A cura dell’avv. Gaetano Pecoraro
La disciplina delle terre e rocce da scavo, per i suoi effetti in materia ambientale, è oggetto di frequente dibattito delle aule di Giustizia, di cui diamo periodicamente atto.
Da ultimo, segnaliamo la recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 232 del 10 ottobre 2014), con la quale il Giudice delle leggi, sempre più impegnato a risolvere i conflitti di attribuzione tra Enti (dal 2001 in poi, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, la Corte è stata chiamata ad intervenire molto più che in passato), ha ribadito il proprio orientamento secondo cui “la disciplina delle procedure per lo smaltimento delle rocce e terre da scavo attiene al trattamento dei residui di produzione ed è perciò da ascriversi alla «tutela dell’ambiente», affidata in via esclusiva alle competenze dello Stato, affinché siano garantiti livelli di tutela uniformi su tutto il territorio nazionale”.
Da tale premessa, la Corte ha tratto la conseguenza che qualunque atto normativo/regolamentare non proveniente dallo Stato, e che intervenga in materia dettando discipline difformi da quelle nazionali, debba considerarsi illegittimo, per difetto di attribuzione.
SENTENZA N. 232 ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte Costituzionale
composta dai signori: Presidente: Giuseppe TESAURO; Giudici : Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della delibera della Giunta della Regione Veneto 11 febbraio 2013, n. 179, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione n. 20 del 26 febbraio 2013, avente per oggetto «Procedure operative per la gestione delle terre e rocce da scavo per i quantitativi indicati all’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i.», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 26 aprile 2013, depositato in cancelleria il 30 aprile 2013 ed iscritto al n. 5 del registro conflitti tra enti 2013.
- Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;
- Udito nell’udienza pubblica del 23 settembre 2014 il Giudice relatore Marta Cartabia;
- Uditi l’avvocato dello Stato Marco Corsini per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Luigi Manzi per la Regione Veneto.
RITENUTO IN FATTO
1.– Con ricorso, notificato alla Regione Veneto il 26 aprile 2013 (iscritto al reg. confl. enti n. 5 del 2013) e depositato il successivo 30 aprile, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso conflitto di attribuzione in relazione alla delibera della Giunta regionale del Veneto 11 febbraio 2013, n. 179, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione n. 20 del 26 febbraio 2013, avente ad oggetto «Procedure operative per la gestione delle terre e rocce da scavo per i quantitativi indicati all’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i.», per violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera s), e 118, primo comma, della Costituzione.
2.– La delibera 11 febbraio 2013, n. 179, ha approvato le procedure operative per la gestione delle terre e rocce da scavo prodotte nel corso di attività e interventi provenienti da cantieri di piccole dimensioni, la cui produzione non superi i 6000 metri cubi per singolo cantiere. Le procedure in questione sono contenute nell’Allegato A alla delibera.
3.– A parere del Presidente del Consiglio dei ministri il provvedimento in esame, seppur di apparente natura meramente provvedimentale, risulterebbe avere un contenuto sostanzialmente regolamentare, in quanto contiene disposizioni valevoli in linea generale ed astratta per i destinatari delle stesse. Rileva l’Avvocatura generale dello Stato che la delibera in oggetto appare invasiva della competenza legislativa esclusiva in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» attribuita al legislatore statale dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Il ricorrente ricorda che il legislatore statale ha disciplinato le procedure operative per la gestione delle suindicate terre e rocce da scavo con il decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161 (Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo), adottato ai sensi dell’art. 184-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). In particolare l’art. 8, comma 1, (recte: art. 3, comma 1) renderebbe evidente che l’ambito di applicazione del d.m. n. 161 del 2012 comprende l’intera gestione delle terre e rocce da scavo, senza prevedere alcuna distinzione tra quantitativi di terra e rocce superiori o inferiori ai seimila metri cubi di volume per singolo cantiere.
Emergerebbe dunque in maniera indiscutibile la lesione, da parte della delibera regionale impugnata, della competenza statale in materia di ambiente, che comprende anche la disciplina dei rifiuti, come riaffermato da una consolidata giurisprudenza costituzionale. Il provvedimento in questione, ponendo regole e procedure di gestione di quei rifiuti, valevoli territorialmente solo per il territorio regionale, avrebbe ecceduto dalle competenze della Regione, invadendo l’ambito di competenza esclusiva dello Stato.
3.1.– Aggiunge l’Avvocatura generale dello Stato che, per le medesime ragioni, il provvedimento lede altresì l’art. 118, primo comma, Cost. in quanto interferisce con una funzione che, in virtù di quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, la legge riserva espressamente allo Stato, allo scopo di stabilire una disciplina unitaria ed omogenea sul territorio nazionale. Invero, l’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 (menzionato anche nell’intestazione del provvedimento impugnato), riconoscerebbe alla competenza esclusiva del Ministero dell’ambiente la possibilità di fornire una disciplina semplificativa con riguardo alle procedure relative ai materiali, ivi incluse le terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni e la cui produzione non superi i seimila metri cubi di materiale.
In conclusione, la difesa statale chiede che sia dichiarato che non spetta alla Regione Veneto, e per essa alla Giunta regionale, adottare una delibera con la quale vengano approvate le «Procedure operative per la gestione delle terre e rocce da scavo per i quantitativi indicati all’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i.» e che, pertanto, essa sia annullata.
4.– Si è costituita in giudizio la Regione Veneto concludendo per la inammissibilità del ricorso ovvero per il suo rigetto, chiedendo che sia dichiarata la competenza della Giunta regionale del Veneto all’esercizio delle funzioni amministrative oggetto dell’atto impugnato.
4.1.– La resistente eccepisce l’inammissibilità del ricorso anzitutto sostenendo che il ricorrente ha impugnato un provvedimento, erroneamente reputato di valenza normativa, ma in realtà dotato di forma e sostanza amministrativa, invocando la violazione di parametri di costituzionalità riguardanti la potestà legislativa esclusiva statale.
La Regione Veneto inoltre dubita dell’effettività del conflitto, in quanto la delibera impugnata si occuperebbe di un settore – quello dei cantieri di piccole dimensioni – che sarebbe rimasto del tutto sprovvisto di adeguata disciplina a seguito dell’approvazione del d.m. n. 161 del 2012 il quale, mentre tratta esaustivamente della gestione delle terre e rocce da scavo, lascia però scoperto il settore oggetto del provvedimento regionale, ovvero i cantieri con produzione di materiali da scavo inferiore a seimila metri cubi. Pertanto, il provvedimento regionale impugnato non lederebbe alcuna competenza statale, ma si sarebbe reso necessario per colmare un vuoto amministrativo e funzionale.
Un ulteriore profilo di inammissibilità deriverebbe dal fatto che l’atto impugnato avrebbe natura meramente confermativa o consequenziale rispetto a precedenti analoghi.
In conclusione, la difesa regionale nota che la delibera non conforme alla disciplina statale avrebbe dovuto essere sottoposta al vaglio del giudice amministrativo, anziché di questa Corte.
4.2.– Nel merito, la difesa regionale sostiene che l’atto impugnato sia carente di contenuto regolatorio, limitandosi a introdurre un livello di disciplina, in materia di piccoli cantieri, non riconducibile alla normativa dettata dal decreto invocato dalla difesa erariale, semplicemente perché attinente a profili dallo stesso non considerati ed al medesimo non ascrivibili.
La difesa regionale sostiene che non risulterebbe affatto dimostrata la relazione idonea a connettere il provvedimento amministrativo regionale alle attribuzioni in materia ambientale riconosciute allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Poiché tutti i provvedimenti regionali antecedenti a quello impugnato sarebbero stati ancorati alla disciplina statale e avrebbero potuto pacificamente dispiegare gli effetti loro propri, non si coglierebbero i profili di illegittimità dell’operato regionale contestati dal Governo.
In conclusione, la difesa ribadisce che la delibera regionale avrebbe natura meramente provvedimentale, con oggetto dichiaratamente procedurale e semplificatorio, e che non presenterebbe alcun profilo qualificabile come espressione di potestà regolamentare. A conferma dell’assenza dei presupposti per il ricorso starebbe l’efficacia dichiaratamente cedevole dei contenuti dell’atto impugnato, destinati ad essere caducati per effetto dell’eventuale emanazione della normativa statale. Nella denegata ipotesi che fosse affermata la ritenuta valenza parzialmente suppletiva dell’atto regionale impugnato, la resistente ribadisce che, con il provvedimento impugnato, la Regione Veneto ha unicamente inteso perseguire la semplificazione dei procedimenti amministrativi di propria competenza, materia oggetto di competenza residuale regionale. Del resto, a parere della difesa regionale, la tipologia dei cantieri considerata nell’atto afferisce anche all’esecuzione di opere pubbliche di competenza regionale e all’esecuzione di lavori di edilizia residenziale pubblica, tutte materie di attribuzione esclusiva regionale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso conflitto di attribuzione in relazione alla delibera della Giunta regionale del Veneto 11 febbraio 2013, n. 179, pubblicata nel Bollettino ufficiale della Regione n. 20 del 26 febbraio 2013, recante «Procedure operative per la gestione delle terre e rocce da scavo per i quantitativi indicati all’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i.», per violazione degli artt. 117, secondo comma, lett. s), e 118, primo comma, della Costituzione.
2.– La Regione Veneto, costituitasi in giudizio, ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso, in quanto il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe impugnato un provvedimento di forma e sostanza amministrativa, inidoneo a produrre gli effetti normativi, e quindi lesivi, lamentati. Inoltre, la Regione ritiene, diversamente da quanto affermato dalla difesa statale, che la delibera regionale impugnata non si occupi di un settore già regolato da un atto normativo statale – nella specie il decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 10 agosto 2012, n. 161 (Regolamento recante la disciplina dell’utilizzazione delle terre e rocce da scavo) – ma riguardi un ambito, quello dei cantieri di piccole dimensioni, da esso non interessato. Infine, la Regione rileva che il provvedimento impugnato sarebbe un atto di natura meramente confermativa o consequenziale rispetto a precedenti di analogo contenuto, mai impugnati dalla difesa statale.
I rilievi della Regione in punto di inammissibilità sono destituiti di fondamento.
Secondo una giurisprudenza costante di questa Corte, è idoneo a innescare un conflitto intersoggettivo di attribuzione qualsiasi atto, dotato di efficacia e rilevanza esterna, diretto a esprimere in modo chiaro e inequivoco la pretesa di esercitare una competenza, il cui svolgimento possa determinare una invasione, o una menomazione, della altrui sfera di attribuzioni (ex plurimis, sentenze n. 122 del 2013 e n. 332 del 2011). Nel caso di specie, sono pacifiche l’efficacia e la rilevanza esterna della delibera impugnata, che detta le procedure da seguire per lo smaltimento delle rocce e terre da scavo prodotte nei cantieri di piccole dimensioni. Tale delibera è censurata in quanto invasiva della materia della «tutela dell’ambiente», annoverata dall’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost., tra le competenze esclusive dello Stato, e in quanto lesiva dell’art. 118, primo comma, Cost., per la sovrapposizione che essa determina con le funzioni amministrative che lo Stato ha riservato ad atti ministeriali. Quale che sia la natura dell’atto impugnato, nessun dubbio sussiste circa la sua idoneità a causare la lamentata lesione delle competenze statali in materia di ambiente.
Neppure è fondato il rilievo che l’atto impugnato avrebbe carattere meramente confermativo o consequenziale rispetto a delibere adottate in precedenza dalla medesima Giunta regionale del Veneto in tema di procedure per la gestione delle terre e rocce da scavo e aventi analogo contenuto.
Invero, questa Corte ha ripetutamente affermato che il conflitto di attribuzione è inammissibile se proposto contro atti meramente consequenziali (confermativi, riproduttivi, esplicativi, esecutivi ecc.) rispetto ad atti anteriori, non impugnati (ex plurimis, sentenze n. 130 del 2014, n. 144 del 2013, n. 207 del 2012), qualora l’atto impugnato «ripeta identicamente il contenuto o […] costituisca una mera e necessaria esecuzione di un altro atto, che ne costituisca il precedente logico e giuridico» (sentenza n. 369 del 2010, nonché sentenze n. 472 del 1975, n. 32 del 1958 e n. 18 del 1956). Nel caso in discussione, però, la delibera impugnata non si configura come atto meramente confermativo o consequenziale.
La difesa regionale fa riferimento a precedenti delibere riguardanti le procedure operative per la gestione delle terre e rocce da scavo, emanate ai sensi dell’art. 186 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), d’ora in avanti «codice dell’ambiente», in base, cioè, a una disposizione abrogata in seguito all’entrata in vigore del d.m. n. 161 del 2012, al quale, invece, si riferisce la delibera impugnata con l’intendimento di rimediare transitoriamente al vuoto normativo da esso generato. Pertanto, la delibera 11 febbraio 2013, n. 179, si distingue dalle precedenti sotto vari profili: per l’oggetto, limitato alla semplificazione delle procedure per le terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni; per il fondamento legislativo, da individuarsi non nell’abrogato art. 186, bensì nell’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006; per lo scopo che essa persegue, di rimediare, in parte qua, proprio al venir meno della norma statale su cui le delibere anteriori si fondavano. Tali circostanze escludono che l’atto impugnato possa considerarsi meramente riproduttivo, confermativo o esecutivo dei precedenti.
3.– Ancora in via preliminare, occorre chiarire gli effetti della delibera 11 febbraio 2013, n. 179, dal punto di vista temporale, dato che nelle more del giudizio il legislatore statale ha approvato l’attesa disciplina che semplifica il regime delle terre e rocce da scavo provenienti da piccoli cantieri. La disciplina semplificata è stata infatti adottata con l’art. 41-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), inserito dalla legge di conversione 9 agosto 2013, n. 98.
In particolare la novella legislativa prevede che i materiali da scavo, anziché essere gestiti come rifiuti, siano soggetti al regime dei sottoprodotti di cui all’art. 184-bis del codice dell’ambiente, purché siano rispettate determinate condizioni. Occorre, in particolare, che il produttore dimostri: «a) che è certa la destinazione all’utilizzo direttamente presso uno o più siti o cicli produttivi determinati; b) che, in caso di destinazione a recuperi, ripristini, rimodellamenti, riempimenti ambientali o altri utilizzi sul suolo, non sono superati i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell’allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, con riferimento alle caratteristiche delle matrici ambientali e alla destinazione d’uso urbanistica del sito di destinazione e i materiali non costituiscono fonte di contaminazione diretta o indiretta per le acque sotterranee, fatti salvi i valori di fondo naturale; c) che, in caso di destinazione ad un successivo ciclo di produzione, l’utilizzo non determina rischi per la salute né variazioni qualitative o quantitative delle emissioni rispetto al normale utilizzo delle materie prime; d) che ai fini di cui alle lettere b) e c) non è necessario sottoporre i materiali da scavo ad alcun preventivo trattamento, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere».
L’esigenza di semplificazione del regime dei materiali da scavo di piccoli cantieri, di cui la Giunta della Regione Veneto ha ritenuto di farsi carico con la delibera impugnata, è stata dunque soddisfatta dagli interventi legislativi statali sopra ricordati. Poiché la Giunta si proponeva «di fornire indirizzi per la corretta gestione delle terre e rocce da scavo nelle more dell’emanazione del decreto di cui all’art. 266, comma 7, per quei quantitativi di materiale di risulta prodotto dagli scavi fino ad un massimo di seimila metri cubi per cantiere», la delibera 11 febbraio 2013, n. 179 è da considerarsi “cedevole” rispetto alla disciplina statale. Essendo ora sopravvenuta la legislazione statale, si deve dunque ritenere che l’atto regionale abbia esaurito i suoi effetti.
Ciò nondimeno, il ricorso deve essere esaminato nel merito, sia perché la delibera sottoposta all’esame di questa Corte è rimasta in vigore per alcuni mesi e si deve presumere che durante quel periodo abbia avuto applicazione, sia perché le censure prospettate dal Presidente del Consiglio dei ministri si appuntano sull’adozione da parte della Giunta regionale di una normativa “ponte”, destinata a cedere il passo alla normativa statale, in una materia di competenza esclusiva dello Stato.
Del resto, va ricordato che questa Corte ha già avuto modo di affermare l’irrilevanza delle sopravvenienze di fatto, come l’esaurimento degli effetti dell’atto impugnato, ai fini del persistere dell’interesse alla decisione dei conflitti di attribuzione (ex plurimis, sentenze n. 9 del 2013, n. 328 del 2010, n. 222 del 2006, nn. 287 e 263 del 2005 e n. 289 del 1993).
4.– Nel merito, il ricorso è fondato. La delibera della Giunta regionale del Veneto 11 febbraio 2013, n. 179, che disciplina le procedure per lo smaltimento dei materiali da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni, è censurata in quanto interviene nell’ambito della «tutela dell’ambiente», riservata allo Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare, in due recenti decisioni (sentenze n. 70 del 2014 e n. 300 del 2013), che la disciplina delle procedure per lo smaltimento delle rocce e terre da scavo attiene al trattamento dei residui di produzione ed è perciò da ascriversi alla «tutela dell’ambiente», affidata in via esclusiva alle competenze dello Stato, affinché siano garantiti livelli di tutela uniformi su tutto il territorio nazionale. Nelle medesime decisioni, la Corte ha altresì chiarito che in materia di smaltimento delle rocce e terre da scavo non residua alcuna competenza neppure di carattere suppletivo e cedevole – in capo alle Regioni e alle Province autonome in vista della semplificazione delle procedure da applicarsi ai cantieri di piccole dimensioni.
A questo proposito occorre ricordare che l’art. 266, comma 7, del codice dell’ambiente riserva allo Stato, e per esso ad un apposito decreto ministeriale, la competenza a dettare «la disciplina per la semplificazione amministrativa delle procedure relative ai materiali, ivi incluse le terre e le rocce da scavo, provenienti da cantieri di piccole dimensioni», senza lasciare alcuno spazio a competenze delle Regioni e delle Province autonome.
A sua volta l’art. 184-bis del codice dell’ambiente, relativo al trattamento dei sottoprodotti – a cui il sopravvenuto art. 41-bis del d.l. n. 69 del 2013
riconduce il regime delle terre e delle rocce da scavo – prevede che sia un decreto ministeriale ad adottare i criteri qualitativi o quantitativi da soddisfare affinché specifiche tipologie di sostanze o oggetti siano considerati sottoprodotti e non rifiuti.
La materia è dunque interamente attratta nell’ambito delle competenze dello Stato. Di conseguenza, l’impugnata delibera della Giunta regionale del Veneto, che detta una disciplina semplificata da applicarsi allo smaltimento dei residui di produzione dei cantieri di piccole dimensioni, anche se valevole in via suppletiva in attesa dell’intervento statale, ha invaso le competenze dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e deve essere annullata.
Restano assorbiti gli altri motivi di censura.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara che non spettava alla Giunta regionale del Veneto deliberare in materia di procedure operative per la gestione delle terre e rocce da scavo provenienti da cantieri di piccole dimensioni, come definiti dall’art. 266, comma 7, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale);
2) annulla, di conseguenza, la delibera della Giunta regionale del Veneto 11 febbraio 2013, n. 179, recante «Procedure operative per la gestione delle terre e rocce da scavo per i quantitativi indicati all’art. 266, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 e s.m.i.».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2014.
F.to:
- Giuseppe TESAURO, Presidente
- Marta CARTABIA, Redattore
- Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2014.
Il Direttore della Cancelleria
Corte costituzionale della Repubblica italiana
F.to: Gabriella Paola MELATTI