Obbligo di trattamento dei rifiuti: a volte ritornano

Pubblicato il 26-06-2023
Condividi

A cura dell’Avv. Gaetano Pecoraro

La materia della gestione dei rifiuti è, forse, una delle più complesse del nostro ordinamento, insistendo sulla stessa nozioni scientifiche e sviluppi tecnologici che costringono, giustamente, ad un continuo adeguamento dei comportamenti umani.

Tuttavia, come spesso accade, alla base di tutto ciò che è complesso vi sono pochi elementi semplici, individuati i quali diviene più agevole affrontare le articolate sfaccettature che dai primi dipendono e conseguono.

E la normativa sulla gestione dei rifiuti non sfugge a tale regola, basandosi fondamentalmente, su pochi principi generali:

  • Lo smaltimento dei rifiuti in discarica è l’ultima ipotesi da prendere in considerazione, dovendosi preferire, nell’ordine: “prevenzione; preparazione per il riutilizzo; riciclaggio; recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia”. E’ la cosiddetta “gerarchia” della gestione dei rifiuti prevista dall’art. 179 d. lgs. 152/2006.
  • La gestione dei rifiuti deve essere effettuata conformemente ai principi di precauzione, di prevenzione, di sostenibilità, di proporzionalità, di responsabilizzazione (art. 178 d. lgs. 152/2006).
  • I rifiuti devono essere gestiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare: a)  senza determinare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, nonché per la fauna e la flora;  senza causare inconvenienti da rumori o odori (art. 177 d. lgs. 152/2006).

Avendo a mente tali pochi ed elementari principi, è possibile seguire il Giudice amministrativo romano che, con sentenza 20 giugno 2023 n. 10459, è tornato sul tema della modalità di trattamento dei rifiuti EER 20.03.01 (rifiuti urbani non differenziati), a cui è dedicato l’art. 182 del Codice dell’ambiente che, dopo aver ribadito che “Lo smaltimento dei rifiuti è effettuato in condizioni di sicurezza e costituisce la fase residuale della gestione dei rifiuti, previa verifica, da parte della competente autorità, della impossibilità tecnica ed economica di esperire le operazioni di recupero”, al comma 2 impone che “I rifiuti da avviare allo smaltimento finale devono essere il più possibile ridotti sia in massa che in volume”.

Il TAR Roma è stato chiamato a pronunciarsi in ordine a quale metodologia di trattamento dei rifiuti, tra quelle offerte dalle conoscenze scientifiche e dallo sviluppo tecnologico attuale, debba considerarsi conforme al dettato normativo, essendo disponibili sul mercato diverse metodiche: da quelle che triturano i rifiuti, per ridurne il volume, a quelle che procedono alla deferrizzazione, a quelle che li sottopongono ad un processo chimico-fisico per abbatterne la componente odorosa e stabilizzarli, così da renderli innocui per la salute umana e l’ambiente.

L’Unione Europea, da tempo, redige le cosiddette B.A.T. (acronimo di Best Available Techniques), ossia le migliori tecniche disponibili nella gestione dei rifiuti, che vengono aggiornate periodicamente alla luce delle nuove conoscenze e degli sviluppi tecnologici (cfr. da ultimo, la Decisione della Commissione 2018/1147)

La questione non è nuova. Già nove anni fa il Consiglio di Stato, con diverse sentenze (qui, una di quelle), ebbe modo di precisare che gli impianti di trattamento dei rifiuti, che effettuano “un trattamento meccanico di triturazione, vagliatura primaria e vagliatura secondaria con deferrizzazione magnetica dei sopravagli primario e secondario, in taluni casi accompagnata dalla stabilizzazione aerobica della frazione umida tritovagliata e in un caso dalla separazione balistica sul sovvallo secondario”, non sono in grado di modificare la natura chimico – fisica del rifiuto in ingresso, “conformemente agli scopi previsti dal citato art. 2 [comma 1, lett. g), del D. Lgs. n. 36/2003]”, giacché “…il confronto fra le quantità di rifiuti in ingresso e quelle in uscite mostra scarse differenze che indicano esigue perdite di processo legate alla mancata stabilizzazione che non comporta una riduzione dei volumi complessivamente avviati alle successive operazioni di smaltimento” ed inoltre “…la mancata stabilizzazione della frazione umida trito vagliata rende inefficace il trattamento e non consente di soddisfare le esigenze di tutela ambientale richieste dal dettato comunitario e nazionale, generando un flusso di rifiuti con caratteristiche chimico – fisiche e biologiche che, per carico organico ed emissioni odorigene, risulta egualmente se non più problematico dal punto di vista gestionale e di trasporto, rispetto al rifiuto urbano indifferenziato al trattamento”.

Per il Consiglio di Stato, la mera triturazione del rifiuto urbano indifferenziato, con conseguente riduzione volumetrica, e magari deferrizzazione, in assenza della stabilizzazione della frazione organica, lascia inalterata la natura del rifiuto stesso, con conseguente impossibilità di suo collocamento in discarica.

Ed anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in un caso che vedeva la Repubblica Italiana deferita nell’ambito di una procedura di infrazione (Causa C-323/13), statuì a chiare lettere che “la nozione di «trattamento» comprende i processi fisici, termici, chimici o biologici, inclusa la cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero… Gli Stati membri hanno l’obbligo di adottare le misure necessarie affinché siano sottoposti a trattamento tutti i rifiuti che vi si prestano, e non siano pertanto collocati tali e quali a discarica i rifiuti idonei a costituire oggetto di tale trattamento”, per poi concludere che “in considerazione dell’obiettivo così definito dalla direttiva citata, non si può pertanto validamente sostenere che, in vista della trasposizione e dell’applicazione conformi della direttiva 1999/31, gli Stati membri possano limitarsi ad optare per un qualsiasi trattamento dei rifiuti e non abbiano l’obbligo di ricercare e di mettere in atto il trattamento più adatto, compresa la stabilizzazione della frazione organica di tali rifiuti, al fine di ridurre il più possibile le ripercussioni negative dei rifiuti sull’ambiente e, pertanto, sulla salute umana”.

A distanza di nove anni da quella decisione, con la sentenza in commento, il TAR Roma è tornato sul punto.

Di discuteva di un provvedimento adottato dalla Regione Lazio con cui veniva concesso un aumento del 10% della capacità di trattamento di rifiuti urbani e speciali non pericolosi, tra cui quelli di cui al codice EER 20.03.01, da parte di un impianto di Trattamento Meccanico già esistente, senza che l’Amministrazione regionale avesse verificato se, a seguito dell’approvazione delle nuove BAT, di cui alla Decisione della Commissione 2018/1147, l’impianto fosse conforme a quest’ultima, e senza dunque aver avviato il procedimento di rinnovo del provvedimento autorizzativo ambientale, in sede di riesame.

Al di là della vicenda in concreto, su cui magari verrà chiamato a pronunciarsi il Consiglio di Stato in sede di appello, ciò che emerge dalla sentenza è il richiamo del Giudice alle Amministrazioni pubbliche a verificare che gli impianti di trattamento dei rifiuti effettuino una “adeguata selezione” con “stabilizzazione della frazione organica” dei rifiuti solidi urbani, prima del loro conferimento in discarica.

E francamente lascia perplessi che, a distanza di quasi 10 anni dai principi enunciati dal Consiglio di Stato e dalla Corte di Giustizia, si dibatta ancora sulla necessità o meno di procedere alla stabilizzazione della frazione organica, ed in ultimo, sul necessario adeguamento degli impianti alle “Migliori Tecniche Disponibili”, non essendo più sufficiente la mera riduzione volumetrica del rifiuti solidi urbani ai fini del loro conferimento in discarica.