A cura dell’Avv. Gaetano Pecoraro
Il 7 dicembre 2016, a questo link, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) ha dato la notizia di aver pubblicato sul proprio sito internet le Linee Guida 145/2016 recanti “Criteri Tecnici per stabilire quando il trattamento non è necessario ai fini dello smaltimento dei rifiuti in discarica ai sensi dell’art. 48 della l. 28 dicembre 2015, n. 221” (liberamente scaricabili qui).
Tra gli addetti ai lavori si è immediatamente posto il problema della natura giuridica di tale atto, in ragione della particolare tecnica legislativa utilizzata dal Parlamento che, nei tempi recenti, ha demandato all’adozione di successive Linee guida l’indicazione di parametri/criteri/norme di alto contenuto tecnico, rimesse ad Autorità specializzate, facendole così fuoriuscire dall’ambito interno nel quale, solitamente, operavano, quale vademecum ad uso dei funzionari dell’Amministrazione pubblica.
Si presenta, così, l’occasione per fare il punto della situazione su di una problematica che, apparentemente “filosofica”, può avere impatti sulla vita di ogni cittadino.
Nel nostro ordinamento, il sistema delle fonti del diritto, ossia degli atti e fatti che producono norme giuridiche, è delineato dall’art. 1 delle cosiddette preleggi (approvate prima dell’avvento della Repubblica), che così le individua: 1) le leggi; 2) i regolamenti; 3) gli usi.
Tale sistema va integrato con l’indicazione, al vertice, della costituzione e delle altre leggi costituzionali, seguite immediatamente dopo dalla normativa comunitaria, a cui il nostro ordinamento interno deve adeguarsi ai sensi dell’art. 117 comma 1 Cost.
La precisazione appare doverosa ai fini dell’inquadramento giuridico delle Linee Guida tra le fonti del diritto, o tra gli atti amministrativi.
Proprio recentemente i giudici amministrativi (di primo e secondo grado) hanno dovuto confrontarsi con la problematica, riconoscendo la mutazione che nel corso del tempo questo strumento ha subito, assumendo la connotazione di atti di carattere generale rivolti dall’Amministrazione a soggetti terzi.
Assumendo, quindi, rilevanza esterna, si è dovuto affrontare il problema dell’eventuale lesione che terzi potrebbero subire dall’applicazione delle Linee guida.
Così, ad esempio, il TAR Roma, con la decisione 31 gennaio 2017, n. 1590 le ha ricondotte tra “circolari a rilevanza esterna”, con la conseguenza che “se è vero che non sussiste l’onere di impugnazione di una circolare avente natura interna meramente interpretativa della legge, finalizzata a indirizzare uniformemente l’azione degli organi amministrativi, a opposte conclusioni si deve giungere nel caso in cui la circolare ha, invece, effetti esterni e può configurarsi quale presupposto di un provvedimento ritenuto lesivo che ne ha fatto applicazione. Tuttavia laddove il ricorrente impugni la circolare dandone una valenza non solo formale di mera interpretazione o applicazione di una norma di legge ma una portata sostanziale nella misura in cui innova il tessuto normativo, e quindi in quei termini già suscettibile di comportare una immediata lesione del soggetto interessato, questi è tenuto a una sua impugnazione immediata e deve, essere, pertanto, ritenuta inammissibile in quanto tardiva l’impugnazione di un atto presupposto quando il ricorrente, pur essendo a conoscenza del contenuto dell’atto presupposto, abbia impugnato l’atto consequenziale per vizi derivanti dal primo (cfr. sentenza C.d.S., Sez. V, n. 3431/2007 del 21.06.2007; sentenza T.A.R. Puglia-Bari, Sez. III, n. 1140/2009 del 13.05.2009)”.
Molto interessante appare, sul punto, l’excursus effettuato dal Consiglio di Stato, in sede consultiva, nel parere sull’allora bozza di decreto legislativo di quello che sarebbe diventato il nuovo codice dei contratti pubblici, e nel quale la tecnica del rinvio a successive Linee Guida è stata spesse volte utilizzata dal legislatore delegato.
Per l’inquadramento sistematico della problematica, il Consiglio di Stato ha distinto tra le Linee guida di competenza del Ministero delle Infrastrutture, e Linee guida da emanare da parte dell’Autorità Nazionale Anticorruzione.
Se per le prime, l’Organo consultivo non ha avuto difficoltà a ricondurle allo strumento del regolamento (ex art. 17 l. 400/1988), così collocandole tra le fonti del diritto (immediatamente dopo le leggi ordinarie), per le seconde il Consiglio di Stato le ha distinte tra quelle a carattere “non vincolante” (inquadrate tra gli ordinari atti amministrativi), e quelle a carattere “vincolante”.
La problematica maggiore si è, dunque, posta per queste ultime, per le quali il Consiglio di Stato ha ritenuto “preferibile l’opzione interpretativa che combina la valenza certamente generale dei provvedimenti in questione con la natura del soggetto emanante (l’ANAC), la quale si configura a tutti gli effetti come un’Autorità amministrativa indipendente, con funzioni (anche) di regolazione. Pertanto, appare logico ricondurre le linee guida (e gli atti a esse assimilati) dell’ANAC alla categoria degli atti di regolazione delle Autorità indipendenti, che non sono regolamenti in senso proprio ma atti amministrativi generali e, appunto, ‘di regolazione’”.
Utilizzando le medesime coordinate, è possibile tentare un inquadramento delle Linee Guida 145/2016 adottate dall’ISPRA recanti “Criteri Tecnici per stabilire quando il trattamento non è necessario ai fini dello smaltimento dei rifiuti in discarica ai sensi dell’art. 48 della l. 28 dicembre 2015, n. 221”, tenendo conto che è al dato normativo e positivo attualmente vigente che occorre fare riferimento, avendo il Consiglio di Stato, nel richiamato parere, chiaramente respinto il riferimento “operato dai primi commentatori, al concetto di soft regulation, estraneo all’ordinamento nazionale e comunque troppo generico, in assenza di una definizione della sua disciplina sostanziale e procedimentale”.
L’art. 48 l. 221/2015 ha novellato l’art. 7 comma 1 lett. B) d. lgs. 36/2003 che attualmente così prevede: “I rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento. Tale disposizione non si applica: … ai rifiuti il cui trattamento non contribuisce al raggiungimento delle finalità di cui all’articolo 1, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana e l’ambiente, e non risulta indispensabile ai fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa vigente. L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale individua, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i criteri tecnici da applicare per stabilire quando il trattamento non è necessario ai predetti fini”. E’ la parte da ultimo enfatizzata che è stata modificata dalla l. 221/2015, e che ha delegato l’ISPRA all’adozione delle Linee guida 145/2016.
E’ indubbio che tale atto non è interpretativo di disposizioni di legge, bensì innovativo dell’ordinamento, perché crea esso stesso delle norme giuridiche dalla cui applicazione deriva l’obbligo o meno di sottoporre a trattamento i rifiuti, con tutte le conseguenze, anche di carattere penale, che dall’inosservanza di quelle indicazioni derivano.
Occorre, allora, verificare quale sia la mission dell’ISPRA stabilita dalla legge, e se quindi la stessa possa essere individuata quale Autorità di regolazione.
L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (l’ISPRA, appunto) è stato istituito con la legge 133/2008 di conversione, con modificazioni, del Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112, il cui articolo 28 ha riunito sotto un unico istituto
- l’Agenzia per la protezione dell’Ambiente e per i servizi tecnici;
- l’Istituto Nazionale per la fauna selvatica;
- l’Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare.
Successivamente, l’art. 4 comma 1 l. 132/2016 ha previsto che “L’ISPRA è persona giuridica di diritto pubblico dotata di autonomia tecnico-scientifica, di ricerca, organizzativa, finanziaria, gestionale, patrimoniale e contabile, sottoposta alla vigilanza del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare”.
Ad avviso di chi scrive, ciò non consente di inquadrare l’Istituto tra le Autorità Amministrative indipendenti, con impossibilità di attribuire alle richiamate Linee Guida la natura di atto di regolazione.
Men che meno potrà essere loro attribuita la natura di regolamento, ex art. 17 comma 2 l. 400/1988, per il quale “con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall’entrata in vigore delle norme regolamentari”.
La circostanza che le Linee Guida siano state adottate dall’ISPRA in assenza delle “garanzie procedimentali” previste da tale norma (parere del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari) non consente, dunque, di attribuire loro il carattere di regolamento di delegificazione, con la conseguenza che esse non possono derogare ad eventuali disposizioni già presenti nel nostro ordinamento, prodotte da fonti del diritto sovraordinate (leggi, regolamenti, atti di regolazione).
Dal riconoscimento della natura di atto amministrativo generale consegue:
- l’esonero dall’obbligo generale di motivazione degli atti amministrativi ex art. 3 comma 2 l. 241/1990 (“La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale”),
- la piena esecutività delle Linee Guida ex art. 21-quater comma 1 l. 241/1990 (“I provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo”), con conseguente obbligo per chiunque di rispettarlo e darvi esecuzione sin dalla sua entrata in vigore;
- la piena giustiziabilità delle medesime.
La tecnica legislativa del rinvio a successivi atti rimessi ad altre Autorità fa sorgere, poi, un ulteriore problema: quello della data di entrata in vigore.
Non trattandosi di norme di legge, non si applica il termine generale di vacatio dei 15 giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Occorre, allora, verificare se nella disciplina dettata per il funzionamento dell’ISPRA vi siano norme ad hoc. Ebbene, scorrendo il catalogo delle disposizioni contenute nella l. 132/2016 (recante “Istituzione del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente e disciplina dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale”) si rinviene un’unica disposizione (art. 8) che reca la disciplina della pubblicazione sul sito internet dell’Istituto dei compensi e dei nominativi dei direttori generali.
In assenza, quindi, di una disciplina speciale, viene in rilievo la norma generale contenuta nell’art. 32 comma 1 l. 69/2009 secondo cui “a far data dal 1° gennaio 2010, gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati. La pubblicazione è effettuata nel rispetto dei princìpi di eguaglianza e di non discriminazione, applicando i requisiti tecnici di accessibilità di cui all’articolo 11 della legge 9 gennaio 2004, n. 4. La mancata pubblicazione nei termini di cui al periodo precedente è altresì rilevante ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili”.
Essendo state le linee guida 145/2016 pubblicate sul sito internet istituzionale di ISPRA il 7 dicembre 2016, è da quella data che le medesime sono divenute efficaci, con decorrenza da quel momento di tutti termini, sostanziali e processuali.