Regione Lazio, Condono Edilizio: È legittima la disciplina regionale che prevede la non condonabilità dell’opera abusiva in caso di vincolo sopravvenuto

Pubblicato il 6-08-2021
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Con la sentenza n. 181 del 30 luglio 2021, la Corte Costituzionale ha deciso la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lazio 8 novembre 2004, n. 12 (Disposizioni in materia di definizione di illeciti edilizi), in riferimento agli artt. 3, 42, 97, 103 e 113 della Costituzione, sollevata dal Tar Lazio  Roma, con ordinanza del 20 dicembre 2019, iscritta al n. 45 del registro ordinanze 2020.

Passaggi più significativi della sentenza (Corte Costituzionale)

La scelta del legislatore regionale del Lazio, il quale, prevedendo che anche il vincolo sopravvenuto determini la non condonabilità dell’opera abusiva (art. 3, comma 1, lettera b, legge reg. Lazio n. 12 del 2004), ha adottato un regime certamente più restrittivo di quello previsto dalla normativa statale. Quest’ultima non dispone, infatti, la non condonabilità in caso di vincolo sopravvenuto. In particolare, da una parte, l’art. 32 della legge n. 47 del 1985, nel testo oggi vigente, prevede, per le opere costruite su aree sottoposte a vincolo, che «il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria […] è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso» (comma 1); e che «le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione» «[s]ono suscettibili di sanatoria» in presenza di determinate condizioni, indicate nel comma 2 del medesimo art. 32.

Dall’altra parte, l’art. 33 della legge n. 47 del 1985, nel testo oggi vigente, stabilisce che «non sono suscettibili di sanatoria» le opere che siano in contrasto con vincoli posti «a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici», «qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse».

A sua volta, la stessa normativa relativa al terzo condono prevede, all’art. 32, comma 27, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, che «le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora: […] d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli […] qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici».

Il legislatore regionale del Lazio, assegnando ai vincoli sopravvenuti l’effetto di rendere non condonabile l’opera abusiva, ha introdotto dunque una condizione ostativa ulteriore rispetto a quelle previste dalla normativa statale susseguitasi nel tempo.

Pur sottolineando tale aspetto e del pari riconoscendo che i richiedenti la sanatoria non possono nutrire «alcun legittimo affidamento», il giudice a quo ritiene nondimeno che la norma censurata oltrepassi il limite costituito dal principio di certezza del diritto, «da ritenersi sotteso alla clausola generale di ragionevolezza […], oltre che al principio di buon andamento della P.A.», e al tempo stesso comprima irragionevolmente il diritto di proprietà degli istanti il condono. Benché per essi non si possa configurare un vero e proprio legittimo affidamento, i proprietari subirebbero in particolare una lesione, perché l’eventuale accoglimento dell’istanza dipenderebbe dai tempi impiegati dall’amministrazione comunale chiamata a valutarla, con la conseguenza che, in caso di eccessivi ritardi e qualora sopravvenissero vincoli ostativi al condono, il privato subirebbe un vulnus al diritto di proprietà; ciò inciderebbe, inoltre, sul principio di buon andamento delle pubbliche amministrazioni che sarebbe sottoposto a una grave torsione.

Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera b), legge reg. Lazio n. 12 del 2004, sollevate in riferimento agli artt. 3, 42 e 97 Cost., non sono fondate.

Innanzitutto, la lamentata violazione del principio di certezza del diritto e di parità di trattamento, in ragione della diversa tempistica nella decisione delle domande di condono da parte delle amministrazioni competenti, non costituisce di per sé un valido motivo per escludere la conformità a Costituzione della norma censurata. L’ordinamento appresta strumenti di sollecitazione e, se del caso, di sostituzione dell’amministrazione inerte, idonei in particolare a tutelare il cittadino contro ritardi ingiustificati o addirittura strumentali. Ai rimedi di carattere procedimentale si aggiungono quelli di carattere sostanziale diretti a far valere la responsabilità dell’amministrazione per l’intempestività della sua azione.

Il tenore del censurato art. 3, comma 1, lettera b), della legge reg. Lazio n. 12 del 2004 è chiaro nell’escludere dalla sanatoria le opere abusive realizzate «anche prima della apposizione del vincolo». Il dato non è irrilevante nella valutazione della ragionevolezza complessiva della soluzione adottata con la disposizione censurata. Esso infatti – anche al di là della generale impossibilità di riconoscere, di per sé, un legittimo affidamento in capo a chi versi, non incolpevolmente, in una situazione antigiuridica, qual è quella della realizzazione di un’opera edilizia abusiva (tra le tante, Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 17 ottobre 2017, n. 9) – esclude la configurabilità di un qualsivoglia affidamento del proprietario che, già nel momento in cui ha presentato la domanda di condono, era a conoscenza del quadro normativo regionale e quindi dell’alea connessa all’eventualità di una possibile successiva apposizione di un vincolo sull’area di insistenza dell’opera abusiva.

Il legislatore regionale, infatti – evidentemente consapevole del fatto che le condizioni più restrittive introdotte avrebbero potuto pregiudicare chi avesse già presentato la domanda di condono riponendo affidamento nel diverso regime stabilito dalla legge statale – ha espressamente previsto la possibilità, per chi avesse proposto l’istanza prima dell’entrata in vigore della legge regionale, di rinunciarvi, inviando al comune apposito atto entro il 30 novembre 2004 (art. 10, comma 3).

In conclusione, introducendo un regime più rigoroso di quello disegnato dalla normativa statale, il legislatore regionale del Lazio non ha oltrepassato il limite costituito dal principio di ragionevolezza. Per un verso, infatti, la possibile sopravvenienza di vincoli ostativi alla concessione del condono risulta espressamente prevista dalla disposizione censurata, ciò che ne esclude la lamentata assoluta imprevedibilità. Per altro verso, il regime più restrittivo introdotto dalla legge regionale ha come obiettivo la tutela di valori che presentano precipuo rilievo costituzionale, quali quelli paesaggistici, ambientali, idrogeologici e archeologici, sicché non è irragionevole che il legislatore regionale, nel bilanciare gli interessi in gioco, abbia scelto di proteggerli maggiormente, restringendo l’ambito applicativo del condono statale, sempre restando nel limite delle sue attribuzioni.

La Corte Costituzionale ha, quindi, dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera b), della legge reg. Lazio n. 12 del 2004, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 42 e 97 Cost..

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