Le cd. “Aree idonee” agli impianti FER: passaggio alla Direttiva RED III, legislazione italiana a confronto con la disciplina UE

Pubblicato il 23-01-2024
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A cura dell’Avv. Nicoletta Tradardi e Avv. Xavier Santiapichi

1. Passaggio alla Direttiva RED III: disciplina ed obiettivi

Il 31 ottobre 2023 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (G.U.U.E) la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 18/10/2023, n. 2023/2413/UE, detta anche Direttiva RED (Renewable Energies Directive) III, che modifica la Direttiva UE 2018/2001 relativa alla promozione dell’energia da fonti rinnovabili, nota come Direttiva RED II.

La Direttiva RED III è in vigore dal 20 novembre, ex art. 7, e dev’essere recepita dagli Stati Membri entro e non oltre il 21 maggio 2025. Inutile ricordare che la transizione energetica verso un modello sostenibile e decarbonizzato rappresenta una delle sfide più urgenti del nostro tempo.

In questo quadro, la produzione di energia da fonti rinnovabili (FER) riveste un ruolo fondamentale, in quanto consente di ridurre le emissioni di gas serra e di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico. Il dato di maggiore rilevanza della RED III è, appunto, l’innalzamento dei target di produzione della quota di energia da fonti rinnovabili al 42,5% entro il 2030. Il richiamo merita alcune precisazioni.

Anzitutto il dato va calcolato rispetto al “consumo finale lordo” di energia dell’Unione. Interessante ricordare che per il 2022 l’Italia – utilizzando i medesimi parametri di conteggio (consumo finale lordo) – raggiunge circa la metà dell’obiettivo comunitario (19% per il 2021 – dati ISTAT).

In realtà, nonostante le rilevanti aspettative conseguenti agli obiettivi PNIEC, poco si è fatto per “facilitare” la messa a terra di impianti FER i cui procedimenti amministrativi di autorizzazione soffrono, oggi più di ieri, di gravi rallentamenti.

Probabilmente la situazione è destinata a cambiare considerate le importanti risorse messe in campo dal PNRR. E tra queste “semplificazioni” una delle misure ad effetto più immediato è la questione delle cd. “aree idonee”; riferimento già noto al sistema normativo italiano ed oggi ridefinito dalla UE come “zone di accelerazione”. La Direttiva RED III interviene anche sulle procedure amministrative di rilascio delle autorizzazioni per impianti che producono fonti di energia rinnovabile, definiti “impianti F .E.R.”.

L’art. 15 della Direttiva RED II incentiva alla accelerazione e semplificazione delle procedure amministrative per il rilascio di licenze, concessioni ed autorizzazioni ad Impianti F .E.R. e che dovrebbero risultare meno gravose, mediante la fissazione di termini “prevedibili”.

Ai successivi artt. 16 – 16 bis la Direttiva RED II impone agli Stati Membri la durata non superiore a dodici mesi per le procedure di rilascio delle autorizzazioni per gli Impianti FER (non oltre due anni per progetti di energia rinnovabile offshore) e che entro (e non oltre) il 21/11/2025 tutte le procedure di rilascio delle autorizzazioni siano svolte in formato elettronico.

L’art. 16 ter della Direttiva RED II (così come modificata dalla Direttiva RED III) si occupa delle procedure di rilascio anche per quanto riguarda gli impianti FER situati al di fuori delle zone di accelerazione. La Direttiva RED II impone agli Stati Membri la durata non superiore a due anni per gli Impianti FER (non oltre tre anni per i progetti offshore).

Tornando alle zone di accelerazione, la RED III chiarisce che si tratta di luoghi o zone terrestri, marine o di acque interne designate da uno Stato Membro come “adatte” alla installazione di impianti FER. La norma obbliga gli Stati membri a designare le zone di accelerazione entro il 21 febbraio 2026, mediante uno o più piani e che stabiliscano discipline normative adeguate alle zone stesse, con una mappatura coordinata in vista della diffusione di energie rinnovabili (art. 15-ter Direttiva RED II).

Confrontando il regime comunitario con le disposizioni nazionali, le zone di accelerazione, dalla definizione di cui alla Direttiva RED II (come modificata dalla Direttiva RED III), sembrano rappresentare il genus delle c.d. “aree idonee” della legislazione italiana, che andiamo immediatamente ad approfondire.

 

2. “Aree idonee”: storia e punto della situazione.

Ricordiamo che le “aree idonee” sono delle zone nelle quali, sotto rilascio delle relative autorizzazioni da parte delle Autorità Competenti, possono essere installati e realizzati Impianti F .E.R., seppure nei limiti quantitativi – che siamo ben lontani da raggiungere – previsti dal PNIEC.

Inizialmente, i criteri di individuazione delle aree idonee erano normati dal DM 10/09/2010, attuativo dell’art. 12 D.lgs. 387/2003: il Decreto Ministeriale indicava alle Regioni e alle Province Autonome le modalità per l’individuazione di aree idonee (ed inidonee) tramite appositi regolamenti. A questo punto le strade si sono separate: da una parte le aree inidonee, rispetto alle quali molte regioni sono intervenute a livello talvolta legislativo e talvolta pianificatorio, con i PER (Piani energetici regionali). Volendo fare qualche esempio si può citare:

  • l’Emilia-Romagna, dove la Giunta Regionale con Delibera 13/02/2023, n. 214 ha richiesto l’approvazione all’Assemblea Legislativa (successivamente avvenuta con Delibera 23/05/2023 n. 125) per individuare le aree idonee all’installazione di impianti fotovoltaici;
  • il Piemonte che, con DGR 11/12/2020, n. 16-2568 ha disposto l’avvio al processo di individuazione delle aree inidonee;
  • la Sicilia, che con Decreto del Presidente della Regione n. 26 del 10/10/2017 ha delineato i criteri di individuazione delle aree inidonee (seppure con riferimento alla sola produzione da fonte eolica);
  • il Veneto, intervenuto con Piano Energetico Regionale (PEAR), Delibera del Consiglio regionale 09/02/2017 n. 6.

Rispetto, invece, alle aree idonee, l’art. 47 c.2 D.l. 13/2023 (convertito con legge dall’art. 1 c.1 legge 41/2023) abroga ogni disposizione in materia di aree contermini di cui alle linee guida approvate con decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 219 del 18 settembre 2010 e ai relativi provvedimenti applicativi a contenuto generale, incompatibile con il primo periodo e con l’articolo 12, comma 3-bis, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387.

Le sopramenzionate linee guida sono state superate dagli artt. 20 e ss. D.lgs. 199/2021, che altro non è che il decreto di attuazione della Direttiva RED II. L’art. 20 D.lgs. 199/2021 conferisce in capo al Ministero dell’Ambiente l’attuazione di uno o più decreti per l’individuazione di aree idonee per l’installazione di impianti F .E.R. da adottare entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo stesso.

Entro ulteriori 180 giorni, le Regioni, con propria legge, avrebbero dovuto individuare le già menzionate aree idonee. L’art. 21 D.lgs. 199/2021 prevede anche l’istituzione, con uno o più DM, da parte del Ministero dell’Ambiente di una piattaforma digitale per le aree idonee, gestita da GSE, da realizzarsi entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto. L’art. 20 D.lgs. 199/2021 è entrato in vigore il 22/04/2023.

Decorso il termine di 180 giorni, il Ministero dell’Ambiente ancora non ha adottato alcun DM che sostituisca quello del 10/09/2010, né tantomeno disposto l’istituzione di una piattaforma digitale per le aree idonee.

Evidentemente consapevole dei possibili ritardi nell’emissione del DM, il precedente Governo, in conseguenza della crisi energetica del 2021/2022, ha individuato delle zone territoriali nell’ambito delle quali si dovrebbe assistere ad una forte semplificazione (artt. 20 e seguenti del D.lgs. 199/2021 come smi, art. 12 D.L. 01/03/2022, n. 17, art. 7- sexies D.L. 21/03/2022, n. 21 e dell’art. 6 del D.L. 17/05/2022, n. 50).

Per gli impianti di maggiori dimensioni, dalle disposizioni indicate emerge che il primo step della VIA, la verifica di compatibilità a livello programmatico e pianificatorio, è già stata superata. Il passaggio sembra poca cosa, eppure non è così.

Colui che esprime valutazioni ambientali il primo passaggio che compie è sempre quello di valutarne la compatibilità localizzativa. Si tratta quindi di una (parziale) valutazione di compatibilità ambientale ex ante, con la quale il legislatore ha ritenuto che il livello di antropizzazione di queste aree e/o la loro scarsa sensibilità ecosistemica ne consenta a priori lo sfruttamento.

Queste aree sono (con la numerazione utilizzata dal legislatore):

a) i siti ove sono già installati impianti della stessa fonte e in cui vengono realizzati interventi di modifica, anche sostanziale, per rifacimento, potenziamento o integrale ricostruzione, eventualmente abbinati a sistemi di accumulo, che non comportino una variazione dell’area occupata superiore al 20 per cento. Il limite percentuale di cui al primo periodo non si applica per gli impianti fotovoltaici, in relazione ai quali la variazione dell’area occupata è soggetta al limite di cui alla successiva lettera c-ter), numero 1);

b) le aree dei siti oggetto di bonifica individuate ai sensi del Titolo V, Parte quarta, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;

c) le cave e miniere cessate, non recuperate o abbandonate o in condizioni di degrado ambientale, o le porzioni di cave e miniere non suscettibili di ulteriore sfruttamento;

c-bis) i siti e gli impianti nelle disponibilità delle società del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e dei gestori di infrastrutture ferroviarie nonché delle società concessionarie autostradali;

c-bis.1) i siti e gli impianti nella disponibilità delle società di gestione aeroportuale all’interno dei sedimi aeroportuali, ivi inclusi quelli all’interno del perimetro di pertinenza degli aeroporti delle isole minori di cui all’allegato 1 al decreto del Ministro dello sviluppo economico 14 febbraio 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 114 del 18 maggio 2017, ferme restando le necessarie verifiche tecniche da parte dell’Ente nazionale per l’aviazione civile (ENAC);

c-ter) esclusivamente per gli impianti fotovoltaici, anche con moduli a terra, e per gli impianti di produzione di biometano, in assenza di vincoli ai sensi della parte seconda del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42:

1) le aree classificate agricole, racchiuse in un perimetro i cui punti distino non più di 500 metri da zone a destinazione industriale, artigianale e commerciale, compresi i siti di interesse nazionale, nonché le cave e le miniere;

2) le aree interne agli impianti industriali e agli stabilimenti, questi ultimi come definiti dall’articolo 268, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nonché le aree classificate agricole racchiuse in un perimetro i cui punti distino non più di 500 metri dal medesimo impianto o stabilimento;

3) le aree adiacenti alla rete autostradale entro una distanza non superiore a 300 metri; c-quater) fatto salvo quanto previsto alle lettere a), b), c), c-bis) e c-ter), le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, incluse le zone gravate da usi civici di cui all’articolo 142, comma 1, lettera h), del medesimo decreto, né ricadono nella fascia di rispetto dei beni sottoposti a tutela ai sensi della parte seconda oppure dell’articolo 136 del medesimo decreto legislativo.

Ai soli fini della presente lettera, la fascia di rispetto è determinata considerando una distanza dal perimetro di beni sottoposti a tutela di tre chilometri per gli impianti eolici e di cinquecento metri per gli impianti fotovoltaici.

Resta ferma, nei procedimenti autorizzatori, la competenza del Ministero della cultura a esprimersi in relazione ai soli progetti localizzati in aree sottoposte a tutela secondo quanto previsto all’articolo 12, comma 3-bis, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 38. Nel merito, le aree idonee non rientrano nel perimetro di beni sottoposti a vincoli culturali e paesaggistici, imponendo una zona buffer (cuscinetto) tra il bene tutelato e gli impianti.

Inoltre, prevedono che la disciplina autorizzatoria si applica alle infrastrutture elettriche di connessione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e a quelle necessarie per lo sviluppo della rete elettrica nazionale, laddove ricadano su aree idonee e purché strettamente funzionali all’incremento dell’energia producibile da fonti rinnovabili. Le disposizioni riportate chiariscono che le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell’ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee (co. 7, art. 2° D.lgs. 199/2021, nel testo mod. ed int.).

Insomma, il non essere inserito in una di queste aree non implica che l’area stessa sia inidonea: sarà necessario fare una valutazione puntuale – in ambito VIA – della sua effettiva utilizzabilità. A livello procedimentale, va detto che in questo periodo, in attesa del DM MASE, le Regioni sono andate in ordine sparso: talvolta definendo un quadro normativo più chiaro (il caso della Provincia di Trento, Legge provinciale 2 maggio 2022, n. 4, che ha anche superato il vaglio della Corte Costituzionale: dec. 58/2023), talaltra con un approccio più restrittivo per quanto concerne – ad esempio – gli impianti fotovoltaici, ritenendo invece possibile l’installazione di impianti agro voltaici in quelle aree considerate inidonee per i primi tipi di impianti (per esempio in Piemonte – DGR 31/07/2023, n. 58-7356, in Puglia – DGR 17/07/2023, n. 997 ovvero nel Lazio – DGR 16/11/2021, n. 782).

 

3. Schema di decreto aree idonee

Il 13 luglio 2023 il Ministero dell’Ambiente ha consegnato lo schema di decreto per l’individuazione delle aree idonee in Conferenza Unificata delle Regioni.

Lo schema prevede anche un aggiornamento dell’allegato III del DM 10/09/2010 con riferimento all’individuazione delle aree inidonee ad ospitare Impianti F .E.R. e disciplina particolari disposizioni in materia di impianti agrovoltaici, che, da recente pronuncia del Consiglio di Stato [1], non risulterebbero assimilabili agli impianti fotovoltaici.

Questo alla luce del fatto che gli impianti agrovoltaici hanno caratteristiche tecnologiche tali da non renderli assoggettabili ai limiti previsti per gli impianti fotovoltaici. Pertanto, i limiti e le aree inidonee di cui al DM 10/09/2010 non sono applicabili agli impianti agrovoltaici.

Sia detto per inciso: lo schema di DM del 13/07/2023 non interviene sulle procedure di rilascio dei titoli autorizzatori e neppure prevede il termine (RED III: non superiore a dodici mesi) per il rilascio delle autorizzazioni per le installazioni di Impianti F .E.R.

Il decreto individua la ripartizione fra le Regioni e le Province autonome dell’obiettivo nazionale al 2030 di una potenza aggiuntiva pari a 80 GW da fonti rinnovabili e stabilisce criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili funzionali al raggiungimento dei suddetti obiettivi. Procede poi a definire gli obiettivi minimi, intermedi e finali, da generare dal 2023 al 2030 per ciascuna Regione e Provincia autonoma:

  • in testa la Sicilia che dovrà installare 10,3 GW,
  • la Lombardia con 8,6 GW, › la Puglia con 7,2 GW,
  • l’Emilia-Romagna e la Sardegna entrambe con 6,2 GW a testa,
  • la T oscana 4,2 GW,
  • la Calabria 3,1 GW,
  • il Veneto circa 5,7 GW,
  • il Lazio 4,7 GW.

La stessa proposta interviene poi disciplinando il comparto agricolo. Il DM prevede una percentuale massima di sfruttamento della Superficie Agricola Utilizzata (SAU) non inferiore ai valori indicati dalla T abella A di cui all’allegato I, colonna A e non superiore a quelli indicati nella medesima tabella alla colonna B. Riportiamo alcuni esempi:

  • la Sicilia ha una percentuale minima di sfruttamento della SAU dello 0,40% e la percentuale massima allo 0,55%,
  • la Lombardia ha una percentuale minima di sfruttamento della SAU dello 0,48% e la percentuale massima allo 0,68%,
  • la Puglia ha una percentuale minima di sfruttamento della SAU dello 0,64% e la percentuale massima allo 0,80%,
  • l’Emilia – Romagna ha una percentuale minima di sfruttamento della SAU dello 0,50% e la percentuale massima allo 0,67%,
  • la T oscana ha una percentuale minima di sfruttamento della SAU dello 0,39% e la percentuale massima allo 0,54%,
  • la Calabria ha una percentuale minima di sfruttamento della SAU dello 0,39% e la percentuale massima allo 0,55%,
  • il Veneto ha una percentuale minima di sfruttamento della SAU dello 0,52% e la percentuale massima allo 0,72%,
  • il Lazio ha una percentuale minima di sfruttamento della SAU dello 0,62% e la percentuale massima allo 0,81%.

Il modello di riparto previsto – con un minimo ed un massimo di aree agricole da sfruttare a fini FER – è stato largamente contestato dalle associazioni di categoria ed in realtà risulterebbe superato dal nuovo testo non ancora approvato.

 

4. Conclusioni: zone di accelerazione ed aree idonee. Elementi di convergenza e divergenza

Alla luce di quanto riportato, possiamo delineare le seguenti conclusioni. Nell’ordinamento nazionale, nonostante la bozza di DM, de facto non risulta l’adozione di alcun decreto che individui le aree idonee, né tantomeno l’istituzione di una piattaforma digitale per le stesse.

In realtà, tuttavia, il legislatore ha già individuato vaste aree del territorio nazionale che, considerato il loro livello di antropizzazione e/o la loro scarsa rilevanza ambientale, devono considerarsi ex se idonee alla localizzazione di impianti FER. Il successivo decreto MASE non solo riporterà queste porzioni di territorio, magari spiegando meglio i criteri localizzativi, ma ne aggiungerà altre. Il seguito della storia saranno le disposizioni regionali attuative di questi parametri.

A questo punto si innesta la RED III: è possibile – anche probabile – che in sede di attuazione sarà definito – per gli impianti di maggiori dimensioni sottoposti a VIA – un termine massimo di rilascio dei titoli autorizzatori che, almeno per le aree idonee (zone di accelerazione), non potrà essere superato.

E sarà interessante leggere come l’intervento normativo interverrà: se con il meccanismo già attualmente vigente del “silenzio-rifiuto”, ovvero imponendo il “silenzio assenso”, rompendo definitivamente il dogma dell’insuperabilità della valutazione caso-per-caso in materia ambientale.

Ricordiamo che oggi, in forza dell’ultimo comma dell’art. 25 del Testo Unico Ambientale che richiama la 241/90, (in realtà il richiamo non servirebbe), la decorrenza dei termini massimi di rilascio delle autorizzazioni ambientali per gli impianti di maggiori dimensioni produce (i) una responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente; (ii) l’onere del MASE di restituire quota parte di quanto versato a titolo di oneri istruttori in sede di presentazione del progetti e (iii) rispetto all’interesse del Proponente, il risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

Con i correttivi. o le conseguenze, appena descritte si tratta pur sempre di un silenzio- rifiuto, mai di silenzio assenso: da ultimo il Consiglio di Stato Sez. II n. 4698 del 22 luglio 2020 ha osservato che: “… il contrasto tra la previsione normativa del silenzio assenso ed i principi comunitari, che impongono l’esplicitazione delle ragioni della compatibilità ambientale del progetto, costituisce acquisizione ormai costante della giurisprudenza nazionale, non mancandosi di rimarcare che anche la normativa generale nazionale sul procedimento amministrativo (contenente normativa di principio sul punto) afferma che le disposizioni sul silenzio assenso non si applicano agli atti ed ai procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale”.