Ancora via libera ai fotovoltaici: il no del Ministero della Cultura solo in presenza di vincoli puntuali

Pubblicato il 13-04-2022
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A cura dell’avv. Nicoletta Tradardi

Impianti di energia da fonti rinnovabili. Ancora via libera ai fotovoltaici: il no del Ministero della Cultura solo in presenza di vincoli puntuali

Il Consiglio di Stato, sezione IV, con due sentenze gemelle nn. 2242 e 2243 del 28 marzo 2022, interviene nuovamente sul rapporto fra (tutela dei) beni paesaggistici e (tutela del bene) ambiente, con riferimento alla realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

In entrambe le questioni sottoposte al vaglio dei Giudici di Palazzo Spada, si discute, infatti, della realizzazione di impianti fotovoltaici a terra in aree a destinazione agricola, non assoggettate a vincoli di tipo paesaggistico, ovvero archeologico, ovvero idraulico o boschivo.

Venendo ai fatti, all’esito della Conferenza di servizi, ai sensi dell’art. 14 ter della legge n. 241/1990, veniva espresso “parere favorevole” al rilascio dell’autorizzazione unica regionale per la realizzazione dell’impianto fotovoltaico a terra.

Avverso questa decisione, il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo proponeva opposizione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell’art. 14 quinquies comma 1 della legge n. 241/1990, che dispone”avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza, entro 10 giorni dalla sua comunicazione, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali possono proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri”.

Il Consiglio dei Ministri accoglieva con propria deliberazione, in entrambi i casi, l’opposizione del Mibact.

I proponenti ricorrevano al Tar avverso questi provvedimenti.

Il Consiglio di Stato, investito delle due analoghe questioni in secondo grado di giudizio, ha accolto i motivi di censura formulati nei rispettivi ricorsi di prime cure, affermando i seguenti principi:

  1. La questione di diritto concerne la legittimità dell’esercizio del potere del Mibact (ed a valle, del Consiglio dei Ministri nel conseguente esercizio di un potere di alta amministrazione) di opporsi ad iniziative private (espressione del diritto, costituzionalmente presidiato, di libera iniziativa economica), peraltro in un settore oggetto di favor normativo, qualora, come nella fattispecie, le aree non siano assoggettate a vincolo paesaggistico, archeologico, idraulico o boschivo, né risulti la pendenza di un procedimento teso alla prospettica apposizione di un vincolo siffatto; l’intervento non leda concretamente beni paesaggistici contermini; gli interventi non interferiscano con emergenze archeologiche positivamente accertate e poste ad una distanza dall’impianto giuridicamente rilevante;
  2. Il MIBACT (oggi MIC), quale “Amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e dei beni culturali”, può legittimamente svolgere l’opposizione avanti il Consiglio dei Ministri soltanto allorché decisioni di altre Amministrazioni siano ritenute direttamente lesive di beni già dichiarati, nelle forme di legge, di interesse ambientale, paesaggistico o culturale e, per tale ragione, sottoposti a forme, più o meno incisive, di protezione, con contestuale riduzione (che può spingersi sino alla radicale nullificazione) delle facoltà di iniziativa privata.
  3. L’azione amministrativa necessita di un riferimento oggettivo e giuridicamente vincolante, giacché in termini generali, “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge” (art. 1 l. n. 241 del 1990), nella specie rappresentati dalla necessità della particolare tutela di specifici beni se e nei limiti in cui sia stata dichiarata nelle forme di legge, ciò che soltanto ne conforma il regime giuridico in maniera distonica rispetto alle ordinarie previsioni di legge ed attribuisce all’Autorità tutoria poteri di vigilanza.
  4. In omaggio al generale principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, il MIBACT è comunque tenuto ad indicare alternative meno impattanti sull’interesse del privato, ma comunque idonee a preservare gli allegati interessi pubblici.

In conclusione, il Consiglio di Stato, con le sentenze che si annotano, pone il principio per cui il potere del MiC di proporre opposizione ai sensi dell’art. 14 quinquies comma 1 della legge n. 241/1990 sussiste (e può essere esercitato) nei soli casi nei quali le aree interessate dagli interventi siano effettivamente interessate da vincoli di carattere paesaggistico o culturale.

Il Giudice amministrativo ribadisce la necessità di una ponderazione fra i concorrenti interessi, tutti costituzionalmente tutelati, di salvaguardia, rispettivamente, dei valori paesaggistici, del bene ambiente e della libertà di iniziativa economica.

In margine, piace segnalare, con particolare riferimento all’oggetto, che le pronunce in commento sono significative poiché ribadiscono il principio per cui la realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili corrisponde a finalità di interesse pubblico (quali la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra nonché la ricerca, promozione, sviluppo e la maggior utilizzazione possibile di fonti energetiche alternative a quelle fossili sulla base di tecniche avanzate compatibili con il rispetto dell’ambiente), nel quale rileva anche l’interesse della collettività a beneficiare di un tipo di energia la cui produzione è incentivata in ragione del perseguimento – oggi più che mai – di obiettivi di pubblica rilevanza.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

MINISTERO

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6776 del 2021, proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal Ministero della Cultura, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, dal Consiglio dei Ministri, in persona del rispettivo legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

CONTRO

la Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Rosa Maria Privitera, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
la società Dcs S.r.l., rappresentato e difeso dagli avvocati Angelo Clarizia, Mario Pagliarulo e Giovanni Sicari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;

PER LA RIFORMA

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Prima, n. 6350 del 28 maggio 2021, resa tra le parti, concernente la deliberazione del Consiglio dei Ministri recante l’accoglimento dell’opposizione ministeriale avverso il rilascio di una autorizzazione unica regionale per la realizzazione di un impianto fotovoltaico a terra.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Lazio e della società Dcs S.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2022 il Cons. Luca Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Angelo Clarizia e Giovanni Sicari e l’avvocato dello Stato Salvatore Adamo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

  1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il T.a.r. per il Lazio ha accolto il ricorso della società DCS s.r.l. avverso la deliberazione del Consiglio dei Ministri dell’11 giugno 2020 che, a sua volta, aveva accolto l’opposizione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo (MIBACT) avverso il rilascio alla medesima s.r.l. DCS dell’autorizzazione unica regionale per la realizzazione di un impianto fotovoltaico a terra della potenza di 150 MW in area a destinazione agricola sita nel territorio del Comune di Tuscania, località Pian di Vico.

1.1. In particolare, il T.a.r., previa reiezione dell’eccezione delle Amministrazioni statali di inammissibilità del ricorso per assunta carenza di lesività della deliberazione impugnata, ha accolto il primo dei quattro motivi di ricorso, assorbendo i restanti.

1.2. Il T.a.r., in proposito, ha sostenuto che:

– l’atto di opposizione del MIBACT, formulato in data 11 aprile 2019, fosse tardivo rispetto al termine di dieci giorni stabilito dall’art. 14-quinquies l. n. 241 del 1990, di carattere in tesi perentorio, posto che la determinazione definitiva della conferenza di servizi sarebbe stata presa, ai sensi dell’art. 14-ter l. n. 241 del 1990 e dell’art. 27-bis d.lgs. n. 152 del 2006, in data 5 febbraio 2019;

– siffatta determinazione conclusiva sarebbe stata portata a conoscenza dei partecipanti alla conferenza in data 6 febbraio 2019;

– tra i partecipanti alla conferenza notiziati di tale determinazione conclusiva vi sarebbe stato pure lo stesso MIBACT, che nel corso dei lavori della conferenza aveva espresso parere negativo, peraltro stigmatizzato dalle altre Amministrazioni come “contraddittorio, erroneo, privo di motivazione e delle specifiche indicazioni delle modifiche progettuali necessarie ai fini dell’assenso” (cfr. verbale della seduta del 5 febbraio 2019);

– il dies a quo del termine di dieci giorni per la formulazione dell’opposizione sarebbe da individuarsi, dunque, nella data del 6 febbraio 2019, non già nella successiva data (ossia il 3 aprile 2019) in cui il Ministero aveva avuto formale comunicazione dell’emanazione, da parte della Regione Lazio, del PAUR in data 29 marzo 2019;

– peraltro, la conferma della regola per la quale il termine di dieci giorni decorrerebbe dalla comunicazione della determinazione conclusiva della conferenza di servizi sarebbe tratta: a) da un punto di vista testuale, dall’art. 14-quinquies, comma 1, l. n. 241 del 1990; b) da un punto di vista logico-sistematico, da “un’esigenza di semplificazione, efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa”, che sarebbe lesa ove occorresse “attendere l’adozione dell’eventuale provvedimento autorizzatorio per esercitare i rimedi previsti dalla legge contro la determinazione di conclusione della conferenza”.

  1. Le Amministrazioni statali hanno interposto appello, con cui hanno formulato doglianze di rito e di merito.

2.1. In particolare, le Amministrazioni hanno sostenuto quanto segue.

2.1.1. In rito:

– il ricorso di prime cure sarebbe inammissibile, perché la società DCS avrebbe dovuto impugnare il provvedimento regionale recettivo della deliberazione del Consiglio dei Ministri, non la deliberazione medesima (eccezione respinta dalla sentenza);

– la società DCS, in quanto non partecipante al sub-procedimento di opposizione, non ne potrebbe impugnare l’atto conclusivo, ossia la deliberazione del Consiglio dei Ministri (eccezione non svolta in prime cure).

2.1.2. Nel merito:

– la deliberazione conferenziale dovrebbe essere calata nel PAUR, atto conclusivo del procedimento recante, appunto, la “determinazione motivata conclusiva della conferenza di servizi”, mentre il verbale del 5 febbraio 2019 sarebbe solo il verbale di una seduta della conferenza: pertanto, solo dall’emanazione del PAUR decorrerebbe il termine per l’opposizione, anche perché, come pure evidenziato nella stessa sentenza, il PAUR sarebbe stato emanato anche sulla base di assensi di altre Amministrazioni, espressi dopo il 5 febbraio 2019;

– comunque, il termine di dieci giorni non sarebbe perentorio, difettando un’espressa disposizione di legge;

– a tutto concedere, vi sarebbe stato un errore scusabile da parte delle Amministrazioni.

2.2. La società DCS e la Regione Lazio si sono costituite in resistenza.

2.2.1. La società DCS:

  1. a) ha eccepito, preliminarmente, l’irricevibilità dell’appello, in tesi soggetto al rito di cui all’art. 119 c.p.a. (in quanto la realizzazione di impianti fotovoltaici sarebbe ex legedi pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza in base all’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 387 del 2003 e la relativa autorizzazione avrebbe, pertanto, valenza sostanzialmente espropriativa), ma notificato in data 20 luglio 2021, pur a fronte della notificazione della sentenza in data 31 maggio 2021;
  2. b) ha sostenuto, nel merito, l’infondatezza dell’appello, perché:

– la legge (articoli 14-ter e 14-quater l. n. 241 del 1990) non prevedrebbe che il deliberato della conferenza di servizi sia calato in un successivo provvedimento;

– il termine per proporre opposizione sarebbe perentorio;

– non vi sarebbe stato alcun errore procedimentale scusabile da parte del Ministero;

  1. c) ha riproposto i motivi assorbiti in prime cure, ossia:

– non vi sarebbe contrasto con i valori paesaggistici, in quanto “il PTPR esplica efficacia vincolante esclusivamente nella parte del territorio interessato dai beni paesaggistici”, avendo nelle aree non assoggettate a vincolo, quali quelle di specie, mero carattere di indirizzo; oltretutto, il PPTR ammetterebbe nell’area “impianti areali di grande impatto territoriale” quale sarebbe un impianto fotovoltaico, che ben si inserirebbe in maniera armonica nel contesto (tanto più che in area agricola si possono, di regola, edificare tali impianti, sì che la dizione del PTPR non potrebbe che riferirsi a discariche o impianti di industria pesante); del resto, da un lato l’impianto non sarebbe visibile “a causa della morfologia del terreno e dell’effetto schermante operato dagli elementi vegetazionali ed antropici presenti”, dall’altro in zona prossima sorgerebbe un impianto eolico con pale molto alte;

– non vi sarebbe neppure contrasto con i valori archeologici, in quanto nell’area non insisterebbe alcun vincolo archeologico, insistente invece su alcune aree “esterne”, sì che il Ministero avrebbe, al più, solo potuto prescrivere il quomodo della costruzione dell’impianto, ex art. 152 d.lgs. n. 42 del 2004;

– vi sarebbe, più in generale, un chiaro difetto di istruttoria ed un travisamento dei fatti.

2.3. L’istanza cautelare è stata accolta dapprima con decreto monocratico del 23 luglio 2021, quindi con ordinanza emessa all’esito della camera di consiglio del 9 settembre 2021, recante la seguente motivazione: “Ritenuto opportuno, in considerazione della sensibilità degli interessi pubblici coinvolti, dell’irreparabilità sostanziale dell’eventuale immutatio loci e del numero e della complessità delle questioni controverse in rito ed in merito, mantenere la res adhuc integra sino alla definizione della lite, da fissare con priorità”.

2.4. In vista della trattazione le parti hanno versato in atti difese scritte.

2.5. La società DCS ha sostenuto, tra l’altro, che l’art. 30 d.l. n. 77 del 2021 (già vigente alla data di proposizione dell’appello) escluderebbe il potere ministeriale di cui all’art. 21-quinquies l. n. 241 del 1990, con conseguente inammissibilità dell’appello per carenza di interesse.

2.6. Il ricorso è stato trattato alla pubblica udienza del 13 gennaio 2022.

  1. Quanto alle eccezioni di rito mosse dalla società DCS, ritiene il Collegio che esse vadano respinte.

3.1. E’ ben vero che per la realizzazione di impianti fotovoltaici la legislazione di settore dispone che i relativi titoli abilitativi comportano anche la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza. Tuttavia, ad avviso del Collegio, l’art. 119, comma 1, lettera f), del c.p.a., applicabile nel caso di impugnazione di “provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità”, non rileva nel caso di specie.

Infatti, qualora il rilascio di un titolo abilitativo comporti la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere assentite, occorre verificare se – per realizzare le stesse opere – occorra o meno l’attivazione di un procedimento espropriativo.

Se per realizzare le opere occorre non solo il rilascio del titolo abilitativo, ma anche l’attivazione delle fasi del procedimento espropriativo (perché il progetto riguarda un bene immobile “altrui”), trova applicazione il sopra riportato art. 119, comma 1, lettera f).

Trova, invece, applicazione il rito ordinario se:

– il beneficiario del titolo abilitativo può senz’altro realizzare le opere sul suo bene immobile;

– comunque, per altre ragioni non sia in concreto necessaria l’attivazione di un procedimento espropriativo;

– ovvero, gli atti del procedimento espropriativo in concreto emessi non siano stati impugnati, concentrandosi le censure della parte che si oppone alla realizzazione dell’opera esclusivamente su altri profili.

Nella specie, nel corso del giudizio non risultano emanati (né, comunque, sono stati impugnati) provvedimenti strettamente riferibili ad una delle fasi del procedimento espropriativo, disciplinato dal testo unico sugli espropri approvato con il d.P.R. n. 327 del 2001, né, a monte, è stato dedotto che sarebbe stata necessaria l’attivazione del procedimento espropriativo, sicché l’appello in esame risulta soggetto al rito ordinario e, dunque, tempestivo.

  1. Superata l’eccezione di irricevibilità dell’appello, vanno esaminate le questioni concernenti l’ammissibilità del ricorso di primo grado, sollevate dalle appellanti Amministrazioni.

La deliberazione del Consiglio dei Ministri è immediatamente lesiva per la società e, pertanto, è e non può che essere (cfr. art. 1 c.p.a.) immediatamente impugnabile: come condivisibilmente affermato dal T.a.r, infatti, “con la delibera gravata il Consiglio dei Ministri ha deciso di accogliere integralmente l’opposizione presentata dal Ministero, in tal modo sostituendo la propria determinazione a quella di conclusione della conferenza di servizi”.

4.1. Del resto, la prospettata successiva determinazione della Regione, che secondo le Amministrazioni rappresenterebbe l’atto impugnabile (cfr. pagine 10 e 11 dell’appello), riguarderebbe una ben diversa fase del procedimento e sarebbe, peraltro, doverosa nell’an e vincolata nel quid, sì che dal punto di vista sostanziale, la lesione alla società deriverebbe comunque, in via diretta, immediata ed esclusiva, dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri.

Invero, l’opposizione dell’Amministrazione statale determina l’attivazione di una fase procedimentale caratterizzata dall’esercizio dei poteri di alta amministrazione del Governo, il cui provvedimento comporta la conclusione della sub-fase eventuale, ma tipica, nella quale l’Autorità di Governo, nell’esercizio appunto di un potere di alta amministrazione, si esprime sull’opposizione stessa con un provvedimento autoritativo ed idoneo a divenire inoppugnabile.

Peraltro, dal punto di vista processuale, l’accoglimento dell’eccezione porterebbe soltanto ad un’impasse defensionale palesemente contrastante con il principio di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, dovendo la società attendere un ulteriore provvedimento regionale, conclusivo di una ben diversa fase procedimentale, e, in caso di inerzia della Regione, attivarsi al paradossale fine di ottenere un provvedimento negativo (finalmente) impugnabile.

4.2. Tale argomentazione vale, altresì, a respingere l’ulteriore motivo d’appello, con cui è stata riproposta l’eccezione svolta in prime cure dalle appellanti Amministrazioni: l’immediata lesività della scelta effettuata in sede di alta amministrazione impatta direttamente sulla sfera giuridica della società, che, per ciò solo, acquisisce piena legittimazione (ed interesse) a gravarla in sede giurisdizionale, a nulla rilevando il fatto che la società non abbia partecipato al sub-procedimento di opposizione: del resto, in tale procedimento va risolto il solo contrasto per così dire “interno” fra Amministrazioni.

  1. Quanto al merito dell’appello, il Collegio rileva che, contrariamente a quanto stabilito in prime cure, il termine di dieci giorni per la proposizione dell’opposizione è sì perentorio, ma decorre dalla formale comunicazione del provvedimento che esplicita la definitiva volontà amministrativa favorevole alla realizzazione del progetto, ossia il PAUR (cui, a ben vedere, gli esiti della pregressa conferenza sono meramente propedeutici, concretando condizione necessaria ma non sufficiente – cfr. il verbale della seduta del 5 febbraio 2019, pag. 6): è questo, infatti, il momento di definitiva formalizzazione della volontà provvedimentale dell’Amministrazione (cfr. art. 27-bis, d.lgs. n. 152 del 2006), dalla cui ufficiale comunicazione al MIBACT decorre il termine per il deferimento della questione al Consiglio dei Ministri.

5.1. Non può trascurarsi, quale guida dell’attività ermeneutica, l’esigenza di certezza dei rapporti di diritto pubblico, tanto più alla luce del fatto che il decorso del (breve) termine di dieci giorni determina la conseguenza della illegittimità dell’esercizio del potere ministeriale di formulare l’opposizione.

5.2. Pertanto, l’appello è fondato, giacché l’opposizione ministeriale è stata formulata tempestivamente.

  1. Affermata la tempestività dell’opposizione, il thema decidendumsi sposta sui motivi assorbiti dal T.a.r. e riproposti in questa sede dalla parte appellata.

6.1. L’oggetto del contendere si incentra, più in particolare, sulla questione di diritto circa la legittimità dell’esercizio del potere del MIBACT – e, a valle, del Consiglio dei Ministri nel conseguente esercizio di un potere di alta amministrazione – di opporsi ad iniziative private (espressione del diritto, costituzionalmente presidiato, di libera iniziativa economica, oltretutto in un settore oggetto di favor normativo) che, come nella specie:

– non insistono direttamente, tenuto conto delle prescrizioni con cui è stato approvato il progetto (cfr., in particolare, il parere della Regione del 30 novembre 2018, nonché il verbale della conferenza di servizi del 5 febbraio 2019), su aree di cui l’Amministrazione abbia positivamente dimostrato la sottoposizione a vincolo paesaggistico, archeologico, idraulico o boschivo, né la pendenza di un procedimento teso alla prospettica apposizione di un vincolo siffatto (si vedano, a contrario, Cons. Stato, Sez. IV, 8 febbraio 2021, n. 1156, e Cons. Stato, Sez. IV, 25 febbraio 2020, n. 1399, entrambe relative a vicende in cui l’opera, viceversa, insisteva in aree interessate da vincolo paesaggistico);

– non risultano ledere concretamente beni paesaggistici contermini (per quanto risulta agli atti, il fosso Arroncino verrebbe sotto-scavato, sì che non vi sarebbe in situ alcuna opera visibile, né alcuna alterazione dell’alveo);

– non constano interferire con emergenze archeologiche positivamente accertate e poste ad una distanza dall’impianto giuridicamente rilevante (cfr. art. 14.9 del d.m. 10 settembre 2010).

6.2. La conclusione in proposito del Collegio è negativa: il MIBACT, quale “Amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e dei beni culturali” (cfr. art. 14 quinquies, l. n. 241 del 1990), può legittimamente svolgere l’opposizione avanti il Consiglio dei Ministri soltanto allorché decisioni di altre Amministrazioni siano ritenute direttamente lesive di beni già dichiarati, nelle forme di legge, di interesse ambientale, paesaggistico o culturale e, per tale ragione, sottoposti a forme, più o meno incisive, di protezione (ovvero, altrimenti detto, ad un regime giuridico speciale), con contestuale riduzione (che può spingersi sino alla radicale nullificazione) delle facoltà di iniziativa privata.

6.3. Un’opposta conclusione, ritiene il Collegio, priverebbe l’azione amministrativa di un riferimento oggettivo e giuridicamente vincolante, giacché:

– in termini generali, “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge” (art. 1 l. n. 241 del 1990), nella specie rappresentati appunto dalla necessità della particolare tutela di specifici beni se e nei limiti in cui sia stata dichiarata nelle forme di legge, ciò che soltanto ne conforma il regime giuridico in maniera distonica rispetto alle ordinarie previsioni di legge ed attribuisce all’Autorità tutoria poteri di vigilanza;

– l’ineludibile scrutinio giurisdizionale (art. 24 Cost.) dovrebbe essere esercitato in assenza di un referente normativo in base al quale sarebbe possibile valutare la legittimità dell’azione amministrativa sulla base di elementi oggettivi.

  1. Il Collegio, inoltre, aggiunge che:

– nelle aree non vincolate il PTPR non ha, di per sé, valore di autonoma apposizione di vincolo, ma di mero (e generale) indirizzo pianificatorio per gli Enti pubblici;

– oltretutto, il PTPR ammette, nell’area, impianti di tal fatta (cfr. del resto, in termini generali, l’art. 12, comma 7, d.lgs. n. 387 del 2003);

– non sono stati concretamente riscontrati, da parte delle competenti strutture amministrative, effettivi impatti né in termini di visibilità, né in punto di prospettica fertilità dei suoli, elementi che, viceversa, si sarebbero dovuti puntualmente dimostrare (con contestuale e precisa indicazione delle ragioni della ravvisata insufficienza delle previste misure di mitigazione) per sostenere la decisione di opporsi alla realizzazione dell’opera.

  1. Ancora, il Collegio non può non evidenziare che:

– il MIBACT non ha indicato alternative meno impattanti sull’interesse del privato, ma comunque idonee a preservare gli allegati interessi pubblici (ciò cui, viceversa, era certo tenuto, se non altro in omaggio al generale principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, forgiato in sede comunitaria e per tale via penetrato direttamente nel tessuto dell’ordinamento nazionale – cfr. art. 1 l. n. 241 del 1990);

– tutte le altre Amministrazioni coinvolte nel procedimento hanno preso una motivata e circostanziata posizione favorevole all’intervento, anche in punto di tutela paesaggistica ed ambientale.

  1. Per tali ragioni, la delibera impugnata del Consiglio dei Ministri risulta viziata da illegittimità derivata riveniente dall’atto di opposizione del MIBACT e dagli atti ad esso presupposti.
  2. In conclusione:

– l’appello principale risulta ricevibile e fondato;

– risultano altresì fondate le censure assorbite dal T.a.r e riproposte in questa sede, nei limiti sopra rilevati;

– per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, ne va confermato il dispositivo di annullamento, sulla base di una diversa motivazione.

La complessità delle questioni di causa suggerisce la compensazione delle spese dei due gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 6776 del 2021 e sui motivi di censura formulati in primo grado ed in questa sede riproposti, dispone come segue:

– accoglie l’appello delle Amministrazioni statali;

– accoglie, nei sensi di cui in motivazione, i motivi di censura formulati in primo grado ed in questa sede riproposti;

– per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, ne conferma il dispositivo di annullamento sulla base di una diversa motivazione.

Spese dei due gradi del giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2022 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere, Estensore

Nicola D’Angelo, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere

Michele Pizzi, Consigliere