Il nuovo “decreto trivelle” e l’esplorazione idrocarburi entro le 12 miglia

Pubblicato il 3-05-2017
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A cura di Laura Greco e Xavier Santiapichi

L’annosa questione che concerne l’estrazione del gas e del petrolio nel mare territoriale è tornata alla ribalta recentemente, con l’emanazione da parte del Ministero dello Sviluppo Economico del Decreto Ministeriale del 7 Dicembre 2016, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 78 del 3 aprile 2017, recante il “Disciplinare tipo per il rilascio e l’esercizio dei titoli minerari per la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale”.

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Il cd. “Decreto Trivelle” sopraggiunge, curiosamente, dopo quasi un anno dal referendum abrogativo del 17 Aprile 2016, proposto dalle Regioni, che aveva già divisa l’opinione degli Italiani, chiamati ad esprimersi sul seguente quesito referendario: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?”.

Per completezza, si rammenta che il richiamato art. 6, comma 17, per ciò che rileva in questa sede, così dispone: “Ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell’Unione europea e internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Sono sempre assicurate le attività di manutenzione finalizzate all’adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell’ambiente, nonché le operazioni finali di ripristino ambientale.” Di conseguenza, nell’ipotesi in cui il referendum avesse raggiunto il quorum degli Elettori e questi ultimi avessero votato per il “si”, una volta scadute le concessioni o le eventuali proroghe già rilasciate per l’estrazione degli idrocarburi entro le 12 miglia, cioè nell’area interna al cosiddetto mare territoriale, le piattaforme petrolifere sarebbero state smantellate; a contrario, nel caso in cui la maggioranza degli aventi diritto si fosse espressa per il “no”, o non fosse stato raggiunto il quorum, situazione che poi de facto si è verificata, una volta che le concessioni fossero scadute, queste si sarebbero potute rinnovare per tutta la durata di vita utile del giacimento, fermo restando il divieto di rilascio di nuovi titoli concessori per le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9.

Nonostante il forte clamore mediatico, il referendum del 17 Aprile 2016 non ha raggiunto il quorum, dunque il testo dell’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, non ha subito alcuna modifica.

Nel delineato contesto, è dunque intervenuto il “Decreto Trivelle”, la cui emanazione ha riacceso di nuovo gli animi. Per l’esattezza, è posto sotto accusa l’art. 15 che così dispone:

“Attività consentite all’interno del perimetro delle aree marine e costiere protette e nelle dodici miglia dal perimetro esterno di tali aree e dalle linee di costa nazionale.

  1. Fermo restando il divieto di conferimento di nuovi titoli minerari nelle aree marine e costiere protette e nelle 12 miglia dal perimetro esterno di tali aree e dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale, ai sensi dell’art. 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152/2006, come modificato dall’art. 1, comma 239, della legge n. 208/2015, sono consentite, nelle predette aree, le attività da svolgere nell’ambito dei titoli abilitativi già rilasciati, anche   apportando   modifiche   al   programma   lavori originariamente approvato, funzionali a garantire l’esercizio degli stessi, nonché consentire il recupero delle riserve accertate, per la durata di vita utile del giacimento e fino al completamento della coltivazione, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale.
  2. Sono sempre consentite le attività di manutenzione finalizzate all’adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell’ambiente e le operazioni finali di ripristino ambientale. 3. Possono essere inoltre autorizzate: a) le attività funzionali alla coltivazione, fino ad esaurimento del giacimento, e all’esecuzione dei programmi di lavoro approvati in sede di conferimento o di proroga del titolo minerario, compresa la costruzione di infrastrutture e di opere di sviluppo e coltivazione necessarie all’esercizio; b) gli interventi sugli impianti esistenti, destinati   al miglioramento degli standard di sicurezza   e   di   salvaguardia ambientali.”

La diatriba in merito all’interpretazione della norma da ultimo indicata vede contrapporsi due opposte fazioni: vi è chi sostiene che, in tal modo, venga contraddetta la ratio del divieto di nuove trivellazioni, previsto ex lege, in quanto quest’ultime sarebbero consentite laddove fossero necessarie modifiche da apportare al programma originalmente approvato, al fine di poter meglio sfruttare le concessioni rilasciate; diversamente, vi è chi dichiara che la disposizione, così articolata, non comporta alcuna variazione della disciplina in esame, ma esplicita quanto già era possibile fare nel periodo ante decreto, cioè consentire interventi di manutenzione e di aggiornamento delle infrastrutture, e permettere, al termine della coltivazione, la chiusura mineraria dei pozzi e la rimozione delle piattaforme.

Atteso quanto sopra, dunque la questione da dirimere verte esclusivamente sulla corretta interpretazione del Decreto Trivelle e, a riguardo, i dubbi e le reazioni politiche sono state talmente forti, che hanno imposto un intervento chiarificatore da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. Il Ministero, a mezzo di un comunicato ufficiale, ha precisato che: “Il decreto del Ministero dello sviluppo economico, recentemente pubblicato in Gazzetta Ufficiale, che aggiorna le modalità operative per la ricerca e la produzione di idrocarburi, non modifica in alcun modo le limitazioni per le attività consentite dal Codice Ambiente nelle aree marine comprese nelle 12 miglia dalla costa e dalle aree protette”; inoltre, l’Amministrazione ha aggiunto che: vengono regolamentate solo attività già consentite dalla legge; sono escluse nuove attività come quella di sviluppo e di coltivazione di nuovi giacimenti; le possibile modifiche, da apportare ai piani originariamente approvati, consistono esclusivamente in interventi di manutenzione e di aggiornamento delle infrastrutture, e, al termine della coltivazione, nella chiusura mineraria dei pozzi e nella rimozione delle piattaforme. Il Ministero, al fine di eliminare ogni dubbio alla radice, sottolinea poi che tutte le attività elencate saranno comunque sottoposte ad un iter approvativo ed autorizzativo e, da ultimo, al vaglio della Valutazione di Impatto Ambientale. L’Amministrazione conclude il proprio comunicato ribadendo che “Non si tratta quindi di alcuna deregolamentazione, ma al contrario della fissazione di precise procedure di approvazione e autorizzazione dei programmi a garanzia della sicurezza e dell’ambiente, proprio nel rispetto del Codice Ambiente.”

Alla luce di quanto esposto, ad avviso degli scriventi, da un mero confronto normativo e da un’interpretazione prettamente letterale dell’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e dell’art. 15 del “Decreto Trivelle”, non emergono differenze in termini di contenuto, ma soltanto un’esplicitazione della normativa più antica nella disposizione da ultimo indicata. Il “Decreto Trivelle” infatti, si limita a spiegare in modo analitico la materia, come già regolamentata dall’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non apportando de facto alcuna modifica.