In ipotesi di fallimento, spetta alla curatela procedere agli oneri di rimozione e smaltimento dei rifiuti

Pubblicato il 6-02-2021
Condividi

Il principio è stato affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3 del 26 gennaio 2021.

A cura di Nicoletta Tradardi.

Il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, con la sentenza n. 3 del 26 gennaio 2021, in riferimento agli oneri di smaltimento dei rifiuti per il caso di fallimento, ha enunciato il seguente principio di diritto: “ricade sulla curatela fallimentare l’onere di ripristino e di smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 192 d.lgs. n. 152-2006 e i relativi costi gravano sulla massa fallimentare”.

La pronuncia in esame ha premesso che va esclusa una responsabilità del curatore fallimentare quale avente causa del fallito nel trattamento dei rifiuti (salvo, chiaramente, il caso in cui la produzione dei rifiuti sia riconducibile all’attività del curatore), poiché con il fallimento non si verifica sotto tale profilo un fenomeno successorio.

Occorre, piuttosto, domandarsi se a seguito della dichiarazione di fallimento, perdano di giuridica rilevanza gli obblighi cui era tenuta la società fallita, ai sensi dell’art. 192 d.lgs. 152/2006 smi.

Il richiamato art. 192 così dispone:

  1. L’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati.
  2. E’ altresì vietata l’immissione di rifiuti di qualsiasi genere, allo stato solido o liquido, nelle acque superficiali e sotterranee.
  3. Fatta salva l’applicazione della sanzioni di cui agli articoli 255 e 256, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.
  4. Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni”.

Secondo l’Adunanza Plenaria, il Curatore fallimentare è legittimato passivamente ad eseguire l’ordine di rimozione, attesa la sua qualità di detentore non dei rifiuti, ma del bene immobile inquinato su cui essi insistono. Infatti, il curatore prende in consegna i beni del fallito, contestualmente alla redazione dell’inventario dei beni, (artt. 87 ed 88 L.F.).

Nel diritto comunitario, in applicazione dei principi di prevenzione e di responsabilità, l’obbligo di rimozione dei rifiuti è ascrivibile al soggetto che abbia la disponibilità materiale del bene sul quale sono collocati i rifiuti. Nel diritto comunitario non sono rilevanti le nozioni nazionali sulla distinzione tra il possesso e la detenzione. Il diritto comunitario, infatti, definisce il detentore, in contrapposizione al produttore, come la persona fisica o giuridica che è in possesso dei rifiuti.

Il detentore è, quindi, individuato in colui che si trovi in un rapporto gestorio con il bene, inteso anche come ‘amministrazione del patrimonio altrui’. Per le finalità perseguite dal diritto comunitario è sufficiente distinguere il soggetto che ha prodotto i rifiuti dal soggetto che ne abbia materialmente acquisito la detenzione o la disponibilità giuridica, senza necessità di indagare sulla natura del titolo giuridico sottostante.

In applicazione del principio comunitario “chi inquina paga”, per la disciplina comunitaria i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o ancora dai detentori precedenti dei rifiuti, per cui solo chi non è detentore, (il proprietario incolpevole) può invocare la cd. ‘esimente interna’ prevista dall’art. 192, co. 3, del d.lgs. n. 152 del 2006.

Ebbene, la curatela fallimentare, avendo la custodia dei beni del fallito, anche quando non ne prosegue l’attività imprenditoriale, nella sua qualità di detentore dei rifiuti, secondo sia il diritto interno, sia quello comunitario (quale gestore dei beni immobili inquinati), è obbligata a metterli in sicurezza e a rimuoverli, avviandoli allo smaltimento o al recupero.

I rifiuti costituiscono “diseconomie esterne”, generate dall’attività di impresa (cd. “esternalità negative di produzione”) e per tale ragione i costi derivanti da tali esternalità di impresa debbono ricadere sulla massa dei creditori dell’imprenditore stesso che, per contro, beneficiano degli effetti della curatela fallimentare, in termini di ripartizione degli eventuali utili del fallimento.

Diversamente opinando i costi dello smaltimento (e dell’eventuale bonifica) ricadrebbero sulla collettività incolpevole, in contrasto sia con il principio comunitario “chi inquina paga”, sia con il fatto che massa fallimentare di cui il curatore ha la responsabilità si pone, sotto il profilo economico, in continuità con il patrimonio dell’imprenditore.

L’eventuale incapienza del fallimento si atteggia come una mera ipotesi di fatto. Ove si verifichi tale circostanza, osserva la pronuncia, si attiveranno gli strumenti ordinari azionabili qualora il soggetto obbligato non provveda per mancanza di idonee risorse. In particolare, qualora il Comune intervenga direttamente, esercitando le funzioni inerenti all’eliminazione del pericolo ambientale, potrà poi insinuare le spese sostenute per gli interventi nel fallimento, (privilegio speciale ex art. 253, co. 2, d.lgs. n. 152-2006).

La sentenza esclude anche la possibilità, per il Curatore, di avvalersi della facoltà prevista dall’art. 43 co. 3 L.F., rinunciando ad acquisire il fondo su cui grava un eventuale onere di bonifica. La richiamata norma così dispone: “il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può rinunciare ad acquisire i beni che pervengono al fallito durante la procedura fallimentare qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi”.

Tale disposizione riguarda la gestione della procedura fallimentare e non incide sul rapporto amministrativo e sugli anzidetti principi in materia di gestione dei rifiuti; inoltre, la norma si riferisce ai beni che entrano a diverso titolo nel patrimonio dell’imprenditore dopo la dichiarazione di fallimento e che sono oggetto di spossessamento. Infine, la disposizione comporta che, a seguito della rinuncia del creditore, l’imprenditore stesso gestisca i medesimi beni che restano suoi e comunque non si applica ai casi in cui il bene, cioè l’immobile inquinato, risulti di proprietà dell’imprenditore al momento della dichiarazione del fallimento.

La sentenza segnala che la normativa in materia di gestione dei rifiuti, ed in particolare quella afferente la bonifica dei siti inquinati, ha una finalità di salvaguardia del bene-ambiente rispetto ad ogni evento di pericolo o danno, ed è assente ogni matrice di sanzione dell’autore. La bonifica costituisce uno strumento pubblicistico teso a consentire il recupero materiale del bene. In questi termini, la disciplina comunitaria, configura la responsabilità ambientale come una responsabilità oggettiva.

A tal fine, l’Adunanza Plenaria richiama «la giurisprudenza comunitaria, da ultimo espressa con la sentenza della Corte di giustizia UE, sez. II, 13 luglio 2017, C-129/16, Ungheria c. Commissione europea secondo cui: “Le disposizioni della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, lette alla luce degli articoli 191 e 193 TFUE devono essere interpretate nel senso che, .. esse non ostano a una normativa nazionale che identifica, oltre agli utilizzatori dei fondi su cui è stato generato l’inquinamento illecito, un’altra categoria di persone solidamente responsabili di un tale danno ambientale, ossia i proprietari di detti fondi, senza che occorra accertare l’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta dei proprietari e il danno constatato, ….»

Sulla base dei richiamati principi, l’Adunanza Plenaria nella pronuncia che si annota, conclude che la responsabilità della curatela fallimentare. nell’eseguire lo smaltimento dei rifiuti situati sui terreni (e la bonifica degli stessi), di cui acquisisce la detenzione per effetto dell’inventario fallimentare dei beni, ex artt. 87 e ss. L.F., può prescindere dall’accertamento dell’esistenza di un nesso di causalità tra la condotta e il danno constatato.

Files

Leggi la sentenza completa (pdf).