Tritovagliatura e obbligo di trattamento dei rifiuti: l’orientamento del Consiglio di stato

Pubblicato il 29-10-2014
Condividi

A cura dell’avv. Gaetano Pecoraro

Con la sentenza 23 ottobre 2014 n. 5242, il Consiglio di Stato ha preso posizione su una questione, ampiamente dibattuta, circa la sufficienza dell’operazione di tritovagliatura dei rifiuti solidi urbani ai fini del loro conferimento in discarica. La vicenda decisa dai Giudici di Palazzo Spada era relativa alla legittimità del trasferimento dei rifiuti, ai fini del loro smaltimento, prodotti da alcuni impianti di tritovagliatura siti in Campania, verso impianti collocati nel territorio della Regione Puglia.

tritovagliatura-obbligo-trattamento-dei-rifiuti-lorientamento-consiglio

La questione giuridica sottesa a tale decisione attiene all’ambito ed all’estensione di operatività del divieto previsto dall’art. 182 comma 3 d. lgs. 153/2006 secondo cui “È vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano”.

Il quesito si è posto in quanto i rifiuti tritovagliati erano quelli derivanti dal ciclo di raccolta dei rifiuti urbani. Ci si è dunque chiesti se l’operazione di tritovagliatura sia in grado o meno di determinare un cambio nella natura giuridica del rifiuto, tale per cui il rifiuto urbano tritovagliato potesse essere qualificato come “rifiuto speciale”, in quanto tale non assoggettato a quel divieto.

Una prima risposta positiva faceva leva sul cambio di codice CER a seguito dell’operazione di tritovagliatura: da 20.03.01 (rifiuto urbano indifferenziato) a 19.12.12 (altri rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, diversi da quelli di cui alla voce 19 12 11).

Ma sia il TAR Roma prima (con sentenza 4915/2011) che il Consiglio di Stato poi (con la sentenza che oggi pubblichiamo), più che sulla tipologia di codice, hanno preso in considerazione la natura del rifiuto. Per meglio comprendere i presupposti da cui sono partiti i Giudici, occorre focalizzare l’attenzione sul tipo di “trattamento” che viene svolto dagli impianti di tritovagliatura, e per far ciò il Consiglio di Stato ha dovuto disporre una verificazione, affidando l’incarico al Ministero dell’Ambiente e della Tutela e del Territorio e del Mare (MATTM).

Da quanto risulta dalla sentenza che oggi pubblichiamo, il Verificatore ha accertato che il trattamento meccanico è “costituito da triturazione, vagliatura primaria e vagliatura secondaria con deferrizzazione magnetica dei sopravagli primario e secondario, che una volta riuniti vanno a costituire la frazione secca tritovagliata (FST), identificata con il codice CER A91212. Il sottovaglio primario e secondario, sottoposti a deferrizzazione magnetica, vanno a costituire, invece, la frazione umida tritovagliata (FUT) identificata anch’essa con il codice CER 191212”.

A seguito dell’analisi condotta sul rifiuto in entrata ed in uscita dagli impianti, ed altri parametri tecnici, il Verificatore ha osservato che “…Il trattamento meccanico di tritovagliatura del rifiuto indifferenziato porta alla formazione di tre flussi: uno costituito dall’insieme del sopravaglio primario e secondario che costituisce la FST, nel quale tendono a concentrarsi prevalentemente le frazioni di natura plastica e cellulosica, un altro formato dal sottovaglio secondario costituito da materiali di minor pezzatura, tra cui la maggior parte della componente organica originariamente presente del rifiuto urbano (frazione umida tritovagliata), un terzo flusso costituito dai metalli ferrosi che si separano a seguito del processo di deferrizzazione magnetica, attuato sui sopravagli primario e secondario e sul sottovaglio secondario, anche se l’efficienza dei trattamenti di seprazione dei metalli risulta, sulla base dei dati forniti, piuttosto limitata e una quota rilevante degli stessi permane nel sopravaglio senza essere stata avviata al recupero. Le frazioni secca e umida tritovagliate e separate, in uscita dall’impianto presentano caratteristiche diverse dal rifiuto urbano indifferenziato in ingresso, sebbene ciascuna delle due frazioni continui a presentare una significativa disomogeneità e natura mista”.

Muovendo dalla definizione di produttore, il Verificatore ha potuto riconoscere la legittimità del cambio di codice in quanto “il trattamento negli STIR muta la composizione merceologica e le caratteristiche chimico – fisiche del rifiuto e quindi produce un nuovo rifiuto al quale può essere correttamente attribuito il codice 19 di rifiuto speciale”.

Ha tuttavia aggiunto che “…le caratteristiche dei rifiuti in uscita dal trattamento, pur evidenziando alcune proprietà analitiche diverse rispetto a quelle del rifiuto urbano in ingresso non consentono di sostenere che il trattamento ha modificato le stesse conformemente agli scopi previsti dal citato art. 2 [comma 1, lett. g), del D. Lgs. n. 36/2003]. Infatti, il confronto fra le quantità di rifiuti in ingresso e quelle in uscita, mostra scarse differenze che indicano esigue perdite di processo legate alla mancata stabilizzazione biologiche che non comporta una riduzione dei volumi complessivamente avviati alle successive operazioni di smaltimento. Inoltre la mancata stabilizzazione della frazione umida tritovagliata rende inefficace il trattamento e non consente di soddisfare le esigenze di tutela ambientale richieste dal dettato comunitario e nazionale, generando un flusso di rifiuti con caratteristiche chimo – fisiche e biologiche che, per carico organico ed emissioni odorigene, risulta egualmente se non più problematico dal punto di vista gestionale e di trasporto, rispetto al rifiuto urbano indifferenziato in ingresso al trattamento, anche in considerazione del fatto che detti rifiuti vengono trasportati al di fuori della Regione di produzione”.

Alla luce di tali esiti, il Consiglio di Stato con la sentenza 5242/2014 ha affermato che “benché il prodotto della derivante dall’attività di triturazione, vagliatura del primaria e vagliatura secondaria possa essere considerato come un nuovo prodotto in quanto realizzato negli stabilimenti per la tritovagliatura e l’imballaggio STIR (quali nuovi produttori di rifiuti ex art. 183 del D. Lgs. n. 152 del 1006), lo stesso non ha in concreto perduto le caratteristiche di rifiuto urbano e come tale è sottoposto al principio dell’autosufficienza regionale per il relativo smaltimento. Pertanto, come non irragionevolmente evidenziato dal verificatore “i rifiuti provenienti dagli STIR ai quali è attribuito il codice 19 continuano…ad essere assoggettati al regime dei rifiuti urbani, ma ai soli fini dello smaltimento. Tale vincolo non opera qualora siano conferiti ad impianti di recupero o avviati a operazioni finalizzate al recupero”.

Da tali osservazioni è possibile trarre alcune conclusioni:

  • il rifiuto urbano tritovagliato non può essere smaltito fuori Regione ex art. 182 comma 3 d. lgs. 152/2006, non avendo perso la sua natura;
  • il rifiuto urbano tritovagliato deve subire ulteriori processi di trattamento ex art. 2 comma 1 lett. H) d. lgs. 36/2003 prima di poter essere smaltito in discarica, in quanto la tritovagliatura non soddisfa i requisiti previsti dalla disposizione per poter essere qualificato come trattamento.

Pubblichiamo la sentenza del Consiglio di Stato

  • N. 05242/2014REG.PROV.COLL.
  • N. 04983/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

HA PRONUNCIATO LA PRESENTE SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 4983 del 2011, proposto da: ITALCAVE S.P.A., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Ernesto Sticchi Damiani e Giampaolo Sechi, con domicilio eletto presso Bdl Studio in Roma, via Bocca di Leone, n. 78;

CONTRO

REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Nino Matassa, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2; DIRIGENTE P.T. DEL SERVIZIO ECOLOGIA DELLA REGIONE PUGLIA, DIRIGENTE P.T. DEL SERVIZIO CICLO RIFIUTI E BONIFICA DELLA REGIONE PUGLIA, DIRIGENTE P.T. DELL’UFFICIO INQUINAMENTO E GRANDI IMPIANTI DELLA REGIONE PUGLIA, ASSESSORE P.T. ALLA QUALITÀ DELL’AMBIENTE DELLA REGIONE PUGLIA, AGENZIA REGIONALE PER LA PROTEZIONE AMBIENTALE DELLA CAMPANIA (ARPAC), ASSESSORE P.T. ALL’ECOLOGIA DELLA REGIONE CAMPANIA, POLIZIA PROVINCIALE DI TARANTO, COMANDO DEI CARABINIERI PER LA TUTELA DELL’AMBIENTE – NOE DI LECCE; REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Maria D’Elia e Angelo Marzocchella, con domicilio eletto presso Ufficio Di Rappresentanza Regione Campania in Roma, via Poli, n. 29; UNITÀ OPERATIVA – DIPARTIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE – PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata ope legis in Roma, via dei Portoghesi, 12; SOCIETÀ DE SARLO A. E C. S.A.S., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Pasquale Rago, con domicilio eletto presso Gabriella Rago in Roma, via Caio Mario, n. 7;

E CON L’INTERVENTO DI

ad adiuvandum:

CONSORZIO INTERPROVINCIALE TRASPORTI ECOAMBIENTALI – C.I.T.E., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Marcello Fortunato, con domicilio eletto presso Guido Lenza in Roma, via XX Settembre, n. 98/E; ECOAMBIENTE SALERNO S.P.A., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Lorenzo Lentini, con domicilio eletto presso Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2; S.A.P.N.A. – “SISTEMA AMBIENTE PROVINVIA DI NAPOLI”, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Antonio Nardone e Giuseppe Ceceri, con domicilio eletto presso Antonio Nardone in Roma, via Oriolo Romano, n. 59;

PER LA RIFORMA

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, Sez. I TER, n. 4915 del 31 maggio 2011, resa tra le parti, concernente cessazione dei conferimenti presso l’impianto di Taranto dei rifiuti contrassegnati dal codice CER 19.12.12.

  • Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
  • Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Puglia, della Regione Campania, che ha spiegato anche appello incidentale, della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile, e di Società De Sarlo A. e C. Sas;
  • Visti gli atti di intervento ad adiuvandum del Consorzio Interprovinciale Trasporti Ecoambientali – C.I.T.E., della Ecoambiente Salerno S.p.A. e della S.A.P.N.A. – Società Ambiente della Provincia di Napoli;
  • Viste le memorie difensive;
  • Visti tutti gli atti della causa;
  • Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 aprile 2014 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Ernesto Sticchi Damiani, Nino Matassa, Angelo Marzocchella, Feliciana Ferrentino, su delega degli avv.ti Pasquale Rago, Lorenzo Lentini, Giuseppe Ceceri e Antonio Nardone, Nnché, l’avvocato dello Stato Mario Capolupo;
  • Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

1. All’esito della gara indetta in data 23 agosto 2010 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento della Protezione civile per la chiusura dell’emergenza rifiuti in Campania) per l’appalto del “Servizio di smaltimento, incluso caricamento e trasporto, fuori Regione ed in territorio italiano, di 61.000 tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi codice CER 19.12.12 (frazione umida trito vagliata) prodotta e stoccata negli Stabilimenti di Tritovagliatura e Imballaggio Rifiuti urbani (STIR) della Campania”, è risultato aggiudicatario il Consorzio Interprovinciale Trasporti Ecoambientali (CITE), operante in raccordo con alcune discariche site nella Regione Puglia, che ha indicato quali impianti finali di smaltimento le discariche di rifiuti speciali non pericolosi Ecolevante S.p.A. di Grottaglie, Vergine S.p.A. di Taranto e Italcave S.p.A. di Taranto.

Il bando di gara subordinava l’esecuzione dell’appalto alla stipula di un protocollo di intesa tra le Regioni interessate a ricevere il conferimento della predetta tipologia di rifiuti e la Regione Campania: in data 3 dicembre 2010 è stato pertanto stipulato tra la Regione Puglia e la Regione Campania il “Protocollo d’intesa per il trasporto e lo smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi provenienti dagli impianti STIR della Regione Campania presso impianti di discarica della Regione Puglia”, per un quantitativo pari a 45.000 tonnellate di rifiuti aventi codici CER 19.12.12 e CER 19.05.01.

2. Con atto prot. A00089/10-02-2011 n. 1258 l’Ufficio Inquinamento e grandi impianti del Servizio Ecologia della Regione Puglia (Area politiche per l’ambiente, le reti e la qualità urbana), dopo aver rappresentato che “Con nota del 9 febbraio 2011 la Polizia Provinciale di Taranto e il Comando dei Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente – NOE di Lecce hanno comunicato allo scrivente Servizio l’avvenuto accertamento del conferimento di rifiuti CER 19.12.12 provenienti dagli STIR di Tufino, Battipaglia e Giugliano della Regione Campania e derivanti dalla trito vagliatura di rifiuti urbani evidenziando, tra l’altro, la difformità di detti conferimenti rispetto alle previsioni definite nel Protocollo d’intesa stipulato tra Regione Puglia e Regione Campania in data 3 dicembre 2010 e dai successivi tavoli tecnici” e che “Dato per conosciuto l’intero percorso finalizzato ad assicurare l’intesa con la Regione Campania per lo smaltimento di quota parte dei rifiuti stoccati presso gli STIR nonché le modalità di caricamento, trasporto e smaltimento definite dopo l’intesa in Conferenza Stato Regioni del 29 novembre 2010, si ritiene che per i rifiuti aventi codice CER 19.12.12, 19.12.02 e 19.05.01, assimilati, secondo l’art. 6 ter della legge n. 123 del 14 luglio 2008, alla tipologia di rifiuti aventi codice CER 20.03.01, debbano essere applicati i disposti dell’art. 1 comma 7 del D.L. 196 del 26 novembre 2010, convertito in legge con modificazioni dalla legge 1 del 24 gennaio 2011, n. 1, e che pertanto detti rifiuti siano conferibili esclusivamente nell’ambito delle intese stipulate tra Regione Puglia e Regione Campania”, ha diffidato tra gli altri anche Italcave S.P.A. “… dall’assumere comportamenti difformi rispetto a quanto previsto dal Protocollo di intesa stipulato tra Regione Puglia e Regione Campania in data 3 dicembre 2010 e nei successivi tavoli tecnici, unico titolo legittimante i conferimenti…”, raccomandando altresì “…di scongiurare qualsiasi ulteriore conferimento di rifiuti derivanti dalla trito vagliatura di rifiuti urbani provenienti dagli STIR della Campania aventi codice CER 19.12.12, 19.12.02 e 19.05.01”.

3. Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I ter, con la sentenza n. 4915 del 31 maggio 2011, riconosciuta la propria competenza in materia, ha respinto il ricorso proposto da Italcave S.p.A. per l’annullamento della predetta diffida (oltre che, per quanto occorra, della nota prot. n. 6514/2011 del 22 febbraio 2011 dell’Agenzia Regione per la Protezione Ambientale della Campania di riscontro alla citata diffida e della nota del 9 febbraio 2011 della Regione Puglia, menzionata nella diffida), rilevando in sintesi, per un verso, che i rifiuti derivanti dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani non possono essere più considerati e classificati quali rifiuti speciali, rientrando nell’ambito della classificazione dei rifiuti urbani, e, per altro verso, che la disciplina emergenziale non prevede eccezioni al principio di smaltimento intra – regionale dei rifiuti urbani (in cui rientrano quelli classificati col codice CER 19.12.12), aggiungendo ancora che ad analoghe conclusioni si perviene anche se si afferma che i rifiuti con codice CER 19.12.12 devono seguire la disciplina dei rifiuti speciali non pericolosi e precisando infine che il Protocollo d’intesa del 3 dicembre 2010 costituisce il presupposto che abilita lo smaltimento dei rifiuti campani nel territorio pugliese.

4. Italcave S.p.A. (d’ora in avanti anche l’appellante) ha ritualmente e tempestivamente chiesto la riforma di tale sentenza, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua dei seguenti motivi: “VI Profili di contraddittorietà del Capo 6 della sentenza impugnata”; “VII. Erroneità del capo 6.1 della sentenza appellata: necessaria classificazione dei rifiuti con codice CER 19.12.12 provenienti dagli STIR campani come rifiuti “speciali””; “VIII. Erroneità del capo 6.2 della sentenza appellata: inesistenza, nella legislazione statale vigente, di una disposizione che vieti lo (o comporti come effetto il divieto dello) smaltimento dei rifiuti con codice CER 19.12.12 provenienti dagli STIR campani presso la discarica di Italcave S.p.A.”; “IX Erroneità del capo 6.3 della sentenza appellata: interpretazione del Protocollo d’intesa e, in subordine, illegittimità di quest’ultimo”.

Ha resistito al gravame la Regione Puglia, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza e chiedendone il rigetto. La Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Protezione Civile e la società De Sarlo, quest’ultima intervenuta ad opponendum nel giudizio di primo grado, hanno aderito al gravame. La Regione Campania ha spiegato appello incidentale, chiedendo anch’essa la riforma della sentenza di prime cure e l’accoglimento dell’appello principale. Sono intervenuti ad adiuvandum il Consorzio Interprovinciale Trasporti Ecoambientali (CITE), Ecoambiente Salerno S.p.A. e S.A.P.N.A. – Sistema Ambiente Provincia di Napoli.

5. La Sezione con ordinanza n. 3073 del 18 luglio 2011 ha accolto la domanda cautelare ed ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata; quindi con ordinanza istruttoria n. 6932 del 28 dicembre 2011 ha disposto l’acquisizione da parte del Ministero dell’Ambiente di “…una relazione tecnico – scientifica in base alla quale possa valutarsi l’attuale situazione dei rifiuti derivanti da trito vagliatura alla luce del sistema complessivo della normativa, specificando in particolare se essi siano da considerare rifiuti speciali ovvero rifiuti urbani”, e, a seguito del relativo deposito in data 24 ottobre 2012, ha ordinato, con ordinanza n. 142 del 14 gennaio 2013, ulteriori adempimenti istruttori.

6. Con la sentenza non definitiva n. 3215 dell’11 giugno 2013 la Sezione ha:

a) circoscritto il thema decidendum della controversia;

b) respinto le censure d’appello estranee al predetto thema decidendum e segnatamente quelle concernenti il punto 6.3 della sentenza impugnate relative al Protocollo d’Intesa del 3 dicembre 2010 (“atteso che tale censura rimane comunque subordinata (così come espressamente dichiarato dal ricorrente in primo grado e ribadito in appello) relativa al contenuto del Protocollo da un lato è indifferente in merito alla classificazione dei rifiuti come sopra precisato; dall’altro non può essere circoscritto, tale contenuto, ai soli rifiuti derivanti dalle istanze di solidarietà regionale che avevano ispirato l’intervento della Protezione civile, trattandosi di accordo che fonda un vero e proprio “commercio” di rifiuti intra – regionale”);

c) disposto una verificazione ai sensi dell’art. 66 c.p.a.;

d) revocato le precedenti ordinanze istruttorie n. 6932 del 28 dicembre 2011 e n. 142 del 14 gennaio 2013, ferma restando l’acquisizione degli atti e documenti già depositati. In particolare, al fine di circoscrivere precisamente l’ambito della controversia, la Sezione ha:

1) osservato che “…le censure avverso i capi 6, 6.1. e 6.2 della sentenza del TAR attengono complessivamente alla controversa tematica della natura dei rifiuti derivanti dall’attività di tritovagliatura con attribuzione del codice CER 19.12.12 provenienti dagli STIR campani, nel dubbio che essi appartengano al ciclo dei rifiuti urbani e non possano essere giuridicamente o tecnicamente qualificati come speciali, ovvero che, invece debbano essere classificati come rifiuti speciali”;

2) sottolineato che “il legislatore ha stabilito il principio dell’autosufficienza su base regionale dello smaltimento dei rifiuti urbani; pertanto, è vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in Regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti; fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l’opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano (d. lgs. n. 152 del 3.4.2006, art. 182, comma 3”;

3) aggiunto che “…lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi è attuato con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata di impianti in modo da realizzare l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali (d. lgs. n. 152/2006, art. 182 – bis, comma 1)”, rilevando conseguentemente, anche sulla scorta della più recente giurisprudenza (Cons. St., sez. VI, 19 febbraio 2013, n. 993), che si è affermato il principio dell’autosufficienza locale nello smaltimento dei rifiuti non pericolosi, che non può essere esteso a quelli speciali o pericolosi in genere;

4) ricordato, dopo aver poi delineato il substrato normativo, nazionale e comunitario, della controversia, che “…in attuazione della prescrizione per cui “i rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento” (art. 7 del d. lgs. 13 gennaio 2003, n. 36), i “rifiuti urbani indifferenziati” (CER 20.03.01) non possono essere direttamente (“tal quali”) smaltiti in discarica ma devono subire un preliminare processo di pretrattamento, secondo le diverse tecniche in uso”;

5) evidenziato che “nel caso di specie, i rifiuti oggetto di controversia sono rifiuti urbani indifferenziati sottoposti, negli stabilimenti di tritovagliatura (STIR) campani, alla tritovagliatura, operazione di pretrattamento di carattere meccanico composta di triturazione e vagliatura. La fase di triturazione serve a ridurre la dimensione dei rifiuti ed è applicata sia nella fase iniziale di selezione, sia nella fase successiva di post – trattamento meccanico. Invece la vagliatura serve per separare le diverse categorie di materiale (ingombranti e non, combustibili e non, etc.). Operazione necessaria, ai sensi del citato art. 7 del d. lgs. 13 gennaio 2004, n. 36 per il loro conferimento in discarica, di cui risulta ancora incerta, in questo processo, la natura dei relativi effetti; se, cioè tale operazioni muti o meno il volume e la composizione dei rifiuti stessi sotto il profilo chimico fisico, tale da determinare una natura sostanzialmente diversa dai rifiuti urbani prima di tale trattamento, giustificandosi così (o meno), il fatto di poter essere inclusi nella diversa categoria giuridica dei rifiuti speciali”;

6) evidenziato ancora che “…all’esito di tali trattamenti, i rifiuti CER 20.03.01 assumono il codice CER 19 (“Rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti”) ed in particolare il codice CER 19.12.12. Per i rifiuti provenienti da attività di selezione dei rifiuti urbani potrebbe legittimamente dubitarsi dell’esatta classificazione, nell’alternativa tra “rifiuto urbano” o “rifiuto speciale” (con ulteriore conseguente legittimo dubbio sull’applicabilità del principio di autosufficienza di cui si è detto). Infatti, in seguito all’abrogazione della lett. n) dell’art. 184, comma 3, d. lgs. n. 152 – 2006, ex art. 2, comma 21 – bis, del D. Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, i rifiuti derivanti da attività di selezione dei rifiuti solidi urbani sono stati cancellati dall’elenco dei rifiuti speciali, ma non solo stati ascritti espressamente e parallelamente, alla categoria dei rifiuti urbani”;

7) concluso che “…l’intervento normativo del citato art. 2, comma 21 – bis, del D. Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, è equivoco, nel senso che non chiarisce se sussisteva la volontà di escludere che i rifiuti derivati dalle attività di selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani, come le operazioni di tritovagliatura descritte, potessero essere considerati e classificati quali rifiuti speciali; il fatto che espressamente non rientrino nell’ambito della classificazione dei rifiuti urbani si può imputare ad una mera dimenticanza legislativa…ovvero può esprimere la volontà di far ricadere tali rifiuti nell’ambito dell’art. 184, comma 3, lett. g), ovvero nell’ambito dei rifiuti speciali”, essendo pertanto “…necessario approfondire, sotto il profilo tecnico, se la diversa codificazione dei rifiuti implichi un mutamento della rispettiva matura giuridica, con particolare rilievo alla distinzione…tra rifiuti urbani e rifiuti speciali, atteso che i rifiuti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti risultano classificati con i codici 19.12.11 e 19.12.12 e la categoria dei rifiuti urbani è identificata, invece, con il codice 20…”.

Al verificatore sono stati pertanto sottoposti i seguenti quesiti: a) accertare se le operazioni di tritovagliatura sopradescritte mutino o meno il volume e la composizione dei rifiuti stessi sotto il profilo chimico fisico, in modo tale da determinarne una natura sostanzialmente diversa dai rifiuti urbani prima di tale trattamento, giustificandosi così (o meno) sotto il profilo tecnico – scientifico, relativo alla fisica e alla chimica dei materiali, il fatto che tali rifiuti post trattamento siano o meno da includersi nella diversa categoria giuridica dei rifiuti speciali; b) accertare se il mantenimento del codice 19, nella specie previsto, costituisca indicazione della volontà di includere i medesimi nella categoria dei rifiuti speciali, evidenziando tutti gli atti e i documenti attraverso i quali risulta emergere tale volontà.

7. Depositata dal Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare la relazione di verificazione, nell’imminenza dell’udienza di trattazione tutte le parti hanno illustrato con apposite memorie le rispettive tesi difensive, replicando a quelle avverse; l’appellante Italcave S.p.A. ha anche depositato un “Riscontro alle valutazioni dell’organismo verificatore”, con cui ha contestato le conclusioni di quest’ultimo; anche la società Ecoambiente S.p.A. ha prodotto delle note tecniche. In data 13 marzo 2014 i difensori della Regione Campania hanno depositato un’istanza di rinvio della trattazione, giustificato dalla necessità di consentire all’amministrazione regionale di adeguare gli STIR sotto il profilo tecnico per superare ogni perplessità in ordine alla completa compatibilità dei rifiuti provenienti dal ciclo di lavorazione degli impianti di tritovagliatura con il codice CER 19.12.12.

8. Alla pubblica udienza dell’8 aprile 2014, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

9. Deve innanzitutto respingersi la richiesta di rinvio della trattazione della causa, avanzata dalla Regione Campania, non essendo a tal fine idonee le ragioni indicate. E’ sufficiente osservare al riguardo che l’eventuale adeguamento degli STIR sotto il profilo tecnico, per superare, come rappresentato nell’istanza, le perplessità circa la completa compatibilità dei rifiuti provenienti dal ciclo di tritovagliatura con il codice CER 19.12.12 (perplessità evidentemente derivanti dalle conclusioni cui è pervenuto l’organismo verificatore), non potrebbe estendere i suoi effetti retroattivamente e pertanto non spiegherebbe alcun effetto sanante sulle illegittimità eventualmente già verificatesi.

10. Passando all’esame del merito della controversia, così come circoscritta dalla ricordata sentenza non definitiva n. 3215 dell’11 giugno 2013, occorre tener conto dell’esito della verificazione disposta dalla stessa sentenza. Al riguardo si rileva quanto segue.

10.1. Il verificatore ha innanzitutto proceduto all’inquadramento normativo (paragrafo 2) delle questioni sottoposte al suo esame, premettendo che “la risposta ai quesiti rende necessario precisare quando e a quali condizioni un rifiuto sottoposto a trattamento può assumere all’esito di tale operazione un diverso CER nel rispetto della Direttiva 2008/98/CE e del Decreto Legislativo n. 152 del 2008, Parte, IV, che l’ha attuata nell’ordinamento nazionale; in particolare, nel caso specifico, a quali condizioni un rifiuto urbano dopo essere stato sottoposto a trattamento può correttamente essere qualificato rifiuto speciale e come tale essere assoggettato al relativo regime giuridico” e chiarendo la rilevanza giuridica della c.d. declassificazione di un rifiuto sotto diversi profili.

Ha quindi ricordato, secondo l’ordinamento nazionale, la distinzione (e la relativa disciplina) tra rifiuti urbani e speciali, rilevando la mancanza di un’analoga distinzione a livello comunitario, ove i rifiuti sono classificati solo in ragione della loro natura pericolosa o meno, al fine di garantire la gestione più idonea a tutela della salute e dell’ambiente, ed aggiungendo che “…ad eccezione del caso di rifiuti urbani oggetto di spedizioni transfrontaliere, non esistono disposizioni particolari o specifiche che stabiliscono quando un’operazione di trattamento di un rifiuto domestico indifferenziato produce un nuovo o diverso rifiuto”.

Evidenziate le definizioni normative di trattamento, recupero e smaltimento, è stata centrata l’attenzione (par. 2.6.) sulla problematica relativa al “…quando un’operazione di trattamento produce un nuovo rifiuto, al quale può e deve essere legittimamente assegnato un codice CER diverso da quello che individuava il rifiuto prima del trattamento”, sottolineandosi al riguardo che “Per quanto riguarda in modo specifico i rifiuti urbani, l’articolo 184 del decreto legislativo n. 152 del 2006, potrebbe essere interpretato nel senso che qualsiasi operazione di trattamento produce rifiuti speciali. L’art. 184, comma 3, lett. g) del D. Lgs. 152 del 2006 qualifica infatti <speciali>i rifiuti derivanti dall’attività di recupero e smaltimento dei rifiuti. In altre parole, considerato che i rifiuti sono classificati urbani in ragione della loro provenienza dalla raccolta effettuata dal servizio pubblico comunale, si potrebbe sostenere che ogni operazione di trattamento è idonea a determinare una soluzione di continuità nella provenienza di tale flusso di rifiuti e consente di qualificarsi speciali.

Del resto questa soluzione non sembrerebbe incontrare profili di contrasto con le norme comunitarie che, come si è detto, in linea di principio disciplinano la gestione dei rifiuti in ragione del diverso livello di pericolosità degli stessi, e dettano regole specifiche per i rifiuti domestici solo al fine di assimilarne la raccolta, il trasporto e lo stoccaggio ai rifiuti non pericolosi anche quando si tratta di rifiuti domestici pericolosi, nonché per stabilire quando un rifiuto domestico indifferenziato cessa di essere tale ai fini delle spedizioni transfrontaliere.

Tuttavia in sede di applicazione di una disposizione nazionale di recepimento di una direttiva dell’Unione Europea si deve privilegiare tra più interpretazioni quella conforme al diritto comunitario. A tal fine al rifiuto risultante da un’operazione di trattamento può essere legittimamente attribuito un codice CER nuovo rispetto a quello che il rifiuto aveva in origine solo se i due rifiuti sono diversi e cioè se l’operazione di recupero o di smaltimento ha prodotto un nuovo rifiuto” e precisandosi ancora che “La disciplina comunitaria e nazionale non stabilisce quali operazioni di trattamento producono un nuovo rifiuto, ma definisce il “nuovo produttore” di rifiuti (art. 183, comma 1, lettera f) del Decreto Legislativo n. 152 del 2006) come “chiunque effettui operazioni di pretrattamento, miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti”.

Pertanto un’operazione di trattamento produce un rifiuto nuovo solo se la natura o la composizione che il rifiuto ha prima del trattamento sono diverse da quelle del rifiuto trattato”.

10.2. Il verificatore ha quindi rilevato che nel caso di specie occorreva accertare se gli impianti di tritovagliatura fossero idonei a mutare la natura e la composizione del rifiuto sotto il profilo chimico fisico, dovendo a tal fine tenersi conto che:

a) anche la cernita, la selezione e la tritovagliatura sono operazioni di trattamento;

b) i trattamenti fisici e, in particolare la cernita, possono mutare la natura del rifiuto e la sua composizione;

c) il rifiuto ottenuto da un’operazione di trattamento, individuato con il codice CER 191212, può essere anche un rifiuto misto;

d) il principio in base al quale il rifiuto indifferenziato resta tale se il trattamento non ne muta sostanzialmente le proprietà…trova applicazione solo ai fini delle spedizioni transfrontaliere…;

e) l’idoneità del trattamento urbani a produrre rifiuti speciali non comporta che detto trattamento sia automaticamente efficace anche per adempiere all’obbligo di conferimento in discarica dei soli rifiuti trattati. Infatti, ai fini del conferimento in discarica il trattamento deve conseguire l’ulteriore obiettivo di modificare le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza…;

f) ai sensi dell’articolo 182 bis lettera a) del DLgs 152/06 l’autosufficienza a livello regionale è imposta anche ai rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani qualora siano destinati allo smaltimento”. Tale verifica è stata poi condotta quanto agli STIR di Giugliano in Campania, Caivano, Casalduni, Battipaglia e Tufino, sulla scorta delle indagini eseguite dall’ARPA Campania, sulla base di un protocollo tra ISPRA e la Regione Campania, con l’ulteriore precisazione che: a) “nell’ambito dell’attività di monitoraggio l’ARPAC ha proceduto alla valutazione dei seguenti aspetti: bilanci di massa, caratterizzazione chimico – fisica e merceologica dei rifiuti in ingresso; descrizione dei presidi ambientali; misurazione dei parametri di processo relativi al trattamento della frazione organica laddove effettuato; caratterizzazione chimico – fisica dei rifiuti generati dal trattamento”; b) “nel 2013 sono stati effettuati diversi sopralluoghi dell’ARPAC per ogni STIR, nel corso dei quali, oltre al prelievo dei campioni di rifiuto in ingresso ed in uscita dai singoli impianti, sono state acquisite informazioni e documentazione sui trattamenti effettuati, nonché i certificati analitici degli autocontrolli eseguiti dai gestori nel 2012 e in taluni casi nel 2013, con particolare riferimento a: flussi in ingresso ed in uscita dei rifiuti, distinti per codice CER, provenienza e destinazione; procedure di controllo dei rifiuti in ingresso con le schede di registrazione; analisi di laboratorio dei rifiuti in ingresso con le schede di registrazione; analisi di laboratorio dei rifiuti in ingresso ed in uscita con particolare riferimento alle diverse frazioni generate dal procedo di trasformazione (frazione umida e secca); c) procedure di controllo del processo di trattamento aerobico della frazione umida laddove effettuata”; d) “…i dati relativi agli autocontrolli sui flussi di rifiuti in entrata ed in uscita a ciascun impianto, nella maggior parte dei casi, non sono confrontabili con quelli rilevati dall’ARPAC per gli stessi parametri. Per questo motivo, si è scelto di prendere come riferimento soltanto i dati prodotti dall’Agenzia Regionale che hanno previsto l’adozione di specifici protocolli sin dalla fase di campionamento. In particolare sono stati analizzati i seguenti parametri: composizione merceologica dei RU in ingresso della FST in uscita dal trattamento; potere calorifico inferiore (PCI); indice di respirazione dinamico (IRD potenziale); DOC”.

10.3. Nel paragrafo 4 della relazione di verificazione, dopo aver premesso che “In tutti gli impianti STIR in esame i rifiuti urbani in ingresso all’impianto sono sottoposti a trattamento meccanico costituito da triturazione, vagliatura primaria e vagliatura secondaria con deferrizzazione magnetica dei sopravagli primario e secondario, che una volta riuniti vanno a costituire la frazione secca tritovagliata (FST), identificata con il codice CER A91212. Il sottovaglio primario e secondario, sottoposti a deferrizzazione magnetica, vanno a costituire, invece, la frazione umida tritovagliata (FUT) identificata anch’essa con il codice CER 191212”, sono stati discussi i risultati della campagna di indagine svolta dall’A.R.P.A.C., sotto il profilo dei rifiuti in entrata e in uscita dagli STIR (tonnellate) nell’anno 2012 e nell’anno 2013; dell’analisi merceologica sui RU in ingresso e sulla FST; del potere calorifico inferiore (PCI) sui flussi di rifiuti in ingresso e in uscita dal trattamento (KJ/Kg); dell’Indice di Respirazione Dinamico (potenziale) sui flussi di rifiuti in uscita dal trattamento [mg 02/KG SV x h)]; del carbonio organico disciolto (DOC) negli elusati prodotti da test di cessione (Norma UNI 10802) effettuati sui diversi flussi di rifiuti (mg/L).

10.4. Sulla scorta delle analisi dei dati sulla composizione merceologica e sulle caratteristiche chimico – fisiche dei diversi flussi di rifiuti in entrata e in uscita degli STIR il verificatore ha svolto alcune “Considerazioni finali”, articolate nei paragrafi 5.1. (Idoneità degli STIR aprudrre nuovi rifiuti speciali” e 5.2. (Valutazione dell’efficacia degli STIR ai fini dello smaltimento in discarica”), osservando in particolare: a) quanto al primo profilo (5.1.), che “…Il trattamento meccanico di tritovagliatura del rifiuto indifferenziato porta alla formazione di tre flussi: uno costituito dall’insieme del sopravaglio primario e secondario che costituisce la FST, nel quale tendono a concentrarsi prevalentemente le frazioni di natura plastica e cellulosica, un altro formato dal sottovaglio secondario costituito da materiali di minor pezzatura, tra cui la maggior parte della componente organica originariamente presente del rifiuto urbano (frazione umida tritovagliata), un terzo flusso costituito dai metalli ferrosi che si separano a seguito del processo di deferrizzazione magnetica, attuato sui sopravagli primario e secondario e sul sottovaglio secondario, anche se l’efficienza dei trattamenti di seprazione dei metalli risulta, sulla base dei dati forniti, piuttosto limitata e una quota rilevante degli stessi permane nel sopravaglio senza essere stata avviata al recupero. Le frazioni secca e umida tritovagliate e separate, in uscita dall’impianto presentano caratteristiche diverse dal rifiuto urbano indifferenziato in ingresso, sebbene ciascuna delle due frazioni continui a presentare una significativa disomogeneità e natura mista…

Sulla base della definizione di nuovo produttore, il trattamento negli STIR muta la composizione merceologica e le caratteristiche chimico – fisiche del rifiuto e quindi produce un nuovo rifiuto al quale può essere correttamente attribuito il codice 19 di rifiuto speciale”; b) quanto al secondo profilo (sub 5.2) che “…le caratteristiche dei rifiuti in uscita dal trattamento, pur evidenziando alcune proprietà analitiche diverse rispetto a quelle del rifiuto urbano in ingresso non consentono di sostenere che il trattamento ha modificato le stesse conformemente agli scopi previsti dal citato art. 2 [comma 1, lett. g), del D. Lgs. n. 36/2003]. Infatti, il confronto fra le quantità di rifiuti in ingresso e quelle in uscita, mostra scarse differenze che indicano esigue perdite di processo legate alla mancata stabilizzazione biologiche che non comporta una riduzione dei volumi complessivamente avviati alle successive operazioni di smaltimento. Inoltre la mancata stabilizzazione della frazione umida tritovagliata rende inefficace il trattamento e non consente di soddisfare le esigenze di tutela ambientale richieste dal dettato comunitario e nazionale, generando un flusso di rifiuti con caratteristiche chimo – fisiche e biologiche che, per carico organico ed emissioni odorigene, risulta egualmente se non più problematico dal punto di vista gestionale e di trasporto, rispetto al rifiuto urbano indifferenziato in ingresso al trattamento, anche in considerazione del fatto che detti rifiuti vengono trasportati al di fuori della Regione di produzione”.

10.6. Rispondendo infine ai quesiti posti il verificatore: a) quanto al primo quesito ha affermato che “Gli stabilimenti per la tritovagliatura e l’imballaggio dei rifiuti (STIR) di che trattasi effettuano sui rifiuti urbani indifferenziati un trattamento meccanico di triturazione, vagliatura primaria e vagliatura secondaria con deferrizzazione magnetica dei sopravagli primario e secondario, in taluni casi accompagnata dalla stabilizzazione aerobica della frazione umida tritovagliata e in un caso dalla separazione balistica sul sovvallo secondario. In considerazione del trattamento effettuato negli STIR, gli stessi si configurano come nuovi produttori di rifiuti che, per natura e composizione, risultano diversi dal rifiuto urbano in entrata”, con l’ulteriore conseguenza che “il codice 19 può perciò essere legittimamente assegnato ai rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento dei rifiuti della Campania, ma la frazione umida tritovagliata con codice 191212 deve essere sottoposta ad ulteriore trattamento per essere conferita in discarica ai sensi della normativa comunitaria e nazionale vigente (Direttiva 1999/31/CE e DLgs 36/03). Fermo restando che l’assegnazione del codice 191212, trattandosi di una voce specchio, può essere effettuata solo dopo idonea caratterizzazione del rifiuto che ne escluda la natura pericolosa”;

b) quanto al secondo quesito ha affermato che “I rifiuti speciali provenienti dal trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati non sono però esclusi del tutto dal regime dei rifiuti urbani. Infatti il legislatore impone l’autosufficienza regionale per lo smaltimento non solo dei rifiuti urbani non pericolosi ma anche dei rifiuti derivanti dal loro trattamento (art. 182 bis comma 1 lettera a) del DLgs 152/06). I rifiuti provenienti dagli STIR ai quali è attribuito il codice 19 continuano, pertanto, a essere assoggettati al regime dei rifiuti urbani, ma solo ai fini dello smaltimento, Tale vincolo non opera qualora siano conferiti ad impianti di recupero o avviati a operazioni finalizzate al recupero”.

10.7, Le conclusioni contenute nella Relazione di verificazione che, come rilevato, si fondano su complesse, accurate e approfondite indagini di carattere tecnico – scientifico, esaurientemente motivate e che non risultano inficiate da macroscopici profili di illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà e/o travisamento di fatti, non risultano smentite o scalfite né dalla Relazione “Riscontro alle valutazioni dell’Organismo Verificatore del 23 gennaio 2014”, prodotta dalla società appellante, né dalle note tecniche depositate dalla Società Ecoambiente, che per contro si limitano a un mero dissenso in virtù peraltro di dati ed osservazioni non obiettivamente riscontrabili, né derivanti da fonti certe ed autorevoli (a differenza dei dati su cui ha operato il verificatore).

Ugualmente è a dirsi per le deduzioni svolte anche nelle memorie conclusive dalla società appellante e della società Ecoambiente Salerno S.p.A., S.A.P.N.A – Sistema Ambiente Provincia di Napoli S.p.A. e De Sarlo A. e C. s.a.s. (queste ultime incentrate in particolare sull’asserita efficienza e adeguatezza dello STIR di Battipaglia), nelle quali l’attenzione è stata appuntata su alcuni profili (in articolare le affermazioni, secondo cui “la frazione umida tritovagliata con codice 191212 deve essere sottoposta a ulteriore trattamento per essere conferita in discarica ai sensi della normativa comunitaria e nazionale vigente” e “i rifiuti speciali provenienti dal trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati non sono esclusi del tutto dal regime dei rifiuti urbani. Infatti l’autosufficienza regionale per lo smaltimento non solo dei rifiuti urbani non pericolosi ma anche dei rifiuti derivanti dal loro trattamento (art. 182 bis comma 1 lettera a) del D. lgs. 152/06.

I rifiuti provenienti dagli STIR ai quali è attribuito il codice 19 continuano, pertanto, ad essere assoggettati al regime dei rifiuti urbani, ma solo ai fini dello smaltimento”): ad avviso della Sezione, tali osservazioni, lungi dal debordare dall’ambito specifico dei quesiti sottoposti al verificatori, evidenziano gli esiti del complesso trattamento cui sono sopposti i rifiuti negli STIR esaminati e danno conto della concreta inidoneità di quel trattamento, così come operato, all’effettiva trasformazione dei rifiuti urbani in rifiuti speciali e come tali sottratti al principio dell’autosufficienza regionale per il relativo smaltimento. Peraltro, anche a voler ammettere che quelle affermazioni fuoriscono dall’ambito della verificazione, le stesse devono essere considerate comunque marginali ed ininfluenti, essendo decisive e autonomamente sufficienti ai fini della decisione della controversia in esame le conclusive affermazioni contenute nel paragrafo 6 della relazione di verificazione, relativamente alle specifiche (e riassuntive) risposte ai quesiti formulati.

10.8. Non si ravvisano pertanto elementi per disporre un supplemento o un’integrazione della verificazione espletata, in tal senso non essendo stata evidenziata l’esistenza di eventuali lacune nell’acquisizione di dati o nella loro valutazione e non essendo peraltro necessario ai fini della correttezza delle operazioni di verificazioni e della conseguente relazione che essa contenga una puntuale e specifica confutazione di tutte le osservazioni e controdeduzioni prodotte dai consulenti di parte.

11. Sulla base delle conclusioni della relazione di verificazione gli articolati motivi di appello (sub VI “Profili di contraddittorietà del Capo 6 della sentenza impugnata”, concernente la esatta natura e classificazione dei rifiuti oggetto di controversia; sub VII “Erroneità del capo 6.2. della sentenza impugnata: inesistenza nella legislazione statale vigente di una disposizione che vieti [o comporti come effetto il divieto della] smaltimento dei rifiuti con codice CER 19.12.12 provenienti dagli STIR della Campania presso la discarica Italcave”), motivi che per la loro intima connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. L’abrogazione, ad opera dell’art. 2, del D. Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, della lett. n), del comma 3, dell’art. 184 del D. Lgs. n. 152 del 2006 (che ricomprendeva espressamente nei rifiuti speciali quelli “…derivanti da selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani”), non ha comportato l’automatica ricompensione dei rifiuti derivanti dalla selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani nella categoria di cui alla lett. g), dello stesso articolo 184, che qualifica come speciali quelli “…derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi”. Dovendo infatti tale ultima norma essere interpretata conformemente al diritto comunitario, al rifiuto derivante da un’operazione di trattamento può essere legittimamente attribuito un codice CER nuovo rispetto a quello che il rifiuto aveva in origine solo se i due rifiuti sono diversi e cioè se l’operazione di recupero o di smaltimento ha prodotto un nuovo rifiuto.

Tenuto conto che nella disciplina comunitaria ed in quella nazionale non è espressamente stabilito quali operazioni di trattamento producono un nuovo rifiuto, mentre è definito nuovo produttore di rifiuti (art. 183, comma 1, lett. f), del D. Lgs. n. 152 del 2006) “chiunque effettui operazioni di pretrattamento, miscelazione o altre operazioni che hanno modificato la natura o la composizione di detti rifiuti”, deve concludersi che, come sottolineato anche dal verificatori, un’operazione di trattamento produce un rifiuto nuovo solo se la natura o la composizione che il rifiuto ha prima del trattamento sono diverse da quelle del rifiuto trattato.

Nel caso di specie, come già rilevato in precedenza, le approfondite indagini svolte dal verificatore hanno accertato che “…le caratteristiche dei rifiuti in uscita dal trattamento, pur evidenziando alcune proprietà analitiche diverse rispetto a quelle del rifiuto urbano in ingresso, non consentono di sostenere che il trattamento ha modificato le stesse conformemente agli scopi previsti dal citato art. 2 [comma 1, lett. g), del D. Lgs. n. 36/2003]”, giacché “…il confronto fra le quantità di rifiuti in ingresso e quelle in uscite mostra scarse differenze che indicano esigue perdite di processo legate alla mancata stabilizzazione che non comporta una riduzione dei volumi complessivamente avviati alle successive operazioni di smaltimento” ed inoltre “…la mancata stabilizzazione della frazione umida trito vagliata rende inefficace il trattamento e non consente di soddisfare le esigenze di tutela ambientale richieste dal dettato comunitario e nazionale, generando un flusso di rifiuti con caratteristiche chimico – fisiche e biologiche che, per carico organico ed emissioni odorigene, risulta egualmente se non più problematico dal punto di vista gestionale e di trasporto, rispetto al rifiuto urbano indifferenziato al trattamento…”.

In definitiva, benché il prodotto della derivante dall’attività di triturazione, vagliatura del primaria e vagliatura secondaria possa essere considerato come un nuovo prodotto in quanto realizzato negli stabilimenti per la tritovagliatura e l’imballaggio STIR (quali nuovi produttori di rifiuti ex art. 183 del D. Lgs. n. 152 del 1006), lo stesso non ha in concreto perduto le caratteristiche di rifiuto urbano e come tale è sottoposto al principio dell’autosufficienza regionale per il relativo smaltimento. Pertanto, come non irragionevolmente evidenziato dal verificatore “i rifiuti provenienti dagli STIR ai quali è attribuito il codice 19 continuano…ad essere assoggettati al regime dei rifiuti urbani, ma ai soli fini dello smaltimento. Tale vincolo non opera qualora siano conferiti ad impianti di recupero o avviati a operazioni finalizzate al recupero”.

12. In conclusione, tenuto conto che con la sentenza n. 3215 dell’11 giugno 2013 è stato già respinto il motivo di gravame sub IX, deve essere definitivamente respinto sia l’appello principale della società Italcave S.p.A., sia l’appello incidentale della Regione Campania, le cui doglianze sostanzialmente coincidono con quello principale.

13. La complessità e la peculiarità delle questioni trattate giustifica la compensazione tra le parti delle spese di giudizio. Le spese della verificazioni sono poste a carico di Italcave, rinviando peraltro la loro effettiva determinazione allorquando sarà stata presentata la relativa richiesta.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello principale proposto da Italcave S.p.A. e su quella incidentale proposto dalla Regione Campania nei confronti della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I ter, n. 4915 del 31 maggio 2011, respinge i motivi dell’appello principale sub VI, VII e VIII e per l’effetto rigetta completamente l’appello principale e quello incidentale della Regione Campania.

Pone a carico di Italcave S.p.a. le spese della verificazione, da liquidarsi successivamente allorquando sarà pervenuta la richiesta in tal senso del verificatore.

Dichiara compensate tra tutte le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 aprile 2014 con l’intervento dei magistrati:

  • Alessandro Pajno, Presidente
  • Francesco Caringella, Consigliere
  • Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore
  • Antonio Amicuzzi, Consigliere
  • Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/10/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)