VAS e piani attuativi: il TAR Lazio fa chiarezza

Pubblicato il 8-04-2022
Condividi

A cura di Nicoletta Tradardi

Per i piani attuativi e’ necessaria la verifica di assoggettabilità a VAS, salvo che si tratti di piani attuativi di piani sovraordinati già sottoposti a VAS il principio è stato affermato dal TAR Lazio con la sentenza n. 3798 del 1 aprile 2022.

Il TAR del Lazio, Roma, sez. II quater, con la recentissima sentenza n- 3798 del 1 aprile 2022, fa chiarezza in ordine alla necessità di assoggettare a procedura di (verifica di assoggettabilità a) VAS il piano attuativo, pur conforme allo strumento urbanistico generale, qualora quest’ultimo non sia stato assoggettato a VAS.

Attraverso un’articolata ricostruzione delle norme di riferimento, la sentenza ha espresso i seguenti principi:

  • Il piano attuativo ricade nella definizione di cui all’articolo 6, comma 2, lett. a) e comma 3 del d.lgs. n. 152/2006 smi: esso è un atto di pianificazione territoriale concernente l’uso di piccole aree a livello locale, per il quale è necessario procedere alla verifica di assoggettabilità a VAS (c.d screening) di cui al successivo art. 12.
  • Conseguentemente, la procedura di screening è necessaria per qualunque pianificazione attuativa, a nulla rilevando che il piano attuativo sia conforme alla disciplina del PRG, perché questa rispondenza attiene al livello urbanistico e non a quello ambientale, salva l’ipotesi in cui il piano sovraordinato sia stato già assoggettato a procedura di VAS.
  • Infatti, l’art. 16 della l. n. 1150/1942 smi, a seguito della novella apportata con l’art. 5 co. 8 del d.l. n. 70 del 2011, prescrive ora che i piani urbanistici attuativi non sono sottoposti a (verifica di assoggettabilità a) VAS, qualora non comportino variante urbanistica, purché il piano urbanistico sovraordinato, di cui i primi costituiscono attuazione, sia già stato oggetto di VAS. Questa norma ha una natura derogatoria rispetto al richiamato principio generale e persegue un obiettivo di semplificazione, che è, però, circoscritto alla sola ipotesi in cui si tratti di un piano di attuazione di un piano urbanistico di livello superiore già sottoposto a VAS, poiché in tal caso – se il piano attuativo è conforme – l’impatto sull’ambiente è già stato valutato attraverso la procedura inerente il piano generale, per cui reiterare la VAS in presenza di disposizioni meramente attuative costituirebbe una duplicazione.
  • L’art. 7 co. 2 del d.lgs. n. 152/2006 smi dispone che “sono assoggettati a VAS secondo le disposizioni di legge regionali, i piani e programmi di cui all’articolo 6, commi da 1 a 4, la cui approvazione compete alle regioni e province autonome o agli enti locali”. Rispetto a tale disposizione, va precisato che la disciplina dei casi in cui è richiesta la VAS afferisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117 co. 2 lett. s Cost.), per cui alla legislazione regionale è concesso soltanto di disciplinare la fase procedimentale e, al più, di implementare lo standard di tutela, ma in nessun caso di ridurlo, sottraendo a VAS piani e programmi che, invece, vi ricadono in base alla competente legislazione statale. L’art. 16 l. n. 1150/1942 smi si riferisce proprio ai piani attuativi di competenza dell’ente locale e della regione, dettando per essi le specifiche previsioni derogatorie sopra richiamate.

La sentenza va apprezzata perché interviene su una materia discussa, facendo il punto con chiarezza.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

MINISTERO

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3737 del 2011, proposto da
Soc Mantarius S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Loredana Fiore, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Buonarroti, 40;

CONTRO

Ministero per i Beni e Le Attivita’ Culturali, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per Le Provincie di Rm Fr Lt Ri Vt, non costituiti in giudizio;
Soprintendenza per i Beni Archeologici per L’Etruria Meridionale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Elisa Caprio, domiciliataria ex lege in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
Comune di San Lorenzo Nuovo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Xavier Santiapichi, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Antonio Bertoloni, 44/46;

sul ricorso numero di registro generale 7176 del 2011, proposto da
Soc Mantarius S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pasquale Brancaccio, Loredana Fiore, con domicilio eletto presso lo studio Loredana Fiore in Roma, via Buonarroti, 40;

CONTRO

Ministero per i Beni e Le Attivita’ Culturali, Soprintendenza dei Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per Le Province di Roma Frosinone Rieti Latina Viterbo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di San Lorenzo Nuovo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Xavier Santiapichi, Nicoletta Tradardi, con domicilio eletto presso lo studio Xavier Santiapichi in Roma, via Antonio Bertoloni, 44/46;
Regione Lazio, non costituito in giudizio;

NEI CONFRONTI

Giorgio Bianchi, non costituito in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 9524 del 2011, proposto da
Soc Mantarius S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pasquale Di Rienzo, Paolo Stella Richter, con domicilio eletto presso lo studio Paolo Stella Richter in Roma, v.le G. Mazzini, 11;

CONTRO

Comune di San Lorenzo Nuovo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Xavier Santiapichi, con domicilio eletto presso lo studio Xavier Santiapichi in Roma, via Antonio Bertoloni, 44/46;
Regione Lazio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Elisa Caprio, con domicilio eletto presso lo studio Elisa Caprio in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
Provincia di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanna Albanese, con domicilio eletto presso lo studio Giovanna Albanese in Roma, via IV Novembre, 119/A;
Ministero per i Beni e Le Attivita’ Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Soprintendenza Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale, Soprintendenza Beni Architettonici e Paesaggistici Provincie Roma Fr Lt Ri Vt, non costituiti in giudizio;
Provincia di Viterbo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Maria Teresa Stringola, con domicilio eletto presso lo studio Roberto Venettoni in Roma, via Cesare Fracassini, 18;

NEI CONFRONTI

Silvia Breccola, Carlo Grossi, Giulio Foranoce, non costituiti in giudizio;

PER L’ANNULLAMENTO

quanto al ricorso n. 3737 del 2011:

– della nota prot. MBAC-SBA-EM n. 1852 del 23.02.2011 del Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale;

– della nota prot. MBAC-SBA-EM n. 655 del 25.01.2011 del Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale;

– della nota prot. MBAC-SBA-EM n. 804 del 29.01.2010 del Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale;

– della perimetrazione adottata nella cartografia approvata dalla Regione Lazio con nota prot. 185764 del 9.8.2010;

– degli atti presupposti, connessi e consequenziali,

e per la condanna

delle Amministrazioni convenute al risarcimento dei danni..

quanto al ricorso n. 7176 del 2011:

della nota del comune 10 maggio 2011, con risarcimento danni.

quanto al ricorso n. 9524 del 2011:

delle delibere 9 giugno 2011; 31 dicembre 2011; 13 novembre 2012; e delle ulteriori delibere aventi ad oggetto l’adozione del p.u.c.g.., con risarcimento danni

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Soprintendenza per i Beni Archeologici per L’Etruria Meridionale e di Regione Lazio e di Comune di San Lorenzo Nuovo e di Ministero per i Beni e Le Attivita’ Culturali e di Soprintendenza dei Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale e di Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per Le Province di Roma Frosinone Rieti Latina Viterbo e di Comune di San Lorenzo Nuovo e di Comune di San Lorenzo Nuovo e di Regione Lazio e di Provincia di Roma e di Ministero per i Beni e Le Attivita’ Culturali e di Provincia di Viterbo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 marzo 2022 il dott. Marco Bignami e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1.E’ sottoposta all’attenzione del Tribunale una complessa vicenda urbanistica, attinente alla approvazione del piano attuativo presentato dalla ricorrente, al fine di realizzare, in conformità al PRG del 2009 del Comune di San Lorenzo Nuovo, un complesso turistico-residenziale in località Torano, comparto Kn9.

La prima domanda in tal senso è stata presentata dalla ricorrente, nella qualità di proprietaria dell’area, in data 11 gennaio 2010, sul presupposto, tra l’altro, che il territorio fosse libero da vincoli archeologici.

Benché, infatti, il certificato di destinazione urbanistica desse conto di un vincolo (per una porzione del fondo pari, secondo la ricorrente, a circa il 5%), esso non era stato indicato nella tavola B foglio 333 del PTPR adottato dalla Regione Lazio nel 2007, sicché, sempre nella prospettiva della ricorrente, il vincolo sarebbe stato “stralciato”.

Tuttavia, la soprintendenza competente, ritenendo che si fosse in presenza di un mero errore materiale nella cartografia del PTPR, aveva sollecitato la Regione, con nota del 29 gennaio 2010, a correggere tale errore, ciò che quest’ultima ha provveduto a fare con atto del 9 agosto 2010.

Senonché, nel perimetrare nuovamente l’area vincolata, la Regione sarebbe incorsa in un secondo, macroscopico errore materiale, poiché il vincolo sarebbe stato esteso nella sostanza all’intero fondo, anziché al solo tratto del 5% al quale esso si sarebbe legittimamente riferito.

Tale circostanza ha comportato un duplice parere negativo quanto alla approvazione del piano attuativo da parte della soprintendenza, fondato sul presupposto che esso avrebbe inciso su una vasta area, quasi integralmente soggetta a vincolo: si tratta dei pareri del 25 gennaio 2011 e del successivo 23 febbraio.

Con un primo ricorso (RG n. 3737 del 2011), la ricorrente ha impugnato tali pareri, in quanto ostativi all’accoglimento della domanda di approvazione del piano, nonché la nota con cui la soprintendenza ha sollecitato la correzione dell’errore materiale contenuto nella cartografia, e l’atto con cui la Regione sarebbe incorsa in un nuovo errore nel procedere a perimetrare nuovamente il vincolo. Con domanda risarcitoria.

  1. Con sentenza parziale n. 6567 del 2012, questo Tribunale ha rigettato uno dei motivi di ricorsi, e ha disposto istruttoria.

Quest’ultima ha confermato la sussistenza dell’errore materiale commesso dalla Regione con l’atto del 9 agosto 2010, dando atto che con nota del 7 luglio 2011 la soprintendenza ha comunicato definitivamente alla Regione stessa il corretto posizionamento cartografico del vincolo, a seguito di una prima nota del 12 aprile.

Già in precedenza, tuttavia, la ricorrente aveva provveduto il 14 marzo 2011 a presentare un nuovo piano attuativo, con stralcio dell’area comunque soggetta al vincolo.

Il Comune ha adottato a questo punto la nota del 10 maggio 2011, impugnata con un secondo ricorso (RG n. 7176 del 2011), con la quale si è rilevato che il procedimento relativo al piano non avrebbe potuto essere concluso, senza il preventivo esaurimento di fasi preliminari, tra le quali, per quanto rileva oggi in causa, la verifica di assoggettabilità a valutazione ambientale strategica (VAS).

La ricorrente ha chiesto l’annullamento di tale nota, contestando la legittimità di ogni profilo di essa, inclusa la parte dispositiva relativa alla VAS, reiterando la domanda risarcitoria.

  1. Nelle more dei giudizi di cui si è dato conto, tuttavia, il Comune ha avviato il procedimento per approvare un nuovo piano urbanistico generale (PUGC), nel quale all’area della ricorrente veniva sottratta la destinazione turistica che avrebbe consentito l’approvazione del piano attuativo, per convogliarla verso altra parte del territorio comunale.

L’iter di tale procedimento è stato segnato: a) da una prima delibera del consiglio comunale del 9 giugno 2011, impugnata con il ricorso RG n. 9524 del 2011; b) da una seconda delibera del 31 dicembre 2011, con la quale il consiglio ha rettificato presunti errori materiali contenuti nella prima delibera, impugnata con i primi motivi aggiunti; c) da una terza delibera del 13 novembre 2012, con la quale il Comune ha “abrogato” la prima delibera di approvazione del PUGG e ha provveduto ad adottare un nuovo piano, impugnata con i secondi motivi aggiunti; d) da una quarta e una quinta delibera di perfezionamento dell’iter, impugnata con i terzi motivi aggiunti.

Nella sostanza, la ricorrente reputa arbitraria la traslazione dell’area a vocazione turistica, ritenendo che essa sia stata deliberata dal consiglio, nonostante il conflitto di interessi di alcuni dei suoi componenti, posto che i nuovi fondi che sono venuti a beneficiare dell’azzonamento sarebbero stati di proprietà di parenti ed affini di questi ultimi. Anche in tale giudizio è stata formulata domanda risarcitoria, nei termini specificati con la memoria conclusiva della parte ricorrente.

  1. Nelle more dei giudizi, le parti hanno dato atto che con delibera del 12 settembre 2015 il Comune ha revocato la delibera di adozione del nuovo PUGC, e che con delibera del 19 ottobre 2016 è stato adottato il piano attuativo, che la ricorrente ha ripresentato in data 28 aprile 2016.

Allo stato è ancora pendente il procedimento volto alla definitiva approvazione.

  1. Alla luce di tali elementi, è palese la sopravvenuta carenza di interesse a coltivare le domande di annullamento degli atti impugnati, e la conseguente improcedibilità dei ricorsi (da riunire per evidenti ragioni di connessione oggettiva) per tale parte.

Infatti: a) il piano attuativo oggetto del primo ricorso è stato superato per iniziativa della stessa ricorrente, che ne ha presentato altro con diversa perimetrazione, ottenendone infine l’adozione nella versione del 2016, sicché non vi è alcun interesse all’annullamento degli atti concernenti il diniego del parere della soprintendenza; b) la nota oggetto del secondo ricorso è stata a sua volta superata dalla presentazione e dalla adozione del piano nella versione del 2016; c) il Comune ha rinunciato alla approvazione del PUGC oggetto del terzo ricorso.

  1. Resta quindi da decidere la domanda di condanna al risarcimento dei danni, che coinvolge la Regione e lo Stato quanto al primo ricorso, e il solo Comune, quanto agli ulteriori ricorsi.
  2. Sul punto, va premesso che appare improprio il riferimento operato nella memoria conclusiva della ricorrente all’art. 34, comma 3, cpa, che impone al giudice di accertare l’illegittimità dell’atto impugnato se sussiste l’interesse a fini risarcitori, ove l’annullamento non sia più utile. Tale disposizione, infatti, ha per oggetto i casi in cui la domanda risarcitoria non sia stata formulata nel corso del giudizio, prescrivendo che ugualmente (e quando essa sia adeguatamente configurata in vista di una separata azione giudiziale) il giudice accerti con efficacia di giudicato l’illegittimità dell’atto, affinché la pronuncia sia prodromica al successivo giudizio risarcitorio.

Ove, invece, la domanda di risarcimento del danno sia già stata avanzata contestualmente a quella di annullamento, la decisione della prima da parte del giudice non è l’effetto di una disposizione normativa peculiare volta ad introdurre in causa il mero accertamento della illegittimità, ma piuttosto del generale dovere di pronunciare su ogni domanda introdotta in causa.

In questo caso, in altri termini, non vi è un mero “accertamento”, ma una pronuncia di accoglimento o di rigetto della domanda di condanna.

Il giudizio sui profili di illegittimità dell’atto è dunque una fase del procedimento logico-giuridico, con il quale il giudice verifica la sussistenza della responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione da attività provvedimentale, rendendosi in tale ottica necessario rilevare che l’atto sia illegittimo, e che tale illegittimità abbia trasmodato in lesività, ovvero si ponga in rapporto di causalità giuridica con il danno lamentato, per negligenza inescusabile della parte pubblica.

In tale chiave è infatti declinata l’azione risarcitoria della ricorrente, posto che l’illegittimità degli atti impugnati avrebbe impedito l’approvazione tempestiva del piano attuativo, fino al 2016.

7.1 Va aggiunto che, una volta proposta nel giudizio di annullamento la domanda di condanna al risarcimento del danno per equivalente, e qualora essa non sia oggetto di rinuncia ai sensi dell’art. 84 cpa (valevole in tal caso quale rinuncia agli atti, e non all’azione), non è ammissibile (come invece ritiene la ricorrente) chiedere che “in via subordinata” il giudice, ove ritenga che non sia possibile “allo stato l’accertamento giurisdizionale utile di tutti i presupposti” della condanna, “non si pronunci nel merito” e si limiti ad accertare l’illegittimità dell’atto impugnato.

Se, infatti, la parte intende coltivare la domanda risarcitoria (come accaduto negli attuali giudizi riuniti), per effetto di una libera scelta processuale, non può sottrarsi all’onere di provare la sussistenza degli estremi di essa, con particolare riferimento all’an del danno.

Nel caso di specie, va perciò delibata la domanda di condanna al risarcimento del danno proposta “in via principale” (nel ricorso RG n. 9524 del 2011), sulla base degli elementi acquisiti in causa.

Il giudizio sulla illegittimità degli atti impugnati, in ogni caso, andrà svolto nei soli limiti in cui esso sia servente alla pronuncia sulla domanda di condanna.

  1. Venendo al primo ricorso proposto, appare evidente la illegittimità dei pareri con cui la soprintendenza ha negato che il piano attuativo fosse compatibile con il vincolo archeologico, atteso che essi sono fondati su un travisamento dei fatti oramai pacifico in causa, ovvero sull’erroneo presupposto che gran parte dell’area interessata alla pianificazione attuativa fosse coinvolta dal vincolo. Entro tali limiti, sarebbe stato fondato il quarto motivo del ricorso RG n. 3737 del 2011, con il quale è appunto denunciato tale travisamento.

Resta, però, da dimostrare la lesività degli atti illegittimi, ovvero che, qualora l’amministrazione avesse agito correttamente, il piano presentato nel 2010, secondo una stima probabilistica, sarebbe stato approvato prima del 14 marzo 2011, quando la ricorrente lo ha corretto e ripresentato sulla base di una nuova perimetrazione.

Nell’ottica risarcitoria (che, per tale parte, si riferisce alla versione del piano originariamente presentata nel 2010) va tuttavia tenuto conto che la domanda presentata dalla ricorrente l’11 gennaio 2010, a propria volta, era connotata da una significativa carenza, posto che essa dava per acquisito che l’intera area oggetto del piano fosse sottratta al vincolo, sulla base della cartografia allegata al PTPR adottato dalla Regione nel 2007.

Al contrario, si è accertato in causa che anche tale cartografia fosse errata, nella parte in cui non aveva riprodotto il vincolo archeologico, effettivamente gravante sul 5% perlomeno del fondo della ricorrente, e attestato dal certificato di destinazione urbanistica.

La ricorrente erra nel ritenere che la perimetrazione del PTPR del 2007 potesse costituire uno “stralcio” del vincolo, atteso che, ai sensi degli artt. 143 ss del d.lgs. n. 42 del 2004, tale piano può semmai arricchire l’assetto vincolistico, ma in nessun caso arrecargli detrimento: esso si deve infatti limitare, sotto tale profilo, alla “ricognizione” dei vincoli già sussistenti.

Perciò, la sollecitazione rivolta dalla soprintendenza il 29 gennaio 2010 a reinserire nel PTPR adottato il vincolo archeologico, impugnata, è del tutto legittima.

8.1 La ricorrente stessa era al corrente della sussistenza di tale vincolo, e, ciò nonostante, sulla base di una lettura ermeneutica del tutto infondata, ha ritenuto di formulare il piano del 2010 sul presupposto che esso non rilevasse, neppure per la porzione per la quale, invece, sarebbe stata comunque necessaria l’acquisizione del parere della soprintendenza.

Ciò significa che, nell’ambito del giudizio prognostico volto a verificare se il piano del 2010 avrebbe potuto essere approvato anteriormente alla modifica del 2011 (che lo ha ridefinito quanto al perimetro), va anzitutto rimarcato che la domanda della parte privata aveva erroneamente ritenuto di poter prescindere dal parere della soprintendenza, ciò che di per sé avrebbe determinato una stasi del procedimento facente capo al Comune, stante la necessità di coinvolgere quest’ultima.

Ciò detto, non vi sono neppure elementi che inducano a ritenere, secondo un criterio di adeguatezza probabilistica, che il parere sarebbe stato favorevole, in ragione del fatto che l’intervento, così come configurato, avrebbe avuto una forte incidenza sul vincolo.

Anzi, proprio il fatto che la ricorrente abbia deciso di riformulare il piano, espungendone completamente la porzione di territorio presidiata dal vincolo (anziché insistere sul progetto originario, previo parere favorevole della soprintendenza) è elemento indiziario che si frappone all’esito positivo del giudizio prognostico.

Infine, come si vedrà subito dopo avere trattato i profili risarcitori scaturenti dal secondo ricorso, vi sono forti ragioni per ritenere che un ulteriore ostacolo avrebbe impedito la approvazione del piano del 2010, quand’anche la soprintendenza non fosse incorsa nel travisamento sopra rilevato.

  1. Come si è visto, nel 2011 il piano, previa ridefinizione dell’area, è stato ripresentato, ma il procedimento si è arrestato a fronte delle presunte carenza rilevate dal Comune con l’atto impugnato con il ricorso RG n. 7176 del 2011.

Tale impugnativa ha contestato in radice la legittimità della richiesta dei plurimi adempimenti sollecitati dal Comune: ne segue che, per ciascuno di essi, la scelta della ricorrente è stata quella di non procedere, né di sollecitare che proseguisse l’iter di approvazione attraverso l’acquisizione degli atti, e lo svolgimento degli adempimenti e delle verifiche sollecitate.

Ai fini risarcitori, è perciò sufficiente che uno soltanto dei profili individuati dal Comune si sottragga alla censura, per escludere la fondatezza della domanda di condanna, come si vedrà meglio in seguito.

  1. Tra i fattori che impedivano l’approvazione del piano, il Comune ha individuato la omessa sottoposizione di esso a verifica di assoggettabilità a VAS.

Con il quinto motivo del secondo ricorso si è contestata la legittimità di tale determinazione, alla luce dell’art. 1.3 sub 5 lett. h) della delibera di Giunta regionale n. 169 del 2010. Con tale previsione, infatti, si sono esclusi dal campo della VAS i piani attuativi che non comportino varianti al PRG (e non richiedano VIA), come nel caso di specie, per il quale non è contestato che il piano attuativo fosse conforme al PRG del 2009 del Comune.

Tuttavia, va considerato che, a fronte di una domanda presentata nel marzo del 2011, il Comune, trovandosi da ultimo a provvedere nel giugno seguente, avrebbe comunque dovuto applicare l’art. 5, comma 8, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, che ha aggiunto un comma all’art. 16 della legge n. 1150 del 1942, in tema di strumenti attuativi dei piani urbanistici.

La norma prevede, in particolare, che tali strumenti non sono sottoposti a VAS ovvero a verifica di assoggetabilità, qualora non comportino variante urbanistica, ma alla condizione che il piano urbanistico da attuare sia già stato invece oggetto di VAS.

10.1 E si capisce: il piano attuativo ricade, infatti, nella definizione offerta dall’art. 6, comma 2, lett. a) e comma 3 del d.lgs. n. 152 del 2006. Si tratta, vale a dire, di un atto di pianificazione territoriale concernente l’uso di piccole aree a livello locale, per il quale, quindi, si impone il cd. screening di cui al seguente art. 12.

Ne segue che, in linea generale e in difetto di contraria previsione da parte della legge statale, tale verifica è necessaria con riguardo a qualunque pianificazione attuativa.

Il legislatore del 2011, tuttavia, ha voluto espressamente “semplificare le procedure di attuazione dei piani urbanistici ed evitare duplicazioni di adempimenti”, e ha perciò approvato la modifica all’art. 16 della legge n. 1150 del 1942, della quale si è appena detto.

Ma, a tale scopo, la semplificazione è stata circoscritta alla sola ipotesi in cui si discuta della attuazione di un piano urbanistico di livello superiore già sottoposto a VAS, perché, in tal caso e in assenza di variante, l’impatto sull’ambiente è già stato valutato mediante la procedura inerente al piano generale, sicché si è ritenuto che costituisca una “duplicazione” reiterare la VAS in presenza di mere disposizioni attuative, inoperanti sui profili di sostenibilità ambientale ai quali rinvia il nuovo comma dell’art. 16.

È ovvio che, così disponendo, il legislatore statale ha escluso esplicitamente che possa invece sfuggire a VAS il piano attuativo di strumento urbanistico sovraordinato non assoggettato, in precedenza, alla valutazione ambientale strategica.

È il caso del piano attuativo per cui è causa, essendo pacifico in causa che il PRG del 2009 del Comune di San Lorenzo Nuovo non avesse goduto della VAS, con la conseguenza che essa doveva, invece, ritenersi necessaria in sede di attuazione.

  1. A tale conclusione non vale opporre che, in base all’art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 156 del 2006 i piani la cui approvazione compete agli enti locali sono sottoposti a VAS “secondo le disposizioni delle leggi regionali”.

Come ha costantemente affermato la giurisprudenza costituzionale, la disciplina dei casi in cui è richiesta la VAS pertiene alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, secondo comma, lett. s Cost.), sicché alla legislazione regionale è concesso soltanto di disciplinare la fase procedimentale e, al limite, di implementare lo standard di tutela, ma in nessun caso di ridurlo, sottraendo a VAS piani e programmi che, invece, vi ricadono in base alla competente legislazione statale (ex plurimis, Corte cost., sentenze n. 178 del 2013; n. 210 del 2016; n. 198 del 2018): del resto, è ovvio che l’art. 16 della legge n. 1150 del 1942 si riferisce a piani attuativi di competenza dell’ente locale e della Regione, dettando proprio per essi la previsione di cui si è detto.

In particolare, giova rammentare la sentenza n. 58 del 2013, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale di una legge della Regione Veneto, nella parte in cui essa sottraeva a VAS i piani urbanistici attuativi di piani urbanistici generali che a loro volta non erano stati oggetto di VAS: si tratta di una disposizione nella sostanza coincidente con quella recata dalla DGR n. 169 del 2010, la quale ultima condivide con la prima analogo profilo di illegittimità.

  1. Non vi è dubbio, perciò, che alla data in cui il Comune si è trovato a pronunciarsi sulla domanda della ricorrente, essa non potesse essere accolta a causa dell’omessa sottoposizione a verifica di assoggettabilità del piano attuativo, come stabilito espressamente dalla normativa statale sopravvenuta all’avvio del procedimento (sulla cui applicabilità, in base al principio tempus regit actum, ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, n. 2498 del 2019).

Il Comune non avrebbe perciò potuto applicare la DGR n. 169 del 2010, peraltro recepita in legge solo successivamente, con l’art. 1, comma 147, della legge della Regione Lazio n. 12 del 2011.

L’amministrazione è infatti tenuta a ricostruire il quadro normativo pertinente alla propria azione e a darvi seguito.

Nel caso di specie, perciò, il rifiuto di procedere all’approvazione del piano in difetto di verifica di assoggettabilità a VAS è frutto della necessaria applicazione dell’art. 16 della legge n. 1150 del 1942, nel testo introdotto dal d.l. n. 70 del 2011.

  1. Vi è però di più, come facilmente intuibile sulla base delle premesse sopra svolte: già prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 70 del 2011 appena citato, infatti la normativa statale stabiliva che il piano attuativo dovesse divenire oggetto di verifica di assoggettabilità tout court, ovvero senza neppure il limite derogatorio introdotto con la decretazione d’urgenza, per il caso di conformità alla pianificazione generale già oggetto di VAS.

Tale conclusione è una piana applicazione, come si è visto, degli artt. 6 e 12 del d.lgs. n. 152 del 2006, che così stabiliscono, e trova semmai una mera conferma nel disposto del nuovo art. 16 della legge n. 1150 del 1942.

Quest’ultimo, infatti, si limita a ritagliare una fattispecie eccezionale derogatoria rispetto alla regola generale, al fine di semplificare ed evitare duplicazioni. È ovvio che di tale eccezione non si avrebbe avuto bisogno, se la normativa statale previgente (e competente a disciplinare la materia) avesse permesso di sottrarre al regime della VAS i piani attuativi, purché conformi allo strumento urbanistico generale, come invece prevede la DGR n. 169 del 2010.

Del resto, per il caso in cui il piano sovraordinato non è stato valutato, neppure è dato giustificare tale esclusione, posto che si sarebbe in presenza di una pianificazione territoriale di livello attuativo che porta a ulteriore compimento assetti che mai sono stati ponderati sul piano dell’impatto ambientale: se la vigenza di un PRG non preceduto da VAS può giustificarsi ratione temporis in quanto approvato (o adottato: cfr. art. 13 della direttiva n. 42/2001/CE) prima dell’entrata in vigore dell’obbligo di VAS, ciò non è sostenibile quanto alla pianificazione successiva.

Infatti, profili urbanistici e paesaggistici sono correlati, ma non pienamente sovrapponibili, sicché la circostanza che il piano sia conforme allo strumento urbanistico generale nulla dice sulla compatibilità ambientale, ove il secondo non sia stato preceduto da VAS (cfr Corte cost., sentenza n. 118 del 2019).

13.1 Difatti il legislatore statale ha imposto anche per il livello attuativo la procedura di VAS, con il solo limite ora indicato dall’art. 16 della legge n. 1150 del 1942.

Lo ius superveniens, perciò, offre conferma di quanto evincibile già sulla base della sola lettura degli artt. 6, comma 2, lett.a) e comma 3, e 12 del d.lgs. n. 152 del 2006, ovvero che già alla data di presentazione del piano attuativo, sia nella versione del 2010, sia in quella del 2011, fosse necessaria la verifica di assoggettabilità a VAS, in quanto il PRG del Comune non vi era stato sottoposto. Con conseguente dovere dell’amministrazione di applicare tale previsione statale, e non l’illegittima disposizione contraria contenuta nella DGR n. 169 del 2010, al punto 1.3, 5, lett. h). Sul punto, merita ancora una volta di essere richiamata la sentenza n. 58 del 2013 della Corte costituzionale, che chiarisce sia il significato della normativa statale (nel senso che essa impone la VAS anche per i piani attuativi conformi al PRG, se quest’ultimo non è stato oggetto della valutazione ambientale), sia l’illegittimità di contrarie previsioni della legislazione regionale.

  1. Le considerazioni appena svolte danno definitivamente conto della infondatezza della domanda risarcitoria, tanto per il segmento temporale relativo alla prima versione del piano del 2010, quanto per quello concernente la versione del 2011.

Quanto al secondo ricorso, non sussiste in radice l’elemento della illegittimità dell’atto dal quale deriverebbe la lesione, posto che, per l’assorbente profilo della VAS, esso sfugge alla censura proposta.

Si potrebbe, al limite, sostenere che il Comune avrebbe dovuto avviare la procedura di VAS, anziché arrestare il procedimento, ma non è questo il profilo di illegittimità denunciato dalla ricorrente.

Quest’ultima ha infatti scelto la soluzione opposta, ovvero non già di agire affinché il cd. screening fosse compiuto, come la legge prevede, ma al contrario per contestare erroneamente che esso fosse necessario.

Tale circostanza anzitutto esclude l’elemento della illegittimità del provvedimento, quale componente costitutiva del giudizio risarcitorio, atteso che esso può essere apprezzato dal giudice per i soli profili denunciati con l’azione di annullamento, o posti a base della domanda risarcitoria, se proposta autonomamente.

In secondo luogo, esso rileva ai sensi dell’art. 30, comma 3, cpa, atteso che il danno comunque non si sarebbe prodotto, se la ricorrente si fosse conformata alle indicazioni concernenti la VAS, eventualmente attivandosi affinché l’amministrazione desse impulso a tale procedimento, anziché per negare che esso fosse imposto dalla normativa.

14.1 Quanto, poi, al primo segmento temporale della vicenda, il profilo di illegittimità accertato in causa in riferimento ai pareri negativi della soprintendenza non può ritenersi collegato eziologicamente al presunto danno patito dalla ricorrente, posto che, in difetto di VAS, il piano non avrebbe potuto certamente essere approvato entro il 2011.

In entrambi i casi, inoltre, anche ammettendo che la procedura di VAS fosse stata avviata, l’elevatissimo tasso di discrezionalità tecnica ad esso connessa non può supportare con adeguato tasso probabilistico la previsione di successo della stessa.

  1. A questo punto, è agevole rilevare l’infondatezza della domanda risarcitoria, anche per la parte connessa alla dedotta illegittimità della procedura di adozione del nuovo PUGC, infine abortita nel 2015, e alla quale si riferisce il terzo ricorso (RG n. 9524 del 2011) e i motivi aggiunti ivi introdotti.

Infatti, quand’anche tali atti non fossero stati assunti, in ogni caso il piano attuativo del 2011 non avrebbe potuto essere approvato, a causa della omissione della procedura di VAS, e dell’erroneo convincimento della ricorrente che, in ogni caso, la determinazione del Comune fosse anche per tale parte illegittima.

È perciò da ritenere, senza alcuna necessità di soffermarsi sui plurimi profili di illegittimità denunciati con il terzo ricorso, che gli atti impugnati non abbiano carattere lesivo, ovvero non si pongano in nesso di causalità giuridica con il presunto danno patrimoniale lamentato dalla ricorrente, posto che, persino se essi non fossero stati adottati, in ogni caso il piano, nella versione del 2011, non avrebbe potuto essere approvato, con ragionevole probabilità, prima della sua nuova formulazione del 28 aprile del 2016.

Ipotizzando, infatti, di cancellare mentalmente le vicende avviatesi con l’adozione del PUGC, sarebbero persistiti i medesimi profili ostativi al perfezionamento del piano attuativo rilevati per le fasi anteriori della fattispecie, e cagionati dalla illegittima pretesa della ricorrente di sottrarre tale piano a VAS, e dalla mancata conseguente adozione delle condotte e degli strumenti di tutela mirati, invece, all’avvio della procedura di screening.

  1. Va aggiunto, quanto al terzo ricorso, che neppure è stato adempiuto l’onere di parte ricorrente di comprovare l’an del danno, enunciato in via del tutto ipotetica in euro 1.200.00,00.

Le voci a tal fine indicate, e definitivamente precisate nella memoria conclusiva della ricorrente, sono infatti o del tutto incerte, o in nessun caso risarcibili.

Il primo apprezzamento concerne il mancato profitto che la ricorrente avrebbe potuto trarre realizzando il progetto “in un contesto immobiliare decisamente più favorevole”, laddove l’incertezza connota sia il fatto che il progetto possa infine davvero essere approvato; sia l’effettivo utile che a ciò potrebbe conseguire per la ricorrente; sia l’andamento del mercato immobiliare negli anni a venire, da porre in comparazione con un mercato che, per fatto notorio, ha già segnato una marcata flessione negli ultimi anni (con la conseguenza che, muovendo dalla data non di approvazione del piano, ma di sua concreta realizzazione, non è affatto detto che la ricorrente si trovi ad operare in un contesto meno favorevole per la parte venditrice).

Certamente non risarcibili, permanendo l’eventualità che il piano sia approvato, sono invece le spese per l’acquisto del fondo destinato ad ospitare il progetto (che la ricorrente avrebbe comunque dovuto sostenere); le spese “per resistere allo sconsiderato agire dell’’ente” (che, quanto alle spese di lite sono liquidate dal giudice, e restano del tutto indimostrate per le altre componenti); il “mancato profitto che la società avrebbe potuto ottenere” investendo in altro modo le somme destinate al piano attuativo, visto che non si può ancora escludere che tale piano sia approvato.

Come si è già detto, del resto, l’incertezza su tali voci risarcitorie equivale al mancato adempimento dell’onere probatorio gravante sulla parte, al quale non è permesso porre rimedio con una domanda subordinata di mero accertamento della illegittimità degli atti, e rinvio a separato giudizio attinente all’an del danno, ove si scelga, come nel caso di specie, di continuare a coltivare la domanda risarcitoria.

Peraltro, tali considerazioni, che attengono alla mancata prova del danno, sono residuali, a fronte del preliminare profilo sopra rilevato, in ordine al difetto di lesività degli atti impugnati con il terzo ricorso.

  1. L’infondatezza della domanda risarcitoria per i motivi esposti esonera il Tribunale dal valutare le eccezioni di inammissibilità in rito dei ricorsi, proposte dalla parte resistente.
  2. Va invece dichiarata inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dal Comune di San Lorenzo Nuovo nei confronti della ricorrente, al fine del risarcimento del danno connesso all’iniziativa giurisdizionale intrapresa: a prescindere da ogni altra considerazione, essa non è stata proposta nei termini e nelle forme di cui all’art. 42 cpa, come eccepito dalla controparte.
  3. Infine, va accolta l’eccezione di carenza di legittimazione passiva proposta dalla Provincia di Viterbo, che è stata chiamata nel giudizio RG n. 9524 del 2011, benché non abbia adottato alcun atto del procedimento, come attestato nella memoria conclusiva depositata dall’ente.
  4. In ragione della complessità della vicenda, le spese di lite nei giudizi riuniti sono compensate tra tutte le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, riuniti i giudizi,

dichiara improcedibili i ricorsi per sopravenuta carenza di interesse, quanto alle domande di annullamento.

Dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale di condanna al risarcimento dei danni proposta dal Comune di San Lorenzo Nuovo.

Dichiara la carenza di legittimazione passiva della Provincia di Viterbo.

Rigetta le domande di condanna al risarcimento dei danni proposte dalla ricorrente.

Compensa le spese tra tutte le parti costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2022 con l’intervento dei magistrati:

Donatella Scala, Presidente

Marco Bignami, Consigliere, Estensore

Roberta Mazzulla, Referendario