La Corte Costituzionale conferma la legittimità del D.lgs. 104/2017 (Terzo correttivo VIA al Codice dell’Ambiente)

Pubblicato il 14-11-2018
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A cura dell’avv. Xavier Santiapichi

La pronuncia in commento – attesa da tutti gli operatori del settore – fa finalmente chiarezza circa la piena operatività delle modifiche al Codice dell’Ambiente in ambito VIA volute dal legislatore del 2017, in attuazione della Direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.

Va detto che diverse regioni italiane attendevano la pronuncia del Giudice delle leggi per attuarne il relativo dispositivo.

L’approccio della Corte è esattamente in linea con le decisioni precedenti: la materia su cui insiste il decreto legislativo impugnato è riconducibile, in via prevalente, alla competenza esclusiva dello Stato in tema di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.). La Corte ha in più occasioni affermato che «[l]’obbligo di sottoporre il progetto alla procedura di VIA o, nei casi previsti, alla preliminare verifica di assoggettabilità a VIA, rientra nella materia della “tutela ambientale”» altresì precisando che esso rappresenta «nella disciplina statale, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di protezione uniforme che si impone sull’intero territorio nazionale, pur nella concorrenza di altre materie di competenza regionale» (sentenze n. 232 del 2017 e n. 215 del 2015; nello stesso senso, le sentenze n. 234 e n. 225 del 2009). La VIA, dunque, rappresenta lo strumento necessario a garantire una tutela unitaria e non frazionata del bene ambiente. “Per costante giurisprudenza di questa Corte, la tutela dell’ambiente non è configurabile «come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze». L’ambiente è un valore «costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia “trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando [però] allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 407 del 2002; nello stesso senso, più recentemente, le sentenze n. 66 del 2018, n. 218 e n. 212 del 2017, n. 210 del 2016). In tal caso, la disciplina statale nella materia della tutela dell’ambiente «“viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza”, salva la facoltà di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale più elevata nell’esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che concorrano con quella dell’ambiente» (sentenza n. 199 del 2014; nello stesso senso, le sentenze n. 246 e n. 145 del 2013, n. 67 del 2010, n. 104 del 2008 e n. 378 del 2007).”

La trasversalità della tutela ambientale implica una connaturale intersezione delle competenze regionali, attraversate, per così dire, dalle finalità di salvaguardia insite nella materia-obiettivo.

La Corte conferma poi la (complessa e discussa) struttura del PAUR (Provvedimento autorizzatorio unico regionale); la disciplina del provvedimento unico regionale, in coerenza con la delega conferita dal Parlamento, è finalizzata a semplificare, razionalizzare e velocizzare la VIA regionale, nella prospettiva di migliorare l’efficacia dell’azione delle amministrazioni a diverso titolo coinvolte nella realizzazione del progetto.

Aggiunge la Corte che “È appena il caso di notare, peraltro, come la norma censurata non comporti alcun assorbimento dei singoli titoli autorizzatori necessari alla realizzazione dell’opera. Il provvedimento unico non sostituisce i diversi provvedimenti emessi all’esito dei procedimenti amministrativi, di competenza eventualmente anche regionale, che possono interessare la realizzazione del progetto, ma li ricomprende nella determinazione che conclude la conferenza di servizi (comma 7, del nuovo art. 27-bis cod. ambiente, introdotto dall’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017). Esso ha, dunque, una natura per così dire unitaria, includendo in un unico atto i singoli titoli abilitativi emessi a seguito della conferenza di servizi che, come noto, riunisce in unica sede decisoria le diverse amministrazioni competenti. Secondo una ipotesi già prevista dal decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenze di servizi, in attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124) e ora disciplinata dall’art. 24 del decreto legislativo censurato, il provvedimento unico regionale non è quindi un atto sostitutivo, bensì comprensivo delle altre autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto.”

SENTENZA N. 198

MINISTERO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ,

ha pronunciato la presente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’intero testo e degli artt. 3, comma 1, lettere g) e h); 4; 5; 8; 9; 12; 13, comma 1; 14; 16, commi 1 e 2; 17; 18, comma 3; 21; 22, commi 1, 2, 3 e 4; 23, commi 1, 2, 3 e 4; 24; 26, comma 1, lettera a), e 27 del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), promossi dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, dalla Regione Lombardia, dalla Regione Puglia, dalla Regione Abruzzo, dalla Regione Veneto, dalla Provincia autonoma di Trento, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, dalla Regione autonoma Sardegna, dalla Regione Calabria e dalla Provincia autonoma di Bolzano, con ricorsi, il primo, spedito per la notifica il 1° settembre, gli altri notificati il 30 agosto, il 1°-6 settembre, il 4-6 settembre, il 4 settembre, il 4-7 settembre, il 1°-6 settembre, il 4-7 settembre e il 4-11 settembre 2017, depositati in cancelleria il 5, 6, 7, 8, 13 e 14 settembre 2017, iscritti, rispettivamente, ai numeri da 63 a 71 e 73 del registro ricorsi 2017 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri da 41 a 45, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

uditi nell’udienza pubblica del 19 giugno 2018 i Giudici relatori Franco Modugno e Augusto Antonio Barbera;

uditi gli avvocati Francesco Saverio Marini per la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Piera Pujatti per la Regione Lombardia, Stelio Mangiameli per la Regione Puglia, Fabio Franco per la Regione Abruzzo, Andrea Manzi per la Regione Veneto, Giandomenico Falcon e Andrea Manzi per la Provincia autonoma di Trento, Massimo Luciani per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e per la Regione autonoma Sardegna, Aristide Police e Nicola Greco per la Regione Calabria, Renate von Guggenberg per la Provincia autonoma di Bolzano e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

RITENUTO IN FATTO

1.– Con ricorso notificato il 1° settembre 2017 e depositato il 5 settembre 2017 (reg. ric. n. 63 del 2017), la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 5, 76, 97, 117, primo, terzo e quinto comma, 118 e 120 della Costituzione, nonché agli artt. 2, primo comma, lettere a), d), f), m), 3, 4 e 10 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), di alcune disposizioni del decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2017.

1.1.– La ricorrente premette che il d.lgs. n. 104 del 2017 è stato adottato sulla base della delega legislativa conferita dagli artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2014), al fine di dare attuazione alla direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.

Ad avviso della ricorrente, l’atto normativo realizzerebbe un pervasivo riassetto del riparto delle competenze fra Stato e Regioni in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA), lesivo delle sue competenze costituzionali.

La Regione censura, anzitutto, l’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, denunciando la violazione degli artt. 2, primo comma, lettere a), d), f) e m), 3 e 4 del proprio statuto, nonché degli artt. 3, 5, 76, 117, primo e terzo comma, e 120 Cost., anche in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

La norma impugnata aggiunge al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (da ora in poi, anche: cod. ambiente), l’art. 7-bis, recante «Competenze in materia di VIA e di verifica di assoggettabilità a VIA».

La nuova disposizione, ai commi 2 e 3, ridisegna la distribuzione delle competenze fra Stato e Regioni in relazione ai progetti da sottoporre a VIA e a verifica di assoggettabilità a VIA, assegnando allo Stato i progetti di cui agli Allegati II e II-bis e alle Regioni quelli di cui agli Allegati III e IV, Parte II, del d.lgs. n. 152 del 2006. Stabilisce, inoltre, al comma 4, che in sede statale l’autorità competente è il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, che esercita le proprie competenze in collaborazione con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per le attività istruttorie relative al procedimento di VIA, soggiungendo che il provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA è adottato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, mentre il provvedimento di VIA è adottato nelle forme e con le modalità di cui al nuovo art. 25, comma 2, e all’art. 27, comma 8, cod. ambiente, che non contemplano più – diversamente dal passato – il parere delle Regioni interessate.

La nuova disposizione prevede, ancora, al comma 7, che nell’ipotesi in cui un progetto sia sottoposto a verifica di assoggettabilità a VIA o a VIA di competenza regionale, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano debbano assicurare che le procedure siano svolte in conformità agli articoli da 19 a 26 e da 27-bis a 29 del d.lgs. n. 152 del 2006, stabilendo, altresì, che il procedimento di VIA si svolge con le modalità di cui al citato art. 27-bis: con la conseguenza che tale procedura risulterebbe disciplinata «integralmente dal centro».

Il comma 8 circoscrive, poi, la potestà normativa, legislativa e regolamentare, delle Regioni e delle Province autonome alla disciplina dell’organizzazione e delle modalità di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA, nonché all’eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici agli altri enti territoriali sub-regionali. La potestà normativa in parola viene vincolata al rispetto della legislazione europea e di quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, fatto salvo solo il potere di stabilire regole particolari e ulteriori per la semplificazione dei procedimenti, per le modalità della consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici potenzialmente interessati, per il coordinamento dei provvedimenti e delle autorizzazioni di competenza regionale e locale, nonché per la destinazione alle finalità di cui all’art. 29, comma 8, dei proventi derivanti dall’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie, con espressa esclusione della derogabilità dei termini procedimentali massimi di cui agli artt. 19 e 27-bis.

Il comma 9 sottopone, da ultimo, le Regioni e le Province autonome a penetranti controlli e obblighi informativi, stabilendo che, a decorrere dal 31 dicembre 2017 e con cadenza biennale, esse debbano informare il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare circa i provvedimenti adottati e i procedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA e di VIA, fornendo una serie di dati.

Tale «pervasiva interferenza» con le competenze regionali risulterebbe costituzionalmente illegittima, tanto in rapporto allo strumento attraverso il quale è stata attuata, quanto nei contenuti.

1.1.1.– Sotto il primo profilo, il censurato art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, violerebbe anzitutto l’art. 76 Cost. per eccesso di delega. Il profondo riassetto delle competenze fra Stato e Regioni operato con la norma impugnata risulterebbe, infatti, privo di qualsiasi fondamento esplicito nelle norme della legge di delegazione.

In base all’art. 1 della legge n. 114 del 2015, il legislatore delegato, nell’attuare le direttive elencate negli Allegati A e B, avrebbe dovuto attenersi, in primo luogo, ai principi e ai criteri direttivi generali sanciti dagli artt. 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea). Nessuno di tali principi e criteri direttivi autorizzerebbe, peraltro, la modifica del riparto di competenze tra Stato e Regioni. Da essi emergerebbe, al contrario, la «massima attenzione» per la salvaguardia delle attribuzioni dei singoli livelli di governo, essendo previsto nell’art. 32, comma 1, lettera g), che, nei casi di sovrapposizione di competenze tra amministrazioni diverse, «i decreti legislativi individuano, attraverso le più opportune forme di coordinamento, rispettando i principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l’unitarietà dei processi decisionali, la trasparenza, la celerità, l’efficacia e l’economicità nell’azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili».

Ancora più significativo risulterebbe, peraltro, il silenzio sul punto, considerati i principi e criteri direttivi specifici enunciati dall’art. 14 della legge n. 114 del 2015, alla luce dei quali la normativa delegata avrebbe dovuto perseguire i seguenti obiettivi: «a) semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale anche in relazione al coordinamento e all’integrazione con altre procedure volte al rilascio di pareri e autorizzazioni a carattere ambientale; b) rafforzamento della qualità della procedura di valutazione di impatto ambientale, allineando tale procedura ai principi della regolamentazione intelligente (smart regulation) e della coerenza e delle sinergie con altre normative e politiche europee e nazionali; c) revisione e razionalizzazione del sistema sanzionatorio da adottare ai sensi della direttiva 2014/52/UE, al fine di definire sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive e di consentire una maggiore efficacia nella prevenzione delle violazioni; d) destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative per finalità connesse al potenziamento delle attività di vigilanza, prevenzione e monitoraggio ambientale, alla verifica del rispetto delle condizioni previste nel procedimento di valutazione ambientale, nonché alla protezione sanitaria della popolazione in caso di incidenti o calamità naturali, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».

Il combinato disposto degli artt. 1 e 14 di tale legge lascerebbe, quindi, chiaramente intendere come le Camere abbiano conferito al Governo una mera delega di revisione, riordino e semplificazione delle norme preesistenti, senza autorizzare l’introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, infatti, un simile intervento è ammissibile solo nel caso in cui siano stabiliti principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato: in mancanza di essi, la delega deve essere intesa, di contro, in senso “minimale”, tale, cioè, da non consentire l’adozione di norme delegate sostanzialmente innovative.

A comprova del fatto che il silenzio della legge n. 114 del 2015 assurga a indice della volontà delle Camere di non consentire interventi innovativi del legislatore delegato sul piano della disciplina dei rapporti tra Stato e Regioni, militerebbe anche la considerazione che tale legge, nel disciplinare il procedimento di formazione del decreto delegato, ha prescritto il coinvolgimento delle Regioni nella forma del mero parere, e non già dell’intesa. Tale soluzione si giustificherebbe, infatti, solo sul presupposto che le Camere abbiano abilitato il Governo a una “blanda” operazione di riordino e semplificazione della materia, che intacca in misura minima o non intacca affatto le competenze regionali, così da non richiedere l’attivazione di più penetranti strumenti di collaborazione.

Ove si ritenesse, al contrario, che le Camere abbiano voluto implicitamente consentire al Governo di riformare le competenze statali e regionali in materia di VIA, lo strumento del mero parere si rivelerebbe del tutto inidoneo a consentire una seria interlocuzione fra i livelli di governo coinvolti, stante la quantità e l’intensità delle competenze regionali sacrificate. In questa prospettiva, gli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015 risulterebbero illegittimi per violazione del principio di leale collaborazione (artt. 5 e 120 Cost.), nella parte in cui prevedono il mero parere e non l’intesa, conformemente a quanto già deciso dalla Corte costituzionale, in situazione analoga, con la sentenza n. 251 del 2016. Proprio la prescrizione del mero parere, anziché dell’intesa, avrebbe del resto consentito al Governo di disattendere del tutto sette delle nove condizioni che le Regioni avevano indicato come irrinunciabili nel parere 17/52/SR8/C5 (Parere sullo schema di decreto legislativo della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli articoli 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), reso in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sullo schema di decreto delegato.

La Regione ricorrente chiede pertanto che la Corte – ove ritenesse che gli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015 abilitino il Governo al riassetto delle competenze statali e regionali – sollevi avanti a sé stessa questione di legittimità costituzionale delle citate disposizioni, dichiarando l’illegittimità costituzionale in via derivata dell’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017.

1.1.2.– Dal punto di vista contenutistico, la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con l’art. 2, primo comma, lettere a), d), f) e m), nonché con gli artt. 3 e 4 dello statuto reg. Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in combinato disposto con l’art. 117, primo e terzo comma, Cost., anche in relazione alla “clausola di maggior favore” di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

L’art. 2 dello statuto attribuisce alla Regione autonoma la competenza legislativa piena in materia di ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale; agricoltura e foreste, zootecnia, flora e fauna; strade e lavori pubblici di interesse regionale; acque pubbliche destinate ad irrigazione ed a uso domestico. Tale competenza incontra il solo limite degli obblighi internazionali, degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica.

L’art. 3 riconosce, poi, alla Regione autonoma la potestà di emanare – sempre entro i limiti dianzi indicati – norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica, per adattarle alle condizioni regionali, in tutta una serie di materie che si intrecciano con quelle implicate nella valutazione di impatto ambientale: industria e commercio, disciplina dell’utilizzazione delle acque pubbliche ad uso idroelettrico, disciplina dell’utilizzazione delle miniere, igiene e sanità, antichità e belle arti.

Infine, l’art. 4 demanda alla Regione autonoma le funzioni amministrative sulle materie nelle quali ha potestà legislativa a norma degli artt. 2 e 3, salve quelle attribuite ai Comuni e agli altri enti locali dalle leggi della Repubblica.

A fronte di questo ampio elenco di competenze regionali, l’operazione effettuata dallo Stato, con l’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, apparirebbe evidentemente illegittima e sproporzionata. A seguito dell’intervento normativo censurato, infatti, la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste:

  1. a) si troverebbe confinata – nei casi di progetto sottoposto a verifica di assoggettabilità a VIA o a VIA di competenza regionale – al ruolo di mero “custode” delle norme e delle procedure prescritte dallo Stato (comma 7): ruolo ulteriormente gravato da un obbligo di informazione periodica (comma 9);
  2. b) vedrebbe limitata la propria potestà normativa, tanto legislativa quanto regolamentare, alla disciplina dell’organizzazione e delle modalità di esercizio delle funzioni amministrative ad esse attribuite in materia di VIA, salva la sola facoltà di dettare norme particolari e ulteriori per la semplificazione dei procedimenti e altre specifiche finalità (comma 8);
  3. c) subirebbe l’integrale «regolazione dal centro» della procedura di VIA regionale – cristallizzata nella disciplina dell’art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 – e perderebbe ogni possibilità di interlocuzione nel procedimento di VIA statale, essendo stato eliminato il parere regionale precedentemente prescritto dall’art. 25, comma 2, del citato decreto legislativo.

In pratica, la Regione speciale sarebbe stata «“declassata” a ufficio territoriale dello Stato», peraltro in palese violazione del principio di leale collaborazione, essendo state disattese tutte le proposte di emendamento formulate dalla Conferenza Stato-Regioni.

Tale “declassamento” non troverebbe alcuna giustificazione nel diritto europeo. La direttiva 2014/52/UE apparirebbe, al contrario, «attenta alle specificità territoriali, ed incline a valorizzare […] le competenze degli enti sub-statali», come attesterebbero, tra l’altro, le indicazioni del considerando n. 9 (nel quale si pone in evidenza «l’importanza economica e sociale di una corretta pianificazione territoriale» e la rilevanza di «opportuni piani di utilizzo del suolo e politiche a livello nazionale, regionale e locale») e del novellato art. 6, paragrafo 1, della direttiva 2011/92/UE (in forza del quale «[g]li Stati membri adottano le misure necessarie affinché le autorità che possono essere interessate al progetto, per la loro specifica responsabilità in materia di ambiente o in virtù delle loro competenze locali o regionali, abbiano la possibilità di esprimere il loro parere sulle informazioni fornite dal committente e sulla domanda di autorizzazione»).

L’impugnato “declassamento” risulterebbe, altresì, incompatibile con il riparto costituzionale delle competenze delineato dall’art. 117 Cost. Alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale, benché la disciplina della VIA sia in larga parte riconducibile alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente, ciò non sarebbe incompatibile con interventi specifici del legislatore regionale che attengano alle proprie competenze, specie in materia di governo del territorio e di tutela della salute. La competenza statale in questione, se pure di natura “trasversale”, rimarrebbe soggetta, comunque sia, ai limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, non valendo di per sé ad escludere ogni margine di competenza delle Regioni, alle quali è consentito, ad esempio, incrementare gli standard di tutela dell’ambiente prefigurati dalla legge statale.

La conclusione varrebbe a fortiori per la ricorrente, in forza delle ulteriori competenze attribuite dallo statuto speciale. La consapevolezza dell’esistenza di incomprimibili competenze delle Regioni speciali emergerebbe, peraltro, anche dal parere della commissione ambiente del Senato della Repubblica, nel quale si raccomandava di adottare gli emendamenti al riguardo suggeriti dalla Conferenza Stato-Regioni (parere espresso il 16 maggio 2017 dalla XIII Commissione permanente del Senato della Repubblica), nonché dal parere della Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio dei ministri e Interni, nel quale si auspicavano modifiche proprio per salvaguardare le condizioni delle autonomie speciali (parere espresso il 10 maggio 2017 dalla I Commissione permanente Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio dei ministri e Interni della Camera dei deputati).

1.2.– Vengono altresì censurati l’art. 16, comma 2, e l’art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017. L’art. 16 stabilisce che il «provvedimento unico regionale» sostituisce ogni tipologia di autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta comunque denominati, necessari alla realizzazione e all’esercizio del progetto sottoposto a VIA regionale. Tali atti vengono acquisiti – ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017, che sostituisce l’art. 14, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) – nell’ambito di una conferenza di servizi, convocata in «modalità sincrona» ai sensi dell’art. 14-ter della legge n. 241 del 1990.

La nuova normativa statale disciplinerebbe «in ogni minuto dettaglio» il procedimento per il rilascio della VIA regionale, privando il legislatore regionale di ogni spazio di autonomia.

1.2.1.– La ricorrente lamenta la lesione dell’art. 76 Cost., poiché, secondo quanto già posto in evidenza, dal combinato disposto dei principi e criteri direttivi desunti dagli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015 emergerebbe l’intenzione delle Camere di conferire al Governo una delega «minimale», con «meri» obiettivi di «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure di VIA (art. 14, comma 1, lettera a), mentre il Governo avrebbe fatto «tabula rasa» delle previgenti discipline regionali e avrebbe uniformato tutte le procedure «in maniera pervasiva e vincolante».

1.2.2.– Gli articoli impugnati sarebbero illegittimi anche rispetto all’art. 2, primo comma, lettere a), d), f), m), nonché agli artt. 3 e 4 dello statuto reg. Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in combinato disposto con l’art. 117, primo e terzo comma, Cost., in riferimento alla «clausola di maggior favore», di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

La titolarità in capo alla Regione autonoma di una pluralità di potestà legislative piene e integrative-attuative in materie strettamente connesse alla VIA, nonché delle corrispondenti funzioni amministrative, impedirebbe allo Stato di dettare «in modo unilaterale e vincolante» il procedimento per la VIA, in lesione del principio di leale collaborazione; la pretesa del legislatore statale di disciplinare dal centro e in modo uniforme la VIA regionale, senza considerare le specificità locali, apparirebbe, inoltre, «manifestamente irragionevole» e contraria ai principi di buon andamento (art. 97 Cost.), sussidiarietà e differenziazione (art. 118 Cost.).

Anche a voler ritenere che lo Stato abbia avocato a sé, tramite «chiamata in sussidiarietà», la disciplina del procedimento, «l’integrale regolazione apprestata dal legislatore nazionale» violerebbe i principi di ragionevolezza e proporzionalità (è richiamata la sentenza n. 303 del 2003).

1.3.– La ricorrente impugna, altresì, l’art. 22, commi 1, 2, 3 e 4 del d.lgs. n. 104 del 2017 per violazione degli artt. 2, primo comma, lettere a), d), f) e m), 3 e 4 dello statuto reg. Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, nonché degli artt. 3, 5, 76, 117, primo e terzo comma, 118 e 120 Cost., anche in relazione all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

La ricorrente rileva come la norma impugnata abbia ampiamente novellato gli Allegati alla Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, i quali contengono gli elenchi dei procedimenti sottoposti a VIA statale (Allegato II), a verifica di assoggettabilità a VIA statale (Allegato II-bis), a VIA regionale (Allegato III) e a verifica di assoggettabilità a VIA regionale (Allegato IV).

Rispetto al testo previgente, risultano drasticamente ridotti i procedimenti di competenza regionale, con corrispondente incremento di quelli di competenza statale.

Anche tale intervento esulerebbe dal circoscritto perimetro della delega di armonizzazione e semplificazione conferita dalle Camere con gli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015, salvo a voler considerare quest’ultima costituzionalmente illegittima per la previsione di insufficienti strumenti di leale collaborazione.

L’«impoverimento» degli elenchi regionali lederebbe, altresì, le competenze legislative piene e integrative-attuative riconosciute alla ricorrente dai citati artt. 2, primo comma, lettere a), d), f) e m), e 3 dello statuto reg. Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, nonché delle parallele competenze amministrative ad essa riconosciute dal successivo art. 4. Risulterebbero violate, inoltre, le ulteriori competenze di cui la Regione gode ai sensi dell’art. 117 Cost., in virtù della “clausola di maggior favore” di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, a cominciare da quelle in materia di tutela della salute e governo del territorio.

La riscrittura degli Allegati suindicati sarebbe stata operata, ancora – in violazione degli artt. 5 e 120 Cost. – al di fuori di meccanismi di leale collaborazione: l’acquisizione del mero parere della Conferenza Stato-Regioni, peraltro in larga parte disatteso, costituirebbe, infatti, uno strumento del tutto insufficiente a compensare il sacrificio delle attribuzioni regionali.

La nuova sistematica degli elenchi non risponderebbe, per altro verso, ad alcun canone di razionalità, ma soltanto a «un’ispirazione tutoria e centralistica fine a sé stessa». Nella distribuzione delle competenze fra Stato e Regioni, infatti, sarebbero stati adottati criteri del tutto scollegati dal dato territoriale – ad esempio, la potenza termica o la dimensione dello specchio acqueo – privi di valore sintomatico riguardo alla dimensione regionale o sovraregionale dell’intervento, assegnando alla competenza statale anche progetti che pacificamente interessano una sola Regione.

Risulterebbero in tal modo violati, oltre all’art. 3 Cost., anche gli artt. 97 e 118 Cost., essendo stati completamente disattesi i principi di buon andamento e sussidiarietà.

1.4.– Sarebbe illegittimo anche l’art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, per asserita violazione degli artt. 2, primo comma, lettere a), d), f) e m), 3 e 4 dello statuto reg. Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, dell’art. 8 del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526 (Estensione alla regione Trentino Alto-Adige ed alle province autonome di Trento e Bolzano delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616), nonché degli artt. 3, 5, 76, 117, primo, terzo e quinto comma, 118 e 120 Cost., anche in relazione art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

La norma censurata stabilisce che «[l]e Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano adeguano i propri ordinamenti esercitando le potestà normative di cui all’articolo 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, come introdotto dall’articolo 5 del presente decreto, entro il termine perentorio di centoventi giorni dall’entrata in vigore dello stesso decreto. Decorso inutilmente il suddetto termine, in assenza di disposizioni regionali o provinciali vigenti idonee allo scopo, si applicano i poteri sostitutivi di cui all’articolo 117, quinto comma, Cost., secondo quanto previsto dagli articoli 41 e 43 della legge n. 234 del 2012».

La disposizione si porrebbe in contrasto con i parametri evocati, stante l’assoluta genericità e vaghezza del presupposto al quale è connessa l’attivazione del potere sostitutivo dello Stato: vale a dire, il difetto di “idoneità allo scopo” delle norme regionali e provinciali adottate in forza del nuovo art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006. In mancanza di qualsiasi criterio atto a delimitare la discrezionalità dello Stato, il potere sostitutivo potrebbe essere esercitato sulla base di valutazioni squisitamente politiche, che troverebbero un unico contrappeso – «tenue e anch’esso tutto politico» – nella sottoposizione dell’atto sostitutivo alla Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell’art. 41 della legge n. 234 del 2012: con la conseguenza che il legislatore statale sarebbe posto «nella condizione di rimodulare a piacere i confini costituzionali delle competenze».

Sfuggente e indefinito risulterebbe, peraltro, lo stesso «scopo» cui le norme regionali devono tendere, individuato tramite il richiamo alle potestà normative previste dal citato art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, concernenti l’organizzazione e le modalità di esercizio delle funzioni amministrative attribuite alle Regioni e alle Province autonome in materia di VIA, nonché l’eventuale conferimento di tali funzioni o di compiti specifici agli altri enti territoriali sub-regionali.

Le funzioni così delineate sarebbero, peraltro, tutte a esercizio eventuale e facoltativo, sicché rispetto a esse non potrebbe configurarsi alcun potere sostitutivo dello Stato, il quale, secondo la pacifica giurisprudenza costituzionale, è esercitabile solo in relazione ad atti e attività vincolati nell’an. Nella specie, solo la competenza normativa relativa all’organizzazione e alle modalità di esercizio delle funzioni amministrative potrebbe ritenersi ad esercizio obbligatorio: senonché, da un lato, non si comprenderebbe quale sia rispetto a essa lo scopo, posto che la nuova disciplina statale già determina in modo esaustivo ogni aspetto delle funzioni in questione, soprattutto con il nuovo art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006; dall’altro, risulterebbe ancora più difficile valutare l’idoneità allo scopo di norme regionali di così scarso rilievo, una volta che il successo della riforma dipende tutto dall’efficacia della «pervasiva disciplina dello Stato».

Tali criticità risulterebbero acuite dall’autonomia speciale di cui gode la ricorrente, che dovrebbe garantirle un presidio ancora maggiore rispetto a interventi unilaterali dello Stato: non a caso, in sede di Conferenza Stato-Regioni erano stati proposti correttivi finalizzati a garantire una maggiore compatibilità tra potere sostitutivo e competenze delle Regioni speciali (punto 53 del citato parere).

2.– Si è costituito, con atto depositato il 10 ottobre 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso.

2.1.– Con riguardo alle questioni che investono l’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017 e, in via subordinata, gli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015, il resistente eccepisce in via preliminare l’inammissibilità del ricorso, in ragione del fatto che non è mai stata promossa dalla Regione ricorrente questione di legittimità costituzionale della legge delega.

Al riguardo, l’Avvocatura generale dello Stato ricorda come, secondo la giurisprudenza costituzionale, la legge di delegazione legislativa possa essere autonomamente impugnata allorché contenga un principio di disciplina sostanziale della materia o una regolamentazione parziale della stessa, ovvero stabilisca norme attributive di competenze che incidano in modo diretto e immediato sulle attribuzioni costituzionalmente garantite delle Regioni e delle Province autonome.

Ne deriva che ogni qualvolta i contenuti della legge di delega, per il loro grado di determinatezza e inequivocità, possano dar luogo a effettive lesioni delle competenze regionali o provinciali, tale legge deve essere impugnata tempestivamente nel termine di sessanta giorni stabilito dall’art. 39 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale). Qualora, infatti, si riconoscesse la possibilità di impugnare il decreto legislativo senza aver preventivamente impugnato la legge delega che risulti immediatamente lesiva si consentirebbe, da un lato, l’elusione del predetto termine stabilito a pena di decadenza; dall’altro, la sopravvivenza, «ancorché formale», di una normativa (quella della legge delega) i cui effetti immediati e diretti (stabiliti dal decreto legislativo) siano stati dichiarati costituzionalmente illegittimi.

Di qui anche l’inammissibilità della richiesta della Regione ricorrente di autorimessione, da parte della Corte costituzionale, della questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015, nella parte in cui prevedono il mero parere e non l’intesa: richiesta che assumerebbe, per l’appunto, carattere elusivo del termine per l’impugnazione della legge delega.

2.1.1.– Nel merito, le censure della ricorrente risulterebbero, in ogni caso, infondate.

Quanto alla pretesa esorbitanza dell’intervento dai limiti tracciati dalla legge di delegazione, risulterebbe evidente come, nel caso in esame, l’oggetto, i principi e criteri direttivi della delega debbano essere desunti non soltanto dalla legge n. 114 del 2015, ma anche dalla direttiva 2014/52/UE che il Governo è stato chiamato ad attuare. Tale direttiva reca una disciplina puntuale delle fasi del procedimento di VIA (art. 1, paragrafo 1, numero 1, lettera a), che vincola rigorosamente gli Stati membri e, dunque, il Governo italiano nella sua qualità di legislatore delegato, riducendo fortemente i margini di discrezionalità di quest’ultimo e, pertanto, la possibilità di differenziare su base regionale tale procedimento. Non vi sarebbe, quindi, alcuna ragione per intendere la delega al riassetto in senso minimale e formale, dovendosi ritenere, al contrario, che essa giustifichi anche interventi sostanziali quale quello che il ricorso regionale contesta.

La norma censurata rende, infatti, omogenea su tutto il territorio nazionale l’applicazione delle nuove regole per i procedimenti di VIA e di assoggettabilità a VIA proprio al fine di recepire fedelmente la nuova direttiva, che impone di superare la pregressa situazione di frammentazione e contraddittorietà del quadro regolamentare, dovuta alle diversificate discipline regionali, e di assicurare l’efficace applicazione per tutti gli operatori delle semplificazioni introdotte. La previgente disciplina attribuiva, in effetti, alle Regioni e alle Province autonome la potestà generale di disciplinare il procedimento di VIA (art. 7, comma 7, lettera e), del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo anteriore): potestà che non avrebbe più ragione di essere mantenuta, una volta che la direttiva 2014/52/UE prevede regole dettagliate insuscettibili di varianti negli ordinamenti nazionali, pena il rischio di procedure di infrazione. Peraltro, la disposizione impugnata, oltre a prevedere che le Regioni e le Province autonome possano disciplinare l’organizzazione e le modalità di esercizio delle funzioni amministrative loro attribuite in materia di VIA, in conformità alla normativa europea e nel rispetto di quanto previsto dalla nuova disciplina, fa salvo il potere di tali enti di stabilire regole particolari e ulteriori per la semplificazione dei procedimenti, per la consultazione del pubblico e di tutti i soggetti pubblici potenzialmente interessati, nonché per il coordinamento dei provvedimenti e delle autorizzazioni di competenza regionale e locale.

In tale quadro, sarebbe stato razionalizzato anche il riparto delle competenze amministrative tra Stato e Regioni, prevedendo che siano sottoposti alla procedura di VIA e alla verifica di assoggettabilità a VIA in sede statale i progetti di cui agli Allegati II e II-bis, Parte II, del d.lgs. n. 152 del 2006, e alla procedura di VIA e alla verifica di assoggettabilità a VIA in sede regionale i progetti di cui agli Allegati III e IV.

2.1.2.– Con riguardo, poi, alla censura di illegittima compressione delle potestà legislative e delle competenze amministrative regionali connesse alla VIA, il resistente rileva come, anche alla luce della definizione offerta dall’art. 1, paragrafo 1, numero 1), lettera a), della direttiva 2014/52/UE, la VIA consista in un procedimento mediante il quale vengono preventivamente individuati gli effetti significativi sull’ambiente di determinate attività antropiche (progetti, opere, infrastrutture e impianti produttivi). Al riguardo, l’art. 4, comma 4, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006 elenca dettagliatamente i fattori sui quali possono ricadere gli impatti ambientali negativi, individuandoli segnatamente nella popolazione e salute umana; nella biodiversità, con particolare attenzione alle specie e agli habitat protetti; nel territorio, suolo, acqua, aria e clima; nei beni materiali, patrimonio culturale e paesaggio; nell’interazione tra tali fattori.

Sarebbe, quindi, evidente come la disciplina della VIA si collochi nell’ambito della materia, di competenza esclusiva statale, «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Si tratta di materia che, per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, si connota come «trasversale» e «prevalente», in maniera tale che la normativa statale ad essa relativa si impone integralmente nei confronti delle Regioni: conclusione che si imporrebbe anche in rapporto alle Regioni ad autonomia speciale.

I ripetuti riferimenti della Regione ricorrente alla giurisprudenza costituzionale in tema di “intreccio” di materie sarebbero, pertanto, non pertinenti. Nel caso della VIA non vi sarebbe, infatti, alcun “intreccio” di materie. Come già ampiamente riconosciuto dalla Corte costituzionale, l’esercizio della valutazione ambientale può certamente incidere sull’esercizio di funzioni regionali, ma ciò non escluderebbe che la relativa regolamentazione vada ascritta in via esclusiva alla competenza statale in materia ambientale, salva l’esigenza – quando tale incidenza sia particolarmente significativa – che la legislazione statale preveda passaggi collaborativi con la Regione interessata (è citata, in specie, la sentenza n. 232 del 2009). Ciò sarebbe puntualmente avvenuto con il d.lgs. n. 104 del 2017, il cui art. 12, novellando l’art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha previsto il necessario coinvolgimento, non soltanto della Regione, ma di tutte le amministrazioni anche solo potenzialmente interessate.

Con riguardo alla VIA di competenza statale, d’altro canto, l’art. 6 del d.lgs. n. 104 del 2017 prevede, nei procedimenti per i quali sia riconosciuto un concorrente interesse regionale, che un esperto designato dalle Regioni e dalle Province autonome interessate partecipi all’attività istruttoria della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale (VIA) e della valutazione ambientale strategica (VAS).

Non conferente risulterebbe, quindi, il richiamo della Regione ricorrente alla sentenza n. 251 del 2016, la quale ha ritenuto che la decretazione legislativa statale debba essere in taluni casi assistita da passaggi collaborativi “forti” con il sistema regionale: ma ciò esclusivamente qualora la medesima si muova nell’ambito di un “intreccio inestricabile” di competenze, e non già quando si sia di fronte ad un fenomeno di semplice «incidenza» delle norme statali in materia di competenza esclusiva su funzioni regionali; fenomeno che caratterizza naturalmente le materie “trasversali”, quali la tutela dell’ambiente o la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.).

Le norme del d.lgs. n. 104 del 2017 volte a garantire l’omogeneità procedimentale delle valutazioni di impatto ambientale su tutto il territorio nazionale risulterebbero, in effetti, ascrivibili proprio a quest’ultima materia, avendo la giurisprudenza costituzionale chiarito che norme procedimentali a carattere semplificatorio possono costituire «livelli essenziali delle prestazioni» ai sensi del citato art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in grado di vincolare i legislatori regionali.

2.1.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri eccepisce, in ogni caso, l’inammissibilità, per genericità e carenza di motivazione, della censura relativa alla presunta violazione delle norme dello statuto reg. Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, congiuntamente a quella dell’art. 117, terzo comma, Cost.

Per un verso, infatti, la Regione non avrebbe indicato le ragioni per le quali la disciplina della VIA dettata dallo Stato inciderebbe sulle richiamate competenze statutarie; per altro verso, avrebbe invocato simultaneamente la disciplina statutaria e quella costituzionale, senza motivare circa l’applicabilità dell’una o dell’altra al caso di specie, alla stregua della clausola di adeguamento automatico di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Ai fini dell’ammissibilità della censura, la Regione avrebbe dovuto, in particolare, individuare – fornendone adeguata motivazione – per quali materie la Costituzione pone un regime competenziale di maggior favore per la Regione speciale rispetto alla disciplina statutaria, e per quali materie accade l’opposto, invocando, di conseguenza, il parametro adeguato per ciascuna materia.

2.1.4.– Con riferimento, infine, al mancato recepimento da parte del Governo delle proposte emendative avanzate dalle Regioni e dalle Province autonome in sede di Conferenza Stato-Regioni, per il resistente, l’istituto del mero parere, oltretutto neppure obbligatorio, non impedisce al procedente di determinarsi in modo differente dalle risultanze dell’attività consultiva.

Tutte le proposte delle Regioni sarebbero state, peraltro, dettagliatamente analizzate nella relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo, con l’indicazione, per quelle non accolte, delle ragioni del mancato accoglimento.

2.2.– Sulla presunta violazione dell’art. 76 Cost., da parte dell’art. 16, comma 2 e dell’art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017, l’infondatezza della censura sarebbe palese ove si consideri che la delega era volta all’attuazione della direttiva 2014/52/UE. Essa avrebbe richiesto agli Stati membri di individuare il grado e le modalità dell’integrazione del procedimento di VIA in altri procedimenti a carattere autorizzatorio, prevedendo che in detto provvedimento autorizzatorio fosse necessariamente contenuta la decisione motivata di valutazione di impatto ambientale. Alla luce di ciò, sarebbe intervenuta la modifica del contestato art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006; i principi e criteri direttivi della legge delega, volti ad attuare la direttiva europea, avrebbero dovuto integrarsi con le previsioni di questa, da cui si dovrebbe evincere l’esistenza di «norme ben precise che orientavano il legislatore delegato e ne vincolavano l’operato».

L’Avvocatura nota che l’integrazione procedimentale richiesta dalla direttiva 2014/52/UE si sarebbe potuta raggiungere solo attraverso un procedimento unico o comunque tramite l’integrazione con gli altri procedimenti di settore.

Dall’art. 2, paragrafo 2, della richiamata direttiva, si dedurrebbe che «gli Stati membri dispongono di varie possibilità per dare attuazione alla direttiva relativamente all’integrazione delle valutazioni dell’impatto ambientale nelle procedure nazionali». Considerando che gli elementi di tali procedure nazionali possono variare, appare conseguente la previsione di cui all’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017, che ha introdotto una disciplina specifica per le procedure di VIA incardinate nel procedimento autorizzatorio unico regionale, confermando la scelta già operata con il decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi in attuazione dell’art. 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124), di riforma della legge n. 241 del 1990.

2.3.– L’impugnato art. 24, inoltre, razionalizzerebbe un istituto già esistente e non innoverebbe la disciplina previgente, come modificata dall’art. l, comma 4, del citato d.lgs. n. 127 del 2016. Esso, infine, rappresenterebbe una disposizione di coordinamento con il d.lgs. n. 152 del 2006, al fine di adeguare il procedimento unico regionale alla norma europea.

2.4.– Egualmente infondate risulterebbero le questioni che investono le modifiche degli allegati disposte dall’art. 22, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017 e la correlata riduzione degli elenchi dei procedimenti di competenza regionale.

2.4.1.– Quanto, infatti, al ventilato eccesso di delega, la revisione del quadro allocativo delle competenze a livello statale o regionale dovrebbe ritenersi, in realtà, pienamente ricompresa nell’ambito dei principi e criteri direttivi specifici di cui all’art. 14, comma 1, lettere a) e b), della legge n. 114 del 2015, che demandavano al Governo il compito di armonizzare e razionalizzare le procedure di VIA, nonché di rafforzarne la qualità, allineandole ai principi della coerenza e delle sinergie con altre normative e politiche europee e nazionali (quali quelle energetiche e infrastrutturali).

Ma, soprattutto, la nuova ripartizione delle competenze in materia di VIA risponderebbe pienamente al più generale principio e criterio direttivo – richiamato dalla stessa ricorrente – di cui all’art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, relativo all’ipotesi in cui si verifichino «sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse»: principio e criterio direttivo che, lungi dal “cristallizzare” il quadro previgente delle competenze, avrebbe imposto al legislatore delegato di verificare il puntuale rispetto, da parte del precedente assetto, dei principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione, alla luce dell’esperienza maturata, procedendo, nel caso di riscontrata non conformità, ai necessari adeguamenti.

Con la modifica degli Allegati da II a IV, Parte II, del d.lgs. n. 152 del 2006, il Governo avrebbe inteso, per l’appunto, razionalizzare il riparto delle competenze amministrative tra Stato e Regioni, attraendo al livello statale le procedure per i progetti relativi alle infrastrutture e agli impianti energetici, tenuto conto delle esigenze di uniformità, efficienza e del dirimente criterio della dimensione sovraregionale degli impianti da valutare (che rende ontologicamente inadeguato il livello di valutazione regionale), fatte salve puntuali e limitate eccezioni. Ciò, con la precisazione che la valutazione di adeguatezza, o non, del livello regionale non potrebbe che essere effettuata ex ante e per «classi di casi», senza che rilevi l’eventualità che, in concreto, un singolo progetto resti privo di impatti extraregionali.

Se pure è vero, d’altro canto, che il criterio dimensionale degli impianti da valutare non trova un ancoraggio nella direttiva europea da attuare, esso troverebbe, però, fondamento nell’art. 118, primo comma, Cost., ai fini della corretta allocazione delle funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo. Al riguardo, occorrerebbe considerare che, prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del 2017, la ripartizione delle competenze relative alle varie categorie progettuali di VIA risaliva al decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 1996 (Atto di indirizzo e coordinamento per l’attuazione dell’art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale): dunque, ad epoca anteriore alla riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, che ha riscritto in modo profondamente innovativo il citato art. 118 Cost., ponendo a fondamento dell’allocazione di funzioni amministrative i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione. Di conseguenza, la precedente ripartizione delle funzioni non soltanto era molto risalente nel tempo, ma rispondeva a un quadro costituzionale sensibilmente diverso dall’attuale: sicché il legislatore delegato, anche alla luce dell’esperienza maturata medio tempore, ben poteva – e anzi doveva – rivisitare profondamente tale ripartizione alla luce dei principi dianzi richiamati.

2.4.2.– Quanto, poi, all’asserita violazione delle competenze legislative e amministrative regionali, non potrebbe che ribadirsi come non ricorra, in materia di VIA, un “intreccio” di competenze, ma, trattandosi di materia di competenza esclusiva dello Stato, si debba parlare di mera incidenza sull’esercizio di funzioni regionali.

2.4.3.– Tale considerazione varrebbe anche ad escludere la violazione del principio di leale collaborazione, ventilata dalla Regione ricorrente sull’assunto dell’insufficienza del mero parere della Conferenza Stato-Regioni, previsto dalla legge delega, a compensare il sacrificio delle attribuzioni regionali.

2.4.4.– Per quel che concerne, poi, la dedotta violazione degli artt. 3, 97 e 118 Cost., il criterio dimensionale, per la determinazione della competenza in materia di VIA, sarebbe stato adottato dal legislatore nazionale quale discrimine per individuare i progetti che “potenzialmente” assumano una rilevanza sovraregionale.

Sebbene, infatti, la procedura di VIA implichi una valutazione “sito specifica”, e nonostante la locazione delle opere possa ricadere in un ambito territoriale ristretto (anche meramente comunale), i potenziali impatti ambientali travalicano l’ambito territoriale direttamente interessato, richiedendo valutazioni di area vasta (sovraregionale) per la natura stessa dei complessi fenomeni di inquinamento o, comunque, di impatto quali-quantitativo sulle risorse ambientali coinvolte.

2.5.– Con riferimento, infine, alle questioni che investono l’art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri rileva come l’art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotto dall’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, attribuisca alle Regioni e alle Province autonome il compito di dettare, in via legislativa o regolamentare, misure a carattere strettamente organizzativo in ordine ai procedimenti di VIA di propria competenza. Si tratterebbe di adempimento a carattere sicuramente obbligatorio («disciplinano»), giustificato dall’esigenza di evitare che la carenza di adeguate soluzioni organizzative pregiudichi, a livello regionale, lo svolgimento dei procedimenti di VIA nel rispetto delle innovative regole stabilite dal legislatore delegato e – quel che più conta – comprometta la piena attuazione della direttiva europea nella quale siffatte regole si radicano.

Gli ulteriori contenuti, a carattere facoltativo, delle normative regionali e provinciali, previsti dal citato art. 7-bis, comma 8, non ne esaurirebbero il perimetro, e neppure ne rappresenterebbero la parte principale. In questa prospettiva “l’idoneità allo scopo”, della quale la ricorrente denuncia la vaghezza, si colorerebbe di ben precisi significati, consistenti segnatamente nella sussistenza delle condizioni organizzative indispensabili per garantire l’integrale attuazione della direttiva europea.

Il censurato potere sostitutivo statale troverebbe, pertanto, sicuro fondamento nell’art. 117, quinto comma, Cost., in forza del quale le Regioni e le Province autonome, nelle materie di loro competenza, provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, «nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza». Tale disposizione sarebbe direttamente applicabile anche alle autonomie speciali, senza la mediazione della clausola di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

La rigorosa delimitazione dei presupposti di esercizio del potere sostitutivo sarebbe confermata dalla previsione della norma censurata in base alla quale, per l’attivazione della sostituzione statale, non è sufficiente il mancato rispetto del termine di centoventi giorni, ma è necessario accertare, altresì, l’assenza all’interno degli ordinamenti regionali di disposizioni idonee, comunque sia, a raggiungere gli scopi sopra indicati.

3.– La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha depositato una memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

3.1.– In replica alle difese svolte dal Presidente del Consiglio dei ministri, la ricorrente reitera l’argomentazione secondo la quale la drastica ridistribuzione di competenze in materia di VIA operata dal d.lgs. n. 104 del 2017 avrebbe inciso su numerosi ambiti di competenza della Regione, sia in forza del suo statuto di autonomia, sia in forza dell’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., in relazione all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

3.2.– Insiste la ricorrente che l’inestricabile intreccio delle competenze determinato dalla disciplina impugnata, legittimerebbe la Regione a dedurne l’incostituzionalità per eccesso di delega, dal momento che il riassetto delle competenze operato dal Governo non troverebbe alcuna base di legittimazione né nei criteri direttivi enunciati dalla legge di delegazione, né – contrariamente a quanto asserito dall’Avvocatura generale dello Stato – nella direttiva europea che il Governo era chiamato ad attuare.

3.3.– L’illegittimità costituzionale della disciplina impugnata discenderebbe, peraltro, anche dalla violazione del principio di leale collaborazione, posto che il riassetto di competenze è stato operato all’infuori di qualsiasi meccanismo partecipativo “forte” delle Regioni.

3.4.– Egualmente infondato sarebbe l’ulteriore assunto dell’Avvocatura, secondo il quale la disciplina in materia di VIA afferirebbe in via prevalente alla materia «tutela dell’ambiente», di competenza esclusiva statale: circostanza che legittimerebbe la mancata previsione di strumenti concertativi ed escluderebbe la configurazione della “chiamata in sussidiarietà”.

Per un verso, infatti, la Corte costituzionale ha riconosciuto l’obbligo del legislatore statale di assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione in senso “forte” anche nel caso in cui la disciplina, pur ascrivendosi prevalentemente a una materia di competenza legislativa esclusiva statale, coinvolga una pluralità di interessi e competenze regionali (sono citate le sentenze n. 230 del 2013 e n. 33 del 2011).

Per altro verso, poi, la dedotta incostituzionalità risulterebbe avvalorata in ragione dell’autonomia della Regione ricorrente. Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, la normativa riconducibile alla materia trasversale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. è applicabile solo laddove non entrino in gioco le competenze riconosciute dalla normativa statutaria agli enti ad autonomia differenziata. La Corte costituzionale ha affermato, in particolare, che, a seguito della riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, il legislatore statale conserva il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della Regione a statuto speciale attraverso l’emanazione di leggi qualificabili come «riforme economico-sociali»: e ciò anche sulla base del titolo di competenza legislativa nella materia «tutela dell’ambiente». Di conseguenza, non è invocabile il solo limite dell’ambiente, in sé e per sé considerato, il quale va congiunto con il limite statutario delle riforme economico-sociali, sia pure riferite alle tematiche ambientali (sono citate le sentenze n. 212 del 2017, n. 51 del 2006 e n. 536 del 2002). Limite non invocato e, comunque sia, non sussistente nel caso in esame.

Il d.lgs. n. 152 del 2006 reca, d’altra parte, tuttora, all’art. 35, comma 2-bis – a chiusura della Parte II, dedicata alle procedure per la VAS, la VIA e l’autorizzazione integrata ambientale (AIA) – una specifica clausola di salvaguardia, secondo la quale «[l]e Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e di Bolzano provvedono alle finalità del presente decreto ai sensi dei relativi statuti». Senonché, le disposizioni contestate si rivolgono senza alcuna clausola di salvaguardia – pur richiesta in sede di parere – e senza adeguato coordinamento anche alle regioni ad autonomia speciale e alle province autonome, con conseguente violazione di tutti i parametri statutari evocati.

4.– Con ricorso notificato il 30 agosto 2017 e depositato il 5 settembre 2017, la Regione Lombardia (reg. ric. n. 64 del 2017) ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera g), 5, 16, comma 2, 21, 22, commi da 1 a 4, 26, comma 1, lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104 del 2017.

4.1.– L’impugnato art. 3, comma 1, lettera g), sostituisce l’art. 6, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006. La norma dispone che «[p]er i progetti o parti di progetti aventi quale unico obiettivo la difesa nazionale e per i progetti aventi quali unico obiettivo la risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, dopo una valutazione caso per caso, può disporre, con decreto, l’esclusione di tali progetti dal campo di applicazione delle norme di cui al Titolo III, Parte II del presente decreto, qualora ritenga che tale applicazione possa pregiudicare i suddetti obiettivi».

4.1.1.– Secondo la ricorrente, la norma, in precedenza diretta a regolare i progetti di difesa nazionale, estende ora la possibilità di deroga, con una valutazione caso per caso, ai progetti aventi come unico obiettivo la risposta ad emergenze che riguardino la protezione civile. Verrebbe incisa così la materia «protezione civile», di competenza concorrente, di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., dato che il decreto ministeriale che porterebbe all’esclusione di alcuni progetti dal campo di applicazione delle norme sulla VIA non prevedrebbe alcun coinvolgimento della Regione interessata, in violazione degli artt. 5 e 120 Cost., sotto il profilo della leale collaborazione.

4.1.2.– Nella specie sussisterebbe un concorso di competenze statali e regionali (ambiente, salute e protezione civile), senza che le Regioni siano coinvolte nel processo decisionale. Si prefigura altresì un dubbio sulla ragionevolezza della compressione della leale collaborazione, in violazione dell’art. 3 Cost., «per mancanza di proporzionalità e di rispondenza logica rispetto alle finalità dichiarate». La norma determinerebbe una disamina “caso per caso”, senza alcun riferimento all’ente territorialmente prossimo e quindi maggiormente idoneo alla valutazione; si genererebbero, inoltre, «inefficienze e disfunzioni sull’ordine delle competenze».

4.2.– Quanto alla seconda delle disposizioni censurate, la ricorrente rileva come l’art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, introducendo l’art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, riscriva sostanzialmente le competenze regionali in materia di VIA, circoscrivendole a profili organizzativi e a modalità di esercizio delle funzioni amministrative conferite.

4.2.1.– In questo modo, la norma impugnata violerebbe la potestà legislativa concorrente della Regione in materia di «tutela della salute», prevista dall’art. 117, terzo comma, Cost.

Le norme in materia di VIA, di derivazione comunitaria, se pure certamente riferibili alla materia della tutela dell’ambiente, sarebbero tuttavia ascrivibili anche ad alcune materie di competenza concorrente regionale, e segnatamente, per l’appunto, a quella della tutela della salute. Lo stretto collegamento fra la disciplina ambientale, in particolare quella dei rifiuti, e la tutela della salute è considerato, del resto, pacifico dalla giurisprudenza costituzionale (è citata, in specie, la sentenza n. 75 del 2017).

L’attinenza della disciplina della VIA a tale ambito di materia è reso, d’altronde, palese dalle premesse della direttiva 2014/52/UE, che, al considerando n. 41, afferma espressamente che l’obiettivo da essa perseguito è quello di garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e della salute umana, grazie alla definizione dei requisiti minimi per la valutazione dell’impatto ambientale dei progetti. Lo stesso art. 4, comma 4, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006 conferma che la VIA mira a proteggere la salute umana.

Per altro verso, la Corte costituzionale ha posto in evidenza come l’attribuzione allo Stato della competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente non escluda interventi del legislatore regionale diretti a soddisfare, nell’ambito delle proprie competenze, ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato (viene citata la sentenza n. 407 del 2002). Inoltre, pur riconoscendo specificamente che le norme in materia di VIA rientrano nel perimetro dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., la Corte ha anche riscontrato la presenza di ambiti materiali di spettanza regionale, soprattutto nel campo della tutela della salute (sono citate le sentenze n. 234 del 2009 e n. 398 del 2006).

4.2.2.– Nel caso di specie, la violazione della potestà legislativa regionale sarebbe resa ancora più evidente dal nuovo testo dell’art. 7 del d.lgs. n. 152 del 2006, come modificato dall’art. 4 del d.lgs. n. 104 del 2017, nel quale si conferma la competenza legislativa e amministrativa delle Regioni e delle Province autonome in materia di VAS e di AIA.

La diversa disciplina a fronte di materie che presentano un analogo riparto della potestà legislativa tra Stato e Regioni (VIA e VAS) non potrebbe essere giustificata sulla base del generico richiamo, contenuto nella legge delega, ai principi di «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure di VIA, «anche in relazione al coordina