A cura dell’Avv. Valentina Taborra
Con la sentenza n. 5021/2018 in commento, il Consiglio di Stato, a proposito delle misure di ripristino di cui all’art. 305 del d.lgs. 152/2006, si è espresso sull’addebito della responsabilità dell’inquinamento, adottando un’interpretazione restrittiva del concetto di “operatore economico” che, ai sensi dell’art. 302 comma 4 del d.lgs. 152/2006, ricordiamo, è “qualsiasi persona, fisica o giuridica, pubblica o privata, che esercita o controlla un’attività professionale avente rilevanza ambientale oppure chi comunque eserciti potere decisionale sugli aspetti tecnici e finanziari di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell’autorizzazione a svolgere detta attività”.
Il provvedimento del Mattm impugnato in primo grado, diffidava, ai sensi dell’art. 305 del d.lgs. 152/2006, una serie di società, succedutesi nel tempo o, comunque collegate, che svolgevano attività produttive compatibili con gli inquinanti rinvenuti nelle aeree di interesse, a “provvedere senza dilazione ad adottare le iniziative opportune allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana (…) controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo qualsiasi fattore di danno (…) osservando il programma di bonifica elaborato”.
Il provvedimento di ripristino ambientale del Mattm gravato, ed annullato dal Tar che ha, quindi, sposato l’interpretazione dell’Amministrazione statale, era stato emanato nei confronti degli operatori nel senso più ampio del termine, come definiti anche dal citato art. 302, nel rispetto del concetto comunitario di impresa per cui, come ritenuto dal Mattm e riportato in sentenza, “la responsabilità ambientale dovrebbe estendersi anche ai soggetti che hanno avuto, anche se in via mediata ed indiretta, il controllo della fonte dell’inquinamento”.
Il Consiglio di Stato, invece, con la sentenza in commento ha annullato la sentenza del Giudice di primo grado, ritenendo che “l’ascrizione della responsabilità per la causazione di un evento di contaminazione in capo ad un singolo operatore implica lo svolgimento, da parte di questi, di un’attività di carattere materiale o, comunque, spiccatamente operativo che deve essere rigorosamente dimostrata con una motivazione che, a sua volta, non può riposare su generiche assunzioni”.
Tuttavia vi è da dire che l’art. 305 in questione attribuisce esplicitamente l’obbligo di attuazione delle misure di ripristino all’operatore che, come anticipato, è definito dall’art. 302 anche semplicemente quale soggetto titolare del permesso o autorizzazione a svolgere una determinata attività. D’altronde, le norme del Testo unico ambientale, in genere, specificano il soggetto coinvolto dalla disposizione, esplicitando ogni volta se si tratta del responsabile o dell’operatore (ne siano un esempio gli artt. 242 e 245 – Parte IV, Titolo V del d.lgs. 152/2006 in materia di bonifica); così che, non è ben chiaro il motivo per cui, seguendo la tesi del Consiglio di Stato, il legislatore avrebbe scelto di affidare all’interpretazione giuridica il concetto di operatore nella Parte VI del d.lgs.152/2006, citando obblighi in capo a quest’ultimo anche quando la disposizione normativa sarebbe riferita al solo soggetto materialmente responsabile.
Da una più attenta lettura dell’art. 305, in particolare dell’ultimo comma, parrebbe inoltre evincersi, sempre a parere di chi scrive, che solo la rivalsa delle spese, da parte del Ministero che abbia provveduto alle misure di ripristino in luogo dell’operatore inadempiente o non individuabile o che non sia tenuto a sostenere i relativi costi, sia esercitabile nei soli confronti di chi abbia effettivamente causato o concorso a causare dette spese e, cioè, del responsabile dell’evento dannoso.
N. 05021/2018REG.PROV.COLL.
N. 04790/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4790 del 2016, proposto da Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e da Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
CONTRO
LivaNova Plc (già Sorin s.p.a), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonella Capria e Rosario Zaccà, con domicilio eletto presso lo studio Gianni Origoni Grippo Cappelli & partners in Roma, via delle Quattro Fontane, 20;
Bios s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Gemma ed Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso lo studio Angelo Clarizia in Roma, via Principessa Clotilde, 2;
GE Capital Interbanca s.p.a, Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a, Unipol s.p.a, Mittel s.p.a, Snia s.p.a in amministrazione straordinaria, Caffaro s.r.l. in amministrazione straordinaria, Caffaro Chimica s.r.l. in amministrazione straordinaria, tutti non costituiti in giudizio;
PER LA RIFORMA
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sede di Roma, Sezione Seconda, n. 3441 del 21 marzo 2016, resa tra le parti, concernente ordine di provvedere alla bonifica dei siti di interesse nazionale di Torviscosa, Brescia e Colleferro.
- Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
- Visti gli atti di costituzione in giudizio di LivaNova Plc (già Sorin s.p.a) e di Bios s.p.a;
- Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 giugno 2018 il Cons. Luca Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Antonella Capria, Angelo Clarizia e l’avvocato dello Stato Roberta Guizzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO E DIRITTO
1. Con ricorso avanti il T.a.r. per il Lazio, integrato da successivi motivi aggiunti, Sorin s.p.a. (poi divenuta in corso di causa LivaNova Plc) ha impugnato il provvedimento prot. n. 14568 emesso in data 24 luglio 2015 dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
1.1. In tale atto il Ministero ha sostenuto in fatto che:
– la società Caffaro Chimica s.r.l. in liquidazione ha svolto attività produttiva nel proprio stabilimento ubicato nel sito di interesse nazionale “Laguna di Grado e Marano”, località Torviscosa;
– la società Caffaro s.r.l. in liquidazione ha svolto attività produttiva in Comune di Colleferro nella zona del fiume Sacco, ricadente nell’area interessata da emergenza ambientale di cui al d.p.c.m. 19 maggio 2005;
– la società Caffaro s.r.l. in liquidazione ha, altresì, svolto attività produttiva nel proprio stabilimento ubicato nel sito di interesse nazionale “Brescia Caffaro”;
– le analisi effettuate nei siti in questione hanno dimostrato che gli inquinanti ivi riscontrati sono “compatibili” (per la Caffaro Chimica s.r.l.) ovvero comunque “correlabili” (per la Caffaro s.r.l.) con la tipologia di attività industriale svolta dalle cennate imprese;
– Snia s.p.a. “è la società capogruppo di un sodalizio di imprese di cui fanno parte Caffaro Chimica s.r.l. e Caffaro s.r.l.”; in particolare, è socio unico di Caffaro s.r.l. che, a sua volta, partecipa con il 99,50% al capitale sociale di Caffaro Chimica s.r.l., il restante 0,5% essendo nella titolarità diretta della stessa Snia s.p.a.;
– “con delibera del consiglio di amministrazione del 13 maggio 2013 [in realtà trattasi del 2003] Snia ha deliberato una scissione parziale”, creando la società Sorin s.p.a., cui sono state contestualmente conferite “tutte le partecipazioni sociali nel comparto biomedicale”, in tesi l’unico del gruppo con concrete prospettive di redditività;
– la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, assumendo che la scissione avesse carattere distrattivo, ha ipotizzato la ricorrenza di reati fallimentari ed ha ottenuto dal Tribunale il rinvio a giudizio degli allora amministratori di Snia s.p.a.;
– al momento della scissione “i componenti del consiglio di amministrazione di Sorin corrispondevano ai componenti del consiglio di amministrazione di Snia”; quest’ultima, inoltre, era partecipata da Bios s.p.a. che, a sua volta, era partecipata da Hopa Holding s.p.a. (poi acquisita nel 2011 da Mittel s.p.a.), GE Capital s.p.a., Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ed Unipol Gruppo Finanziario s.p.a., tutte legate fra loro da un patto di sindacato teso a “disciplinare l’esercizio di voto nella società Bios anche con riferimento alla partecipazione detenuta in Snia”.
1.2. Sulla scorta di tali circostanze, il Ministero ha ritenuto:
– che la scissione di Snia, in esito alla quale era stata costituita Sorin, fosse tesa a depauperarne il patrimonio al fine di non adempiere agli obblighi di risanamento ambientale all’epoca già assunti;
– che Snia s.p.a. fosse di fatto controllata da Bios s.p.a.;
– che, a sua volta, Bios s.p.a. fosse sostanzialmente etero-diretta da Hopa Holding s.p.a., GE Capital s.p.a., Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ed Unipol Gruppo Finanziario s.p.a.;
– che, pertanto, Bios s.p.a., Hopa Holding s.p.a. (già Mittel s.p.a.), GE Capital Interbanca s.p.a., Monte dei Paschi di Siena s.p.a. ed Unipol Gruppo Finanziario s.p.a., nonché la neo-costituita Sorin s.p.a, fossero “corresponsabili dell’inquinamento” causato dal gruppo Snia.
1.3. Per tale ragione, il Ministero ha rivolto a tutte le menzionate società, ai sensi dell’art. 305 d.lgs. n 152 del 2006, diffida a “provvedere senza dilazione ad adottare tutte le iniziative opportune allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana”, attendendo, in particolare, “a controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo qualsiasi fattore di danno” nei siti in questione, osservando il programma di bonifica elaborato nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese cui, nel 2009-2010, erano state sottoposte Snia s.p.a., Caffaro s.r.l. e Caffaro Chimica s.r.l..
2. Il T.a.r. per il Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto il ricorso ed ha annullato l’atto, salve le future determinazioni amministrative.
2.1. In particolare, il T.a.r., pur ritenendo possibile, in termini generali ed astratti, enucleare un concetto estensivo e sostanzialistico di “operatore economico” ai sensi e per gli effetti della sottoposizione agli obblighi normativi di ripristino ambientale, ha ritenuto che “il provvedimento in questione, oltre a menzionare la vicenda dell’odierna ricorrente e delle altre Società intimate, nulla dice sul particolare, concreto e differenziato ruolo effettivamente svolto dalle stesse a livello decisionale e con specifico riferimento al ramo industriale interessato e ‘responsabile’ della condotta inquinante”.
2.2. Il T.a.r., inoltre, ha stigmatizzato la mancata attivazione degli “strumenti di coinvolgimento partecipativo del soggetto individuato come responsabile” ed ha, più in generale, rilevato “che il provvedimento appare lacunoso e contraddittorio nel riferimento alla normativa da applicare alla fattispecie, facendo una commistione tra gli istituti di bonifica (parte IV del Codice) e di risarcimento (Parte VI)”.
3. Il Ministero ha interposto appello (non accompagnato da istanza cautelare), in cui ha, tra l’altro, sostenuto:
– che l’inquinamento de quo non avrebbe carattere diffuso, ma, al contrario, sarebbe ascrivibile specificamente alle attività industriali svolte da Caffaro s.r.l. e da Caffaro Chimica s.r.l.;
– che l’inquinamento darebbe luogo ad una situazione di carattere permanente, ossia rileverebbe giuridicamente come fatto attuale finché ne residuano gli effetti, a prescindere dal momento in cui le attività che ne sono causa sono state poste in essere: ne conseguirebbe da un lato che non rileva la risalenza della condotte che lo hanno determinato, dall’altro che non può dirsi prescritta alcuna azione volta a contrastarne gli effetti;
– che, attesa la derivazione comunitaria della normativa ambientale, dovrebbe farsi luogo alla concezione sostanzialistica del concetto di impresa maturata in ambito comunitario: pertanto, la responsabilità ambientale dovrebbe estendersi anche ai soggetti che hanno avuto comunque, anche se in via mediata ed indiretta, il controllo della fonte dell’inquinamento;
– che “per effetto della scissione” in esito alla quale è stata costituita Sorin s.p.a. “i soci di Snia s.p.a. sono diventati soci pro quota di Sorin”;
– che la scissione “ha portato fuori da Snia le partecipazioni riguardanti l’unica attività, il biomedicale, che aveva e che, di fatto, ha una prospettiva” e, pertanto, sarebbe stata preordinata a svuotare Snia s.p.a. dei mezzi patrimoniali per fare fronte agli obblighi di bonifica;
– che l’omissione della comunicazione di avvio sarebbe stata dovuta all’urgenza di provvedere, conseguente alla comunicazione del 29 aprile 2015 con cui il commissario straordinario di Snia s.p.a. rendeva noto di non poter mantenere oltre in sicurezza i siti de quibus.
4. Si sono costituite le società Livanova Plc e Bios s.p.a..
5. Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 14 giugno 2018, in vista della quale la sola LivaNova Plc ha versato in atti difese scritte e documenti.
6. Il ricorso non merita accoglimento.
7. Il Collegio osserva, in punto di fatto, che a quanto consta i tre siti, interessati da fenomeni di contaminazione decisamente risalenti, sono stati inclusi fra i “siti di interesse nazionale” tra il 1998 ed il 2000 e sono stati sottoposti da Snia s.p.a. a procedimenti di messa in sicurezza e bonifica sin dagli anni 2000-2001.
8. Nel merito, il Collegio evidenzia, anzitutto, che il provvedimento si fonda sull’art. 305 d.lgs. n. 152 del 2006, contenuto nella Parte VI del decreto: la Parte VI, tuttavia, a tenore dell’art. 303, comma 1, lett. g) non si applica “al danno in relazione al quale siano trascorsi più di trent’anni dall’emissione, dall’evento o dall’incidente che l’hanno causato”.
9. Prima ancora, peraltro, il Collegio rileva che, a prescindere dall’ammissibilità di una concezione assai allargata di “operatore economico” quale quella sottesa all’atto impugnato, nella specie Sorin s.p.a. è venuta a giuridica esistenza solo a seguito della riferita scissione, efficace con decorrenza 2 gennaio 2004, ossia in un momento di gran lunga successivo sia alla verificazione del pregiudizio ambientale, sia, a fortiori, alla realizzazione delle condotte che lo hanno determinato.
9.1. Questo elemento temporale riveste, nell’economia del presente giudizio, rilievo fondamentale, posto che è logicamente impossibile addebitare una responsabilità da (peraltro indiretto) controllo della fonte dell’inquinamento ad un soggetto che, all’epoca dei fatti, neppure esisteva giuridicamente e che, comunque, ha sempre operato in un ben diverso settore produttivo.
9.2. Oltretutto, come noto l’ascrizione della responsabilità per la causazione di un evento di contaminazione in capo ad un singolo operatore implica lo svolgimento, da parte di questi, di un’attività di carattere materiale o, comunque, spiccatamente operativo che deve essere rigorosamente dimostrata con una motivazione che, a sua volta, non può riposare su generiche assunzioni (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 30 luglio 2015, n. 3756, § 8.6; v. anche Corte di Giustizia UE, Grande Sezione, 9 marzo 2010, causa C-378/2008, §§ 53-57 e 64-65).
10. Il Collegio rileva, ancora, non solo che l’assunta natura distrattiva della scissione (oltretutto risalente al 2003, ossia a ben dodici anni prima) concretava, al momento dell’effusione provvedimentale, una mera ipotesi accusatoria non altrimenti dimostrata, ma che l’azione civile di danni intentata nel 2012 dal commissario straordinario di Snia s.p.a. avverso gli amministratori ed i sindaci di Snia in carica al momento della scissione è stata rigettata dal Tribunale di Milano con sentenza n. 1795 del 10 febbraio 2016, poiché la scissione da cui è derivata la costituzione di Sorin s.p.a. è stata valutata come rispondente a precisi, concreti ed oggettivi interessi imprenditoriali.
11. Per di più, nella memoria conclusiva LivaNova Plc ha sostenuto che il Tribunale di Milano, “nell’ambito del procedimento penale avviato dalla Procura di Milano a carico di alcuni ex amministratori di Snia per distrazione di somme a favore di Sorin/LivaNova, ha recentemente assolto gli imputati in quanto il fatto non sussiste (ad oggi la sentenza non è ancora stata depositata, essendo invece stato depositato il solo dispositivo)”: né con memoria di replica né in sede di discussione il Ministero ha osservato alcunché in proposito. Oltretutto, i reati fallimentari cui ineriva il processo sono di per sé estranei alle vicende di inquinamento ambientale qui in questione.
12. Infine, difettavano i presupposti per l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento: la situazione di contaminazione dei luoghi, infatti, era nota da anni al Ministero e, in particolare, da ben prima che il commissario straordinario di Snia comunicasse l’impossibilità di garantire oltre la sicurezza dei luoghi.
13. Per le esposte ragioni, pertanto, il ricorso non può che essere respinto.
14. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo a favore della sola LivaNova Plc (non avendo Bios s.p.a. svolto concreta attività difensiva), seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in solido fra loro, a rifondere a LivaNova Plc (già Sorin s.p.a) le spese di lite, liquidate in complessivi € 4.500,00 (euro quattromilacinquecento/00), oltre accessori come per legge.
Compensa le spese di lite fra il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, da un lato, e Bios s.p.a., dall’altro.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 giugno 2018 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Fabio Taormina, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
Luca Lamberti, Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo, Consigliere