A cura dell’avv. Gaetano Pecoraro
Un recente comunicato dell’Autorità Nazionale AntiCorruzione (4 novembre 2015) ha puntato il faro sull’illegittima, quanto non isolata, prassi delle PP.AA. di continuare a concedere proroghe ai contratti pubblici in scadenza, o rinnovi di quelli già scaduti.
Se con l’art. 6 comma 2 l. 537/1993 si era consentito alle Stazioni appaltanti di rinnovare o
prorogare i contratti, a seguito degli interventi comunitari (prima) e nazionali (poi) dovrebbe essere
ormai acquisita l’immanenza, nel nostro ordinamento, del divieto di rinnovo o di proroga (oltre i
limiti fissati dal legislatore), ma la pluralità di pronunce del Giudice amministrativo che si
rinvengono dimostra esattamente il contrario.
Vale la pena, quindi, fare il punto della situazione.
Ancor prima dell’entrata in vigore del Codice degli Appalti, il Legislatore nazionale, al fine di
archiviare la procedura d’infrazione n. 2110/2003 aperta dalla Commissione contro la Repubblica
italiana, era intervenuto con l’art. 23 l. 18 aprile 2005, n. 62 prevedendo al comma 2 che “I contratti
per acquisti e forniture di beni e servizi, già scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi
alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere prorogati per il tempo necessario
alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione
che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non
oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
A tale disposizione la giurisprudenza amministrativa ha attribuito, immediatamente, portata
generale, osservando che la precedente normativa era da ritenersi “incompatibile con i principi di
libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi cristallizzati negli artt. 43 e 49 del Trattato CE”,
di talché al divieto di rinnovo e/o proroga da poco introdotto, andava considerato “quale canone
ermeneutico alla stregua del quale risulta inammissibile qualsiasi disposizione che si risolva, di
fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici” (Consiglio di Stato, Sez. IV,
31 ottobre 2006 n. 6458).
Successivamente, il codice degli appalti, per venire incontro alle esigenze della PP.AA., con l’art.
57 comma 5 lett. B) ha consentito l’utilizzo della procedura negoziata senza previa pubblicazione
di un bando di gara “per nuovi servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già affidati
all’operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante,
a condizione che tali servizi siano conformi a un progetto di base e che tale progetto sia stato
oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta; in questa
ipotesi la possibilità del ricorso alla procedura negoziata senza bando è consentita solo nei tre anni
successivi alla stipulazione del contratto iniziale e deve essere indicata nel bando del contratto
originario; l’importo complessivo stimato dei servizi successivi è computato per la determinazione
del valore globale del contratto, ai fini delle soglie di cui all’articolo 28”.
Tale disposizione, avente natura eccezionale, è stata sin da subito interpretata restrittivamente,
poiché derogatoria dei principi generali indicati all’art. 2 del medesimo Codice (libera concorrenza,
parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza). L’AVCP, con la sua deliberazione n. 6 del
20 febbraio 2013, ha ad esempio “rilevato residuali margini di applicabilità del rinnovo espresso a
determinate condizioni e nel rispetto dei principi comunitari di trasparenza e par condicio alla
base dell’evidenza pubblica. In particolare, l’art. 57 comma 5 lett. b) del D.Lgs. n. 163/2007
ripristina indirettamente la possibilità di ricorrere al rinnovo dei contratti, ammettendo la
ripetizione dei servizi analoghi, purché tale possibilità sia stata espressamente prevista e stimata
nel bando e rientri in determinati limiti temporali (Parere n. 242/2008; Deliberazione n.
183/2007). Ma soprattutto, condizione inderogabile per l’affidamento diretto dei servizi successivi
è che il loro importo complessivo stimato sia stato computato per la determinazione del valore
globale del contratto iniziale, ai fini delle soglie di cui all’articolo 28 e degli altri istituti e
adempimenti che la legge relaziona all’importo stimato dell’appalto (cfr. deliberazione AVCP 20
giugno 2012 n. 61)”.
Al di fuori di questi stretti limiti, tutti gli operatori del settore (AVCP, Giustizia amministrativa, ed
oggi ANAC) hanno dato vis espansiva all’art. 23 l. 62/2005, anche al di là dei settori espressamente
indicati (cfr. TAR Milano, sent. 19 aprile 2012, n. 1150 “costituisce espressione di un principio
generale attuativo di un vincolo comunitario discendente dal Trattato e, come tale, valevole per
tutti gli atti negoziali della pubblica amministrazione e non solo per quelli concernenti gli appalti
di servizi, opere e forniture, come sembrerebbe evincersi dal suo tenore letterale (cfr. Consiglio di
Stato, sez. V, 7 aprile 2011 n. 2151)”), consentendo la proroga esclusivamente per il tempo
“strettamente necessario al reperimento di un nuovo contraente”.
Si tratta della sola eccezione ritenuta ammissibile, purché, si è precisato non derivi da ragioni
dipendenti dall’Amministrazione (Cons. Stato, sent. 11 maggio 2009, n. 2882).
La vis espansiva del divieto di cui all’art. 23 l. 18 aprile 2005 n. 62 è stata rintracciata nella
circostanza nel fatto che esso esprime un principio generale, attuativo di un vincolo comunitario
discendente dal Trattato CE che, in quanto tale, opera per la generalità dei contratti pubblici (T.A.R.
Lombardia, Brescia, sez. II, 7 aprile 2015 n. 490).
Di qui, la necessità che “le disposizioni legislative che consentono o autorizzano la proroga di
rapporti contrattuali in essere debbono considerarsi eccezionali (in quanto derogatorie del divieto
generale di proroga dei contratti pubblici per la fornitura di beni e servizi) e in quanto tali non
suscettibili di interpretazione estensiva” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 4 settembre 2015, n.
4345).
Che quello del divieto di rinnovo o di proroga sia divenuto un vero e proprio principio generale
immanente e che pervade l’ordinamento, ne è prova la circostanza che le medesime conclusioni
sono state raggiunte dalla Giurisprudenza anche con riferimento alle concessioni demaniali (quindi
non ricadenti sotto l’imperio del codice degli appalti): con sent. 8 luglio 2015, n. 9188 il TAR
Roma, “a supporto delle conclusioni cui si è pervenuti, escludenti il rinnovo tacito e/o della
proroga tacita – depone, poi, anche l’orientamento assunto dalla Commissione Europea, la quale
ha avuto più volte modo di affermare l’incompatibilità del meccanismo del rinnovo automatico
delle concessioni demaniali con il diritto comunitario, attivando procedure di infrazione nei
confronti dello Stato italiano per contrasto con l’art. 49 TFUE, nonché la giurisprudenza della
Corte Costituzionale (cfr., tra le altre, n. 213 del 2011), tanto che – anche a livello di giustizia
amministrativa – sono state emesse pronunce che, in ragione della diretta applicabilità della
direttiva 2006/123/CE (escludente, tra l’altro, forme di rinnovo automatico), hanno espressamente
disconosciuto l’applicabilità della stessa normativa in materia di concessioni rilasciate per finalità
turistico-ricreative, procedendo – in sintesi – alla disapplicazione delle norme interne perché
ritenute in contrasto con la disciplina comunitaria (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 3 luglio
2012, n. 671)”.
A distanza di 11 anni dall’introduzione nel nostro ordinamento del divieto di rinnovo dei contratti
scaduti, o di proroga di quelli in scadenza, ci si sarebbe dovuti attendere un adeguamento da parte
delle Pubbliche Amministrazioni, ma il recente comunicato dell’ANAC del 4 novembre 2015 getta
nello sconforto: vi si legge, infatti, che “nel campione analizzato non è raro il caso di concessione
di proroghe tecniche in cui la procedura per l’affidamento del servizio non ha avuto alcun inizio”.
Sarebbe, allora, opportuno che di tutte queste vicende, una volta accertato l’illegittimo uso della
proroga o del rinnovo, venga interessata, ex officio, la territoriale Procura contabile.
Comunicato del Presidente del 4 novembre 2015
Oggetto: Utilizzo improprio delle proroghe/rinnovi di contratti pubblici
L’Autorità ha concluso un’indagine sulle motivazioni dell’utilizzo di proroghe sviluppata su un campione significativo di 39 stazioni appaltanti che fanno parte di vari servizi sanitari regionali e relativa a contratti di lavanolo, pulizie e ristorazione.
Dall’indagine – riferita a 78 contratti più volte prorogati – è emersa una durata media di 36 mesi (da 9 a 72 mesi) e solo 35 contratti prevedevano opzioni, mediamente di ca 30 mesi (da 9 a 48) pari all’85% della durata media dei contratti originari, con opzioni di durata che oscilla dal 33% a 150% della durata contrattuale originaria.
La misurazione delle proroghe dei contratti oggetto di analisi ha evidenziato una sommatoria complessiva di 5694 mesi di proroghe che rappresentano ben il 203% delle durate originarie (2804 mesi) ed il 149% delle durate originarie incrementate dalle opzioni previste (3827 mesi).
Sul già sorprendente dato medio di 73 mesi di proroghe “tecniche”, pari a poco più di 6 anni, spiccano i casi limite; in ben 18 casi è stata superata la percentuale del 300% (da un contratto di durata di 36 mesi prorogato per altri 112 mesi, pari al 311%, al caso estremo di un contratto di 12 mesi prorogato per ben 158 mesi pari a più di 13 volte la durata originaria).
Le proroghe rilevate sono state classificate in gruppi di motivazioni – nella pur ampia eterogeneità delle affermazioni rinvenibili nella documentazione acquisita (relazioni ed atti) – così descritti:
- proroghe concesse in regime previgente alla entrata in vigore del Codice dei contratti o più propriamente del divieto esplicito di rinnovo dei contratti di cui al comma 2 dell’art. 23 della legge n. 62/2005;
- proroghe “tecniche” determinate dai seguenti fattori:
- redazione degli atti di gara e svolgimento della gara:
motivazioni inerenti la durata della redazione degli atti di gara e la loro modificazione per eventi interni all’ente, mutamento delle esigenze, dei luoghi, dei quantitativi (es. modifiche delle superfici o degli utenti a causa del mutare degli immobili in dotazione della stazione appaltante per accorpamenti e smembramenti determinati da riorganizzazioni dell’ente);
- ritardi nell’aggiudicazione definitiva derivanti da contenzioso:
proroghe tecniche motivate dai ritardi nell’aggiudicazione determinate da azioni esterne o da atti di autotutela (quali ad esempio, atti di annullamento o differimento dei termini a seguito di azioni dei partecipanti);
- modifiche della redazione degli atti di gara per nuova normativa nazionale:
motivazioni che sono state riferite direttamente a normativa nazionale che rendesse obbligatoria la modifica degli atti di gara (ad esempio: prezzi di riferimento, indicazione della quota di costi relativi al personale);
- modifiche della redazione degli atti di gara per nuova normativa regionale:
motivazioni che attribuiscono la proroga a processi di riorganizzazione determinati da normativa regionale di carattere generale che contenevano prescrizioni tali da rendere più stringente l’obbligo di modifica degli atti di gara;
- proroghe per la mancata conclusione di gare centralizzate:
motivazioni che hanno evidenziato come, a fronte del divieto di bandire nuove gare e di avvalersi di gare indette da centrali, tali ultime gare non fossero state completate.
Il risultato di questa ripartizione è illustrato nella tabella seguente che evidenzia come la assoluta maggioranza (70% ca) delle proroghe è imputabile alla difficoltà delle stazioni appaltanti di predisporre gli atti di gara e a svolgere le gare garantendo il corretto avvicendamento degli affidatari.
La seconda motivazione comprende i casi relativi a mutamenti del quadro normativo sia nazionale (1% ca) che regionale (8% ca).
Significativa è la percentuale dell’8% dei casi di proroga tecnica imputabili ad una sorta di cortocircuito determinato dalla regolazione regionale che impedisce nuove gare agli enti, ma al contempo le centrali di acquisto avviano e completano con forti ritardi le gare di loro competenza.
Da ultimo si rileva come sia minimo (1% ca) l’effetto delle vicende giudiziarie sulla origine delle proroghe tecniche.
Motivi della proroga tecnica | Numero mesi di proroga complessivi | Percentuale del totale |
Normativa pre-codice/l. 62/2005 |
318 |
6% |
Redazione atti e svolgimento della gara |
3909 |
69% |
Contenzioso giudiziario |
74 |
1% |
Nuova normativa nazionale |
72 |
1% |
Nuova normativa regionale |
871 |
15% |
Mancanza di gare centralizzate |
450 |
8% |
TOTALE |
5694 |
100% |
1. Fenomeni emergenti dall’indagine. La posizione dell’Autorità.
L’analisi dei dati riportati ed ancor più la lettura degli atti autorizzativi delle proroghe, ha consentito di individuare un utilizzo distorto delle proroghe “tecniche” così come previste dalla elaborazione giurisprudenziale e dall’Autorità.
Sull’istituto della proroga e del rinnovo, l’Autorità è intervenuta in numerosi casi; con la deliberazione n. 34/2011, ha chiarito che la proroga – oggetto di numerose pronunce da parte della giustizia amministrativa – è un istituto assolutamente eccezionale ed, in quanto tale, è possibile ricorrervi solo per cause determinate da fattori che comunque non coinvolgono la responsabilità dell’amministrazione aggiudicatrice. Al di fuori dei casi strettamente previsti dalla legge (art. 23, legge n. 62/2005) la proroga dei contratti pubblici costituisce una violazione dei principi enunciati all’art. 2 del d.lgs. 163/2006 e, in particolare, della libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza. La proroga, nella sua accezione tecnica, ha carattere di temporaneità e di strumento atto esclusivamente ad assicurare il passaggio da un regime contrattuale ad un altro. Una volta scaduto un contratto, quindi, l’amministrazione, qualora abbia ancora necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazione, deve effettuare una nuova gara (Cons. di Stato n. 3391/2008).
Quanto al rinnovo, è stato chiarito che a seguito dell’intervento abrogativo dell’art. 23 della legge n. 62/2005 (c.d. legge comunitaria 2004), nei confronti della legge n. 537/1993, l’orientamento giurisprudenziale maggioritario attribuisce al divieto di rinnovo dei contratti di appalto scaduti una valenza generale e preclusiva sulle altre e contrarie disposizioni della normativa nazionale che consentono di eludere il divieto di rinnovazione dei contratti pubblici.
Tuttavia, l’Autorità ha rilevato residuali margini di applicabilità del rinnovo espresso a determinate condizioni e nel rispetto dei principi comunitari di trasparenza e par condicio alla base dell’evidenza pubblica. In particolare, l’art. 57 comma 5 lett. b) del d.lgs. n. 163/2006 ripristina indirettamente la possibilità di ricorrere al rinnovo dei contratti, ammettendo la ripetizione dei servizi analoghi, purché tale possibilità sia stata espressamente prevista e stimata nel bando e rientri in determinati limiti temporali (cfr. Parere n. 242/2008; Deliberazione n. 183/2007 della ex Avcp).
Ma, soprattutto, condizione inderogabile per l’affidamento diretto dei servizi successivi è che il loro importo complessivo stimato sia stato computato per la determinazione del valore globale del contratto iniziale, ai fini delle soglie di cui all’art. 28 del citato d.lgs. 163 e degli altri istituti e adempimenti che la normativa correla all’importo stimato dell’appalto. Si rinvia – ex plurimis – alla deliberazione n. 6 del 20.02.2013 e al parere AG 38/13 del 24.07.2013.
Proroga tecnica come ammortizzatore pluriennale di inefficienze
La corretta programmazione delle acquisizioni di beni e servizi e delle attività di gara, volte ad assicurare il regolare e tempestivo avvicendamento degli affidatari, non traspare in alcun modo dalle relazioni analizzate. Per quanto l’art. 271, comma 1 del Regolamento n. 207/2010 stabilisca la facoltà della programmazione dell’acquisto di beni e servizi, il sistematico mancato utilizzo dello strumento della programmazione comporta, tra le varie conseguenze, anche l’assenza della definizione di termini, seppur semplicemente programmatori, di avvio delle procedure di selezione del nuovo affidatario.
Nel campione analizzato non è raro il caso di concessione di proroghe tecniche in cui la procedura per l’affidamento del servizio non ha avuto alcun inizio. La redazione degli atti di gara appare infatti preceduta da complesse attività volte a definire gli esatti contenuti delle prestazioni oggetto della gara. Alla definizione di tali contenuti partecipano spesso una pluralità di soggetti e di uffici con procedure e tempistiche che possono descriversi come “deresponsabilizzati” rispetto all’esigenza di una definizione entro tempi determinati.
La scelta di metodi e tecnologie per lo svolgimento dei servizi prende, spesso, le mosse da un necessario ma spesso defatigante coinvolgimento dei destinatari intermedi dei servizi. La annosa definizione dei contenuti è poi non di rado rimessa in discussione dal mutare delle esigenze nei tempi successivi alla precedente definizione.
Nella fase dell’evidenza pubblica, a partire dalla pubblicazione degli atti di gara (capitolati, disciplinare, ecc.), la dilatazione dei tempi è legata spesso alla incompletezza e scarsa qualità della definizione delle prestazioni che, a seguito di richieste di chiarimento da parte dei concorrenti, determinano lo spostamento dei termini delle offerte a seguito di precisazioni o variazioni dei contenuti degli atti stessi. Infine anche la fase della valutazione delle offerte risulta fortemente espansa per la complessità delle attività, non agevolata da capitolati e criteri di selezione ben determinati, nonché per la composizione e qualificazione delle commissioni di gara che in non pochi casi determinano la sostituzione dei componenti e calendarizzazioni molto lunghe.
Impatto dei processi di riorganizzazione
Nella descrizione corale ricavabile dalle relazioni e atti esaminati è costante la descrizione di una attività di continuo rimescolamento dei modelli organizzativi degli enti appaltanti. Dalle relazioni si desume come, nel decennio passato, la ricerca di efficienza degli enti del servizio sanitario, resa ancora più acuta dal diminuire delle risorse disponibili, si stia attuando con un caotico susseguirsi di iniziative che alternano modelli organizzativi differenziati. Accorpamenti territoriali cui seguono riaccorpamenti con criteri diversi, quali ad esempio quelli funzionali, visioni o modelli piramidali che vengono sostituiti da modelli a matrice, per limitarsi alle più diffuse situazioni, fanno si che gare predisposte se non avviate, subiscono ritardi o riedizioni, previamente annullate/revocate, per l’esigenza di ridefinire l’oggetto o le quantità, o ancora dilatazione dei tempi per permettere il riallineamento di differenti contratti in corso così da consentire gare con oggetto più ampio. Le scelte degli enti appaltanti sono difficilmente censurabili ove le motivazioni addotte fondino le ragioni sulla maggiore efficienza ed economicità. Tuttavia, il risultato finale è che la proroga tecnica è utilizzata – come detto – quale ammortizzatore delle scelte riorganizzative e di altri fattori.
Forme di acquisto centralizzate/associate
La chiara indicazione del legislatore, sia nazionale che della stragrande maggioranza delle regioni, di obbligare gli enti del servizio sanitario a forme di acquisto sempre più unificate ove non attuata attraverso una specifica programmazione, ha di fatto determinato, nelle situazioni monitorate, effetti distorsivi. La normativa inoltre spesso contiene divieti assoluti per le stazioni appaltanti di procedere in autonomia a nuove procedure. Al contempo, l’organo deputato alla gara centralizzata spesso le avvia con ritardo, dovuto principalmente alla esigenza di programmare le gare stesse – con cadenza pluriennale – sulle diverse tipologie di beni o in altri casi per la difficoltà di uniformare le esigenze di strutture spesso molto diversificate.
La necessità di garantire i servizi obbliga le amministrazioni in questa condizione a prorogare i contratti in essere, più volte. Il quadro fattuale delle esperienze di centralizzazione che deriva dalla lettura delle relazioni del campione appare segnato da una carenza di raccordo tra la previsione normativa e la realtà operativa.
La proroga “tecnica” – nel quadro prima descritto – non è più uno strumento di “transizione” per qualche mese di ritardo determinato da fatti imprevedibili, ma diventa ammortizzatore pluriennale di palesi inefficienze di programmazione e gestione del processo di individuazione del nuovo assegnatario.
Quanto sopra evidenziato sull’uso improprio delle proroghe, può assumere profili di illegittimità e di danno erariale, allorquando le amministrazioni interessate non dimostrino di aver attivato tutti quegli strumenti organizzativi\amministrativi necessari ad evitare il generale e tassativo divieto di proroga dei contratti in corso e le correlate distorsioni del mercato.
Raffaele Cantone
Depositato presso la Segreteria del Consiglio in data: 18 novembre 2015
Il Segretario: Maria Esposito