a cura dell’Avv. Gaetano Pecoraro.
L’istituto del sub-appalto, all’indomani dell’entrata in vigore del codice dei contratti pubblici (art. 105 comma 6 d. lgs. 50/2016), è stato oggetto di critiche e successivi rimaneggiamenti da parte del Legislatore, che non pochi problemi ha creato agli operatori del settore.
Se la novità dell’indicazione, già alla data di presentazione della domanda di partecipazione alla procedura ad evidenza pubblica, della terna di sub-appaltatori aveva sollevato alcune perplessità di ordine pratico e di economia generale (taluno ha temuto che l’indicazione non già di uno, ma di ben tre sub-appaltatori, avrebbe determinato una restrizione nel mercato dei sub-appalti), è il successivo tentennamento del Legislatore che ha complicato il quadro giuridico entro cui operare.
Tutto inizia nel 2019, quando l’art. 1, comma 1, lett. v), n. 5), D.L. 18 aprile 2019, n. 32 ha abrogato il comma 6 dell’art. 105 d. lgs. 50/2016, così eliminando l’obbligo dell’indicazione preventiva di tre sub-appaltatori.
Tale decisione, però, non fu confermata dalla legge di conversione 55/2019, che infatti reintrodusse il comma 6. Di fatto, quindi, quella abrogazione è durata 2 mesi (dal 19 aprile 2019 al 17 giugno), con la conseguenza che solo le procedure ad evidenza pubblica indette in quel lasso temporale furono esentate dall’obbligo comunicativo.
Sennonché, a leggere per intero la legge di conversione, ci si avvede che il punto 18 del suo allegato, stabilì che “Fino alla medesima data di cui al periodo precedente [n.d.r., 31 dicembre 2020], sono altresì sospese l’applicazione del comma 6 dell’articolo 105… riferite al subappaltatore”.
L’obbligo, cioè, pur reintrodotto, diveniva lettera morta.
E tale è rimasta, perché il termine del 31 dicembre 2020 è stato più volte prorogato: dapprima fino al 31 dicembre 2021 (ad opera dell’art. 13, comma 2, lett. c, del d.l. 31 dicembre 2020, n. 183), ed ora fino al 31 dicembre 2023 (per effetto dell’art. 52 comma 1 lett. a) n. 9 del d.l. 77/2021, convertito con l. 108/2021).
E’ in questo pasticciato quadro normativo che si inserisce la decisione del Consiglio di Stato 15 febbraio 2021, n. 1308 con cui i Giudici di Palazzo hanno dovuto prendere posizione in ordine ad una disciplina di gara che introduceva l’obbligo comunicativo, con riferimento ad una procedura ad evidenza che richiedeva l’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali (ANGA) per l’esecuzione della commessa.
Della questione dell’iscrizione all’ANGA ai fini della partecipazione di imprese a procedure ad evidenza pubblica ci siamo già occupati in post degli anni precedenti, dando atto della vivace dialettica insorta sul punto tra Consiglio di Stato e ANAC (maggio 2017, luglio 2017), della successiva pacificazione (agosto 2017), e del ripensamento di un Giudice di merito (ottobre 2018).
Con la sentenza 1308/2021 è stato ribadito l’orientamento, già espresso in passato, circa la necessità che il requisito di iscrizione all’ANGA sia posseduto dalle imprese già al momento della presentazione della domanda di partecipazione (e non anche successivamente all’aggiudicazione, come pure si era sostenuto argomentando in ordine alla natura di requisito di esecuzione, e non di partecipazione).
Ma quid iuris se l’iscrizione all’ANGA è richiesta per categorie di lavori scorporabili, e quindi sub-appaltabili?
Non trovando applicazione l’art. 105 comma 6 d. lgs. 50/2016 (sospeso fino al 31 dicembre 2023 come visto sopra), si può considerare legittima la previsione di una lex specialis di gara che imponga tale obbligo? Ed in caso di risposta affermativa, il requisito dell’iscrizione deve essere posseduto dal sub-appaltatore sin da subito, o può trovare applicazione la norma del codice dell’ambiente che lo definisce come requisito di esecuzione, e che può essere acquisito dopo l’aggiudicazione ma prima della stipula del contratto?
Circa il primo quesito (è possibile prevedere nella lex specialis un obbligo dichiarativo sul sub-appalto, pur non essendo applicabile l’art. 105 comma 6 d. lgs. 50/2016?), i Giudici di Palazzo Spada rispondono affermativamente, argomentando ex art. 71 della direttiva 2014/24/UE a mente del quale
“Nei documenti di gara l’amministrazione aggiudicatrice può chiedere o può essere obbligata da uno Stato membro a chiedere all’offerente di indicare, nella sua offerta, le eventuali parti dell’appalto che intende subappaltare a terzi, nonché i subappaltatori proposti”:
avendo la direttiva facoltizzato la scelta sulla richiesta, ove la Stazione appaltante si determini in tal senso imponendo l’indicazione preventiva della terna, non si sconfina nella illegittimità, seppure la normativa nazionale attualmente in vigore non la imponga, e ciò in ragione della primazia del diritto euro-unitario su quello nazionale.
Quanto al secondo quesito (il sub-appaltatore deve possedere ab origine il requisito dell’iscrizione all’ANGA?), la conclusione cui pervengono i Giudici di Palazzo Spada è la logica conseguenza del riconoscimento dell’iscrizione all’ANGA quale requisito di partecipazione.
Per il Consiglio di Stato, in caso di sub-appalto “necessario” o qualificante, essendo il requisito dell’iscrizione all’ANGA un requisito di partecipazione, esso deve essere posseduto dal sub-appaltatore già all’atto della presentazione della domanda, e deve essere dichiarato.
L’insegnamento contenuto nella richiamata sentenza è illuminante: “il tratto differenziale del subappalto c.d. necessario rispetto all’ordinaria configurazione del subappalto, che spiega anche le ragioni di cautela ed i limiti entro i quali se ne riconosce l’ammissibilità, sta giustappunto nel consentire che un requisito di qualificazione necessaria, che per definizione è requisito di partecipazione, venga “attratto” nell’ambito applicativo di un istituto tipicamente operante nella fase esecutiva dell’affidamento”.
Un tempo si diceva che quando il Legislatore vuole qualcosa, lo dice; quando non la vuole, tace (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit). Ma quando il Legislatore tentenna, è alle Aule di Giustizia che occorre volgere lo sguardo.