La scadenza dei contratti pubblici: continua l’illegittima prassi dei rinnovi e delle proroghe

Pubblicato il 7-04-2016
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A cura dell’avv. Gaetano Pecoraro

Un recente comunicato dell’Autorità Nazionale AntiCorruzione (4 novembre 2015) ha puntato il faro sull’illegittima, quanto non isolata, prassi delle PP.AA. di continuare a concedere proroghe ai contratti pubblici in scadenza, o rinnovi di quelli già scaduti.

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Se con l’art. 6 comma 2 l. 537/1993 si era consentito alle Stazioni appaltanti di rinnovare o

prorogare i contratti, a seguito degli interventi comunitari (prima) e nazionali (poi) dovrebbe essere

ormai acquisita l’immanenza, nel nostro ordinamento, del divieto di rinnovo o di proroga (oltre i

limiti fissati dal legislatore), ma la pluralità di pronunce del Giudice amministrativo che si

rinvengono dimostra esattamente il contrario.

Vale la pena, quindi, fare il punto della situazione.

Ancor prima dell’entrata in vigore del Codice degli Appalti, il Legislatore nazionale, al fine di

archiviare la procedura d’infrazione n. 2110/2003 aperta dalla Commissione contro la Repubblica

italiana, era intervenuto con l’art. 23 l. 18 aprile 2005, n. 62 prevedendo al comma 2 che “I contratti

per acquisti e forniture di beni e servizi, già scaduti o che vengano a scadere nei sei mesi successivi

alla data di entrata in vigore della presente legge, possono essere prorogati per il tempo necessario

alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica a condizione

che la proroga non superi comunque i sei mesi e che il bando di gara venga pubblicato entro e non

oltre novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.

A tale disposizione la giurisprudenza amministrativa ha attribuito, immediatamente, portata

generale, osservando che la precedente normativa era da ritenersi “incompatibile con i principi di

libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi cristallizzati negli artt. 43 e 49 del Trattato CE”,

di talché al divieto di rinnovo e/o proroga da poco introdotto, andava considerato “quale canone

ermeneutico alla stregua del quale risulta inammissibile qualsiasi disposizione che si risolva, di

fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici” (Consiglio di Stato, Sez. IV,

31 ottobre 2006 n. 6458).

Successivamente, il codice degli appalti, per venire incontro alle esigenze della PP.AA., con l’art.

57 comma 5 lett. B) ha consentito l’utilizzo della procedura negoziata senza previa pubblicazione

di un bando di gara “per nuovi servizi consistenti nella ripetizione di servizi analoghi già affidati

all’operatore economico aggiudicatario del contratto iniziale dalla medesima stazione appaltante,

a condizione che tali servizi siano conformi a un progetto di base e che tale progetto sia stato

oggetto di un primo contratto aggiudicato secondo una procedura aperta o ristretta; in questa

ipotesi la possibilità del ricorso alla procedura negoziata senza bando è consentita solo nei tre anni

successivi alla stipulazione del contratto iniziale e deve essere indicata nel bando del contratto

originario; l’importo complessivo stimato dei servizi successivi è computato per la determinazione

del valore globale del contratto, ai fini delle soglie di cui all’articolo 28”.

Tale disposizione, avente natura eccezionale, è stata sin da subito interpretata restrittivamente,

poiché derogatoria dei principi generali indicati all’art. 2 del medesimo Codice (libera concorrenza,

parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza). L’AVCP, con la sua deliberazione n. 6 del

20 febbraio 2013, ha ad esempio “rilevato residuali margini di applicabilità del rinnovo espresso a

determinate condizioni e nel rispetto dei principi comunitari di trasparenza e par condicio alla

base dell’evidenza pubblica. In particolare, l’art. 57 comma 5 lett. b) del D.Lgs. n. 163/2007

ripristina indirettamente la possibilità di ricorrere al rinnovo dei contratti, ammettendo la

ripetizione dei servizi analoghi, purché tale possibilità sia stata espressamente prevista e stimata

nel bando e rientri in determinati limiti temporali (Parere n. 242/2008; Deliberazione n.

183/2007). Ma soprattutto, condizione inderogabile per l’affidamento diretto dei servizi successivi

è che il loro importo complessivo stimato sia stato computato per la determinazione del valore

globale del contratto iniziale, ai fini delle soglie di cui all’articolo 28 e degli altri istituti e

adempimenti che la legge relaziona all’importo stimato dell’appalto (cfr. deliberazione AVCP 20

giugno 2012 n. 61)”.

Al di fuori di questi stretti limiti, tutti gli operatori del settore (AVCP, Giustizia amministrativa, ed

oggi ANAC) hanno dato vis espansiva all’art. 23 l. 62/2005, anche al di là dei settori espressamente

indicati (cfr. TAR Milano, sent. 19 aprile 2012, n. 1150 “costituisce espressione di un principio

generale attuativo di un vincolo comunitario discendente dal Trattato e, come tale, valevole per

tutti gli atti negoziali della pubblica amministrazione e non solo per quelli concernenti gli appalti

di servizi, opere e forniture, come sembrerebbe evincersi dal suo tenore letterale (cfr. Consiglio di

Stato, sez. V, 7 aprile 2011 n. 2151)”), consentendo la proroga esclusivamente per il tempo

“strettamente necessario al reperimento di un nuovo contraente”.

Si tratta della sola eccezione ritenuta ammissibile, purché, si è precisato non derivi da ragioni

dipendenti dall’Amministrazione (Cons. Stato, sent. 11 maggio 2009, n. 2882).

La vis espansiva del divieto di cui all’art. 23 l. 18 aprile 2005 n. 62 è stata rintracciata nella

circostanza nel fatto che esso esprime un principio generale, attuativo di un vincolo comunitario

discendente dal Trattato CE che, in quanto tale, opera per la generalità dei contratti pubblici (T.A.R.

Lombardia, Brescia, sez. II, 7 aprile 2015 n. 490).

Di qui, la necessità che “le disposizioni legislative che consentono o autorizzano la proroga di

rapporti contrattuali in essere debbono considerarsi eccezionali (in quanto derogatorie del divieto

generale di proroga dei contratti pubblici per la fornitura di beni e servizi) e in quanto tali non

suscettibili di interpretazione estensiva” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 4 settembre 2015, n.

4345).

Che quello del divieto di rinnovo o di proroga sia divenuto un vero e proprio principio generale

immanente e che pervade l’ordinamento, ne è prova la circostanza che le medesime conclusioni

sono state raggiunte dalla Giurisprudenza anche con riferimento alle concessioni demaniali (quindi

non ricadenti sotto l’imperio del codice degli appalti): con sent. 8 luglio 2015, n. 9188 il TAR

Roma, “a supporto delle conclusioni cui si è pervenuti, escludenti il rinnovo tacito e/o della

proroga tacita – depone, poi, anche l’orientamento assunto dalla Commissione Europea, la quale

ha avuto più volte modo di affermare l’incompatibilità del meccanismo del rinnovo automatico

delle concessioni demaniali con il diritto comunitario, attivando procedure di infrazione nei

confronti dello Stato italiano per contrasto con l’art. 49 TFUE, nonché la giurisprudenza della

Corte Costituzionale (cfr., tra le altre, n. 213 del 2011), tanto che – anche a livello di giustizia

amministrativa – sono state emesse pronunce che, in ragione della diretta applicabilità della

direttiva 2006/123/CE (escludente, tra l’altro, forme di rinnovo automatico), hanno espressamente

disconosciuto l’applicabilità della stessa normativa in materia di concessioni rilasciate per finalità

turistico-ricreative, procedendo – in sintesi – alla disapplicazione delle norme interne perché

ritenute in contrasto con la disciplina comunitaria (cfr. TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, 3 luglio

2012, n. 671)”.

A distanza di 11 anni dall’introduzione nel nostro ordinamento del divieto di rinnovo dei contratti

scaduti, o di proroga di quelli in scadenza, ci si sarebbe dovuti attendere un adeguamento da parte

delle Pubbliche Amministrazioni, ma il recente comunicato dell’ANAC del 4 novembre 2015 getta

nello sconforto: vi si legge, infatti, che “nel campione analizzato non è raro il caso di concessione

di proroghe tecniche in cui la procedura per l’affidamento del servizio non ha avuto alcun inizio”.

Sarebbe, allora, opportuno che di tutte queste vicende, una volta accertato l’illegittimo uso della

proroga o del rinnovo, venga interessata, ex officio, la territoriale Procura contabile.

Comunicato del  Presidente del 4 novembre 2015

Oggetto: Utilizzo improprio delle proroghe/rinnovi di  contratti pubblici

L’Autorità  ha concluso un’indagine sulle motivazioni dell’utilizzo di proroghe sviluppata  su un campione significativo di 39 stazioni appaltanti che fanno parte di vari servizi  sanitari regionali e relativa a contratti di lavanolo, pulizie e ristorazione.
Dall’indagine  – riferita a 78 contratti più volte prorogati – è emersa una durata media di 36  mesi (da 9 a 72 mesi) e solo 35 contratti prevedevano opzioni, mediamente di ca  30 mesi (da 9 a 48) pari all’85% della durata media dei contratti originari,  con opzioni di durata che oscilla dal 33% a 150% della durata contrattuale  originaria.
La  misurazione delle proroghe dei contratti oggetto di analisi ha evidenziato una  sommatoria complessiva di 5694 mesi di proroghe che rappresentano ben il 203%  delle durate originarie (2804 mesi) ed il 149% delle durate originarie incrementate dalle opzioni previste (3827 mesi).
Sul già  sorprendente dato medio di 73 mesi di proroghe “tecniche”, pari a poco più di 6  anni, spiccano i casi limite; in ben 18 casi è stata superata la percentuale  del 300% (da un contratto di durata di 36 mesi prorogato per altri 112 mesi,  pari al 311%, al caso estremo di un contratto di 12 mesi prorogato per ben 158  mesi pari a più di 13 volte la durata originaria).
Le  proroghe rilevate sono state classificate in gruppi di motivazioni – nella pur  ampia eterogeneità delle affermazioni rinvenibili nella documentazione  acquisita (relazioni ed atti) – così descritti:

  1. proroghe  concesse in regime previgente alla entrata in vigore del Codice dei contratti o  più propriamente del divieto esplicito di rinnovo dei contratti di cui al comma  2 dell’art. 23 della legge n. 62/2005;
  2. proroghe  “tecniche” determinate dai seguenti fattori:
      1. redazione degli atti di gara e  svolgimento della gara:

    motivazioni  inerenti la durata della redazione degli atti di gara e la loro modificazione  per eventi interni all’ente, mutamento delle esigenze, dei luoghi, dei  quantitativi (es. modifiche delle superfici o degli utenti a causa del mutare  degli immobili in dotazione della stazione appaltante per accorpamenti e  smembramenti determinati da riorganizzazioni dell’ente);

      1. ritardi nell’aggiudicazione definitiva  derivanti da contenzioso:

    proroghe  tecniche motivate dai ritardi nell’aggiudicazione determinate da azioni esterne  o da atti di autotutela (quali ad esempio, atti di annullamento o differimento  dei termini a seguito di azioni dei partecipanti);

      1. modifiche della redazione degli atti di  gara per nuova normativa nazionale:

    motivazioni  che sono state riferite direttamente a normativa nazionale che rendesse obbligatoria  la modifica degli atti di gara (ad esempio: prezzi di riferimento, indicazione  della quota di costi relativi al personale);

      1. modifiche della redazione degli atti di  gara per nuova normativa regionale:

    motivazioni  che attribuiscono la proroga a processi di riorganizzazione determinati da  normativa regionale di carattere generale che contenevano prescrizioni tali da  rendere più stringente l’obbligo di modifica degli atti di gara;

    1. proroghe per la mancata conclusione di  gare centralizzate:
      motivazioni  che hanno evidenziato come, a fronte del divieto di bandire nuove gare e di  avvalersi di gare indette da centrali, tali ultime gare non fossero state  completate.

Il  risultato di questa ripartizione è illustrato nella tabella seguente che  evidenzia come la assoluta maggioranza (70% ca) delle proroghe è imputabile  alla difficoltà delle stazioni appaltanti di predisporre gli atti di gara e a  svolgere le gare garantendo il corretto avvicendamento degli affidatari.
La  seconda motivazione comprende i casi relativi a mutamenti del quadro normativo  sia nazionale (1% ca) che regionale (8% ca).
Significativa  è la percentuale dell’8% dei casi di proroga tecnica imputabili ad una sorta di  cortocircuito determinato dalla regolazione regionale che impedisce nuove gare agli  enti, ma al contempo le centrali di acquisto avviano e completano con forti  ritardi le gare di loro competenza.
Da  ultimo si rileva come sia minimo (1% ca) l’effetto delle vicende giudiziarie  sulla origine delle proroghe tecniche.

Motivi della proroga tecnica Numero mesi di proroga complessivi Percentuale del totale
Normativa pre-codice/l. 62/2005

318

6%

Redazione atti e svolgimento della gara

3909

69%

Contenzioso giudiziario

74

1%

Nuova normativa nazionale

72

1%

Nuova normativa regionale

871

15%

Mancanza di gare centralizzate

450

8%

TOTALE

5694

100%

1. Fenomeni emergenti dall’indagine. La  posizione dell’Autorità.

L’analisi  dei dati riportati ed ancor più la lettura degli atti autorizzativi delle  proroghe, ha consentito di individuare un utilizzo distorto delle proroghe “tecniche”  così come previste dalla elaborazione giurisprudenziale e dall’Autorità.
Sull’istituto  della proroga e del rinnovo, l’Autorità è intervenuta in numerosi casi; con la  deliberazione n. 34/2011, ha chiarito che la proroga – oggetto di numerose  pronunce da parte della giustizia amministrativa – è un istituto assolutamente eccezionale ed, in quanto tale, è possibile ricorrervi solo per cause  determinate da fattori che comunque non coinvolgono la responsabilità  dell’amministrazione aggiudicatrice. Al di fuori dei casi strettamente previsti  dalla legge (art. 23, legge n. 62/2005) la proroga dei contratti pubblici  costituisce una violazione dei principi enunciati all’art. 2 del d.lgs.  163/2006 e, in particolare, della libera concorrenza, parità di trattamento,  non discriminazione e trasparenza. La proroga, nella sua accezione tecnica, ha  carattere di temporaneità e di strumento atto esclusivamente ad assicurare il  passaggio da un regime contrattuale ad un altro. Una volta scaduto un  contratto, quindi, l’amministrazione, qualora abbia ancora necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazione, deve effettuare una nuova gara (Cons.  di Stato n. 3391/2008).
Quanto  al rinnovo, è stato chiarito che a seguito dell’intervento abrogativo dell’art.  23 della legge n. 62/2005 (c.d. legge comunitaria 2004), nei confronti della  legge n. 537/1993, l’orientamento giurisprudenziale maggioritario attribuisce  al divieto di rinnovo dei contratti di appalto scaduti una valenza generale e  preclusiva sulle altre e contrarie disposizioni della normativa nazionale che  consentono di eludere il divieto di rinnovazione dei contratti pubblici.
Tuttavia,  l’Autorità ha rilevato residuali margini di applicabilità del rinnovo espresso  a determinate condizioni e nel rispetto dei principi comunitari di trasparenza  e par condicio alla base dell’evidenza pubblica. In particolare, l’art. 57  comma 5 lett. b) del d.lgs. n. 163/2006 ripristina indirettamente la  possibilità di ricorrere al rinnovo dei contratti, ammettendo la ripetizione  dei servizi analoghi, purché tale possibilità sia stata espressamente prevista  e stimata nel bando e rientri in determinati limiti temporali (cfr. Parere n.  242/2008; Deliberazione n. 183/2007 della ex Avcp).
Ma, soprattutto, condizione inderogabile per l’affidamento diretto dei servizi  successivi è che il loro importo complessivo stimato sia stato computato per la  determinazione del valore globale del contratto iniziale, ai fini delle soglie  di cui all’art. 28 del citato d.lgs. 163 e degli altri istituti e adempimenti  che la normativa correla all’importo stimato dell’appalto. Si rinvia – ex  plurimis – alla deliberazione n. 6 del 20.02.2013 e al parere AG 38/13 del  24.07.2013.

Proroga tecnica come ammortizzatore  pluriennale di inefficienze

La corretta  programmazione delle acquisizioni di beni e servizi e delle attività di gara,  volte ad assicurare il regolare e tempestivo avvicendamento degli affidatari,  non traspare in alcun modo dalle relazioni analizzate. Per quanto l’art. 271, comma 1 del Regolamento n. 207/2010 stabilisca la facoltà della programmazione  dell’acquisto di beni e servizi, il sistematico mancato utilizzo dello  strumento della programmazione comporta, tra le varie conseguenze, anche  l’assenza della definizione di termini, seppur semplicemente programmatori, di  avvio delle procedure di selezione del nuovo affidatario.
Nel campione  analizzato non è raro il caso di concessione di proroghe tecniche in cui la  procedura per l’affidamento del servizio non ha avuto alcun inizio. La  redazione degli atti di gara appare infatti preceduta da complesse attività  volte a definire gli esatti contenuti delle prestazioni oggetto della gara.  Alla definizione di tali contenuti partecipano spesso una pluralità di soggetti  e di uffici con procedure e tempistiche che possono descriversi come  “deresponsabilizzati” rispetto all’esigenza di una definizione entro tempi  determinati.
La scelta di  metodi e tecnologie per lo svolgimento dei servizi prende, spesso, le mosse da  un necessario ma spesso defatigante coinvolgimento dei destinatari intermedi  dei servizi. La annosa definizione dei contenuti è poi non di rado rimessa in  discussione dal mutare delle esigenze nei tempi successivi alla precedente  definizione.
Nella fase  dell’evidenza pubblica, a partire dalla pubblicazione degli atti di gara  (capitolati, disciplinare, ecc.), la dilatazione dei tempi è legata spesso alla  incompletezza e scarsa qualità della definizione delle prestazioni che, a  seguito di richieste di chiarimento da parte dei concorrenti, determinano lo  spostamento dei termini delle offerte a seguito di precisazioni o variazioni dei  contenuti degli atti stessi. Infine anche la fase della valutazione delle  offerte risulta fortemente espansa per la complessità delle attività, non  agevolata da capitolati e criteri di selezione ben determinati, nonché per la  composizione e qualificazione delle commissioni di gara che in non pochi casi  determinano la sostituzione dei componenti e calendarizzazioni molto lunghe.

Impatto dei processi di riorganizzazione

Nella  descrizione corale ricavabile dalle relazioni e atti esaminati è costante la  descrizione di una attività di continuo rimescolamento dei modelli  organizzativi degli enti appaltanti. Dalle relazioni si desume come, nel  decennio passato, la ricerca di efficienza degli enti del servizio sanitario,  resa ancora più acuta dal diminuire delle risorse disponibili, si stia attuando  con un caotico susseguirsi di iniziative che alternano modelli organizzativi  differenziati. Accorpamenti territoriali cui seguono riaccorpamenti con criteri  diversi, quali ad esempio quelli funzionali, visioni o modelli piramidali che vengono sostituiti da modelli a matrice, per limitarsi alle più diffuse  situazioni, fanno si che gare predisposte se non avviate, subiscono ritardi o  riedizioni, previamente annullate/revocate, per l’esigenza di ridefinire  l’oggetto o le quantità, o ancora dilatazione dei tempi per permettere il  riallineamento di differenti contratti in corso così da consentire gare con oggetto più ampio. Le scelte degli enti appaltanti sono difficilmente  censurabili ove le motivazioni addotte fondino le ragioni sulla maggiore  efficienza ed economicità. Tuttavia, il risultato finale è che la proroga  tecnica è utilizzata – come detto – quale ammortizzatore delle scelte  riorganizzative e di altri fattori.

Forme di acquisto  centralizzate/associate

La  chiara indicazione del legislatore, sia nazionale che della stragrande  maggioranza delle regioni, di obbligare gli enti del servizio sanitario a forme  di acquisto sempre più unificate ove non attuata attraverso una specifica  programmazione, ha di fatto determinato, nelle situazioni monitorate, effetti  distorsivi. La normativa inoltre spesso contiene divieti assoluti per le stazioni appaltanti di procedere in autonomia a nuove procedure. Al contempo,  l’organo deputato alla gara centralizzata spesso le avvia con ritardo, dovuto  principalmente alla esigenza di programmare le gare stesse – con cadenza  pluriennale – sulle diverse tipologie di beni o in altri casi per la difficoltà  di uniformare le esigenze di strutture spesso molto diversificate.
La  necessità di garantire i servizi obbliga le amministrazioni in questa  condizione a prorogare i contratti in essere, più volte. Il quadro fattuale  delle esperienze di centralizzazione che deriva dalla lettura delle relazioni  del campione appare segnato da una carenza di raccordo tra la previsione  normativa e la realtà operativa.
La proroga “tecnica” – nel  quadro prima descritto – non è più uno strumento di “transizione” per qualche  mese di ritardo determinato da fatti imprevedibili, ma diventa ammortizzatore  pluriennale di palesi inefficienze di programmazione e gestione del processo di  individuazione del nuovo assegnatario.
Quanto sopra evidenziato sull’uso improprio delle proroghe,  può assumere profili di illegittimità e di danno erariale, allorquando le  amministrazioni interessate non dimostrino di aver attivato tutti quegli  strumenti organizzativi\amministrativi necessari ad evitare il generale e  tassativo divieto di proroga dei contratti in corso e le correlate distorsioni  del mercato.

Raffaele  Cantone

Depositato presso la Segreteria del  Consiglio in data: 18 novembre 2015

Il Segretario: Maria Esposito