caso o specificando i tipi di piani e i programmi o combinando le due impostazioni. A tale scopo gli Stati membri tengono comunque conto dei pertinenti criteri di cui all’allegato II, al fine di garantire che i piani e i programmi con probabili effetti significativi sull’ambiente rientrino nell’ambito di applicazione della presente direttiva.
6. Nell’esame dei singoli casi e nella specificazione dei tipi di piani e i programmi di cui al paragrafo 5, devono essere consultate le autorità di cui all’articolo 6, paragrafo 3.
7. Gli Stati membri fanno in modo che le conclusioni adottate ai sensi del paragrafo 5, comprese le motivazioni della mancata richiesta di una valutazione ambientale ai sensi degli articoli da 4 a 9, siano messe a disposizione del pubblico.
8. I seguenti piani e programmi non rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva:
– piani e programmi destinati esclusivamente a scopi di difesa nazionale e di protezione civile,
– piani e programmi finanziari o di bilancio.
9. La presente direttiva non si applica ai piani e ai programmi cofinanziati a titolo dei rispettivi periodi di programmazione in corso [1] per i regolamenti (CE) n. 1260/1999 e (CE) n. 1257/1999 del Consiglio.”;
Art. 4:
“1. La valutazione ambientale di cui all’articolo 3 deve essere effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua adozione o all’avvio della relativa procedura legislativa.
2. Le condizioni stabilite dalla presente direttiva sono integrate nelle procedure in vigore negli Stati membri per l’adozione dei piani e dei programmi o nelle procedure definite per conformarsi alla presente direttiva.
3. Nel caso di piani e programmi gerarchicamente ordinati gli Stati membri tengono conto, onde evitare duplicazioni della valutazione, del fatto che essa sarà effettuata, ai sensi della presente direttiva, a vari livelli della gerarchia. Al fine, tra l’altro, di evitare duplicazioni della valutazione, gli Stati membri applicano l’articolo 5, paragrafi 2 e 3.”;
Art. 6:
“1. La proposta di piano o di programma ed il rapporto ambientale redatto a norma dell’articolo 5 devono essere messi a disposizione delle autorità di cui al paragrafo 3 del presente articolo e del pubblico.
2. Le autorità di cui al paragrafo 3 e il pubblico di cui al paragrafo 4 devono disporre tempestivamente di un’effettiva opportunità di esprimere in termini congrui il proprio parere sulla proposta di piano o di programma e sul rapporto ambientale che la accompagna, prima dell’adozione del piano o del programma o dell’avvio della relativa procedura legislativa.
3. Gli Stati membri designano le autorità che devono essere consultate e che, per le loro specifiche competenze ambientali, possono essere interessate agli effetti sull’ambiente dovuti all’applicazione dei piani e dei programmi.
4. Gli Stati membri individuano i settori del pubblico ai fini del paragrafo 2, compresi i settori del pubblico che sono interessati dall’iter decisionale nell’osservanza della presente direttiva o che ne sono o probabilmente ne verranno toccati, includendo le pertinenti organizzazioni non governative quali quelle che promuovono la tutela dell’ambiente e altre organizzazioni interessate.
5. Gli Stati membri determinano le specifiche modalità per l’informazione e la consultazione delle autorità e del pubblico.”;
Art. 7:
“1. Qualora uno Stato membro ritenga che l’attuazione di un piano o di un programma in fase di preparazione sul suo territorio possa avere effetti significativi sull’ambiente di un altro Stato membro, o qualora lo richieda uno Stato membro che potrebbe essere interessato in misura significativa, lo Stato membro sul cui territorio è in fase di elaborazione il piano o il programma trasmette, prima della sua adozione o dell’avvio della relativa procedura legislativa, una copia della proposta di piano o di programma e del relativo rapporto ambientale all’altro Stato membro.
2. Uno Stato membro cui sia pervenuta copia della proposta di piano o di programma e del rapporto ambientale di cui al paragrafo 1 comunica all’altro Stato membro se intende procedere a consultazioni anteriormente all’adozione del piano o del programma o all’avvio della relativa procedura legislativa; in tal caso gli Stati membri interessati procedono alle consultazioni in merito ai possibili effetti ambientali transfrontalieri derivanti dall’attuazione del piano o del programma nonché alle misure previste per ridurre o eliminare tali effetti.
Se tali consultazioni hanno luogo, gli Stati membri interessati convengono specifiche modalità affinché le autorità di cui all’articolo 6, paragrafo 3 e i settori del pubblico di cui all’articolo 6, paragrafo 4, nello Stato membro che potrebbe essere interessato significativamente, siano informati ed abbiano l’opportunità di esprimere il loro parere entro termini ragionevoli.
3. Gli Stati membri interessati che partecipano alle consultazioni ai sensi del presente articolo ne fissano preventivamente la durata in tempi ragionevoli.”;
Art. 8:
“In fase di preparazione del piano o del programma e prima della sua adozione o dell’avvio della relativa procedura legislativa si prendono in considerazione il rapporto ambientale redatto ai sensi dell’articolo 5, i pareri espressi ai sensi dell’articolo 6 nonché i risultati di ogni consultazione transfrontaliera avviata ai sensi dell’articolo 7.”;
Art. 9:
“1. Gli Stati membri assicurano che, quando viene adottato un piano o un programma, le autorità di cui all’articolo 6, paragrafo 3, il pubblico e tutti gli Stati membri consultati ai sensi dell’articolo 7 ne siano informati e che venga messo a loro disposizione:
a) il piano o il programma adottato;
b) una dichiarazione di sintesi in cui si illustra in che modo le considerazioni ambientali sono state integrate nel piano o programma e come si è tenuto conto, ai sensi dell’articolo 8, del rapporto ambientale redatto ai sensi dell’articolo 5, dei pareri espressi ai sensi dell’articolo 6 e dei risultati delle consultazioni avviate ai sensi dell’articolo 7, nonché le ragioni per le quali è stato scelto il piano o il programma adottato, alla luce delle alternative possibili che erano state individuate, e
c) le misure adottate in merito al monitoraggio ai sensi dell’articolo 10.
2. Gli Stati membri stabiliscono le specifiche modalità per le informazioni di cui al paragrafo 1.”;
Art. 10:
“1. Gli Stati membri controllano gli effetti ambientali significativi dell’attuazione dei piani e dei programmi al fine, tra l’altro, di individuare tempestivamente gli effetti negativi imprevisti e essere in grado di adottare le misure correttive che ritengono opportune.
2. Al fine di conformarsi al disposto del paragrafo 1, possono essere impiegati, se del caso, i meccanismi di controllo esistenti onde evitare una duplicazione del monitoraggio.”;
Art. 11:
“1. La valutazione ambientale effettuata ai sensi della presente direttiva lascia impregiudicate le disposizioni della direttiva 85/337/CEE e qualsiasi altra disposizione della normativa comunitaria.
2. Per i piani e i programmi in merito ai quali l’obbligo di effettuare una valutazione dell’impatto ambientale risulta contemporaneamente dalla presente direttiva e da altre normative comunitarie, gli Stati membri possono prevedere procedure coordinate o comuni per soddisfare le prescrizioni della pertinente normativa comunitaria, tra l’altro al fine di evitare duplicazioni della valutazione.
3. Per i piani e i programmi cofinanziati dalla Comunità europea, la valutazione ambientale a norma della presente direttiva viene effettuata secondo le disposizioni speciali della pertinente legislazione comunitaria.”;
Art. 12:
“1. Gli Stati membri e la Commissione si scambiano informazioni sull’esperienza maturata nell’applicazione della presente direttiva.
2. Gli Stati membri assicurano che le relazioni ambientali siano di qualità sufficiente a soddisfare le prescrizioni della presente direttiva e comunicano alla Commissione qualunque misura da essi adottata in materia di qualità di tali relazioni.
3. Prima del 21 luglio 2006 la Commissione invia una prima relazione sulla sua applicazione ed efficacia al Parlamento europeo e al Consiglio. Per integrare altre esigenze connesse con la tutela dell’ambiente, a norma dell’articolo 6 del trattato e tenuto conto dell’esperienza acquisita negli Stati membri nell’applicazione della presente direttiva, detta relazione è corredata delle proposte di modifica della presente direttiva eventualmente necessarie. In particolare, la Commissione vaglierà la possibilità di estendere l’ambito d’applicazione della presente direttiva ad altre tematiche/altri settori e ad altri tipi di piani e programmi. Successivamente viene elaborata una nuova relazione di valutazione ogni sette anni.
4. Al fine di garantire la coerenza di impostazione tra la presente direttiva e i successivi regolamenti comunitari, la Commissione riferisce in merito al rapporto tra la stessa e i regolamenti (CE) n. 1260/1999 e (CE) n. 1257/1999 con molto anticipo rispetto alla scadenza dei periodi di programmazione previsti da detti regolamenti.”.
5.3. Viene anche in rilevo la normativa nazionale, di cui all’art. 6, commi 1 e 2, lett. a), d.lgs. 152/2006 sopra riportata sub 2.3.
Nel caso di specie è incontestato che il dpcm impugnato, quale disposizione regolamentare, possa rientrare tra gli strumenti di adozione ai sensi dell’articolo 2, lettera a), punto secondo, della Direttiva 2001/42/CE e che il medesimo non sia stato anticipato da V.A.S.
Resta la circostanza, però, che il piano ivi indicato abbia un impatto sull’ambiente e, proprio perché in esso sono state effettuate valutazioni strategiche – di cui alla prima questione sopra proposta all’attenzione della Corte – è stata legittimata la sua adozione statale, con la conseguenza per la quale tali valutazioni (computo del fabbisogno nazionale residuo e suo riparto tra macroaree, potenziamento delle strutture già in essere, localizzazione regionale dei nuovi impianti) sono comunque sottratte all’esame degli organi regionali e locali e sorge il dubbio di conformità eurounitaria sul fatto che non potranno essere ridiscusse nei relativi piani attuativi né rivalutate nelle eventuali procedure di V.A.S. regionali, come invece sostenuto nella relazione dell’Amministrazione depositata in giudizio.
Si rammenta che nell’Allegato I al dpcm è rideterminata la capacità di trattamento dei rifiuti nei quaranta impianti di incenerimento in essere (su quarantadue esistenti e operativi sul territorio nazionale) come elencati nella Tabella A, consentendo a tali impianti l’aumento dell’attività fino all’esaurimento della rispettiva capacità organizzata, con incremento, quindi, dell’attività di incenerimento e dei suoi effetti sull’ambiente e con riclassificazione anche degli impianti in essere da “D10” a “R1” (da Smaltimento a Recupero di energia), senza che tali incrementi e modifiche siano passati al vaglio di una procedura di V.A.S. Ciò esclude che il dpcm impugnato si sia limitato a una mera attività ricognitiva e fa sorgere il dubbio di compatibilità eurounitaria che le originarie procedure di V.A.S. sugli impianti in essere (peraltro riclassificati “R1”) possano essere considerate tuttora valide.
Le parti ricorrenti hanno anche evidenziato, attraverso un parere della ISDE Italia (“International Society of Doctors for Environment), le cifre che comporterebbe il “surplus” di incenerimento derivato dal dpcm (1.818.000 t/a), ne conseguirebbe che questo dpcm non possa definirsi, quindi, come un mero atto programmatico generale, dato l’immediato e diretto impatto sull’ambiente che ne deriva, senza alcuna possibilità di successiva modifica nella sua architettura generale in sede di programmazione regionale.
5.4. Non riscontrandosi precedenti giurisprudenziali sul punto specifico, quindi, il Collegio ritiene di porre il seguente quesito alla Corte adita:
“Dica la Corte di Giustizia UE se gli articoli 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 della Direttiva 2001/42/CE, anche in combinato disposto tra loro, ostino all’applicazione di una normativa interna primaria e alla sua correlata normativa secondaria di attuazione – quali l’art. 35, comma 1, d.l. n. 133/2014, come convertito in l. n. 164/2014, e il d.p.c.m. 10.8.2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 233 del 5.10.2016 – la quale prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri possa con proprio decreto rideterminare in aumento la capacità degli impianti di incenerimento in essere nonché determinare il numero, la capacità e la localizzazione regionale degli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo determinato, con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, senza che tale normativa interna preveda che, in fase di predisposizione di tale piano emergente dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, si applichi la disciplina di valutazione ambientale strategica così come prevista dalla richiamata Direttiva 2001/42/CE”.
6. Questioni pregiudiziali da sottoporre alla Corte di Giustizia UE.
1)“Dica la Corte di Giustizia UE se gli artt. 4 e 13 della Direttiva 2008/98/CE, unitamente ai “considerando” 6, 8, 28 e 31, ostano a una normativa interna primaria e alla sua correlata normativa secondaria di attuazione – quali l’art. 35, comma 1, d.l. n. 133/2014, come convertito in l. n. 164/2014, e il d.p.c.m. 10.8.2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 233 del 5.10.2016 – laddove qualificano solo gli impianti di incenerimento ivi considerati secondo l’illustrazione degli Allegati e delle Tabelle di cui al d.p.c.m. quali infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, che attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati e che garantiscono la sicurezza nazionale nell’autosufficienza, dato che una simile qualificazione non è stata parimenti riconosciuta dal legislatore interno agli impianti volti al trattamento dei rifiuti a fini di riciclo e riuso, pur essendo tali due modalità preminenti nella gerarchia dei rifiuti di cui alla richiamata Direttiva”.
2) “In subordine, se non osta quanto sopra richiesto, dica la Corte di Giustizia UE se gli articoli 4 e 13 della Direttiva 2008/98/CE ostano a una normativa interna primaria e alla sua correlata normativa secondaria di attuazione – quali l’art. 35, comma 1, d.l. n. 133/2014, come convertito in l. n. 164/2014, e il d.p.c.m. 10.8.2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 233 del 5.10.2016 – laddove qualificano gli impianti di incenerimento di rifiuti urbani quali infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, allo scopo di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore, oltre che al fine di limitare il conferimento di rifiuti in discarica”.
3) “Dica la Corte di Giustizia UE se gli articoli 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 della Direttiva 2001/42/CE, anche in combinato disposto tra loro, ostino all’applicazione di una normativa interna primaria e alla sua correlata normativa secondaria di attuazione – quali l’art. 35, comma 1, d.l. n. 133/2014, come convertito in l. n. 164/2014, e il d.p.c.m. 10.8.2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 233 del 5.10.2016 – la quale prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri possa con proprio decreto rideterminare in aumento la capacità degli impianti di incenerimento in essere nonché determinare il numero, la capacità e la localizzazione regionale degli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo determinato, con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, senza che tale normativa interna preveda che, in fase di predisposizione di tale piano emergente dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, si applichi la disciplina di valutazione ambientale strategica così come prevista dalla richiamata Direttiva 2001/42/CE”.
Dato che tali questioni sono rilevanti e prioritarie nell’economia dell’introdotto giudizio, in quanto dalla risposta della Corte di Giustizia potrebbe derivare l’accoglimento del gravame, con assorbimento delle ulteriori doglianze lamentate con i motivi quarto e quinto, ne consegue la rimessione alla Corte competente e la sospensione del presente giudizio allo stato degli atti, secondo quanto indicato in dispositivo.
A tale fine e in attuazione delle raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale (2012/C 338/01), si dispone la trasmissione alla cancelleria della Corte di Giustizia di copia del fascicolo della causa.
Il presente giudizio viene sospeso fino alla pronuncia della Corte di Giustizia, e ogni ulteriore decisione, anche in ordine alle spese, è riservata alla pronuncia definitiva.
P.Q.M
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, dispone:
1) la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea delle questioni pregiudiziali indicate in motivazione;
2) a cura della segreteria, la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dell’art. 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura, nei sensi e con le modalità di cui in motivazione, e con copia del fascicolo di causa;
3) la sospensione del presente giudizio;
4) la riserva alla decisione definitiva di ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
Roberta Cicchese, Consigliere