Ripensamenti della P.A. e legittimo affidamento del privato: via libera all’irresponsabilità

Pubblicato il 21-02-2018
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A cura dell’avv. Gaetano Pecoraro

Solleva non pochi dubbi la recentissima sentenza del TAR Veneto, 16 febbraio 2018 n. 184 con cui è stato respinto il ricorso di una società italiana promotrice di un’opera pubblica, con la proceduta di project financing, dapprima dichiarata di pubblica utilità da parte di un’Amministrazione comunale e successivamente, mercé l’avvicendamento politico a seguito di elezioni, ritenuta non più meritevole di realizzazione.

Il privato, insorto contro l’ultimo provvedimento, si è visto non solo respingere il ricorso nella parte “demolitoria”, ma anche in quella risarcitoria, avendo ritenuto il TAR veneto non meritevole di tutela l’affidamento insorto nel primo circa la messa a gara del progetto.

Nel nostro ordinamento la realizzazione di opere pubbliche è, solitamente, rimessa all’iniziativa delle pubbliche amministrazioni. Eccezionalmente tale iniziativa viene riconosciuta anche ai privati. Già con la legge 109/94, poi con il d. lgs. 163/2006, ed infine con l’attuale d. lgs. 50/2016 si è positivizzato il particolare procedimento di project financing (o finanza di progetto), per la realizzazione di opere pubbliche con “risorse totalmente o parzialmente a carico dei soggetti proponenti”, e che si articola in distinte fasi:

  1. presentazione di una proposta, da parte del privato, relativa alla “realizzazione in concessione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità, incluse le strutture dedicate alla nautica da diporto, non presenti negli strumenti di programmazione approvati dall’amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa vigente”.
  2. valutazione, da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, entro il termine perentorio di tre mesi, della fattibilità della proposta.
  3. inserimento del progetto di fattibilità negli strumenti di programmazione approvati dall’amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa vigente ed approvazione con le modalità previste per l’approvazione di progetti.
  4. esperimento di una procedura ad evidenza pubblica per l’individuazione del soggetto realizzatore dell’intervento, con diritto di prelazione in capo al promotore;
  5. aggiudicazione della gara al soggetto vincitore che, se diverso dal promotore, è sottoposto alla prelazione di quest’ultimo, ed in caso di suo mancato esercizio, al pagamento, “a carico dell’aggiudicatario, dell’importo delle spese per la predisposizione della proposta” nel limite del 2,5% del valore dell’investimento.

Nel caso portato all’attenzione del TAR veneto, il procedimento si è interrotto dopo il terzo step, allorché la nuova amministrazione comunale ha ritenuto non più conforme al pubblico interesse il progetto inizialmente dichiarato tale.

Il promotore ha quindi chiesto, oltre all’annullamento dell’atto di revoca, anche il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, e l’indennizzo previsto dall’art. 21-quinquies l. 7 agosto 1990, n. 241 per il caso di revoca di un precedente provvedimento amministrativo, ma nessuna di tali tutele gli è stata accordata.

Non la prima perché, secondo il giudice amministrativo, “nella presentazione del progetto da parte del promotore, vi un’assunzione consapevole di rischio a che quanto proposto non venga poi stimato conforme all’interesse pubblico e dunque davvero da realizzare…” e l’Amministrazione comunale non avrebbe “… dato luogo al benché minimo affidamento sul consolidamento della posizione precontrattuale delle ricorrenti, avendo quest’ultime presentato il progetto di cui si tratta, di propria iniziativa (non essendo il progetto presente negli strumenti di programmazione approvati dal Comune) assumendosi dunque il rischio che esso non venisse giudicato conforme all’interesse pubblico, e dovendosi considerare insito nella posizione del promotore il rischio economico della redazione e mancata realizzazione del progetto presentato”.

Tale ordine di argomentazioni sembrano assolutamente condivisibili ove l’Amministrazione, una volta presentato il progetto, non lo avesse ritenuto di pubblico interesse: assumendo l’iniziativa, l’operatore economico non può certamente rivendicare pretesi risarcimenti o indennizzi ove il suo progetto non sia entrato a far parte della programmazione comunale. In ciò si estrinseca anche la tipica alea imprenditoriale.

Ma, nel caso di specie, l’interruzione del procedimento è intervenuto dopo la dichiarazione di pubblica utilità, che costituisce altresì variante “ex lege” al Piano degli interventi.

Non si può, quindi, certamente dire che, successivamente alla dichiarazione di pubblica utilità, in capo al promotore non sorga un legittimo affidamento in ordine, se non all’affidamento della concessione (benché al promotore è comunque riconosciuto il diritto di prelazione, nel caso in cui all’esito della gara, lo stesso non sia individuato quale aggiudicatario), quantomeno, al rimborso dei costi di progettazione.

Come visto sopra, infatti, qualora il promotore non diventi aggiudicatario, e non eserciti il diritto di prelazione, l’ordinamento, con l’attuale articolo 183 comma 15 d. lgs. 50/2016, gli riconosce il “diritto al pagamento, a carico dell’aggiudicatario, dell’importo delle spese per la predisposizione della proposta nei limiti indicati nel comma 9”.

Vero è che la norma pone quest’obbligo in capo all’aggiudicatario, e tuttavia ove la gara non venga più esperita per responsabilità dell’Amministrazione, il costo inutilmente sostenuto dal promotore non potrà che porsi in capo a chi, con la sua condotta consapevole, abbia impedito il perfezionarsi della fattispecie.

Si tratta, in sostanza, dell’applicazione del principio di civiltà giuridica introdotto nell’ordinamento dalla l. 15/2005 e s.m.i. allorché si è inserito l’art. 21 quinquies nella legge 7 agosto 1990, n. 241 a mente del quale “se la revoca [n.d.r., del provvedimento amministrativo ad efficacia durevole] comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo”.

Sostenere, come fa la maggior parte della giurisprudenza, che tale disposizione non trovi applicazione nella procedura di project financing, in virtù della specialità di tale ultima disciplina, senza riconoscere il legittimo affidamento del promotore, significa far ripiombare l’ordinamento a prima che le Sezioni Unite della Cassazione, con la storica sentenza 500/1999, riconoscessero la risarcibilità degli interessi legittimi lesi dall’azione amministrativa.

In realtà, i principi espressi dal TAR Veneto appaiono essere conformi all’orientamento maggioritario espresso dalla giurisprudenza, ma c’è da chiedersi se essi possano essere ancora condivisi.

Ad avviso di chi scrive, militano in favore di un maggiore approfondimento non solo eminenti ragioni economiche, ma altresì giuridiche.

Se solo si pone mente al fatto che le proposte di project financing attengono, nella maggior parte delle ipotesi, ad opere di particolare complessità (nel caso deciso dal TAR Veneto si trattava della proposta di recupero e riqualificazione del compendio immobiliare dell’Arsenale, avente un costo complessivo previsto di ben 45.347.263,02 euro), non v’è chi non veda come lo scudo sollevato dalla giurisprudenza in favore delle pubbliche amministrazioni avrà come effetto l’allontanamento dal Sistema Italia di potenziali investitori, e determinare il definitivo tramonto della procedura di project financing: nessun investitore manifesterebbe un interesse alla progettazione di opere pubbliche, con il rischio di non vedersi riconosciuto neppure il costo di progettazione.

E ciò senza considerare l’effetto deterrenza che il riconoscimento di una responsabilità economica delle pubbliche amministrazioni avrà sulle loro scelte, trasformandosi in un invito ad una maggiore ponderazione delle valutazioni che istituzionalmente vengono chiamate ad operare.

Ma al di là di tali considerazioni, vi sono molte ragioni giuridiche che dovrebbero indurre il Giudice amministrativo a prendere coscienza del mutato ruolo che gli è stato attribuito dal Legislatore.

Di conquiste, sul terreno della tutela nei confronti dell’azione della pubblica amministrazione, per evitare l’esposizione del privato al suo arbitrio, da allora ne sono state fatte tante, e gradatamente il Giudice amministrativo è stato chiamato a decidere non solo degli interessi legittimi, ma anche dei diritti soggettivi, avendo il Legislatore fornitogli tutti gli strumenti a tal fine necessari:

  1. riconoscimento, in suo favore, di un numero considerevole di materie su cui può esercitare la giurisdizione esclusiva, con conseguente impossibilità di ricorso al giudice ordinario
  2. possibilità di emettere non solo sentenze di annullamento di provvedimenti amministrativi, ma altresì di condanna (anche al pagamento di somme a titolo risarcitorio)
  3. possibilità di emettere, finanche, decreti ingiuntivi e conoscere della relativa opposizione, con conseguente ammissione di sentenze di accertamento dell’esistenza di crediti

Se così è, la giustizia amministrativa deve affinare la propria “sensibilità” sul tema della tutela dei diritti soggettivi dei privati che si assumono essere lesi da atti e comportamenti della Pubblica amministrazione, sia quando agisce iure privatorum che nell’esercizio dei propri poteri autoritativi.

Il nostro ordinamento, con l’art. 1173 c.c., ha sposato la tesi della aticipità delle fonti delle obbligazioni, stabilendo che esse possano derivare “da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”, ed in uno con il principio solidaristico codificato dall’art. 2 Cost. ha consentito di far emergere il cosiddetto “contatto sociale”, quale fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi art. 1174, bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione.

E non v’è dubbio che, una volta instaurato un procedimento amministrativo, in capo alle Parti sorgano tali obblighi, la cui lesione, quand’anche proveniente da fatto lecito (piena conformità all’ordinamento del provvedimento amministrativo), non esclude l’obbligo risarcitorio.

D’altronde la giurisprudenza amministrativa ammette un obbligo risarcitorio in favore del promotore qualora la revoca della procedura di project financing intervenga successivamente all’indizione della gara, avendo osservato “che la dichiarazione di pubblico interesse della proposta di progetto di finanza pubblica seppure differenzia la posizione giuridica del proponente (cfr. Ad. plen. n. 1 del 2012), riconoscendogli un’aspettativa e una posizione tutelata nei confronti di altri operatori o di proposte concorrenti, assume maggiore consistenza giuridica dando luogo al diritto di prelazione e ai correlati diritti patrimoniali, ove il procedimento si sviluppi nella fase della indizione della gara per l’affidamento della concessione, sicché al di fuori di tale evenienza la revoca della dichiarazione di pubblico interesse del progetto e, quindi, l’abbandono del progetto da parte dell’amministrazione non integra in capo al proponente, tanto più quando, come nel caso, la proposta di progetto sia ad iniziativa privata, alcuna forma risarcitoria e nemmeno indennitaria” (così, Cons. Stato, sent. 26 giugno 2015, n. 3237).

Si tratta, esclusivamente, di anticipare la tutela alla fase successiva alla dichiarazione di pubblico interesse, allorché, cioè, la Pubblica Amministrazione ha manifestato all’esterno la rispondenza all’interesse pubblico dalla stessa curato della proposta avanzata dal promotore, il quale, pertanto, da quel momento, è legittimato ad aspettarsi, non già l’aggiudicazione della futura gara, ma quanto meno, e certamente, il rimborso delle spese di progettazione.