Abusi edilizi: sanzione pecuniaria in luogo della demolizione

Pubblicato il 5-06-2017
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Con la sentenza in commento il Tar Molise ha fornito un’interpretazione estensiva dell’art. 34 del D.P.R. 380/2001 per il quale ai fini dell’applicazione della sanzione pecuniaria sostituitiva della demolizione, occorrerebbe che le opere oggetto di contestazione siano solo parzialmente difformi dal titolo edilizio.

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A giudizio del Tar Molise, seppur si è di fronte ad opere prive di abilitazione urbanistica o realizzate in totale difformità dal titolo abilitativo, la sanzione pecuniaria in luogo della demolizione è possibile se l’abuso edilizio è “compenentrato rispetto ad altri manufatti preesistenti i quali, invece, sono stati realizzati in base a regolare titolo abilitativo”.

La parzialità della difformità richiesta dalla norma per l’applicazione della sanzione pecuniaria deve essere valutata rispetto al complesso edilzio e non al singolo intervento. La ratio dell’art. 34, infatti, consiste nell’evitare la demolizione di interventi abusivi che possano eliminare anche quelli regolarmente realizzati perché strutturalmente compenetrati al punto da non poter essere demoliti se non con pregiudizio dell’intera struttura.

Sotto altro il profilo, chiarisce il Tar Molise, “il 2% della volumetria assentita” contemplato dall’art. 34 in questione, non rappresenta l’entità massima che deve avere un intervento abusivo per ottenere la sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria ma solo un margine di flessibilità che consente, al contrario, di escludere, anche dall’applicabilità della sanzione pecuniaria, le discrepanze dal titolo abilitativo contenute entro la misura del 2%.

MINISTERO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 80 del 2016, proposto da:
Vanessa Alberti e Manuele Alberti, rappresentati e difesi dagli avvocati Nicola Scapillati C.F. SCPNCL77B13F205X e Salvatore Di Pardo C.F. DPRSVT63R20F839Y, con domicilio eletto presso l’avvocato Di Pardo in Campobasso, corso Umberto I, n. 43;

contro

Comune di Castropignano in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Stefano Scarano C.F. SCRSFN65L17B519O, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Campobasso, corso Umberto I, n. 43;

Provincia di Campobasso in p.l.r.p.t. (non costituita in giudizio);

nei confronti di

Liliana Greco, Teresa Greco e Pasquale Greco (non costituiti in giudizio);

per l’annullamento

dell’ordinanza del Comune di Castropignano – Ufficio Tecnico n. 1 del 15/02/16 ad oggetto: Sentenze del TAR Molise n. 334/2014 e 364/2015.

Ottemperanza;

della relativa nota di trasmissione del 15/02/16 (prot. 577); della nota del Comune di Castropignano – Ufficio Tecnico del 17/02/16 (prot. 607); della relazione di sopralluogo del Comune di Castropignano – Ufficio Tecnico del 25/01/16 e della relativa nota di trasmissione del 27/01/16 (prot. 293); del verbale di sopralluogo del Comune di Castropignano Ufficio Tecnico del 20/01/16 e della relativa nota di trasmissione del 20/01/16 (prot. 217); della nota del Comune di Castropignano – Ufficio Tecnico del 13/01/16 (prot. 102); della nota del Comune di Castropignano – Ufficio Tecnico del 21/12/15 (prot. 4929); della comunicazione di avvio del procedimento del Comune di Castropignano – Ufficio Tecnico del 30/11/15 (prot. 4660), nonché di ogni altro atto presupposto, consequenziale e/o comunque connesso ai precedenti;

  • Visti il ricorso e i relativi allegati;
  • Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Castropignano;
  • Viste le memorie difensive;
  • Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 marzo 2017 il dott. Domenico De Falco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I ricorrenti sono comproprietari di un fabbricato e di un fondo confinanti con terreni e fabbricati di proprietà dei fratelli Greco che, a loro volta, li hanno ricevuti dalla propria madre Antonia Tullo.

La vicenda oggetto del giudizio origina dall’istanza che quest’ultima, prima di trasferire tali beni ai propri figli, aveva proposto per il conseguimento del permesso in sanatoria relativo ad alcune opere eseguite sui terreni, poi donati.

Con provvedimento prot. n. 915 del 2 marzo 2011 il Comune di Castropignano si esprimeva negativamente sull’istanza, adducendo il mancato rispetto della distanza minima di 6 metri dal confine prevista per la zona C3 dalle vigenti NTA e di quella minima di 20 metri dalla strada provinciale.
Avverso tale diniego, la sig.ra Tullo proponeva ricorso innanzi a questo Tribunale (R.G. n. 110/2011), chiedendo l’annullamento del provvedimento, mentre gli odierni ricorrenti proponevano intervento ad opponendum, chiedendo che il ricorso forse dichiarato inammissibile e comunque respinto nel merito.

La sig.ra Tullo impugnava poi anche l’ordinanza 2 novembre 2011, n. 36 con la quale il Comune di Castropignano aveva, frattanto, disposto anche la demolizione delle opere abusive per le quali la sig.ra Tullo non aveva ottenuto il permesso in sanatoria (RG 426/2011).
Con sentenza n. 334/2014 questo Tribunale, disposta la riunione dei due procedimenti sopra segnalati, respingeva il ricorso (RG n. 110/2011) con il quale era stato impugnato il diniego del rilascio del permesso in sanatoria, rilevando che le censure di parte ricorrente non avevano infirmato l’attendibilità delle motivazioni addotte dall’Amministrazione a fondamento del contestato diniego di sanatoria; mentre, con riguardo al procedimento n. 426/2011, il Tribunale rilevava carenze istruttorie e incongruenze con la situazione di fatto che rivelavano un’azione amministrativa perplessa e viziata da eccesso di potere, e pertanto annullava il predetto ordine di demolizione, facendo espressamente “salvi gli ulteriori provvedimenti del Comune che potranno essere adottati, previa congrua istruttoria in ordine alla verifica delle pertinenze già autorizzate con precedenti provvedimenti o ricomprese nella domanda di condono presentata il 17.12.1986”.

Con provvedimento n. 1 del 23 febbraio 2015, il Comune, rilevato che parte del fabbricato (frattanto trasferito per donazione ai germani Greco) era posto ad una distanza inferiore a 6 metri dal confine con la proprietà dell’odierna ricorrente ne intimava la demolizione, ma anche tale statuizione veniva impugnata innanzi a questo Tribunale (RG 159/2015) che, con ordinanza n. 56/2015, respingeva l’istanza di sospensione cautelare, rilevando che “i provvedimenti impugnati sono atti consequenziali ed esecutivi del giudicato formatosi sulla sentenza n. 334/2014 di questo T.a.r.”;

Con ricorso ex art. 112, co. 5, c.p.a., i sig.ri Greco hanno chiesto chiarimenti in ordine alla portata da assegnare all’ordinanza cautelare n. 56/2015 e con sentenza n. 364/2015 questo Tribunale statuiva che: a) l’ordinanza comunale di demolizione è ex professo attuativa della sentenza n. 334/2014, di modo che è da tale pronuncia che occorre trarre le indicazioni per individuare i manufatti oggetto di demolizione; b) “spetta all’Amministrazione l’onere di valutare se l’esecuzione dell’ordine di demolizione con riferimento alle opere abusive indicate dalla più volte citata sentenza n. 334/2014 di questo Tribunale possa avvenire senza pregiudizio delle parte di edificio eseguita in conformità, secondo quanto previsto dall’art. 34, co. 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380”.

Il Comune instaurava quindi un contraddittorio con la Provincia di Campobasso e i germani Greco nonché con gli odierni ricorrenti (i quali facevano pervenire le proprie osservazioni critiche) sulle modalità di sanzionare la violazione edilizia; veniva altresì eseguito un sopralluogo, all’esito del quale si stabiliva di applicare la sanzione pecuniaria sostitutiva alla demolizione “in considerazione della tipologia costruttiva e dell’ammorsamento che la stessa ha con le strutture adiacenti, risulta evidente che l’eventuale demolizione comporterebbe la compromissione statico-sismica dei fabbricati urbanisticamente regolari con possibili gravi conseguenze per l’utilizzo degli stessi….”, sicché con la gravata ordinanza del 15 febbraio 2016, n. 1, all’esito di tale procedimento, il Comune disponeva l’irrogazione di una sanzione pecuniaria pari ad euro 3.416,28.

Avverso tale provvedimento i ricorrenti proponevano il ricorso introduttivo del presente giudizio affidato ai seguenti motivi.

I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 10-bis della l. n. 241/1990; violazione e falsa applicazione art. 7 della l. n. 241/1990; difetto di contraddittorio, difetto di motivazione, carente ed erronea istruttoria.

Il Comune avrebbe omesso di comunicare i motivi ostativi alla richiesta di demolizione proposta dai ricorrenti e comunque non avrebbe dato conto nel provvedimento gravato delle osservazioni formulate nell’ambito del contraddittorio, laddove ciò sarebbe stato necessario non trattandosi di un provvedimento vincolato.

Il Comune, poi, non avrebbe osservato le sentenze n. 334/2014 e 364/2015, non avendo tenuto conto, con la decisione di applicare la sanzione pecuniaria, che le opere in questione erano state realizzate in violazione, non solo della distanza dalla proprietà degli stessi ricorrenti, ma anche di quella dalla proprietà della Provincia.

Il gravato provvedimento sarebbe poi viziato anche nel merito, in quanto le opere oggetto di contestazione sarebbero state realizzate in totale assenza di titolo abilitativo e per esse non sarebbe quindi applicabile la sanzione pecuniaria di cui all’art. 34, co. 2, d.P.R. n. 380/2001 che, invece, presuppone la sola parziale difformità; le difformità anche rispetto ai titoli abilitativi relativi ad una parte del fabbricato e risalenti agli anni ‘70, sarebbero comunque superiori alla soglia del 2%, con ciò facendo venir meno la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.

La stessa valutazione di impossibilità di eseguire una demolizione limitata alle sole opere realizzate in violazione, si fonderebbe su un’istruttoria parziale e non eseguita con gli strumenti necessari, laddove i manufatti abusivamente realizzati avrebbero una propria autonomia strutturale che ne consentirebbe la rimozione in via autonoma, per la cui verifica parte ricorrente chiede la nomina di un CTU.

Con atto depositato in data 20 aprile 2016 si è costituito in giudizio il Comune di Castropignano chiedendo il rigetto del ricorso e articolando le proprie difese nella successiva memoria depositata il 30 aprile 2016.

I ricorrenti hanno insistito nel chiedere l’annullamento del provvedimento gravato, argomentando ulteriormente i motivi di ricorso.
All’udienza pubblica del 22 marzo 2017 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Il ricorso è infondato.

Con un primo gruppo di censure parte ricorrente si duole delle violazioni procedimentali in cui sarebbe incorsa l’Amministrazione, rilevando in primo luogo la mancata comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della propria istanza di demolizione.

Il rilievo non coglie nel segno.

Il provvedimento oggetto dell’odierno giudizio è adottato all’esito di un procedimento avviato d’ufficio e non su istanza di parte, concernendo sia l’attuazione delle previsioni urbanistiche sia l’ottemperanza alle sentenze di cui sopra pronunciate da questo Tribunale, con la conseguenza che le richieste proposte dai ricorrenti nei confronti dell’Amministrazione di procedere alla demolizione delle opere realizzate in violazione delle distanze, hanno il carattere del sollecito ma non modificano certo la natura di una procedura che rimane di tipo officioso e non è rivolta alla realizzazione di un interesse pretensivo ma alla corretta applicazione dei principi urbanistici, contemperando (nel caso della decisione avente ad oggetto l’applicazione di una sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione) l’interesse pubblico al rispetto delle regole urbanistiche e al ripristino dello status quo ante con quello alla conservazione delle opere realizzate in conformità delle prescrizioni urbanistiche.

Di riflesso, la mancata confutazione nel provvedimento gravato delle osservazioni fatte pervenire in fase istruttoria da parte ricorrente non ne infirma la legittimità, trattandosi di atto privo di contenuto discrezionale per il quale è applicabile l’art. 21-octies della l. n. 241/1990, laddove emerga, come nella specie, che il contenuto dispositivo della determinazione non avrebbe potuto essere diverso (cfr. Cons. St., sez. VI, 17 dicembre 2013, n. 6042).

Pure infondato è l’ulteriore profilo di doglianza con il quale parte ricorrente si duole della violazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990, in quanto la comunicazione di avvio del procedimento sarebbe stata erroneamente comunicata al difensore dei ricorrenti e non a questi direttamente. Tuttavia, i ricorrenti non si avvedono che sono essi stessi a rilevare di aver proposto le proprie osservazioni nonostante la mancata diretta acquisizione della comunicazione dell’avvio del procedimento con conseguente raggiungimento dello scopo della disposta comunicazione con la quale i sig.ri Alberti sono stati comunque posti in grado di partecipare al procedimento.

Con l’ulteriore profilo di doglianza parte ricorrente contesta la mancata considerazione nel provvedimento gravato che i manufatti realizzati sui terreni dei germani Greco non rispettassero nemmeno le distanze dalla proprietà della Provincia, lamentando che di tale circostanza non si sia dato rilievo nel provvedimento impugnato.

Anche tale doglianza non è condivisibile.

In primo luogo i ricorrenti non sono legittimati a far valere un’irregolarità consistente nella violazione delle distanze dalla proprietà altrui; in ogni caso non è stato esplicitato il rilievo che tale circostanza avrebbe avuto nell’adozione della decisione in contestazione, non essendo stata invocata alcuna specifica conseguenza per il mancato richiamo anche di tale irregolarità, mentre risulta correttamente esplicitato quello relativo alla violazione delle distanze con il terreno dei ricorrenti che, peraltro, pare motivo sufficiente ad evidenziare il carattere irregolare dei manufatti senza che sia necessario evidenziare altri profili di illegittimità.

Nel merito parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 34, co. 2, del d.P.R. nl. 380/2001, in quanto di tale norma non sussisterebbero i presupposti, atteso che i manufatti in questione sarebbero stati realizzati in totale difformità, perché privi di titolo edilizio e sarebbero poi di entità rilevante e certamente superiore alla misura del 2% (soglia limite di cui al comma 2-ter dell’art. 34 d.P.R. n. 380/2001) rispetto a quelle regolarmente edificate.
Anche tali doglianze non meritano di essere condivise.

E’ utile riportare il testo del ripetuto art. 34 del d.P.R. n. 380/2001: “1. Gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire sono rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell’abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell’ufficio. Decorso tale termine sono rimossi o demoliti a cura del comune e a spese dei medesimi responsabili dell’abuso. 2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale. 2-bis.

Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all’articolo 23, comma 01, eseguiti in parziale difformità dalla segnalazione di di inizio attività. 2-ter. Ai fini dell’applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali”.

Orbene, dalla disposizione emerge che ai fini dell’applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva della demolizione occorre che le opere oggetto di contestazione siano solo parzialmente difformi dal titolo abilitativo. Ora, nel caso di specie è pure vero che le opere oggetto di considerazione sono del tutto prive di abilitazione urbanistica (e quindi la difformità sarebbe totale), ma è altresì vero che esse sono compenetrate rispetto ad altri manufatti preesistenti i quali, invece, sono stati realizzati in base a regolare titolo abilitativo.

Ne consegue che ai fini della decisione in ordine alla demolizione deve tenersi conto del complesso edilizio risultante dalle opere via via realizzate, atteso che la ratio dell’art. 34 consiste proprio nell’evitare che la demolizione di alcuni interventi edilizi abusivi possa comportare l’eliminazione anche degli altri regolarmente realizzati rispetto ai quali i primi siano strutturalmente compenetrati e non possano essere demoliti se non con pregiudizio dell’intera struttura.

Questa è la situazione che si verifica nella fattispecie, in cui a fianco di interventi più risalenti ed assentiti, sono state realizzate successivamente opere prive di titolo urbanistico, ma che, secondo quanto rilevato dall’Amministrazione, a causa della rilevata compenetrazione con quelle preesistenti, non possono essere demolite senza pregiudicare la stabilità dell’intera struttura con la quale esse formano corpo unico.

Parte ricorrente contesta quale ulteriore profilo di violazione del citato art. 34 la circostanza che le opere realizzate avrebbero un’incidenza percentuale superiore al 2% rispetto al manufatto complessivamente considerato, con la conseguenza che ai sensi del comma 2-ter sarebbero di entità tale non poter essere considerate in parziale difformità.

Il motivo sottende un fraintendimento della portata del citato comma 2-ter dell’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001.
Tale previsione, diversamente da quanto opina parte ricorrente, esclude che le opere che eccedano per una misura inferiore al 2% la volumetria assentita dal titolo edilizio possano essere considerate come realizzate in parziale difformità, trattandosi di abusi rientranti nei limiti di tolleranza e quindi irrilevanti ai fini sanzionatori di cui al ripetuto art. 34.

La disposizione, quindi, opera in senso opposto a quanto ritenuto dai ricorrenti, i quali pervengono alla conclusione per la quale tutte le opere di entità superiore al 2% rispetto a quelle assentite andrebbero demolite in quanto ad esse non sarebbe applicabile la sanzione pecuniaria esulando dall’ambito applicativo dell’art. 34, ma ciò non è quanto prevede il comma 2-ter che, invece, come visto, introduce un margine di flessibilità consentendo di escludere anche dalla previsione sanzionatoria pecuniaria le discrepanze dal titolo abilitativo contenute entro la ridotta misura del 2%.

Infondata, infine, è anche la censura con la quale parte ricorrente contesta l’attendibilità della relazione dei tecnici comunali (prot. n. 293 del 25 gennaio 2016) che esclude la possibilità di eliminare le opere non oggetto di sanatoria senza pregiudicare la tenuta dell’intera struttura. Tale valutazione, che trova supporto anche nei rilievi fotografici, non può essere sindacata in sede giurisdizionale se non laddove emergano profili di irragionevolezza o illogicità di cui nel caso di specie il Collegio non ravvisa la sussistenza, con la conseguenza che in mancanza di tali indizi le valutazioni operate nella consulenza tecnica di parte non possono sovrapporsi a quelle dell’Amministrazione.

In definitiva tutte le censure proposte sono infondate e il ricorso deve pertanto essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza secondo l’ordinario criterio e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’Amministrazione convenuta che liquida complessivamente in euro 1.500 (millecinquecento) oltre accessori ed interessi come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

  • Silvio Ignazio Silvestri, Presidente
  • Orazio Ciliberti, Consigliere
  • Domenico De Falco, Referendario, Estensore

L’ESTENSORE

Domenico De Falco

IL PRESIDENTE

Silvio Ignazio Silvestri