Bonifica sito inquinato: imputabile al proprietario solo in presenza di dolo o colpa

Pubblicato il 13-11-2018
Condividi

A cura dell’avv. Valentina Taborra

Con la sentenza in commento il Tar Emilia Romagna, sede di Bologna, chiarisce che la bonifica di un sito inquinato per abbandono di rifiuti può essere ingiunta anche al proprietario dell’area interessata solo se l’Amministrazione competente abbia provveduto a verificare l’imputabilità dell’inquinamento in capo a questo, a titolo di dolo o colpa.

In sostanza, il Giudice ha voluto chiarire che, in materia di gestione dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati, non è possibile ingiungere una sanzione al proprietario dell’area inquinata, per responsabilità oggettiva, ma è necessaria la dimostrazione, da parte dell’amministrazione procedente, dell’imputabilità soggettiva della condotta o, quantomeno, di una corresponsabilità con gli autori dell’illecito, sempre attraverso condotte, commissive od omissive, dolose o colpose.

Nel caso di specie, con ordinanza contingibile ed urgente, il Sindaco di un Comune della provincia di Forlì-Cosenza, aveva ordinato al proprietario del sito interessato, la rimozione e lo smaltimento di rifuti speciali e pericolosi ivi abbandonati da ignoti.

Proprio sul diverso fondamento delle ordinanze contigibili ed urgenti rispetto alle ordinanze ordinarie ex art. 192 d.lgs. 152/2006 che, invece, richiedono l’elemento soggettivo, il Giudice amministrativo ha fondato l’accoglimento del ricorso proposto per l’annullamento della citato provvedimento.

L’art. 38 della legge 142/1990, poi trasfuso nell’art. 54 comma 2 del d.lgs. 267/2000, attribuiva al Sindaco il potere di adottare provvedimenti contigibili ed urgenti “al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini” in assenza di indicazioni circa le modalità di esercizio del potere, a fronte di situazioni eccezionali di necessità ed urgenza, non fronteggiabili con gli ordinari strumenti di amministrazione. L’ordinanza contingibile ed urgente, tuttavia, chiarisce il Giudice, è frutto di un potere atipico e residuale, esercitabile, in presenza di un’oggettiva situazione di effettivo e concreto pericolo per l’incolomità pubblica, e può essere adottata tutte le volte in cui non sia conferito dalla legge il potere di emanare atti tipici.

Nel caso di specie, un atto tipico è previsto normativamente ed è disciplinato dall’art. 14 del d.lgs. 22/1997, oggi riprodotto nell’art. 192 d.lgs. 152/2006 per il quale: “chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo. Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”.

L’Ente comunale accertatore, quindi, avrebbe dovuto adottare un’ordinanza ex art. 192 d.lgs. 152/2006 in luogo di un’ordinanza contigibile ed urgente, espletando un ordinario potere d’intervento, a carattere sanzionatorio e che può essere esercitato a carico di soggetti che hanno agito in violazione dei divieti di  legge, a titolo di dolo o colpa, come la stessa norma esplicitamente prevede.

Quindi, al proprietario del sito inquinato che non sia anche individuato come responsabile dell’abbandono di rifuti, a titolo di dolo o colpa, non può essere ingiunta la bonifica del sito di sua proprietà ma inquinato da ignoti.

N. 00812/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00033/2018 REG.RIC.

MINISTERO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 33 del 2018, proposto da:
Regione Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Franco Mastragostino, Maria Chiara Lista, con domicilio eletto presso lo studio Franco Mastragostino in Bologna, piazza Aldrovandi 3;

CONTRO

Comune di Galeata, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Lauricella, con domicilio eletto presso il suo studio in Forlì, via Primavera 35;

E CON L’INTERVENTO DI

ad adiuvandum:
Agenzia Regionale per la Sicurezza Territoriale e La Protezione Civile della Regione Emilia Romagna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Franco Mastragostino, Maria Chiara Lista, con domicilio eletto presso lo studio Franco Mastragostino in Bologna, piazza Aldrovandi 3;

PER L’ANNULLAMENTO

-della Ordinanza n. 29 del 24 ottobre 2017, emessa dal Sindaco del Comune di Galeata (Provincia di Forlì-Cesena), assunta al protocollo del Servizio Giur. Ambiente Rifiuti e bonifica siti contaminati, Servizi Pubbl. Amb. della Regione Emilia-Romagna PG/2017/681765 del 25 ottobre 2017 e al protocollo del Servizio Approvvigionamenti, Patrimonio e Logistica della Regione PG/2017/0683189 del 25 ottobre 2017, con la quale, il Sindaco ordina alla Regione Emilia-Romagna “nella qualità di Ente gestore del demanio fluviale, di provvedere, entro il termine di 60 giorni: – alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti speciali e pericolosi abbandonati da ignoti sulla sponda sinistra nell’alveo del fiume Rabbi in corrispondenza dell’area della ex Cava San Zeno in prossimità della frazione Strada San Zeno;

– al ripristino dello stato dei luoghi ed alle condizioni di sicurezza sanitaria nonchè ambientale” avvisando che: “in caso di inottemperanza…si procederà all’esecuzione d’ufficio, in danno ai soggetti inadempienti, ed al recupero delle somme anticipate da questa Amministrazione, nonché a presentare denuncia alla competente Autorità Giudiziaria, ai sensi dell’art. 255, comma 3 del d.lgs. n. 152/2006.

  • Visti il ricorso e i relativi allegati;
  • Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Galeata;
  • Viste le memorie difensive;
  • Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2018 la dott.ssa Maria Ada Russo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO E DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe è stato chiesto l’annullamento del provvedimento ordinanza n. 29 del 24.10.2017 emessa dal sindaco del Comune di Galeata PG/2017/681765 del 25.10.2017 con cui il sindaco ordina alla Regione Emilia Romagna – nella qualità di ente del gestore del demanio fluviale – di provvedere entro il termine di 60 giorni alla rimozione e smaltimento dei rifiuti speciali e pericolosi abbandonati da ignoti sulla sponda sinistra nell’alveo del fiume Rabbi in corrispondenza dell’area della ex Cava S. Zeno in prossimità della frazione Strada S. Zeno.

Il ricorso è stato supportato dai seguenti 2 motivi di diritto :

1). Violazione di legge per falsa ed erronea interpretazione ed applicazione art. 192 DLGS 152/2006 (decreto ambiente) in luogo della dovuta applicazione dell’art. 184, comma 2, lettera d), del medesimo decreto e della disciplina relativa alla raccolta di rifiuti abbandonati. Violazione degli obblighi derivanti dall’art. 198 del medesimo DLGS. Erroneo supposto di fatto e di diritto; violazione della convenzione in essere per il servizio di gestione dei rifiuti urbani fra ATO di Forlì Cesena e gestore Hera spa; difetto di motivazione o comunque motivazione perplessa e contraddittoria.

2). Violazione di legge per mancanza del presupposto richiesto dall’art. 192 DLGS 152/2006 inerente all’accertamento di responsabilità ai fini della imputazione del comportamento illecito dell’abbandono di rifiuti ovvero di inerzia o omissione del soggetto proprietario fondanti l’adozione di misure prescrittive irrogabili con ordinanza sindacale. Difetto assoluto di motivazione, falso ed erroneo presupposto di fatto e di diritto.

Con ord. n. 17/2018 il Collegio ha accolto la domanda cautelare e condannato alla rifusione delle spese della fase cautelare.

Tanto premesso, in questa sede, deve essere confermato il disposto cautelare; dunque il ricorso è fondato e deve essere accolto.

1). Con il primo motivo di ricorso la ricorrente – richiamando l’art. 192, comma 3, del DLGS 152/2006 – sostiene che nel caso di specie la norma non sarebbe applicabile.

Richiamando la diversa norma di cui all’art. 184, comma 2, relativa alla gestione dei rifiuti urbani, sostiene che la titolarità delle funzioni e competenza ad effettuare raccolta e rimozione resterebbe in capo al Comune e non alla Regione.

2). Con il secondo motivo l’interessata lamenta la mancanza nel provvedimento impugnato di un apprezzamento sulla imputabilità di un comportamento, a titolo di dolo o colpa, in capo al destinatario (Regione).

Replica il comune con deposito di diverse memorie difensive.

Precisa in punto di fatto :

a). in data 13.6.2017 la stazione Carabinieri forestale di S. Sofia (FC) ha segnalato al sindaco del Comune di Galeata la presenza di rifiuti abbandonati sul suolo (lastre ondulate di cemento, amianto eternet, macerie e cemento) all’interno della cava San Zeno;

b). il terreno appartiene al demanio regionale (alveo fluviale);

c). nelle more del giudizio Atesir (agenzia regionale addetta alla sorveglianza del territorio) ha individuato nel sito una criticità ambientale e ha segnalato la problematica ad Alea ambiente (società in house di 13 comuni della Romagna addetta alla gestione integrata dei rifiuti);

d). la società Alea ambiente ha provveduto allo smaltimento di 350 kg di materiali da costruzione contenenti amianto;

e). resta in sospeso il problema dei costi.

In buona sostanza il Comune ritiene che :

a). si è trattato in maniera oggettiva di rifiuti pericolosi (amianto);

b). gli stessi si trovavano su terreno demaniale e dunque andavano smaltiti dalla regione;

c). si può applicare l’art. 192 del codice ambiente. Lo stesso non fa riferimento a situazioni sistematiche o ripetitive.

Come noto, già l’art. 38 della legge n.142 del 1990, poi trasfuso nell’art. 54, comma 2° del del D. L.gvo 18 agosto 2000 n. 267 (t.u. enti locali), attribuiva al sindaco il potere di adottare provvedimenti contingibili ed urgenti «al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini», in assenza di indicazioni circa le modalità di esercizio del potere, a fronte di situazioni eccezionali di necessità e di urgenza.

Tale potere non può mai trasmodare in una violazione del principio di legalità e va ancorato ad una serie di principî che devono guidarne l’utilizzo, quali appunto la necessità e l’urgenza, la durata limitata nel tempo, la motivazione, ovvero la insussistenza di altri poteri per risolvere la questione: in sostanza, esso presuppone un’oggettiva situazione di effettivo e concreto pericolo per l’incolumità pubblica, non fronteggiabile con gli ordinari strumenti di amministrazione attiva (ex plurimis: Cons. St., Ad. Plen., 30.7.2007, n. 10; Sez. V, 28.5.2007, n. 2109; Sez. II, 24.10.2007, n.2210; che precisa, proprio che tali provvedimenti sono consentiti anche quando vi è una apposita disciplina che regoli in via ordinaria determinate situazioni, laddove la necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza alla tutela del bene risulti tanto urgente da non consentirne il tempestivo utilizzo).

Il potere di ordinanza previsto dall’art. 14 del D. L.gvo 5 febbraio 1997 n. 22 (ed in precedenza dall’art. 9, D.P.R. n. 915 del 1982), oggi riprodotto dall’ art. 192 del D. Lgvo. 3.4.2006 n.152, ha un diverso fondamento rispetto alle ordinanze disciplinate dall’art. 54 t.u. enti locali.

Ed invero, mentre, il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti deve essere atipico e residuale e, cioè, esercitabile, sussistendone i presupposti, tutte le volte in cui non sia conferito dalla legge il potere di emanare atti tipici, in presenza di presupposti indicati da specifiche normative di settore, viceversa, l’art. 14, comma 3, del D. L.gvo n. 22 del 1997 e poi l’art. 192 del D. L.gvo n. 152 del 2006 configurano una specifica normativa con la previsione d’un ordinario potere d’intervento, attribuito all’autorità amministrativa, a carattere sanzionatorio: tanto è vero che, per la sua applicazione a carico dei soggetti obbligati in solido, prevede in capo agli stessi l’imputazione a titolo di dolo o colpa del comportamento tenuto in violazione dei divieti di legge.

La giurisprudenza ha affermato quanto segue :

a). L’art. 14, 3° comma, del D.Lgs. n. 22 del 1997, dispone: “fatta salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli articoli 50 e 51, chiunque viola i divieti di cui ai commi 1 e 2 è tenuto a procedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti ed al ripristino dello stato dei luoghi in solido con il proprietario e con i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali tale violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa. Il sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il quale procede all’esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate”.

Al comma 1 del medesimo articolo, invece, si stabilisce, in termini più generali, che “l’abbandono e il deposito incontrollati di rifiuti sul suolo e nel suolo sono vietati”;

b). la giurisprudenza (cfr., C.d.S., V, 25 agosto 2008, n. 4061) ha precisato che, “in tema di abbandono di rifiuti, la giurisprudenza amministrativa, già con riferimento alla misura reintegratoria prevista e disciplinata dall’art. 14 del D.lgs. n. 22/1997 (c.d. “Decreto Ronchi”), statuì che il proprietario dell’area fosse tenuto a provvedere allo smaltimento solo a condizione che ne fosse dimostrata almeno la corresponsabilità con gli autori dell’illecito abbandono di rifiuti, per aver posto in essere un comportamento, omissivo o commissivo, a titolo doloso o colposo (v., tra le molte, Cons. St., sez. V, 25.1.2005 , n. 136), escludendo, conseguentemente, che la norma configurasse un’ipotesi legale di responsabilità oggettiva (vieppiù, per fatto altrui)”.

“In particolare, fu affermata l’illegittimità degli ordini di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario di un fondo in ragione della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell’amministrazione procedente, sulla base di un’istruttoria completa e di un’esauriente motivazione (quand’anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d’esperienza), dell’imputabilità soggettiva della condotta”.

c). I suddetti principi “a fortiori” si attagliano al disposto di cui all’art. 192 del D.lgs. n. 152/2006, dal momento che siffatta disposizione legislativa non soltanto riproduce il tenore dell’abrogato art. 14 del D.lgs. n. 22/1997, con riferimento alla necessaria imputabilità a titolo di dolo o colpa, ma, in più, integra il precedente precetto, precisando che l’ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente “in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo” .

Orbene, applicando le superiori considerazioni al caso in esame, si osserva che non è stata né accertata, né tantomeno dimostrata dall’ente civico la sussistenza dell’elemento psicologico (ossia almeno la colpa), che avrebbe dovuto sorreggere la condotta omissiva imputabile all’Amministrazione ricorrente, quale condizione necessaria per la legittimità del provvedimento impugnato, essendosi l’Amministrazione Comunale unicamente limitata a rilevare l’appartenenza del bene interessato alla Agenzia Demaniale e, per ciò soltanto, ordinandole di bonificare il fondo.

Ne consegue la condivisibilità delle doglianze svolte dalla parte ricorrente, particolarmente sotto il profilo dell’insufficiente istruttoria e del deficit motivazionale.

Il ricorso è dunque da accogliere con annullamento degli atti impugnati.

Le spese, fermo il disposto cautelare, seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna (Sezione Seconda) :

Accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.

Condanna le parti soccombenti alla rifusione in favore della ricorrente delle spese che liquida in € 500,00 per ciascuno, oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2018 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Mozzarelli, Presidente

Maria Ada Russo, Consigliere, Estensore

Jessica Bonetto, Primo Referendario