Il tema è controverso e di grande attualità; l’occasione per affrontarlo consegue alla pubblicazione di una recente sentenza della sezione VI del Consiglio di Stato, la 287 del 9 gennaio 2023.
Nel caso di specie, l’appellante nel secondo motivo di ricorso lamentava l’assoggettabilità dei sottoprodotti di origine animale (effluenti da allevamento) destinati all’utilizzo di un impianto che produca biogas alla parte IV del Codice dell’Ambiente, relativa alle “Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati”: secondo l’appellante i sottoprodotti di origine animale sarebbero qualificabili quali rifiuti, da cui ne deriverebbe il fatto che un impianto che recupera questo materiale soggiace all’obbligo di valutazione ambientale (seppure nella sola fase di verifica di assoggettabilità a VIA, ai sensi dell’Allegato IV, Parte II, del Codice dell’Ambiente).
Ma il Consiglio non condivide la censura.
L’art. 183 del Codice dell’Ambiente reca le definizioni della parte IV del decreto medesimo.
L’art. 183 c.1 lettera a) definisce il rifiuto come qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi.
L’art. 183 c.1 lettera qq) definisce invece il sottoprodotto qualsiasi sostanza od oggetto che soddisfa le condizioni di cui all’articolo 184-bis, comma 1, o che rispetta i criteri stabiliti in base all’articolo 184-bis, comma 2;
Le condizioni di cui all’art. 184-bis c.1 per determinare la sussistenza di un sottoprodotto – e non un rifiuto – sono le seguenti:
Che la sostanza o l’oggetto sia originato da un processo di produzione, di cui costituisca parte integrante, ed il cui scopo primario non sia la produzione di tale sostanza od oggetto;
La certezza che la sostanza ovvero l’oggetto sarà utilizzato da parte del produttore o di terzi nel corso di un processo di produzione ovvero in un successivo processo di produzione;
L’utilizzo della sostanza (ovvero dell’oggetto) direttamente, senza la necessità di un ulteriore trattamento diverso dalla “normale pratica industriale”;
L’utilizzo della sostanza ovvero dell’oggetto sia “legale”, nel senso che soddisfa tutti i requisiti concernenti la tutela dell’ambiente e della salute umana, non portando ad impatti complessivi negativi su quest’ultimi.
L’art. 184-bis c.2 del Codice dell’Ambiente prevede che possano essere adottate misure per stabilire i criteri quantitativi e quantitativi affinché una sostanza possa essere qualificata come sottoprodotto, anziché come rifiuto, garantendo un elevato livello di tutela dell’ambiente e della salute umana: questi criteri possono essere adottati mediante decreti del Ministro dell’Ambiente in conformità a quanto previsto dal diritto dell’Unione Europea. Ad oggi questo Decreto per gli scarti animali (cd. “End of Waste”) non è stato adottato.
In mancanza dell’adozione di un Decreto “End of Waste”, il Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, ha adottato linee guida 41/2022 per l’applicazione della disciplina End of Waste ex art. 184-ter c. 3 ter TUA.
Le linee guida prevedono espressamente che le stesse non si applicano per i sottoprodotti; quindi, non sono conferenti con la questione di cui trattasi.
I giudici di Palazzo Spada sulla base di queste disposizioni hanno qualificato gli effluenti di allevamento come sottoprodotti, e non come rifiuti, ritenendo la sussistenza delle condizioni e l’osservanza dei criteri di cui all’art. 184-bis.
In particolare, il giudice amministrativo ha statuito che gli effluenti da allevamento possano assumere la qualifica di sottoprodotto nel caso in cui siano impiegati in impianti energetici per la produzione di biogas e siano assimilabili agli impianti per la produzione di biometano.
Il giudice di primo grado della presente controversia ha chiarito l’assimilazione tra impianti di produzione di biometano ed impianti di produzione di biogas, dal momento che gli stessi impianti di biometano, come gli impianti di biogas sono alimentati da fonte rinnovabile di biomassa con annessa digestione anaerobica; quindi, gli impianti di biometano risultano assimilabili agli impianti di biogas (TAR Lazio, Roma, Sez. II-quater, sent. 23/02/2022, n. 3222).
Il Consiglio di Stato non ha ritenuto condivisibile la tesi dell’appellante secondo la quale, ai sensi dell’art. 185 c.2 lettera b) del Codice dell’Ambiente (“esclusioni dal campo di applicazione”), i sottoprodotti di origine animale dovessero essere inclusi nell’ambito di applicazione della parte IV del Codice medesimo, dal momento che l’articolo citato esclude sì i sottoprodotti di origine animale, fatta eccezione però per quelli destinati all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas. La menzionata esclusione dall’ambito applicativo della parte IV del Codice dell’ambiente, giustificata dalla affermazione dell’applicazione di “altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento” non impedirebbe l’operatività di altre tipologie di esclusione, come quella di cui all’art. 184-bis, nel caso in cui venisse integrata di per sé la nozione di sottoprodotto.
Nonostante l’assimilazione degli impianti di produzione biometano agli impianti di produzione di biogas, che rientrerebbero nell’ambito di applicazione della parte IV del Codice dell’Ambiente, sulla base di quanto disposto dall’art. 185 Dlgs. 152/2006, risulta necessaria una ulteriore verifica in concreto in merito al fatto se i prodotti da impiegare costituiscano rifiuti ovvero sottoprodotti.
Il giudice amministrativo, dunque, nel caso di specie e sulla base di tali considerazioni, sancisce l’esclusione degli effluenti da allevamento dalla verifica di assoggettabilità a VIA: fermo restando che, la sussistenza delle condizioni di cui all’art. 184-bis dovrà essere oggetto di vigilanza amministrativa durante la fase di attivazione e di gestione dell’impianto ai fini dell’integrazione della nozione di sottoprodotto.
La sentenza 287/2023 del Consiglio di Stato segue un orientamento della giurisprudenza amministrativa ed ordinaria recente che propende, nonostante la previsione di cui all’art. 185 c.2 lettera b) Codice dell’Ambiente, per la non assoggettabilità a VIA e a verifica di assoggettabilità a VIA dei sottoprodotti di origine animale utilizzati per impianti di produzione di biogas, quali gli effluenti da allevamento, qualora vengano in rilievo le condizioni di cui all’art. 184-bis affinché la sostanza ovvero l’oggetto sia considerata sottoprodotto e non rifiuto, anche sulla base di quanto previsto dal DM 25 febbraio 2016, n. 264 (Cass. Pen., Sez. III, sent. 10/01/2023, n. 385; Cons. Stato, Sez. V, sent. 28/12/2021, n. 11472).
Il DM 264/2016, in attuazione del d.l. 83/2012, prevede il Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti.
Il DM 264/2016 definisce modalità con le quali il detentore di sostanze od oggetti può dimostrare che quelle stesse sostanze, ovvero oggetti, soddisfano le condizioni generali ex art. 184-bis per qualificarle come sottoprodotti, e non rifiuti, quindi, non assoggettabili alla parte IV TUA.
Il DM 264/2016, difatti, rinvia all’art. 184-bis TUA che, come detto poc’anzi disciplina le condizioni affinché una sostanza possa qualificarsi come sottoprodotto e non come rifiuto.
Il DM 264/2016 riporta, all’allegato 1, sezione 1, le biomasse residuali destinate all’impiego per la produzione di biogas per impianti energetici: tra le stesse sono elencati, tra i sottoprodotti provenienti da attività agricola, di allevamento, della gestione del verde e da attività forestale, gli effluenti zootecnici.
L’allegato 1 del DM 264/2016 prevede come normativa di riferimento il Regolamento UE 1069/2009, recante norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale e ai prodotti derivati non destinati al consumo umano.
Il Regolamento 1069/2009/CE, che ha abrogato il precedente regolamento 1774/2002/CE, indicato nell’art. 185 c.2 TUA, annovera tra i sottoprodotti di origine animale lo “stallatico”, definito come gli escrementi e/o l’urina di animali di allevamento diversi dai pesci d’allevamento con o senza lettiera, ex art. 3 n.20 reg. 1069/2009/CE.
Pertanto, come correttamente rilevato dal giudice di I grado della presente controversia, gli effluenti da allevamento rientrano nella nozione di stallatico; quindi, nel campo di applicazione del regolamento 1069/2009/CE che comporterebbe la non assoggettabilità dei sottoprodotti di origine animale quali gli effluenti da allevamento alla normativa europea sui rifiuti, e di conseguenza, anche alla normativa nazionale – parte IV TUA (TAR Lazio, Roma, Sez. II-quater, sent. 23/02/2022, n. 3222).
L’art. 185 c.2 TUA prevede l’esclusione dall’ambito di applicazione della parte IV dello stesso TUA in materia di rifiuti per i sottoprodotti di origine animale, in quanto sarebbero regolati da altre disposizioni normative, comunitarie: nel caso di specie i sottoprodotti di origine animale sono regolati a livello nazionale dal DM 264/2016 e, come riportato dall’allegato 1 del DM 264/2016 dal Regolamento 1069/2009 UE.
Pertanto, non troverebbe alcuna ragione la deroga di cui all’art. 185 c.2 lettera b) TUA – eccetto quelli destinati… all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas – dal momento che è prevista normativa nazionale ed europea di dettaglio che regola espressamente i sottoprodotti di origine animale.
La deroga all’esclusione dall’ambito di applicazione della disciplina sui rifiuti – parte IV TUA – ex art. 185 c.2 lettera b), troverebbe significato se non sussistessero normative nazionali ovvero di diritto dell’Unione Europea: come poc’anzi dimostrato, per i sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano sussiste sia normativa nazionale che europea di dettaglio.
Quindi, il DM 264/2016, riportando modalità per agevolare l’utilizzo dei sottoprodotti e per assicurare uniformità d’interpretazione sulla nozione di rifiuto e rinviando alla disciplina di cui all’art. 184-bis TUA, possiamo desumere che gli effluenti zootecnici, considerati quali biomasse residuali destinate all’impiego per la produzione di biogas per impianti energetici, sono considerati sottoprodotti, e non rifiuti, e, pertanto, non assoggettabili alla Parte IV TUA e, conseguentemente, non assoggettabili a VIA e a verifica di assoggettabilità a VIA.
Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa con recente pronuncia sulla differenza tra rifiuto e sottoprodotto, sancendo un certo disallineamento rispetto alle previsioni di cui al TUA.
Il giudice del Lussemburgo, con recente pronuncia (CGUE, Sez. I, sent. 17/11/2022, C-238/21), si concentra sulla nozione di “rifiuto” e, in particolar modo, sull’espressione “disfarsi”, ai sensi dell’art. 3 direttiva rifiuti 2008/98 e dell’art. 183 c.1, lettera a) del Codice dell’Ambiente: il termine “disfarsi” si collega al fatto di ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per l’ambiente e per la salute umana, in osservanza del principio di precauzione, ex art. 191 TFUE.
L’esistenza di un rifiuto andrebbe accertata sulla base di circostanze che possano portare a carpire l’intenzione ovvero l’obbligo di disfarsi di quel prodotto.
La nozione di rifiuto e il termine “disfarsi” non vanno interpretati restrittivamente: difatti il rifiuto può essere una sostanza che abbia un valore commerciale e che possa essere raccolto a fini di riciclo, recupero ovvero di riutilizzo.
In merito alla nozione di rifiuto correlata al fatto che lo stesso possa avere o meno valore commerciale, è previsa un’interpretazione conforme anche a livello nazionale: la Cassazione penale, prevede che nella nozione di rifiuto ex art. 183 TUA, rientrino sia le sostanze che abbiano valore commerciale che quelle che non ce l’abbiano, dal momento che anche il rifiuto è considerata una merce e, come tale, possa essere soggetta a transazioni commerciali (Cass. Pen., Sez. III, sent. 14/11/2019, n. 7589).
Secondo la Corte di Giustizia, per la qualificazione di una sostanza come sottoprodotto, e non come rifiuto, bisogna valutare il grado di probabilità di riutilizzo di una sostanza a fini di commercializzazione senza operazioni di trasformazione preliminare e l’utilità della sostanza per il suo detentore, inteso nel senso che non quest’ultimo non abbia intenzione di disfarsene.
L’interpretazione del giudice dell’Unione Europea è senza dubbio estensiva per quanto concerne la nozione di rifiuto ed in linea a quanto previsto dal TUA, come sostenuto da giurisprudenza nazionale, e conseguentemente restrittivo per quanto concerne la nozione di sottoprodotto, in quanto la qualità di rifiuto esclude la qualificazione di una sostanza come sottoprodotto, e viceversa.
La Corte di Giustizia prevede che il riutilizzo di una sostanza debba essere certo, alla luce dell’interpretazione estensiva della nozione di rifiuto, affinché la sostanza sia qualificabile come sottoprodotto e quindi non assoggettabile alla direttiva rifiuti: ciò perché la qualifica di sottoprodotto e quella di rifiuto si escludono reciprocamente, alla luce di quanto previsto dalla normativa UE in materia di rifiuti, direttiva UE 2008/98.
Orientamento giurisprudenziale contrario a quello seguito dal Consiglio di Stato nel caso di specie si avvale di quanto previsto dall’art. 185 c.2 lettera b) del Dlg. 152/06.
Suddetto articolo prevede che i sottoprodotti di origine animale utilizzati per impianti di produzione di biogas rientrino nell’ambito applicativo della parte IV del Codice dell’Ambiente: difatti, la Cassazione, con pronunce recenti ha statuito che gli effluenti da allevamento costituiscono rifiuti salvo che non siano riconducibili al disposto di cui all’art. 185 c.1 e non contemplati dall’art. 185 c.2 lettera b) (Cass., Pen., Sez. III, sent. 11/05/2022, n. 18513; Cass. Pen Sez. III, sent. 23/09/2021, n. 38196): l’art. 185 c.2 lettera b) fa riferimento espresso ai sottoprodotti di origine animale destinati all’utilizzo di un impianto di produzione di biogas.
Quindi, secondo quanto pronunciato dalla Cassazione penale, questa tipologia particolare di sottoprodotti sarebbe considerata alla stregua di un rifiuto, pertanto assoggettabile alla parte IV del Codice dell’Ambiente, in quanto l’art. 185 c. 2 lettera b) TUA contempla all’interno della parte IV del TUA i sottoprodotti di origine animale utilizzati per impianti di produzione di biogas, che sono assoggettati a VIA e/o a verifica di assoggettabilità a VIA.
Anche il giudice amministrativo, in determinate pronunce, sempre alla luce dell’orientamento contrario rispetto a quello espresso dal Consiglio di Stato con sent. 287/2023, riprende l’orientamento seguito dal giudice penale, ponendo l’attenzione sulla complessità e delicatezza della tematica dei sottoprodotti. Difatti, dal momento che incide sulla materia ambientale e sulla salute umana e nonostante la normativa europea (regolamento 1069/2009 in materia di sottoprodotti e direttiva rifiuti 2008/98) promuova il recupero dei rifiuti, la stessa normativa non risulterebbe chiara nel fornire indicazioni utili circa la classificazione dei sottoprodotti di origine animale.
La qualificazione come sottoprodotto di un residuo necessiterebbe di particolare cautela e presupporrebbe la verifica della sussistenza delle condizioni “caso per caso”.
L’Autorità Amministrativa competente potrebbe decidere di effettuare i controlli amministrativi previsti per le sostanze ovvero prodotti assoggettati alla parte IV del Codice dell’Ambiente sula base di ragioni di precauzione, ai sensi dell’art. 191 TFUE, dal momento che l’esigenza del riciclo dei rifiuti non può comportare rischi negativi sull’ambiente e sulla salute umana. (Cons. Stato, Sez. III, sent. 04/09/2019, n. 6093; TAR Molise, Campobasso, Sez. I, sent. 17/04/2015, n. 154).
Questo secondo orientamento, anche a causa di un intervento del legislatore mediante la parte di cui all’art. 185 c.2 lettera b) d.lgs. 152/06 relativa all’utilizzo in un impianto di produzione di biogas è connotato da profili di criticità, a differenza di quanto correttamente rilevato dal Consiglio di Stato con sentenza 287/2023.
L’art. 185 c.2 prevede espressamente la esclusione dei sottoprodotti di origine animale dall’ambito applicativo della parte IV del Codice dell’Ambiente se sono regolati da altre disposizioni normative ovvero comunitarie.
La previsione normativa di cui all’art. 185 c.2 lettera b) sembrerebbe generare un’antinomia con quanto previsto dal comma 2, primo capoverso dello stesso art. 185 c.2 TUA e dal DM 264/2016.
Il Consiglio di Stato, nel caso di specie, menziona difatti il DM 264/2016 che, all’allegato 1, sezione 1, prevede tra le biomasse residuali desinate all’impiego per la produzione di energia menziona gli effluenti zootecnici tra i sottoprodotti provenienti da attività agricola, di allevamento.
Il DM 264/2016, come detto antecedentemente, rinvia espressamente al TUA, in particolare all’art. 184-bis TUA, al fine di assicurare maggiore uniformità interpretativa nell’interpretazione e nell’applicazione della nozione di rifiuto in modo tale che il detentore possa dimostrare il soddisfacimento delle condizioni in base alle quali una sostanza possa essere qualificata come sottoprodotto, e non rifiuto, ai sensi dell’art. 184-bis TUA.
Il DM 264/2016, inoltre, sembra rispettare quanto previsto dall’art. 185 c.2 primo capoverso TUA, dal momento che rispecchia quella normativa nazionale che disciplina con maggior dettaglio i sottoprodotti di origine animale e che comporrebbe la loro non assoggettabilità alla parte IV TUA.
Il DM 264/2016, essendo una norma di rango secondario, poiché è un regolamento, non potrebbe derogare ad una norma di rango primario quale l’art. 185 c.2 lettera b) TUA.
Il DM 264/2016, tuttavia, è un decreto di attuazione dell’art. 52 c.2-bis del d.l. 83/2012 (Misure urgenti per le infrastrutture per l’edilizia ed i trasporti) che prevede che il digestato ottenuto in impianti aziendali dalla digestione anaerobica e da effluenti da allevamento è considerato sottoprodotto; in base al principio lex posterior derogat priori, ponendo il fatto che il DM in questione è un atto attuativo di un atto avente forza di legge, avente quindi rango primario come l’art. 185 c.2 lettera b) TUA – art. 52 c.2-bis d.l. 83/2012 in materia di tracciabilità dei rifiuti e di nozione di sottoprodotto di origine animale a digestato utilizzato per impianti di digestione anaerobica quali effluenti da allevamento – e cronologicamente posteriore all’art. 185 c.2 lettera medesimo si potrebbe asserire alla c.d. “abrogazione implicita” di quest’ultimo nella parte relativa all’inclusione alla parte IV del Codice dell’Ambiente dei sottoprodotti di origine animale utilizzati per impianti di produzione di biogas.
Sposando la tesi dell’abrogazione implicita, si risolverebbe il problema tra il primo capoverso dell’art. 185 c.2 TUA e il DM 264/2016 e l’art. 185 c.2 lettera b) TUA che genera non poche problematiche sull’inquadramento degli scarti di origine animale come sottoprodotti ovvero come rifiuti e, conseguentemente sul problema tra nozione di rifiuto e di sottoprodotto, come anche visto dalle differenti e contrapposte posizione assunte dalla giurusprudenza.
Questo ragionamento trova anche conferma nella sentenza della Corte di Giustizia sopramenzionata, in quanto per rifiuto si intende una sostanza ovvero un oggetto di cui il detentore abbia l’intenzione ovvero l’obbligo di disfarsi.
Quindi, se il detentore ha intenzione chiara di utilizzare la sostanza per fini commerciali senza procedere ad operazioni di trasformazione, la stessa sostanza è qualificabile come sottoprodotto, e non rifiuto, e, conseguentemente, non assoggettabile alla normativa sui rifiuti.
In questo modo, si supererebbe quell’antinomia rilevabile tra l’art. 185 c.2 d.lgs. 152/06 e il DM 264/2016 quale atto attuativo dell’art. 52 c.2-bis d.l. 83/2012, che ingenera confusione sulla differenza concettuale tra rifiuto e sottoprodotto e sull’assoggettabilità o meno della parte IV del Codice dell’Ambiente ai sottoprodotti di origine animale utilizzati per impianti di produzione di biogas.