La trasformazione del lastrico solare in terrazzo: disciplina urbanistica

Pubblicato il 16-01-2018
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A cura dell’Avv. Valentina Taborra

Con la sentenza n. 24 del 3.01.2018, il Tar Campania, sezione staccata di Salerno, ha riconosciuto l’esistenza di una differenza, in termini di disciplina urbanistica applicabile, tra il lastrico solare ed il terrazzo che differiscono tra loro sin dagli elementi strutturali e per il relativo utilizzo: mentre il lastrico solare “è una parte di un edificio che, pur praticabile e piana, resta un tetto, o quantomeno una copertura di ambienti sottostanti, la terrazza è intesa come ripiano anch’esso di copertura,  ma che nasce già delimitato all’intorno da balaustre, ringhiere o muretti, indici di una ben precisa funzione di accesso e utilizzo per utenti”.

Ne deriva che il cambio destinazione d’uso di un solaio di copertura non praticabile, in terrazzo, mediante specifici interventi edilizi, quali la realizzazione di una scala di accesso, di una ringhiera protettiva, della pavimentazione, costituisce una “ristrutturazione edilizia” perché altera, almeno in parte, il prospetto e la sagoma dell’immobile aumentando anche il carico urbanistico, e, pertanto, necessita del permesso di costruire.

A tal fine è tuttavia opportuno che l’intervento di specie sia volto alla trasformazione della destinazione d’uso; la sola pavimentazione del lastrico solare non costituisce realizzazione del terrazzo, e pertanto ristrutturazione edilizia, se non accompagnata da altre opere (quali il posizionamento della ringhiera o della scala di accesso) che sono strumentali ed indispensabili all’utilizzo dell’area come tale.

A contrario, opere pertinenziali di un organismo edilizio già qualificabile in termini di terrazzo, seppur strumentali a consentire l’utilizzo del solaio di copertura di un immobile, non determinano, di per sé, una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, sono sfornite di autonomo valore di mercato né comportano aumento del carico urbanistico, pertanto non sono soggette a permesso di costruire.

MINISTERO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso, numero di registro generale 2277 del 2005, proposto da:
Amato Antonio, rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea Di Lieto, con domicilio eletto, in Salerno, al Corso Vittorio Emanuele, 143;

CONTRO

Comune di Ravello, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Ruggiero Musio, con domicilio eletto, in Salerno, Largo San Tommaso d’Aquino, 3, presso la Segreteria del T. A. R. Salerno;

PER L’ANNULLAMENTO

dell’ordinanza, prot. n. 54 del 26 luglio 2005, del Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Ravello – notificata l’1.08.2005 – con la quale s’ingiunge la demolizione di opere edili;

di tutti gli atti, anche di estremo ignoto, presupposti, connessi e consequenziali, ivi compresa la relazione di sopralluogo del 28.05.2005, dell’U. T. C.;

del provvedimento, n. 9427/03 del 26.07.2005, del Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Ravello – notificato in data 1.08.2005 – di rigetto del permesso di costruire in sanatoria;

  • Visti il ricorso e i relativi allegati;
  • Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Ravello;
  • Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica di smaltimento del giorno 21 dicembre 2017, il dott. Paolo Severini; Uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue;

FATTO

Il ricorrente, proprietario di un piccolo immobile, di vecchissima costruzione, sito in località Torello del Comune di Ravello, costituito da tre vani ed accessori, disposti tra loro a vari livelli, collegati da piccole scale interne, oltre ai rispettivi lastrici; premesso che, il 24.09.1991, con rogito n. 12144 di rep. per notar Pansa, aveva acquistato un lastrico di copertura di mq. 17,00 ubicato sul lato sud – ovest, adiacente il vano cucina e la camera da letto, già di sua proprietà; che, necessitando l’immobile di lavori di manutenzione straordinaria e d’adeguamento e riqualificazione funzionale, aveva chiesto il rilascio d’apposita autorizzazione edilizia, rilasciata dal Sindaco di Ravello il 28.04.1993, prot. n. 2085/91; che aveva eseguito i lavori assentiti, con delle variazioni non urbanisticamente rilevanti, ovvero aveva, sine titulo: – 1) eliminato un piccolo locale w. c. ubicato all’esterno, sul terrazzo antistante il soggiorno; – 2) sistemato il lastrico solare, acquistato nel 1991, pavimentandolo e apponendovi una ringhiera di recinzione; – 3) distribuito diversamente le pedate di una scala interna, che collegava la cucina con la camera da letto; – 4) realizzato, sul terrazzo di copertura della camera da letto e del locale cucina, arredi quali una panchina in muratura, un piccolo forno; – 5) apposto una scala esterna in ferro per accedere al lastrico di copertura del vano soggiorno, pavimentato e reso sicuro con l’apposizione di ringhiere di protezione; che i lavori in questione non avevano incrementato il volume utile, ma erano serviti a rendere più funzionali i locali preesistenti; che, al fine di sanare dette opere, il 19.12.2003, prot. 9427, aveva chiesto il rilascio dell’assenso in sanatoria; tanto premesso, lamentava che il Responsabile dell’U. T. C. di Ravello, con provvedimento n. 9427/03 del 26.07.2005, aveva respinto detta istanza, perché “per la realizzazione di nuovi volumi utili, nonché di superfici utili e superfici non residenziali (scaturite dal mutamento di destinazione d’uso dei lastrici solari in terrazzi) (…) necessita il rilascio di permesso di costruzione”, non rilasciabile, per i noti vincoli, a Ravello; e che, con ordinanza n. 54 del 26.07.2005, il Responsabile dell’Ufficio Tecnico di Ravello aveva, quindi, ingiunto la demolizione delle opere innanzi indicate; tanto premesso e considerato, articolava, avverso i provvedimenti indicati in epigrafe, le seguenti censure:

I) Violazione degli artt. 7 e 8 della l. 241/90, come succ. mod. ed int.: era dedotto il mancato invio della previa comunicazione d’avvio del procedimento, culminato con l’adozione dell’ordinanza di demolizione gravata;

II) Violazione dell’art. 31, 2° comma, del d. P. R. 6.6.2001 n. 380; Incompetenza: l’autore del provvedimento impugnato non era un dirigente, anzi non era neppure un dipendente, in pianta organica, del Comune di Ravello, sicché non sarebbe stato autorizzato ad assumere provvedimenti sanzionatori, con conseguente vizio d’incompetenza del provvedimento;

III) Violazione degli artt. 3, 24, 31, 36 e 37 del d. P. R. 380/01; Violazione dell’art. 2 della 1. r. Campania 19/01 e degli artt. 5 e 17 della l. r. Campania 35/87; Eccesso di potere per carenza istruttoria, erroneità dei presupposti e di motivazione, travisamento dei fatti; Illegittimità derivata: il provvedimento n. 9427/03 del 26.07.2005, con il quale il Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Ravello aveva respinto l’istanza di sanatoria, presentata dal ricorrente, si fondava sul presupposto che il ricorrente avrebbe realizzato “nuovi volumi utili, nonché (…) superfici utili e superfici non residenziali, scaturite dal mutamento di destinazione d’uso dei lastrici solari in terrazzi (…)”, necessitanti il “rilascio di permesso di costruzione”, rilascio vietato a Ravello, in quanto sprovvisto di P. R. G., adeguato al P. U. T.; orbene, il suddetto provvedimento di diniego si fondava su due presupposti errati: 1) avere, il ricorrente, creato nuovi volumi e superfici; 2) essere necessario il permesso di costruire in sanatoria, per le opere realizzate; quanto al primo presupposto, tuttavia, il volume non era aumentato, bensì diminuito, attraverso la demolizione del locale w. c., posto all’esterno della camera, antistante il soggiorno (punto 1 dell’ordinanza di demolizione); e lo stesso era avvenuto, per la superficie utile, interna al manufatto; in realtà, le uniche nuove “opere” avevano riguardato la creazione di un forno, di un lavandino e di una “seduta” in muratura (punti 5 e 6 dell’ordinanza di demolizione), ovvero manufatti che costituivano arredo e/o pertinenze, e che non potevano qualificarsi in termini urbanistici, volumetrici o di superficie, così come pertinenze e/o opere interne erano, del pari, qualificabili la scala di collegamento tra cucina e camera da letto e quella, posta tra il terrazzo, situato al di sopra della cucina, ed il lastrico, posto sopra il locale soggiorno (punti 3 e 7 dell’ordinanza); infine, erano stati pavimentati tre terrazzi e/o lastrici solari, e v’erano state apposte le ringhiere di protezione (punti 2, 4 e 8 dell’ordinanza di demolizione); ma neppure tali ultimi lavori avevano creato nuove “superfici utili”, trattandosi, per talune di esse, al più, di una diversa utilizzazione, non necessitante del rilascio del permesso di costruire (in sanatoria); e, infatti, l’immobile de quo ricadeva in zona territoriale “3” del P. U. T., di cui alla 1. r. Campania 35/87, zona per la quale, ex art. 17 della stessa legge, era consentita l’esecuzione d’interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria e di restauro conservativo; e l’art. 3, comma 1, sub c), del d. P. R. 380/01, stabiliva che s’intendono per “interventi di restauro e di risanamento conservativo” gli interventi edilizi “rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili”; tra tali interventi, quindi, senz’altro rientrava l’ipotizzata utilizzazione a terrazzi dei preesistenti lastrici solari, “trasformazione” eseguita solo mercé l’apposizione di una ringhiera di protezione, nonché la pavimentazione (neutra, rispetto all’effettiva utilizzazione); la conferma di quanto sopra si traeva anche dai successivi artt. 31 e 32 del T. U. Ed., secondo il primo dei quali s’è in presenza di totale difformità quando vengono eseguiti interventi che “comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso” dal preesistente, mentre per il secondo di essi vi sono variazioni essenziali solo quando si verificano sostanziali mutamenti di destinazione d’uso, che implichino variazione degli standard ed altri rilevanti interventi edilizi (casi, non ricorrenti nella specie); ancora, l’art. 2, sub f), della 1. r. Campania 19/01 sottoponeva al regime della d. i. a. finanche la “nuova destinazione d’uso”, mentre, al più, nella specie, poteva parlarsi di diversa utilizzazione dei lastrici solari (ferma restando la destinazione abitativa dell’immobile, al quale gli stessi accedevano); in definitiva, non erano stati eseguiti interventi eccedenti quelli realizzabili con d. i. a., l’assenza della quale abilitava l’Amministrazione all’irrogazione di una sanzione pecuniaria, non dell’ingiunzione di demolizione; l’art. 5 della 1. r. Campania 35/87, poi, consentiva il rilascio dell’autorizzazione in sanatoria; tutti i precedenti rilievi, secondo il ricorrente, erano, quindi, sintomatici dell’illegittimità del provvedimento di diniego della sanatoria ed anche, in via derivata, dell’ingiunzione di demolizione, che sul primo, integralmente, si fondava;

IV) Eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà e perplessità evidenti; Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della l. r. Campania n. 35/87; Violazione degli artt. 10, 31, 36 e 37 del d. P. R. 380/01; Illegittimità derivata: da ultimo, rilevava il ricorrente, anche ammesso, in tesi, che occorresse il rilascio del permesso di costruire in sanatoria e che l’art. 5 del P. U. T. lo vietasse, fino a quando il Comune non avesse adeguato il P. R. G. al P. U. T., non avrebbe potuto essere respinta l’istanza di sanatoria e, poi, ingiunta la demolizione, fino all’espletamento di detto adempimento, dovendo, nelle more, essere sospesa ogni decisione al riguardo.

Si costituiva in giudizio il Comune di Ravello, con memoria in cui difendeva il provvedimento impugnato, a cagione dell’inserimento dell’area, sulla quale ricadeva l’immobile, in zona a vincolo paesaggistico ed ambientale, ex D. M. 22.11.1995.

All’udienza pubblica di smaltimento del 21.12.2017, il ricorso passava in decisione.

DIRITTO

Il ricorso non è fondato.

In particolare, come si ricava dal testo dell’ordinanza di demolizione gravata, le opere, abusivamente realizzate dal ricorrente, sono consistite nelle seguenti:

– 1) eliminazione del w. c. all’esterno della prima camera, adiacente all’ingresso ovvero al soggiorno;

– 2) creazione di un terrazzo di dimensioni (2,65 + 3,50) x 2,60 mt., con parapetto in ferro e pilastrini intermedi in muratura, posto all’esterno della pavimentazione (tutt’ora pavimentato), al quale si accede dalla cucina per tramite una porta – finestra di dimensioni 1,18 x 2,20 (h) mt.;

– 3) Realizzazione di una scala di collegamento tra la cucina e la camera da letto di larghezza pari a circa mt. 1,00 con cinque alzate, in luogo della scala d’accesso alla camera da letto e del bagno adiacente ad essa, previsti in progetto;

– 4) Trasformazione dei lastrico solare (in parte costituito dall’estradosso della vecchia volta di copertura della cucina), adiacente il fabbricato di proprietà della Conferenza Episcopale Italiana, in terrazzo calpestabile completamente pavimentato;

– 5) Realizzazione, sul terrazzo di cui al punto precedente ed in aderenza al fabbricato della predetta, di una seduta in muratura rivestita (piano orizzontale) di mosaico in ceramica di lunghezza 3,35 mt e larghezza 0,40 mt.;

– 6) Realizzazione di un forno, sempre sul terrazzo di cui al precedente punto 4), di dimensioni 1,55 x 1,40 mt., con copertura in tegole ed embrici; inoltre sul lato destro dello stesso forno (vi) è installato un lavandino/lavatoio con punto di carico e scarico di acqua;

– 7) Installazione, a sinistra del suddetto forno, di una rampa di scale in ferro di larghezza 0,80 mt. e n. 11 alzate, che dà accesso alla copertura del locale soggiorno;

– 8) Trasformazione del lastrico solare di copertura del locale soggiorno in terrazzo provvisto di pavimentazione e di parapetto in ferro di altezza 0,94 mt.

Rispetto ad esse, il presupposto diniego della sanatoria, richiesta dal ricorrente, è stato testualmente motivato, dal Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune di Ravello, nel modo seguente:

– “a)per la realizzazione di nuovi volumi utili, nonché di superfici utili e superfici non residenziali (scaturite dal mutamento di destinazione d’uso di lastrici solari a terrazzi), necessita il rilascio di permesso di costruire (già concessione edilizia di cui all’art. l della Legge n. 10/77);

– b) l’art. 5 della Legge Regionale 27.06.1987 n. 35 – P. U. T. – vieta il rilascio di concessioni edilizie per i Comuni, come quello di Ravello, sprovvisti di Piano Regolatore Generale vigente e conforme alle previsioni della stessa legge regionale”.

Ciò posto, s’osserva – quanto alla prima censura, imperniata sulla dedotta mancata osservanza della garanzie partecipative, ex art. 7 l. 241/90 (censura riferita, peraltro, alla sola ordinanza di demolizione, laddove, quanto al precedente diniego di sanatoria, dalla sua lettura emerge che è stata inviata, dal Comune, la comunicazione, ex art. 10 bis l. 241/90, senza che, da parte del ricorrente, fossero licenziate controdeduzioni al riguardo) – che la stessa è idoneamente avversata da un indirizzo della giurisprudenza amministrativa, ampiamente consolidato, espresso in massime, come la seguente: “L’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce manifestazione di attività amministrativa doverosa, con la conseguenza che i relativi provvedimenti, quali l’ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto” (T. A. R. Campania – Napoli, Sez. VIII, 28/08/2017, n. 4122).

Nella specie, l’inutilità della partecipazione procedimentale alla fase terminale del procedimento d’irrogazione di sanzioni edilizie è confermata, del resto, proprio dalla surriferita circostanza, secondo cui, posto che l’ordinanza di demolizione, nella specie, s’è posta in rapporto di diretta consequenzialità, logica e cronologica, rispetto al presupposto diniego dell’istanza d’accertamento di conformità, ex art. 36 d. P. R. 380/2001, presentata dal ricorrente, quest’ultimo ben è stato posto in condizione d’intervenire, nella fase che ha preceduto l’emissione del provvedimento negativo, da parte del Comune, circa tale istanza, senza – peraltro – che lo stesso si sia avvalso di tale facoltà.

Onde sarebbe comunque sterile la doglianza d’omessa comunicazione d’avvio del procedimento, ex art. 7 l. 241/90, riferita all’atto conseguente, rappresentato dall’ordinanza che irroga – sul presupposto dell’impossibilità di sanare gli abusi – la sanzione della demolizione.

La seconda censura – d’incompetenza della firmataria degli atti impugnati, arch. Rosa Zeccato, per non essere la stessa “un dirigente, anzi neppure un dipendente in pianta organica del Comune di Ravello” – è generica, in quanto non supportata da alcuna prova al riguardo (prova incombente sul ricorrente, in applicazione dei principi generali sulla ripartizione dell’onere probatorio tra le parti, e in particolare della regola fondamentale, espressa nel brocardo “Onus probandi incumbit ei qui dicit”), prova eventualmente idonea a superare la circostanza, ricavabile dalla mera lettura dei provvedimenti in questione, per cui il suddetto arch. Rosa Zeccato era, al momento della loro emanazione, il “responsabile dell’ufficio” tecnico del Comune resistente.

La questione veramente centrale si pone, peraltro, rispetto alla terza censura, e all’ivi assunta non necessità del permesso a costruire, rispetto alla realizzazione delle opere, sopra analiticamente descritte, censura fondata, sostanzialmente, sulla constatazione che le stesse non avrebbero prodotto la creazione di nuovi volumi e superfici.

Orbene, se per talune delle opere, sopra descritte, può effettivamente convenirsi sulla deduzione di parte ricorrente (ci si riferisce – oltre che all’eliminazione del w. c., originariamente posto all’esterno dell’immobile – alla seduta in muratura, al forno, al lavandino e alle rampe di scale, di cui ai nn. 1), 3), 5), 6) e 7) dell’ordinanza gravata), il problema si pone – e va risolto diversamente – per quanto concerne la trasformazione del lastrico solare in terrazzo di copertura, secondo la specificazione contenuta ai nn. 2), 4) e 8) dello stesso provvedimento.

In relazione a tali opere, della cui consistenza materiale non v’è ragione alcuna di dubitare (lo stesso ricorrente, infatti, le qualifica tali), rileva il Tribunale come la questione non possa essere impostata nel senso che dette trasformazioni, non implicando aumento di superficie e volume utili, non necessiterebbero del previo rilascio del titolo ad aedificandum (all’epoca dei fatti, non consentita nel Comune di Ravello: su questa parte dei provvedimenti impugnati non è stata sollevata censura alcuna).

Come, infatti, precisato nel diniego di sanatoria, lo stesso si giustificava anche per la realizzazione non consentita, da parte del ricorrente, di “superfici non residenziali, scaturite dal mutamento di destinazione d’uso dei lastrici solari in terrazzi”.

Ebbene, l’esame della giurisprudenza amministrativa, formatasi relativamente ad opere abusive, consistite nella trasformazione di lastrici solari in terrazzi, consegna un quadro caratterizzato dall’affermazione della necessità del permesso a costruire, per opere siffatte.

In particolare, nella massima ricavata dalla sentenza del T. A. R. Campania – Napoli, Sez. IV, del 6/03/2013, n. 1247, si legge: “La sola posa di una pavimentazione su un lastrico solare già precedentemente accessibile (senza peraltro che possa rilevarsi l’apposizione di ringhiere, parapetti o altre strutture), non può essere considerato un intervento di trasformazione da lastrico solare a terrazzo, non mutando la sua destinazione di utilizzo, stante l’inesistenza di altri manufatti che ne evidenzino la destinazione all’utilizzo per la presenza stabile di persone e considerato che il lastrico solare in questione era già pienamente accessibile tramite le scale condominiali. La semplice posa in opera di pavimentazione è da qualificarsi come intervento di manutenzione straordinaria assentibile all’epoca con d. i. a., di tal che il provvedimento impositivo di una sanzione pecuniaria appare pienamente giustificato”.

In essa, la possibilità di prescindere dal rilascio del permesso a costruire, e la conseguente sanzionabilità dell’abuso in termini pecuniari, si collega, infatti, alle caratteristiche precipue dell’intervento, tenuto presente nella specie, caratterizzato dalla sola pavimentazione del lastrico solare e dalla mancata apposizione di ringhiere, parapetti o altre strutture, tale da escludere “la destinazione all’utilizzo per la presenza stabile di persone”, laddove in parte motiva la stessa decisione precisa, inequivocabilmente, che:

“(…) Il Collegio riconosce l’esistenza di una differenza, in termini di disciplina urbanistica, tra un lastrico solare e un terrazzo.

Il primo è una parte di un edificio che, pur praticabile e piana, resta un tetto, o quanto meno una copertura di ambienti sottostanti, mentre la terrazza è intesa come ripiano anch’esso di copertura, ma che nasce già delimitato all’intorno da balaustre, ringhiere o muretti, indici di una ben precisa funzione di accesso e utilizzo per utenti.

Il Collegio ritiene, altresì, che, nel caso si realizzi un cambio di destinazione d’uso trasformando un solaio di copertura, per cui non è prevista la praticabilità, in terrazzo, mediante specifici interventi edilizi, sia necessario il cambio il permesso di costruire (T. A. R. Lazio Roma, Sez. II, 22 marzo 2004, n. 2676; T. A. R. Campania, Sez. VII, 1.7.2010, n. 16540) (…)”.

Tal è il caso che viene in rilievo nella specie, essendosi per l’appunto in presenza della trasformazione, in più punti, del lastrico solare di copertura in terrazzo, destinato alla fruizione da parte del ricorrente, che, per l’appunto, “ha pavimentato tre terrazzi e/o lastrici solari e vi ha apposto le ringhiere di protezione (punti 2, 4 e 8 dell’ordinanza di demolizione)”.

La successiva deduzione del ricorrente, secondo la quale la diversa utilizzazione che ne è scaturita non dovrebbe essere assistita “dal rilascio del permesso di costruire (in sanatoria)”, è, anzitutto, contraddittoria, perché, ciò nonostante, la sanatoria (id est l’accertamento di conformità) è stata, di fatto, richiesta al Comune (che ha respinto l’istanza); e, in secondo luogo, infondata, giusta l’indirizzo giurisprudenziale testé riferito (che s’esprime, proprio in termini di necessità del permesso di costruire, tout court, per interventi di tal genere).

L’indirizzo in questione, d’altro canto, è corroborato da ulteriori pronunce, tutte nel senso dell’imprescindibilità, in casi siffatti, del permesso a costruire: “La sostituzione della preesistente copertura inclinata con un terrazzo calpestabile che, in quanto destinato ad offrire un affaccio e ulteriori utilità ai locali abitativi cui è stato collegato mediante l’apertura di una porta – finestra, forma parte funzionalmente integrante dei locali medesimi, comporta un evidente incremento della superficie dello stabile: tale modifica configura un intervento di ristrutturazione edilizia” (T. A. R. Liguria, Sez. I, 1/12/2016, n. 1177); “La trasformazione di un tetto di copertura in terrazzo calpestabile modifica gli elementi tipologici formali e strutturali dell’organismo preesistente – risolvendosi in ultima analisi in una alterazione di prospetto e sagoma dell’immobile – e, quindi, non rientra nella categoria del restauro e risanamento conservativo, bensì in quella della ristrutturazione edilizia” (T. A. R. Lazio – Latina, Sez. I, 24/12/2015, n. 870); “Il mutamento di destinazione d’uso della terrazza e il complesso delle opere connesse (rivestimento dell’area di calpestio, apposizione di fioriere prefabbricate e di incannucciamento ancorato alla ringhiera, scala di accesso interna in muratura a ridosso del piano finestra) necessita del permesso di costruire, tenuto conto che esse realizzano un aumento del carico urbanistico nonché, almeno in parte, una modifica del prospetto dell’edificio” (T. A. R. Campania – Napoli, Sez. VII, 1/07/2010, n. 16540).

Insomma, ne risulta confermato che, secondo quanto sancito dalla succitata sentenza del T. A. R. Campania – Napoli, n. 1247/2013: “Nel caso si realizzi un cambio di destinazione d’uso trasformando un solaio di copertura, per cui non è prevista la praticabilità, in terrazzo, mediante specifici interventi edilizi, è necessario il permesso di costruire, non essendo realizzabile detta trasformazione tramite semplice s. c. i. a. né tramite comunicazione di inizio lavori ex art. 6, d. P. R. n. 380 del 2001”.

E anche quando s’afferma, in giurisprudenza, che: “La realizzazione di una ringhiera protettiva e di una scala in ferro per consentire l’accesso ad un terrazzo costituiscono interventi per i quali non è richiesto il preventivo rilascio del permesso di costruire; infatti, tali opere seppure finalizzate a consentire l’utilizzo del solaio di copertura di un immobile non determinano una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, ma si configurano piuttosto come mere pertinenze, essendo preordinate ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente inserite al servizio dello stesso, sfornite di un autonomo valore di mercato e caratterizzate da un volume minimo, tale da non consentire una destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile al quale accedono e, comunque, tale da non comportare un aumento del carico urbanistico” (T. A. R. Sicilia – Palermo, Sez. II, 1/04/2016, n. 846; conforme: T. A. R. Liguria, Sez. I, 11/07/2011, n. 1088), ci si riferisce, evidentemente, ad opere (come una ringhiera protettiva e una scala in ferro) accessive ad un organismo edilizio già qualificabile in termini di terrazzo, laddove nella specie s’è invece in presenza, lo si ribadisce, della trasformazione, in terrazzini, di preesistenti meri lastrici solari.

Ne consegue che il diniego di sanatoria, motivato in termini d’impossibilità, per il mancato adeguamento del P. R. G. di Ravello al P. U. T., del rilascio del permesso di costruire, per le suddette opere, è legittimo, con conseguente legittimità del pedissequo ordine di demolizione (non fatto segno, d’altronde, d’ulteriori censure autonome, oltre quelle – di natura formale – già respinte sopra).

Per ciò che concerne, in ogni caso, la quarta e ultima doglianza, secondo cui, per respingere l’accertamento di conformità, e ordinare la demolizione di tali opere, si sarebbe dovuto attendere, da parte del Comune di Ravello, l’adeguamento del P. R. G. al P. U. T. (dovendo restare, nelle more, ogni decisione in merito sospesa), non è chi non veda come la stessa sia priva di pregio, dovendosi piuttosto rovesciare il ragionamento, nel senso che, una volta avvenuto tale adeguamento, sarebbe stato possibile, da parte del Comune resistente (e resterà possibile, in chiave conformativa), valutare l’eventuale possibilità del rilascio del permesso di costruire, per la riferita trasformazione del lastrico solare del fabbricato di proprietà del ricorrente in terrazzo, nel cui contesto andranno ovviamente considerate anche le opere, accessorie e pertinenziali rispetto a tale – rilevante – attività di trasformazione edilizia.

Sussistono, peraltro, per le caratteristiche precipue dell’intervento, e per la presenza, in esso, anche di dette opere pertinenziali ed accessorie, non autonomamente sanzionabili, eccezionali motivi per compensare integralmente, tra le parti, le spese e le competenze di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge, nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso, in Salerno, nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2017, con l’intervento dei magistrati:

Maria Abbruzzese, Presidente

Paolo Severini, Consigliere, Estensore

Rita Luce, Primo Referendario

L’ESTENSORE Paolo Severini

IL PRESIDENTE Maria Abbruzzese